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Autore: BabaYagaIsBack    27/07/2019    1 recensioni
Jay ha diciotto anni e tutto ciò che ha imparato sulla vita le è stato insegnato da Jace, il fratello maggiore, e i suoi migliori amici. Cresciuta sotto la loro ala protettrice, ha vissuto gli ultimi anni tra la goffaggine dell'adolescenza, una cotta mai confessata e un istituto femminile di cui non si sente parte. E' ancora inesperta, ingenua e alle volte fin troppo superficiale, ma quando Jace decide di abbandonare Londra per Parigi, la sua quotidianità, insieme alle certezze, iniziano a sgretolarsi, schiacciandola sotto il peso di ciò che non sa
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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§ Am I dreaming? §

Jace ed io siamo in bagno, l'infermeria perfetta dopo ciò che è accaduto. Lui con un panno umido mi tampona la zona appena sotto all'occhio, l'unica parte del volto che pare aver riportato danni visibili. Ogni volta che mi tocca però, son costretta a trattenere i guaiti, anche se le goccioline d'acqua fresca provano a distrarmi dal pulsare continuo della pelle che viene sfiorata. Potrei provare a mentire in ogni modo, ma non servirebbe a nulla: il cazzotto di Seth voleva far male, era stato caricato per colpire e lasciare il segno - e così ha fatto, ma sul corpo sbagliato.

Ciò che ne deriva, quindi, è la spaesante certezza che volesse sul serio ferire mio fratello, punirlo per qualcosa che a suo avviso doveva essere giusto e che lui, certamente, avrà ritenuto sbagliato.

Fisso con la coda dell'occhio il viso di Jace, tanto crucciato da far ben capire che si stia rimproverando per ciò che è successo. Quasi mi pare di poter leggere i suoi pensieri.
Si starà ripetendo all'infinito di essere stato un idiota, di non potersi più definire un fratello maggiore degno di tale appellativo - ma lo è, sono io ad essere stata tanto stupida da mettersi nel mezzo di qualcosa che né mi riguardava, né mi competeva.

Così, mentre fisso la sua espressione, mi ricordo che tra poco più di un'ora dovrà scendere le scale del secondo piano, afferrare le valige che ha all'ingresso e andare via, con il cuore pesante e i sensi di colpa a gravare sul suo spirito. 

Mio fratello non è tipo da prendere le cose alla leggera, non si perdonerà per quel che è successo con tanta facilità, anzi, temo che non potrà mai farlo veramente, anche se dovrebbe. L'errore non è stato suo, nemmeno di Seth. L'errore è stato mio, che mi son voluta frapporre tra loro per impedire che la catastrofe avesse luogo, che la loro amicizia si chiudesse con un naso rotto ed entrambi all'ospedale; perché certamente non avrebbero smesso al primo pugno.

«Okay JJ, basta così...» con il braccio gli scosto la mano dal mio viso, cercando di allontanarlo da me. Fatico a reggere il modo che ha di guardarmi l'ematoma, così come non riesco più a sopportare di star qui e respirare i suoi sensi di colpa.

Salto giù dal piano in marmo del lavandino, cercando con la mano di asciugarmi l'umidità appiccicata alle guance: «devi chiamare il taxi e fare un ultimo controllo dei baga-» mi interrompe bruscamente, con un tono di voce capace di scuotermi le budella. Urla ancora, senza capire che non ce n'è motivo, che siamo a meno di due spanne l'uno dall'altra e che il mio udito funziona benissimo: «Cosa vuoi che me ne importi del volo? Jay hai visto come è conciata la tua faccia?»

Sì, sfortunatamente l'ho vista.

Jace scuote la testa, mi afferra per le spalle e cerca di non lasciarmi andare: «Non me ne vado. Dopo quello che è successo tu non resti qui da sola!» la sua preoccupazione ha la stessa intensità delle mani con cui mi stringe, arrivando quasi a far male.
Crede davvero che Seth possa tornare e volermi colpire ancora? Pensa sul serio che l'abbia fatto volontariamente, o che sia una persona tanto spregevole da volersi vendicare su di me per una questione loro?

Non siamo in un film che parla di mafia o gang rivali, Morgenstern non alzerebbe mai un dito su di me e di questo ne sono certa, a prescindere dalla chiazza viola che mi adorna lo zigomo.

