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Autore: Huilen4victory    29/07/2019    1 recensioni
Sono passati cinque anni, Jungkook ora ha ventisette anni e Jimin ne ha quasi trenta. Durante questo periodo hanno portato avanti le proprie abitudini quotidiane, cercando di adattarsi il più possibile alla contingenza che inevitabilmente arriva con la vita adulta.
Sono ancora numeri zero, ma sono anche ancora insieme e felici.
È risaputo che il cambiamento non tiene conto dei piani. (Un mondo per noi due - sequel)
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Namjoon/ RapMonster, Kim Seokjin/ Jin, Kim Taehyung/ V, Park Jimin
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Se c'era una cosa che Jimin aveva imparato nel corso degli anni era che i cambiamenti, richiedevano tempo.
Richiedevano la perseveranza per superare i dossi lungo la strada, così come la pazienza di capire che cambiare non era una meta da raggiungere, ma un processo che andava vissuto.

Erano trascorsi cinque anni dal referendum in cui la popolazione, nonostante la forte e insistente propaganda a votare sì, aveva detto no a quel cambio di costituzione che, se fosse avvenuto, avrebbe significato la definitiva reclusione per i numeri zero.

La notte del conteggio dei voti, lui e Jungkook avevano deciso di allontanarsi da tutto e tutti e andare in campeggio in un posto dove il rumore del mondo non avrebbe potuto raggiungerli. Erano stati spaventati, erano stati eccitati, erano stati - più di ogni altra cosa - determinati ad affrontare qualsiasi risultato, insieme.

Il giorno dopo si erano svegliati lentamente e con riluttanza, inconsciamente volendo continuare a essere protetti dal loro transitorio stato di ignoranza.

Al loro ritorno sembrava che tutto fosse rimasto come l'avevano lasciato. Il quartiere di Jimin appariva immutato e non sembrava ci fosse alcun dettaglio diverso che avrebbe potuto dare loro un indizio sulla tempesta di cambiamenti che stava per abbattersi su di loro.

Era stata stranissimo sperimentare come il cambiamento, seppur potente, non si manifestasse in modi ovvi. Non c'erano state grida di giubilo per le strade, niente grandi gesti, nessuna notizia appariscente che annunciava il vento del cambiamento. Jimin, e molti numeri zero con lui, rimasero in un primo momento con l'amaro in bocca.

Il risultato del referendum aveva fermato l'escalation ma sembrava che ai numeri zero non avesse apportato nulla che non avessero già.

Molti erano stati felici anche di quella piccola vittoria perchè sebbene le cose non fossero migliorate, almeno non erano peggiorate.

In questo status di apparente impasse alcuni videro un'opportunità.

Con il fallimento del referendum, ai numeri zero era stata data la prova di non essere soli nelle loro sofferenze. Se avessero osato, forse avrebbero potuto contare non solo sui loro simili, ma anche sul supporto dei loro contrari. E col passare dei giorni e delle settimane tutti e ovunque furono in grado di percepire questo senso di coesione. 

Sembrava improvvisamente che il mondo fosse stato lavato da un tocco di realtà, poiché le espressioni facciali della gente, il proverbiale sorriso zuccheroso perennemente dipinto sui numeri due, apparivano meno stucchevoli e più genuine. Nonostante ciò molti rimasero sorpresi dalla velocità fulminea con cui alcuni numeri zero furono un grado di capitalizzare questo nuovo sentimento. Quasi fossero già pronti e fossero stati semplicemente in attesa di un segnale.

La prima volta che Jimin sentì il nome Freedom Movement, neanche due mesi dopo il referendum, fu quando venne pronunciato da Seokjin. Il nome fu detto con un tono pieno di perplessità e di scetticismo.

Era normale, pensò Jimin allora, che fra i suoi amici Seokjin fosse il più informato. Anche se Seokjin aveva abbandonato la scena politica senza rimpianti, alcune abitudini erano rimaste radicate in lui e così il maggiore non aveva mai smesso di tenere occhi e orecchie aperti.

Seokjin, e i numerosi articoli che la censura del governo non era stata in grado di eliminare, spiegarono a Jimin tutto ciò che desiderava sapere sul movimento.

