Crossover
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Autore: Registe    28/07/2019    4 recensioni
Tredici guardiani. Tredici custodi del sapere.
Da sempre lo scopo dell'Organizzazione è proteggere e difendere il Castello dell'Oblio ed i suoi segreti dalle minacce di chi vorrebbe impadronirsene. Ma il Superiore ignora che il pericolo più grande si annida proprio tra quelle mura immacolate.
Questa storia può essere letta come un racconto autonomo o come prologo della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
[fandom principale Kingdom Hearts; nelle storie successive lo spettro si allargherà notevolmente]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anime/Manga, Videogiochi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 31 - Zexion (IV)





Demyx





“Cosa credi che stia succedendo, Luxord?”
Demyx stringeva il Sitar tra le dita. A Zexion sembrò un naufrago aggrappato all’unico asse di legno.
Da quando il n. IX si era unito ai ranghi dell’Organizzazione Zexion lo aveva sempre visto strimpellare qualcosa, anche un motivetto, ma in quel momento dallo strumento non uscì nemmeno una nota. La radura in cui si trovavano sembrava avvolta da una cappa di silenzio.
Luxord, l’affidabile Luxord, scrutava la foresta intorno a loro. Non avrebbe saputo descrivere il suo odore nemmeno volendo. “Non lo so. Ma c’è Saïx con loro. Andrà tutto bene, vedrai”.
Non servivano i suoi poteri per capire che stava mentendo.
Zexion si strinse nel cappotto e si rannicchiò tra i numerosi sassi che costellavano il posto. Per precauzione il Superiore aveva insistito per fargli bere il siero che sigillava il suo corpo alle emanazioni del Castello dell’Oblio, lo stesso che aveva somministrato per privare Marluxia dei suoi poteri e rinchiuderlo. Per la prima volta da moltissimo tempo si sentiva stanco.
Il viso deluso di suo zio non riusciva ad andarsene.
Aveva infranto la loro promessa, e non era nemmeno riuscito a salvarlo.
Era stato un idiota.
Quando aveva sentito l’odore di suo zio e le sensazioni del n. II avrebbe preferito morire. Le lacrime gli scivolarono sulle guance senza che se ne accorgesse.
“Stai tranquillo, n. VI”.
Luxord gli si sedette vicino, porgendogli un fazzoletto. “Ce la caveremo, vedrai. E sarà solo merito tuo”.
Merito? Tu dici?”
“E cos’altro?”
Gli mise una mano sulla spalla. Per Zexion, che detestava il contatto fisico, sembrò un macigno pronto a staccargli le ossa dal corpo. “Ci hai salvati, n. VI. Ci avrebbero uccisi tutti se non fosse stato per le tue informazioni” disse “Sei stato molto coraggioso. Dico sul serio”.
Da sotto le pieghe della sua tunica scivolò l’odore dell’antidoto. La pozione in grado di restituirgli i poteri, la fiala dal liquido blu, frizzava fino alle sue narici. Il Superiore doveva averlo affidato al n. X in caso di necessità.
Il siero, l’antidoto. Ogni cosa del Castello portava la firma silenziosa di suo zio. E lui, con la sua idiozia, lo aveva mandato dritto nelle fauci di Saïx.
“Volevo solo che non morisse nessuno di noi”.
“Ma io non capisco!”
Demyx li interruppe, sedendosi a poca distanza da loro, il Sitar stretto tra le gambe. “Ma perché volevano ucciderci? Non gli abbiamo mai fatto nulla di male, vero, Luxord? Ad Axel ho sempre cucinato tutto quello che gli piaceva!”
“Non lo so, Demyx”.
Il n. X fece apparire un mazzo di carte. Le mescolò con calma, senza alcun motivo apparente. Tanti anni nell’Organizzazione avevano insegnato a Zexion che l’uomo con la barba usava quel gesto per allentare la propria tensione interiore. “Forse ad alcune persone ciò che possiedono non basta mai”.
Zexion seguì il movimento ipnotico delle carte, i semi dai diversi colori ed i volti che sbucavano ogni volta che il suo compagno muoveva le dita.