Se non ho paura io, che sono diventata la vittima del loro battibecco, certamente non dovrebbe averla lui. Come può dubitare dell'integrità morale di quello che è stato il suo migliore amico per gli ultimi tredici anni? Se potesse, ne sono certa, Seth verrebbe in ginocchio alla porta di casa per chiedermi scusa - o quantomeno questo è quello che accadrebbe nei miei sogni più rosei. Ad ogni modo, so che si farebbe perdonare a qualsiasi costo: mi vuole bene e su questo non ho alcun dubbio.
Con una mano afferro il polso di mio fratello, fissando lo sguardo nel suo. Devo convincerlo che vada tutto bene, che sono in grado di gestire questa situazione da me. Lui ha altro a cui pensare, la sessione invernale si avvicina e dietro d'essa la laurea - non può mandare tutto a quel paese per me, anche se l'idea è lusinghiera.

«E' tutto okay» sussurro, contrastando le sue urla di rabbia con la maggior quantità di calma che riesco a racimolare: «Jace, non mi serve la tua protezione, ora. È stato un incidente, lo sappiamo entrambi, anche se tu non vuoi ammetterlo»
Lui mi incalza, non vuol sentir ragioni: «Ti ha colpita, Jane. Non è una cosa che posso ignorare!» nei suoi occhi c'è la chiara scintilla della decisione. Non vuole demordere, ma deve. Questa questione non è poi tanto importante da rovinarsi il futuro e poi, alla mia età, è giusto che impari a gestire da sola i problemi.

«Mi ha colpita solo perché ero nel mezzo! Se non ci fossi stata il pugno non sarebbe mai arrivato a me» continuo, imperterrita. Se lui non è intenzionato a mollare, non lo sono nemmeno io; è una gara a chi cede per primo.

Jace si morde il labbro. Per la prima volta non sa che rispondermi ed è quindi il momento giusto per avanzare, abbattere tutte le ultime difese che ha: «Non è colpa tua, ficcatelo bene in testa, né di Seth. Però vorrei sapere per quale motivo mi son presa un pugno in faccia». Mio fratello sbuffa, alza gli occhi al cielo e cerca un modo per evitarsi di rispondere, ma non mi sfugge.
«JJ, non farmelo chiedere ancora. Si può sapere che vi è preso?»

«Non sono affari tuoi, okay?» e di rimando, mi indico il viso. Davvero? Perché questa cosa pare dire il contrario.
Nuovamente il ragazzo di fronte a me scuote la testa: «Per una sacrosanta volta, Jane, vuoi darmi retta? Sono tuo fratello maggiore e se dico che non sono affari tuoi, non ti devi impicciare» e così si gioca anche la carta del "più grande", peccato che non abbia mai avuto alcun risultato, come quando Catherine millanta la sua autorità genitoriale.

«Voglio saperlo» sentenzio.
«Non ti devi immischiare» controbatte, senza nemmeno una minima esitazione.

Ci guardiamo con sempre più intensità, provando a persuaderci l'un l'altro, ma alla fine, quello che cede è lui.

«Vuoi che ti lasci qui da sola? Okay, ma ciò che è successo tra me e Seth è solo affar nostro. Ci sono regole da rispettare e rispetto da portare nei confronti di quelli che chiamiamo fratelli, Jay, e lui non l'ha fatto» sbotta infine, riprendendo a torturarsi il labbro prima di uscire dal bagno con passo deciso. Se ne va con i nervi tesi e il sangue a ribollire nelle vene, facendomi vincere questa piccola battaglia, ma senza spiegarmi il motivo della guerra.

***

Finalmente resto sola.
Il silenzio di casa pare improvvisamente essere confortante. Non ci sono grida a spezzare la tranquillità pigra di fine Dicembre, così come non ci sono più le proteste di Jace o i pianti di Liz. Lui è salito sul taxi giusto un'ora fa, diretto verso l'aeroporto, e anche se nel suo sguardo era ancora visibile l'amarezza di lasciarmi qui dopo ciò che "per colpa sua" ho dovuto subire, ho provato a vestire il miglior sorriso che potessi sfoggiare, convincendolo a salire sulla berlina scura. Mia sorella, dopo diversi tentativi da parte di entrambi i maggiori dei figli Raven, è uscita con le sue amichette di scuola - o meglio, le sue migliori amiche, quelle che sarebbero dovute arrivare al posto di Seth. C'è voluto un po', ma alla fine ha indossato scarpe e giubbino ed è sgattaiolata via con loro; chissà quali storie contorte e controverse usciranno dalle loro bocche dopo che mi hanno vista in versione Fight Club.