Il Freedom Movement era un'associazione semi-organizzata il cui scopo dichiarato era quello di rappresentare i numeri zero nella scena politica. Il loro obiettivo come movimento non era solo l'uguaglianza tra i numeri in materia di diritti civili, ma la totale abolizione del sistema delle anime gemelle. Apparivano preparati e determinati e non avevano paura di agire né di far sentire la loro voce.

Molti numeri zero, inizialmente, simpatizzarono per loro ed erano felici che qualcuno avesse preso in mano il compito di guidare la battaglia dei diritti. Jimin era stato uno di loro.

Dopo anni di autocensura e silenzi imposti da una parte della società all'altra in una sorta di lavaggio del cervello collettivo, i numeri zero avevano finalmente iniziato a reagire. 

Dapprima vennero le manifestazioni e i picchetti di fronte al parlamento, poi l’invasione via web, insistendo finché non furono in grado di imbastire una contro campagna che potesse rivaleggiare con la propaganda governativa, cercando di pubblicizzarsi via etere e mettendosi sotto ogni sorta di riflettore mediatico. Anche quando i loro toni risultarono essere sopra le righe e le loro campagne piuttosto aggressive, Jimin, e molte persone con lui, furono entusiasti del fatto che il loro dolore avesse trovato infine una voce. Al punto che, per mesi, il Freedom Movement fu l'unico argomento di cui Jimin aveva parlato con i suoi amici.

Stranamente Jungkook era stato molto tiepido nei confronti del movimento e, considerando quanto era stato appassionato da giovane, Jimin aveva avuto difficoltà a capirne il motivo.

Giovane Jungkook sarebbe inciampato sui suoi stessi piedi nella fretta di unirsi a loro, volendo essere in prima fila a gridare per i suoi diritti.

"Ero così prima di incontrarti, Jimin," Jungkook aveva risposto quando Jimin aveva espresso il suo sconcerto. "Per molto tempo sono stato triste e infelice ma non sono stato in grado di ammetterlo a me stesso fino a quando non ti ho incontrato. Ed ho capito cosa mi mancava. Forse ci sono persone che possono vivere una vita appagante da soli, ma io non sono una di loro. Tu eri ciò che mi mancava da sempre e quando l'ho capito, mi sono reso conto che il fuoco non doveva necessariamente essere distruttivo. Incontrare Namjoon e Seokjin e conoscere la loro storia mi ha sicuramente aiutato a espandere il mio punto di vista, ma sei stato tu Jimin. Solo tu. Quindi, anche se penso  che sia il momento giusto perché gli zeri facciano sentire la loro voce, non sono sicuro che quella del Freedom Movement sia la strada giusta. Le battaglie non devono necessariamente essere violente per avere successo."

Pensare a quelle parole, anche adesso, causava a Jimin una piacevolissima sensazione di calore, seguito da un fiotto di furioso orgoglio. Il ragazzo Jungkook era fiorito in un giovane e rispettabile uomo.

Dopo aver ascoltato le parole di Jungkook, Jimin provò quindi a essere più cauto nel suo giudizio e a non farsi influenzare dai suoi sentimenti personali . Dopotutto, essendosi autoletti portavoce dell'intera comunità di numeri zero, il Freedom Movement aveva il compito non solo di proteggere le speranza di tutti, ma di essere responsabile delle azioni compiute in loro nome.

Purtroppo, la luce con cui il Freedom Movement li aveva abbagliati si rivelò essere il fuoco fatuo di una meteora e quello che era stato un inizio fiammeggiante finì con l'arenarsi nel fango.

I loro picchetti dimostrativi si trasformarono presto in scontri violenti. Le proteste un tempo fatte davanti ai palazzi governativi, furono spostate in favore di luoghi affollati e pubblici, principalmente scuole, in un goffo tentativo di dirigere la loro propaganda sui giovani.

Con la scusa di voler illuminare la popolazione prima del loro effettivo ingresso in società, il movimento riversò la propria rabbia e odio contro adolescenti appena usciti da scuola, il cui unico crimine era stato esercitare il diritto di iscriversi alle facoltà umanistiche in quanto numero due. 