Sì, per suo zio la conoscenza non era mai stata abbastanza.
Aveva sentito la sua frustrazione, la sua rabbia, la sua insofferenza rimbalzare tra le mura del loro laboratorio sin dal giorno in cui Xemnas li aveva confinati su quel mondo, ormai più di due anni prima. L’uomo che cercava anche di trattenere i propri sentimenti pur di non farlo soffrire e star male, ma che in quel modo amplificava ancora di più il suo disagio per quel posto che ormai vedeva come delle enormi catene.
Avrebbe voluto vederlo felice, punto. Avrebbe voluto dargli tutto il sapere dell’universo, se fosse servito a placarlo. Sapeva delle sue uscite clandestine nonostante i divieti ed aveva sempre cercato di coprirlo e dargli tutto l’aiuto possibile, anche se ormai la sua smania era diventata inarrestabile.
E sì, gli sarebbe piaciuto dargli tutto il sapere che il Castello custodiva.
Ma non poteva renderlo un assassino.
A nessun costo.
Luxord fece volare le carte da un palmo all’altro. Un semplice trucco dalle dita agili, ma abbastanza per distrarre per qualche secondo lo sguardo disperato di Demyx. Iniziò a voltarle una dopo l’altra, senza fretta, quasi come se quelle gli parlassero.
Era un uomo buono, Zexion lo sapeva. Una persona semplice e pragmatica, in grado di raffreddare gli animi e vedere le cose sempre da un lato positivo. In qualsiasi altra circostanza avrebbe volentieri accettato un suo consiglio, ma in quel momento la sua testa era in subbuglio. Cercò di farsi ipnotizzare dalle carte, ma l’unica cosa che gli uscì dalle labbra fu un’altra domanda “Cosa credi che faranno loro?”
“Non lo so. Il Superiore è già stato clemente una volta con il n. XI” mormorò, quasi disgustato dall’idea di pronunciare il nome del principe. “Ed hai visto come è andata. Non credo che quello lì meriti una seconda possibilità. O che la voglia. Se il Superiore ha mandato noi tre lontano è perché vuole metterci al sicuro dalla battaglia che senza dubbio ci sarà”.
Il ragazzo si strinse ancora di più nel cappotto.
Lo aveva sempre saputo, ma le parole di Luxord gli avevano dato l’ultima conferma. Ci sarebbe stata una guerra, e suo zio era chiaramente dalla parte svantaggiata.
L’idea che in quel preciso istante Saïx potesse fare irruzione nel laboratorio e trascinare il n. IV a brandelli fuori da lì gli strinse lo stomaco in una morsa pur senza alcun odore. Il ricordo della stretta del Superiore sulla sua spalla sembrava più forte che mai.
Lo aveva mandato lui a morire.
Per proteggerlo lo aveva servito su un vassoio d’argento all’intera Organizzazione.
Ed era suo dovere trascinarlo via di lì. A qualsiasi costo.
Sotto la pelle del guanto le sue dita riconobbero qualcosa che sarebbe potuto tornargli utile, se davvero lo avesse desiderato.
Voleva salvarlo?
Era una domanda crudele. Ma, forse, l’unica di cui avesse bisogno.
Si alzò con flemma dalla sua posizione, fingendo di osservare in modo preoccupato un punto ben preciso del bosco. “Luxord, credo che non siamo soli …”
“Cosa hai sentito?”
Gli bastò. L’uomo con la barba fece per alzarsi di scatto, guardando a sua volta in quella direzione. L’istante dopo cadde a terra, e Zexion sentì il sasso con cui lo aveva appena colpito alla nuca bruciargli fin nei polpastrelli. L’olfatto guidò la sua mano prima ancora della vista, ed individuò subito il punto del cappotto in cui il n. X nascondeva il siero. Aprì la boccetta e la versò in gola tutta d’un fiato, e mentre già sentiva i poteri ed il legame con il Castello tornare come prima si voltò per incrociare lo sguardo di Demyx, il suo aroma di fragola quasi svanito per la confusione e la paura che lo permeavano. “Zexion, cosa hai …”
“Tranquillo. Si sveglierà con un grosso bernoccolo. Non potrei fargli seriamente del male nemmeno volendo”.