Eccomi quindi qui, ora occupata a fissare la porta d'ingresso che ho di fronte e ascoltare il nulla. Non ho né la forza per alzarmi dal gradino su cui son seduta, né la voglia di arrovellarmi su qualche pensiero scomodo. Dentro di me c'è però una piccola tempesta che, se mi fermassi ad ascoltare, scoprirei far più baccano del rumore bianco che mi circonda.

La motivazione della sua presenza è ovvia: il terrore che tra Jace, Seth e Charlie si sia irrimediabilmente rotto qualcosa.

Cosa farei, se le mie uniche ancore di salvezza, mi lasciassero annegare nel mare che è Londra per un'adolescente in balìa dell'ignoranza? Non ne ho idea, men che meno vorrei avercela.

Sbuffo, conscia che prima o poi mi toccherà fare i conti con questa situazione. Non potrò fingere indifferenza, tantomeno potrò mollare tutto senza dare alcuna spiegazione o soffrirci. Ci tengo troppo.
E intanto il peso sul petto si fa maggiore, ma prima che le lacrime possano realmente prendere forma e fuoriuscire dagli occhi, un suono attira la mia attenzione.

È qualcosa di familiare, che arriva da lontano, da oltre le mie spalle. 
Forse è il cellulare che ho lasciato in camera.
Mi concentro, provando a identificare per bene l'origine della vibrazione e poi, convincendomi che in casa non vi sia alcun oggetto che possa fare un simile rumore, soprattutto di dubbia utilità e innocenza, balzo in piedi e salgo verso la mia stanza.
Vedo il display illuminarsi a scatti, mettendo in risalto un'immagine che, in questo esatto momento, mi fa stringere lo stomaco fino alla nausea; eppure non mi fermo, allungo il braccio e rispondo giusto in tempo per evitare che s'inserisca la segreteria. E appena la linea si apre, io perdo lucidità. Non c'è più una singola parola capace di uscirmi dalle labbra - forse perché ciò che sto facendo è sbagliato, oppure perché non sono poi tanto pronta ad affrontare la realtà.

«Jay...» la voce dall'altra parte della cornetta è tesa, preoccupata, tremante perfino, eppure mi chiama al pari di un'invocazione - c'è speranza, nel suo tono, la preghiera che sia veramente io a rispondere.

Ma non so che dire, sono spaesata.
Potrei ancora riagganciare, fingere che nulla sia successo e vedere cosa accadrà domani dopo una bella dormita, ma tutto ciò che riesco a fare è restare in attesa.

«Parlami» sembra supplicare.

È la prima volta che lo sento parlare a questo modo, che la sua consueta sicurezza vacilla di fronte a qualcosa che, come me, non sa come affrontare.
«Cosa dovrei dire?» chiedo, avvertendo la stretta allo stomaco farsi più insistente. Basterebbe poco per farmi vomitare, soprattutto perché la tensione che credevo essere svanita, in realtà si è andata a nascondere tra i succhi gastrici e i resti della colazione.

Seth tira un sospiro di sollievo, quasi aver sentito la mia voce sia stato sufficiente a rincuorarlo.
«Sei sola?» domanda piano, in un sussurro. Ed io non so cosa rispondergli. Non so se sia giusto, nei confronti di Jace, incontrare Morgenstern in un qualsiasi momento di questa giornata.
Dovrei dirgli di no, rinviare il nostro incontro e le possibili scuse che ci attendono, però dentro di me, la ragazzina innamorata di lui sogna un lieto fine: un abbraccio in cui mi dice che è stato un incidente, un bacio sulla fronte a mo' di perdono.

Avere questi pensieri, però, non è già di per sé una sorta di ammutinamento nei confronti di mio fratello?