Il movimento divenne sordo alle critiche e si fece vendicativo verso coloro che osavano parlare loro contro. Il loro significato di noi si restrinse fino ad includere solo i numeri zero e non più la società intera e i loro discorsi divennero monologhi e sempre meno un confronto. Quando qualcuno cercava di far loro notare il comportamento scorretto, avevano il coraggio di dire che dopo anni di soprusi e torture a colpi di discorsi senza senso da parte dei numeri due, era arrivato il loro turno di fare come volevano e non ascoltare.

Nello sforzo di farsi sentire, avevano smesso di preoccuparsi di come. E quando passarono dalle parole alle azioni, il loro comportamento peggiorò soltanto.

Fu allora che Jimin voltò la testa, disgustato.

Nessuna quantità di ingiustizia avrebbe mai potuto giustificare un'altra ingiustizia. 

Senatori minacciati, giornalisti attaccati, giovani studenti terrorizzati, violenti atti di vandalismo e persino percosse per chiunque osasse sbarrare loro la strada, anche e maggiormente verso quei numeri zero che non la pensavano come loro.

Se questo era il movimento che avrebbe dovuto rappresentare i numeri zero, Jimin non voleva avere nulla a che farci.

Comunque sembrava che la violenza, invece di disgustare, apparisse attraente agli occhi di alcune persone e il movimento continuó a crescere in dimensioni attirando a sé tutte le persone arrabbiate e irritate che volevano giustizia a tutti i costi, e con ogni mezzo.

Jimin si chiedeva come la gente non riuscisse a vedere che quello che dicevano e quello che facevano, non era diverso da quello che il governo aveva sempre fatto.

Avere lo status di numero due non aveva reso costoro superiori così come l'aver sofferto non rendeva i numeri zeri vicino alla santità. 

No. La malvagità e la bontà non erano ad appannaggio di nessuna categoria.

Se i numeri zero, dopo essere stati discriminati, si erano lasciati cadere di proposito nella stessa menzogna solo per coprire i propri misfatti, allora significava che tutti quegli anni di sofferenza, tutte le lacrime versate, non ammontavano a nulla.

Era il sistema e non il popolo il vero nemico e comportandosi così offrivano al governo ulteriori scuse, come se ne avessero avuto bisogno, per giustificare la propria narrativa, contribuendo con le loro azioni al mantenimento dell’ingranaggio della società.

Considerato quanto violentemente il movimento avesse deviato, affermare che Jimin era deluso sarebbe stato un eufemismo.

La cosa ironica era che ora non avevano più un solo oppressore, ma due, e nessuno poteva davvero sentirsi completamente al sicuro poiché si rischiava di essere l'obiettivo di una o anche di tutte e due le fazioni. Provare a rimanere neutrali era considerato un atto di tradimento da entrambe.

Ed ora persone che avevano passato tutta la vita a cercare di accorciare il divario tra i numeri, venivano chiamate traditori. Persone come lui e Seokjin, gli insegnanti del centro, i collaboratori e tutti quei genitori che muovendosi insieme, si erano impegnati a costruire un luogo sicuro dove i giovani potessero interagire e imparare senza essere giudicati da un'etichetta. Il loro peccato era rifiutarsi di conformarsi a chi faceva la voce grossa.

Jimin sospirò passandosi nervosamente una mano sul viso mentre pensava al Freedom Movement, alla sua situazione e a come aveva la brutta sensazione che tutto ciò fosse solo l'inizio.

Non ne aveva bisogno, non aveva bisogno di più pressione sul suo cuore già oppresso. Tuttavia, come aveva imparato da molto tempo, la vita amava giocare con le persone e Jimin sapeva bene che lamentarsi era infruttuoso. Quello che poteva fare era mettersi in gioco e provare a lottare per il suo lieto fine, non importava quanto difficile sembrasse a prima vista.

C'erano state un paio di tempeste che avevano rischiato di spazzarlo via,  l'ultima gli aveva però regalato Jungkook e quindi Jimin aveva smesso di avere paura del cattivo tempo.

Eppure, anche se lui era pronto lo era anche la tempesta e per giunta stavolta sarebbe stata colpa sua. Stava per rovinare la cosa più preziosa che avesse mai avuto la fortuna di avere con le sue stesse mani.

I sentieri che conducono verso il basso erano sempre così facili da prendere.

Aveva intenzionalmente smesso di innaffiare i suoi desideri usando il silenzio per asciugarli e per molto tempo la strategia aveva funzionato. Ma i desideri non possono essere soffocati e più a lungo li ignori, più forti diventano quando alla fine trovano una via d'uscita.