L’altro ragazzo brandì il Sitar, indeciso se puntarglielo contro o usarlo per difendersi. Zexion avrebbe voluto dirgli tante cose, ma una persona importante lo stava aspettando. “Non pretendo che tu capisca, Demyx. Dì a Luxord che mi dispiace”.
“Ma non eri dalla nostra parte?”
“Non volevo proprio che vi fossero delle parti, ad essere sincero …”
La magia lo attraversò di nuovo, e il familiare portale oscuro si spalancò al suo comando. “Demyx, qualsiasi cosa accada …tornate al Castello solo su ordine del Superiore”.
La paura lo prese fin dal primo passo nel portale.
“Altrimenti non tornate affatto. Lo dico per il vostro bene”.
 


L’intero Castello dell’Oblio gli esplose nella testa.
Gli odori arrivarono tutti insieme, infuriati, impazziti. Gli entrarono nei polmoni e poi dritti al cervello, alla ricerca di qualcosa su cui sfogare la loro stessa forza.
Era una massa informe, ma tra essi quello di Saïx superava qualsiasi altro odore che avesse mai sentito: gli aveva sempre ricordato il mare, l’aria salmastra, le scogliere, ma in quel turbine aggressivo e senza controllo non riuscì a percepire nulla che potesse ricondurlo a qualcosa che conoscesse o potesse descrivere. Il licantropo era tre piani sopra di lui, nella sala dei troni, e qualsiasi cosa stesse irradiando attraversava l’intero Castello come il più violento dei temporali.
Zexion non aveva mai sentito l’odore di un demone in stadio Berserk, ma non gli ci volle molto a capire cosa fosse successo.
Lo respirò per intero, sentendo quasi degli artigli lacerargli la gola. Lo fece correre, ignorando il dolore, cercando di ritrovare in mezzo a quella follia la persona per cui era giunto lì.
Il Superiore ed il n. XI erano lontani dal centro della battaglia: alternavano le loro emozioni come due rampicanti uno in lotta con l’altro, ma si allontanò da loro prima che i loro sentimenti gli entrassero nei polmoni e lo annegassero.
Dell’odore di Lexaeus, invece, era rimasta soltanto qualche traccia nell’aria, un silenzio dei sensi totalmente innaturale.
Il ragazzo deglutì all’asciutto, incapace anche solo di reggersi in piedi.
Si appoggiò alla parete, e cercò.
Inseguì la traccia dell’aroma di suo zio, e quando la sentì vicina al licantropo sentì il cuore aprirsi in due. Cercò di riacciuffarla, sottile come un filo che tentava di sfuggirgli tra le dita. Estese tutto se stesso immergendo i sensi fino alla stanza dei troni, assorbì tutta la furia che scaturiva senza limiti dalla figura del n. VII mentre sentì la coscienza di Axel vacillare sotto gli attacchi del licantropo.
Il profumo che tanto gli ricordava la vaniglia lo condusse fino a suo zio.
Era vivo, ed era cosciente. Spaventato ed in preda al terrore, ma vivo.
E Zexion capì che non lo sarebbe rimasto per molto.
La prima idea fu quella di andare da lui, approfittare che l’attenzione del n. VII fosse ancora focalizzata su Axel ed andarsene col teletrasporto. Con un po’ di fortuna vi sarebbe riuscito.
Il portale oscuro stava già apparendo nella sua mano quando si diede dell’idiota: Saïx non avrebbe lasciato nessun “traditore” vivo. Con le Stanze della Memoria spalancate li avrebbe trovati in qualsiasi angolo della galassia e, poteri del Castello o meno, non avrebbero avuto scampo.
Cercò di percepire le ultime emanazioni del cerchio che suo zio stava preparando, ma a parte frammenti di magia sparsi non riuscì ad aggrapparsi a nulla. Le sue conoscenze di alchimia sarebbero state comunque troppo limitate per aiutare l’uomo nel suo progetto, ma di qualsiasi cosa si fosse trattato l’intero lavoro era esploso insieme al pavimento della stanza. Cercò di nuovo in quella matassa di incantesimi un appiglio.