Prima che possa capire cosa sia giusto fare, la sua voce torna a riempirmi l'orecchio, solleticando il timpano: «Possiamo... parlare? Mi apri?» domanda nuovamente, forse immaginando da sé che una casa tanto silenziosa non possa contenere poi tante persone e, visto che tutti eravamo a conoscenza di quale volo avrebbe preso Jace, oltre a me ci potrebbe essere solo Elizabeth; ma lei non è una minaccia, lo sappiamo entrambi.
Così, senza realmente essere cosciente delle mie azioni, lasciandomi trascinare dalla corrente di eventi, interrompo la chiamata, ripercorrendo a ritroso la strada fatta pochi minuti fa. 
Il cuore mi batte nel petto al pari di un martello pneumatico, lo sento sbattere contro la gabbia toracica in una sorta di loop senza fine e tutto ciò a cui riesco a pensare è che, nuovamente, sto dando dimostrazione dell'incapacità d'affrontare determinate situazioni. So cosa sarebbe corretto fare, eppure mi avvicino sempre più alle fauci di una bestia che in futuro non saprò gestire - perché sfido il fatto che mio fratello mi perdonerà una riappacificazione con il nemico, prima che lui abbia dichiarato la fine di questa guerra.

Alzo lo sguardo dalla punta dei miei piedi e, dietro al vetro satinato della porta d'ingresso, vedo l'ombra scura del ragazzo che si è presentato qui poche ore fa. Cosa avrà fatto in questo tempo? Sarà andato ad affogare il dispiacere in qualche lattina di birra scadente? Avrà fumato tutte le sigarette che le sue tasche potevano contenere? Ed è quindi saggio, da parte mia, allungare ora la mano, girare il pomello e spalancare l'anta per permettergli di vedere il disastro che ha combinato?

Forse no, ma lo faccio comunque.

Quando i suoi occhi verdi incontrano il mio viso, è impossibile non notare la luce tetra che gli riempie lo sguardo.
Potrei persino dire di scorgere dell'amarezza, nelle screziature delle sue iridi, o quella che dovrebbe essere colpa, dispiacere.

E il cuore adesso rallenta, per contorcersi su di sé. Mi sento male all'idea che stia guardando i segni della sua rabbia su di me, che si stia rendendo conto di aver indossato il costume del mostro che son certa non sia. Eppure non posso impedirglielo. Ormai siamo faccia a faccia e quel che è successo non può più essere cancellato - o almeno non per i prossimi giorni.

La mano di Seth si posa delicatamente sul mio viso, percorrendo i bordi irregolari della chiazza scura. Lo studia in ogni sua sfumatura, ne prende le misure a suon di battiti di ciglia. Le dita accarezzano piano la pelle, forse temendo di potermi nuovamente far male. Se ne sta in silenzio mentre compie questo gesto, tanto sacro quanto sacrilego. Sì, perché tanta dolcezza pare non poter appartenere a un diavolo come lui, che fino a poco fa si dimenava nell'androne divorato da una rabbia che non sapeva controllare. Nonostante ciò, cerca di non farmi più alcun male, anche se mai era stato nei suoi piani.

Vorrei poter fare una battuta, una di quelle pessime che mi escono sempre nei momenti peggiori, ma sfortunatamente non mi viene in mente nulla. Non una sillaba con cui iniziare, né un aneddoto a cui aggrapparmi per sdrammatizzare.

Come ho detto già troppe volte, non so gestire buona parte delle situazioni in cui mi ficco.

Però ci pensa lui a spezzare il momento, levandomi questo enorme peso dal petto. Senza darmi tempo di capire, Seth mi tira a sé, stringendomi con talmente tanta forza da mozzarmi il respiro. Mi spinge qualche passo verso l'interno della casa, in modo da riuscire a richiudersi la porta alle spalle e, appena sentiamo la serratura scattare, ci si appoggia sopra per trovare sostegno.
Il suo respiro mi sfiora la punta dell'orecchio, mentre le sue braccia mi avvolgono come la coperta più calda che possa trovare in tutta Londra. Mi stringe e tace, facendomi capire quanto si senta in colpa per ciò che è accaduto.

E quanto gioirei, se questo abbraccio fosse avvenuto in un altro contesto. Quanto mi sentirei elettrizzata all'idea che lui, il ragazzo che ha tormentato le mie fantasie giorno e notte, da quelle più romantiche a quelle più peccaminose, mi stia tenendo a sé come se il suo ultimo desiderio fosse quello di perdermi.

Peccato che un'assillante vocetta non faccia altro che riportarmi alla mente il pugno, il livido e la minaccia di Jace.

Seth mi preme contro il suo corpo, tanto che posso sentire il suo petto alzarsi e abbassarsi per il respiro affannato.

«Ti prego...» sussurra, mentre la voce gli trema appena: «non sparire per questo, non odiarmi, Jay. Ti... ti supplico» e vorrei negare a me stessa di non sentirmi morire. Come ho fatto a diventare la cattiva della situazione? Come è possibile che, agendo per il bene, io abbia generato tanto dolore?