Le sue decisioni erano risultati nella più efficace danza della pioggia e la tempesta era alle loro porte. Jimin non sapeva se avrebbe dovuto battere forte la testa sul muro o coprirsi il volto per la vergogna e rimanere lì.

Fortunatamente un bussare alla sua porta interruppe il treno di riflessioni oscure.

"Avanti," disse Jimin mentre cercava di comporre la sua faccia in una parvenza di normalità. Era già abbastanza orribile scavare la sua tomba che non aveva bisogno che gli altri iniziassero a preoccuparsi per lui. Aveva fatto il danno, spettava a lui sistemarlo.

La testa di Seokjin fece capolino qualche secondo dopo. Il maggiore rimase sulla soglia per un po', guardandosi attorno come per accertarsi di non star disturbando. Le sopracciglia di Jimin si corrugarono.

"Jin hyung, cosa fai ancora qui? Non dovevi essere sulla strada di casa a quest'ora?" Chiese Jimin, preoccupato.

Quella mattina Seokjin era stato svegliato all'alba dalla polizia ed era dovuto correre al centro per occuparsi del disastro causato dall’atto di vandalismo. Dal momento che Namjoon era già partito per il suo lavoro aveva dovuto svegliare i genitori di Namjoon e chiedere loro di prendersi cura dei bambini. Dopo che i graffiti erano stati prontamente coperti di vernice fresca, Seokjin sarebbe dovuto tornare dalla sua famiglia. Dopo tutto, era il suo giorno libero e stare qui, preoccuparsi a morte per qualcosa che non era in suo potere controllare, non poteva essere considerato un'attività salutare.

"I bambini sono dai genitori di Namjoon e scommetto che i nonni li stanno viziando a morte. Non sono necessario al momento e non posso lasciare te e lo staff qui sapendo che la polizia potrebbe tornare o che altre cose potrebbero accadere. Non posso credere che tutti i nostri insegnanti abbiano rifiutato di cancellare le loro lezioni e che solo un paio di genitori si siano spaventati abbastanza da non portare qui i loro bambini oggi,” concluse Seokjin, scuotendo la testa incredulo.

"Sanno che non sei responsabile degli atti degli estranei e che operiamo sempre per mantenere questo posto il più sicuro possibile per i bambini".

"Lo so ma stiamo parlando del Freedom Movement. Non dovrebbero sottovalutare gli effetti negativi di finire nella loro lista nera e nemmeno noi dovremmo," ribatté Seokjin prima di allontanarsi definitivamente dall'ingresso e sedersi di fronte a Jimin con aria di sfida. Tuttavia dalla sua posa rigida era chiaro quanto ancora fosse nervoso e quella vista fece stringere il cuore a Jimin.

Jimin capiva troppo bene come era essere un bersaglio e sapeva che Seokjin probabilmente si sentiva vulnerabile e scosso.

"Non sappiamo se sono stati i militanti del Freedom Movement", Jimin disse, cercando di minimizzare, ma lo sguardo di Seokjin gli fece capire chiaramente che non stava ingannando nessuno.

Erano molto apprezzati nel loro quartiere e in tutti i quartieri dove era stati aperti dei centri gemelli di loro gestione.

Entrambi erano consapevoli che l'unico  possibile responsabile di un tale atto era il Freedom Movement 

Sin dall'inizio, Seokjin era stato molto chiaro con la comunità e gli insegnanti; il suo progetto di promuovere materie artistiche tra i numeri zero e il suo desiderio di aprire le porte a tutti quei numeri due che volevano seguire le loro lezioni, non era posto sotto alcuna ideologia politica, ma perseguiva il semplice scopo di aiutare i giovani, tutti giovani, ad imparare. Jimin era stato entusiasta del progetto e non aveva esitato a sostenere finanziariamente ed emotivamente il suo amico.

Il centro era finito col diventare uno dei principali, se non l'unico, luogo di aggregazione in grado di trascendere le differenze di status. Sapere di essere i genitori di questo piccolo miracolo, oltre a vedere le loro speranze di aggregazione tra numeri diventare reali, era una fonte di gioia e orgoglio. Quindi essere testimoni ora delle calunnie contro le loro buone intenzioni non li infastidiva soltanto: li spaventava.