Fu una sensazione, un’idea. Un soffio in mezzo alla tormenta.
L’odore era impercettibile, ma riuscì ad isolarlo in mezzo alla battaglia.
La mano completò il portale che stava per evocare, ma tracciò una nuova direzione e Zexion vi entrò col cuore in gola.
Il luogo dove atterrò non aveva nulla da spartire con il laboratorio in cui era cresciuto. Armadi abbattuti, un tavolo incenerito, l’odore straziante del n. II impresso persino nei cocci delle provette fracassate. Il santuario di suo zio era un campo di battaglia ormai freddo, grondante di emozioni, ma il ragazzo trattenne le lacrime ed il rigetto mentre i suoi passi lo guidarono contro una parete.
Nonostante la battaglia nei livelli superiori fosse ancora in corso, i sentimenti giungevano distanti, come un’eco.
L’odore che lo aveva guidato parlava di mirto di Kal’Naar e di verbena montana. Una combinazione insolita, che copriva la maggior parte delle altre erbe che il n. IV dell’Organizzazione aveva fuso insieme. Zexion ne aveva seguito la preparazione fino al momento in cui aveva deciso di recarsi dal Superiore, e sapeva cosa quell’infuso fosse in grado di fare.
Aprì un vano del muro, uno di quelli dove suo zio inseriva spesso le creazioni più delicate. Prese il liquido ancora nella provetta di preparazione e con calma se lo portò contro il petto.
Il sonnifero contro i licantropi non era raffinato, lo poteva sentire dall’amaro che gli serrò la parte superiore del naso. Il n. IV stava facendo le ultime prove per stabilizzarlo quando Xigbar doveva essergli entrato nel laboratorio, ma Zexion aveva trascorso tutta la sua esistenza nell’unica certezza che nessun infuso, pozione o filtro dello scienziato si era mai rivelata un fallimento totale.
Non lo sarebbe stata quel giorno.
Aprì il portale all’altezza del proprio trono.
I suoi sensi lo avvisarono appena in tempo, perché da ben oltre la sua testa si aprì un portale e la Claymore di Saïx cadde dall’alto, rovinando su un Axel già allo stremo delle forze.
Tutti gli odori, lì dentro, sembravano alterati da un pittore folle: se il licantropo esprimeva la propria furia Berserk come un mare in tempesta, suo zio ed Axel erano impregnati di un sistema di magie fastidioso che gli bruciò le tempie nello stesso istante in cui il portale gli si chiuse alle sue spalle. Il Castello dell’Oblio era vivo, e gridava la sua rabbia attraverso loro. Quando inspirò per la seconda volta l’intestino sembrò andargli a fuoco.
Provò a concentrarsi, ma le sensazioni della battaglia gli entrarono dentro come mille aghi. Fissò verso il basso nel tentativo di scagliare la fiala, ma le fitte si propagarono per tutto il braccio e lo strinse contro di sé pur di non perdere la presa. Chiuse gli occhi per isolare almeno parte delle sensazioni, ma la furia cieca del m. VII lo travolse insieme al rumore di un trono che collassava ed un grido di terrore di Axel.
Percepì suo zio provare ad alzarsi, e la bestia rivolgere il suo odio contro di lui. “Il Superiore …” ruggì tra le zanne “… anche a te il Superiore aveva affidato qualcuno, n. IV …”
“E questo è il risultato …”
Di tutti i dolori che gli attraversavano le tempie, quello fu il peggiore.
La rabbia di suo zio era rivolta anche verso di lui, come non l’aveva mai sentita.
Lo sapeva.
La promessa che non aveva mantenuto.
Iniziò a sentire freddo, molto più del dovuto. Sentì la persona per cui stava rischiando la vita assorbire tutta l’energia nera del Castello solo con la propria delusione. Sentì il bisogno di piangere, di andarsene da lì e non bagnarsi in quei sentimenti, ma il licantropo richiamò di nuovo tutti gli odori nella stanza. La Claymore nelle sue mani era diventata ancora più terrificante, ed il muro di cristallo che il n. IV aveva eretto davanti a sé non avrebbe mai retto l’impatto, supporto del Castello o meno.