Seppur sia conscia di non poter balzare indietro nel tempo e impedirmi di finire in mezzo alla loro rissa, per un attimo desidero poterlo fare, in modo da risparmiargli tutta questa sofferenza.
Non fa bene a nessuno, né a lui, né a mio fratello e, men che meno, a me.

Provo a divincolarmi dalla sua presa, sentendo le lacrime districare il nodo che ho in gola e provare a risalire verso gli occhi, ma più mi sforzo, meno ottengo. Non voglio che mi veda piangere, sarebbe solo un altro motivo per farlo sentire in colpa - e non se lo merita.
Spingo nuovamente contro il suo busto e, finalmente, lui allenta la presa, senza però lasciarmi realmente andare. Lo guardo dritto negli occhi, quei due smeraldi per cui sono impazzita la prima volta che l'ho visto e, cercando in tutti i modi di fare un sorriso convincente, provo a convincerlo ad andare via, in modo che non debba star troppo a rimirare l'ematoma: «E' okay, Seth. So che non volevi colpire me. Ora vai a casa però. Fatti una doccia, metti su qualche brano rilassante e convinciti che non ti do la colpa di nulla. È stato un incidente»
Siamo vicini, troppo forse. Non ricordo di averlo mai potuto osservare da questa prospettiva in un momento di tale intimità - o con la coscienza di avere gli ormoni totalmente in visibilio. Così, mossa dall'idea che in una simile circostanza non mi si possa rimproverare nulla, mettendomi in punta di piedi, mi concedo il lusso di baciarlo.

No, non un bacio come quelli che ho sempre sognato o che nei film riescono ancora a farmi arrossire, bensì qualcosa d'indefinito, a metà tra la guancia e le labbra.

Potrebbe quasi far pensare che abbia preso male le misure, che l'equilibrio sulle punte mi abbia tradita, ma non c'è nulla di casuale in questo gesto - non può essere decretato né come una dichiarazione, né può essere smentito il fatto che lo sia.

Il contatto è breve, anche se nella mia testa pare durare minuti interminabili e, prima di dare l'ultima spinta per liberarmi definitivamente dalle sue braccia - che in realtà vorrei non si staccassero mai - sussurro: «Ti scrivo domani, va bene?» 

Spingo con la schiena, sento la sua stretta diventare sempre più blanda e, quando finalmente mi convinco di aver chiarito la situazione, qualcosa nei piani cambia.
Non ho il tempo di realizzare la sequenza di azioni, che mi ritrovo sopraffatta dalla sensazione più appagante che possa mai ricordare di aver provato.
Le labbra di Seth Morgenstern si schiudono sulle mie, le sue palpebre calano e, improvvisamente, mi scopro a baciare la persona che meno di tutte mi sarei aspettata potesse voler fare una simile cosa con me. L'incredulità però passa presto in secondo piano, anche se prima che possa rincarare la dose e lasciarmi andare a una qualsiasi forma di passione, lui interrompe il contatto sospingendomi lontano dalla sua bocca.

Resto sospesa in una bolla di confusione e parziale delusione, mentre lui accarezza un'ultima volta il livido. Lo fa con lo stesso sguardo colpevole e preoccupato e ciò non promette nulla di buono.

«Okay» sibila, mollando subito dopo la presa e scivolando via da me e oltre la porta, lasciando al suo posto il fantasma di sé.

Più volte sbatto le palpebre, provando a capire se ciò che è appena successo sia reale o meno e poi, riacquistando un minimo di lucidità, mi domando: Okay? Solo questo ha da dire? Non avrebbe dovuto giustificare il suo slancio in una qualche maniera?

No, perché quello che è successo non è certo qualcosa che potrò dimenticare o ignorare con tanta facilità! 
Inoltre... perché lo ha fatto?
Perché ha deciso di baciarmi? Che provasse pietà per me? Che fosse il suo modo per chiedere scusa alla piccola Jay, quella che si è fatta la bua?

Mordo le labbra, sentendomi sempre meno sicura. Il suo sapore se ne resta lì, ma non ha nulla a che fare con il mix tabacco e menta che si inventano quelle strane autrici online; sa più di Lucky Strike rosse e amarezza, pentimento - ma suo, o mio?


correzione del 27.07.2019

   
 
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