“Va bene. Forse erano loro. Ma anche così, l'unica cosa che possiamo fare è continuare con il nostro lavoro. Gli insegnanti lo sanno e questo è il motivo per cui sono qui a portare avanti le lezioni come ogni giorno. Hyung, sei stato tu a insegnarmi il modo giusto per combattere le nostre battaglie. Non dimenticare la tua lezione. "

Vide la faccia di Seokjin scomporsi mentre veniva attraversato da una miriade di emozioni.

C'era stata una volta in cui Seokjin era stato l'erede del primo console Kim e Namjoon il suo consorte. Le storie che raccontavano di quel tempo parlavano di soffocanti muri e verità ancora più soffocanti e, per un lungo periodo, parlarne seppur brevemente era stato in grado di rattristare la coppia.

Adesso erano in grado di scherzare sul loro passato, trattando i loro giorni come eredi del titolo consolare come se fosse un episodio divertente, ma Jimin sapeva che c'era voluto molto impegno per riuscire a guardare ai loro giorni passati con un cuore leggero. Jimin poteva solo immaginare quanto dovesse essere stato duro e ammirava profondamente la forza che avevano dimostrato nel sacrificare una vita facile per una reale, la loro personale sfida al sistema.

"Saresti stato un ottimo console, Jimin," disse Seokjin sospirando drammaticamente. Era uno scherzo debole, ma Jimin rise nonostante ciò. Se il suo amico stava tentando di scherzare significava che era riuscito infine a rilassarsi un po'. 

"Mi lusinghi, ma preferirei ballare nudo piuttosto che avere a che fare con il governo," replicò Jimin ancora spaventato dalle storie che Namjoon gli aveva raccontato a riguardo.

"Comprensibile, scommetto che Jungkook lo apprezzerebbe," disse Seokjin, muovendo le sopracciglia in modo suggestivo. Questa volta Jimin rise di cuore.

"Non osare mettergli in testa strane idee," Jimin lo ammonì, "e dal momento che sei qui, il che significa che non hai altro da fare, tanto vale che tu torni davvero a casa a riposare come è giusto che sia."

"Ho molto da fare", provò Jin, "infatti, l'elenco dei nuovi studenti per tutti i distretti è appena arrivato e deve essere compilato".

"Lo faccio io. Sai che mi piace organizzare le cose. Tu vai pure. Ti accompagnerò personalmente alla porta se necessario," disse Jimin ancora più testardo..

"D'accordo, d'accordo, mi arrendo," disse Seokjin alzando le mani e ammettendo la sconfitta.

Jimin sorrise, ma nonostante le parole amichevoli di Seokjin, decise comunque di seguirlo quando questi finalmente si alzò.  Meglio assicurarsi che non cambiasse idea a metà strada.

Seokjin era un genitore ora e aveva il diritto di godersi il tempo con i suoi figli almeno finché non ricominciava la scuola. Non doveva rimanere chiuso in ufficio durante il suo giorno di riposo nell'attesa che succedesse un altro episodio spiacevole.

Camminarono fianco a fianco lungo il corridoio principale del centro ricreativo e nel passare davanti alle aule furono investiti dal suono di chiacchiere.

Nel corso degli anni, lui e Seokjin avevano lavorato per ampliare l'offerta formativa, non solo aumentando i corsi dei doposcuola, ma anche creando corsi per adulti e anziani e  recentemente avevano aperto le iscrizioni a bambini dell'asilo, con il risultato che il centro ricreativo età diventata quasi una scuola e le stanze erano piene dall'alba fino a mezzanotte.

Le voci degli insegnanti che spiegavano la loro materia, le domande degli studenti, alcune risate, il suono delle persone che si allenavano nelle palestre e il debole suono degli strumenti che venivano accordarti...Tutti quei rumori mescolati insieme erano il respiro di una comunità.

Fu un balsamo per le loro ferite e una volta che ebbero raggiunto la porta principale Seokjin si vedeva visibilmente rinfrancato. Eppure quando parlò, disse.

"Sai, ero così fiero di noi, così compiacente. Ogni volta pensavo al centro ricreativo e cosa significasse per le persone che vengono qui. Eppure ultimamente sono convinto che non abbiamo fatto nulla di speciale, la comunità lo ha fatto.” Si era soffermato sulla soglia delle porte scorrevoli che separavano il centro dal mondo esterno e in qualche modo la sua figura appariva più impattante del solito. 