Saïx la sollevò, e per un istante sembrò che la luna intera si stesse riflettendo lungo l’estremità, pronta all’attacco.
Zexion tremò fin nel profondo.
Poi aprì il portale.
Quando lo riaprì, gli occhi senza pupilla del n. VII si trovarono ad un palmo dal suo viso. “Perdonami, Saïx”.
Sentì le schegge di vetro fin sulle labbra.
La fiala del sonnifero lasciò il palmo della sua mano ed atterrò proprio sul volto nel licantropo. Zexion venne afferrato dalla mano sinistra del nemico, quella non occupata dalla Claymore, e fu scagliato indietro come una bambola di stracci senza riuscire ad opporre la minima resistenza. Sentì l’odore del liquido pervadere tutta la stanza, e se il preparato fosse stato efficace anche sugli esseri umani senza dubbio sarebbe svenuto sul posto.
Si ritrovò sul pavimento a meno di un braccio di distanza da suo zio. Sollevò la testa, ed a poca distanza da loro vide l’effetto del suo lavoro: Saïx, l’enorme Saïx, torreggiava ancora su di loro, la follia Berserk ben lontana dall’essere dissipata. Le creazioni del n. IV, però, si rivelavano come sempre perfette.
Il primo segnale fu la Claymore. Senza alcun preavviso l’enorme arma bianca smise di brillare, quasi come se avesse perso tutta l’energia che la alimentava. Il braccio che la sosteneva si abbassò, prima impercettibilmente e poi con maggiore velocità finché la testa dell’arma non toccò il pavimento. Il suo padrone oscillò debolmente, ed il passo che stava per compiere nella loro direzione si trasformò in un incespicare strano, confuso, e Zexion lo vide costretto ad appoggiarsi alla propria arma per rimanere in piedi. Ondeggiò la testa in ogni direzione, quasi per scrollarsi di dosso l’odore che ormai gli stava assalendo la testa e di cui chiaramente non riusciva a capacitarsi. Strinse entrambe le mani contro l’elsa dell’arma alla ricerca di tutta la forza, ma un cristallo di ghiaccio partì da dietro di lui e gli trafisse la spalla sinistra.
Suo zio, pallido come mai lo aveva visto, sembrava assorbire da solo tutta l’energia del Castello. “Non ci riprovare, bestia!”
Saïx gli riversò contro un verso debole, ma ancora carico di odio. Cercò di saltare contro lo scienziato con le poche forze che gli rimanevano, ma l’uomo gli congelò entrambi i piedi. Zexion sentì la coscienza del n. VII lottare ancora per rimanere a galla, ma tutti gli odori si mescolarono gli uni sugli altri, e quando cercò di farfugliare qualcosa, anche solo una flebile richiesta di tregua, un odio ed una furia cieca invasero la stanza.
La punta di un chackram emerse dal petto del licantropo. “CREPA, DEMONE DI MERDA!”
Il ragazzo sentì tutto dentro la sua testa. Il secondo chackram, e tutto il corpo del n. VII che non riusciva a rigenerare per il sonnifero. Sentì il gelo, e lame di ghiaccio cariche di rancore gli scivolarono davanti agli occhi, piantandosi nel ventre del nemico senza alcuna sosta, uno dopo l’altro, mentre le urla del licantropo squarciavano il Castello da un’ala all’altra.
Si fecero sempre più flebili, o forse era lui che stava perdendo conoscenza.
Chiuse gli occhi, ma la furia della battaglia, le sensazioni, il sangue, rimasero con lui, insieme alla sensazione di aver commesso, ancora una volta, un errore imperdonabile.
Si accasciò a terra, estendendo la mano verso la sagoma nera di suo zio, ma l’ultimo odore che riuscì a distinguere fu quello di un dolore senza fine, ed infine quello di carne bruciata.
  
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