Poi, con un tono che proveniva da sue sofferte riflessioni, aggiunse, "sono le loro voci quelle che dovrebbero venir ascoltate. Meritano di meglio del trattamento che altri gli riservano, meritano di meglio che essere chiamati ... "Seokjin si fermò, incapace di pronunciare ancora una volta la parola traditori.

Quelle parole non ferivano solo loro, ma anche le persone che credevano nel loro progetto e che mettevano anima e corpo nel centro ricreativo.

Jimin chiuse gli occhi per un lungo momento, un sospiro sfuggì dalle sue labbra.

Sì, meritavano di meglio ma cosa potevano effettivamente fare al riguardo?

Erano solo un numero zero e un numero due che avevano avuto una buona idea e che lavoravano duramente per diffonderla. Nel farlo avevano creato un posto sicuro e avrebbero continuato a lavorare affinché rimanesse così.

"Rimaniamo uniti, è il meglio che possiamo fare. Rimaniamo uniti. Ma se trovi un modo hyung, ti sosterrò come sempre," rispose Jimin con fervore. Intendeva ogni parola che aveva appena detto.

Seokjin lo guardò in modo strano, come se la sua mente fosse altrove. Ma fu un momento fugace e il suo sguardo tornò rapidamente al presente. Il maggiore annuì poi, sorridendogli,  attraversare le porte aperte e se ne andò.

Jimin attese un ragionevole lasso prima di lasciarsi andare, la sua maschera che si faceva a pezzi. All'improvviso si sentì solo e d'istinto abbracció se stesso nella speranza di raccattare un po' di calore umano.

Seokjin aveva ragione, meritavano di meglio, meritavano tutti di meglio. Meritavano di essere autorizzati a perseguire i loro sogni senza paura e a non rimanere frustrati nei loro desideri, condannati a desiderare senza alcuna speranza di soddisfazione reale.

Pensò di chiamare Jungkook per un momento,  la sua voce avrebbe allontanato i suoi pensieri ossessivi e disteso la sua mente. Ma alla fine, decise diversamente.

Jungkook era probabilmente occupato, e se fosse stato scosso anche più tardi poteva sempre parlargli dell'episodio a cena. La verità era che Jimin aveva paura che se lo avesse chiamato, sarebbe finito per esplodere e confessare quanto non bene stesse.

E lui non poteva farlo.

Fino a quando i muri che aveva costruito per contenere se stesso avrebbero resistito, Jimin avrebbe tenuto fede al suo punto.

Lanciò un'ultima occhiata all'entrata ormai deserta, prima di ritirarsi nel suo ufficio. Aveva una lista di nuovi studenti da riorganizzare.






 

Jungkook era famoso per essere l'unico numero zero che lavorava nel mondo dello spettacolo con il suo status dichiarato.

Tutti, tra i normali cittadini, avevano sentito il suo nome almeno una volta e la maggior parte di loro aveva anche memorizzato il suo viso. Eppure era innegabile che, anche se era generalmente ben noto, non per questo lo si poteva considerare una star. Non guadagnava milioni di dollari, non c'erano paparazzi, né orde di fan alla sua porta. Jungkook era ben contento di questo stato delle cose. Dopotutto non era entrato nel settore per la fama ma per il riconoscimento.

Jungkook era un ballerino. Era il leader di un gruppo di ballo che lavorava spesso per cantanti e gruppi famosi e altrettanto spesso veniva invitato come ospite ai loro tour. Teneva spettacoli da solista, appariva di tanto in tanto anche in televisione e aveva appena terminato con successo un tour tra i più importanti teatri del paese. 

Se si voltava a guardare alle sue origini, a come aveva iniziato e a quanto fosse stato dubbioso e spaventato di essere sotto i riflettori, Jungkook si sentiva estremamente orgoglioso di aver sopportato la pressione ed essere riuscito a raggiungere il suo obiettivo di vivere d'arte.

Certamente aver firmato sotto la casa discografica di Namjoon era stato fondamentale per la buona riuscita della sua carriera e Jungkook sarebbe stato per sempre grato al maggiore per l'opportunità. Era anche grato di come Namjoon non avesse mai mancato di incoraggiarlo.

All'inizio, Jungkook aveva voluto solo essere un ballerino di supporto, una figura anonima che si confondeva tra gli altri ballerini, quasi invisibile agli occhi del pubblico ma in grado di fare ciò che aveva sempre voluto fare - anche quando sapeva che il suo cuore desiderava di più.

Namjoon era riuscito a vedere attraverso di lui, e aveva dichiarato che non sarebbe stato un buon uomo d'affari se avesse permesso che tanto talento rimanesse nascosto e andasse  sprecato e anche quando Jungkook aveva sostenuto che il suo status come numero zero non gli avrebbe mai permesso di progredire nel settore, Namjoon aveva replicato "lascia fare a me. Il tempo di nascondersi è finito. "

E così era stato.

Era stato difficile soprattutto perché ogni consulente aziendale aveva sconsigliato a Namjoon tale mossa. Un simile piano poteva infatti mettere a serio rischio la reputazione della sua azienda e per giunta non solo era di incerta riuscita ma andava ben oltre il rischio d'impresa e poteva danneggiare le carriere degli altri artisti sotto la sua etichetta. Namjoon aveva continuato a sostenere la sua linea, sostenendo che i successi arridevano a chi osava e che credeva in Jungkook e le sue capacità.

Proseguirono e Jungkook fu presentato al mondo come un artista numero zero.

Jungkook si ricordava quanto era stato terrorizzato al solo pensare alla quantità di fiducia che Namjoon aveva risposto in lui, ma per fortuna non c'era stata solo la paura ma anche il desiderio di rendere orgogliosi i suoi amici e tutte le persone che credevano in lui.

Lavorò sodo. Si impegnò anima e corpo perché era consapevole della posta in gioco e sapeva che quella era l'opportunità della vita.

Sorprendentemente, il pubblico reagì meglio di quanto tutti loro si fossero aspettati. Ci furono diversi articoli di giornale che parlavano di lui come numero zero e alcuni imprenditori dello show business si rifiutarono di lavorare con lui e tuttavia, la maggior parte del pubblico e degli addetti ai lavori guardò alla cosa senza animosità.

La verità era che nel mondo dello spettacolo c'erano diversi numeri zero sotto mentite spoglie che tifavano segretamente per Jungkook mentre per quanto riguardava la censura governativa, la loro autostima era stata così profondamente abbattuta dal risultato del referendum, che preferivano non fare troppo rumore e rischiare di dargli troppa importanza. Dopotutto, Jungkook era solo un ballerino e non pensavano che avrebbe potuto fare troppi danni.

Dal canto suo Jungkook non aveva mai voluto causare rivoluzioni ma solo essere libero.

Da allora erano trascorsi quattro anni da quando aveva iniziato ed erano stati anni molto stancanti ma anche soddisfacenti e, anche quando i suoi muscoli a volte dolevano e la sua schiena non dava a Jungkook alcun riposo, non avrebbe scambiato il suo lavoro per nessun’altra cosa al mondo.

Eppure, ultimamente, nell'aria si avvertiva un senso di nervosismo e irrequietezza. Giravano molte voci e da quando alcuni artisti famosi avevano deciso di uscire dal loro stato di segretezza, le chiacchiere si erano fatte ancora più selvagge. Qualcosa stava cambiando e Jungkook non sapeva se gli piaceva la piega che le cose stavano prendendo.

Di recente aveva notato che l'interesse per la sua persona era cresciuto.

All'improvviso veniva invitato in tv più spesso e la sua agenzia aveva ricevuto diverse richieste di interviste da diversi canali importanti. Un tale aumento della domanda sarebbe stato accolto favorevolmente da parte sua se non fosse stato per un fastidioso dettaglio. Tutte le richieste avevano come temi principali il suo status di numero zero e il freedom movement. E Jungkook odiava questa cosa con tutto il cuore.

Aveva lavorato sodo per essere in grado di esibirsi al meglio delle sue condizioni ed era contento di aver ottenuto il riconoscimento. Ma per il suo talento. Non per il suo status.

Namjoon gli aveva promesso che non avrebbe mai usato lo status di Jungkook come principale strategia di marketing perché avrebbe ostacolato lo scopo di farlo risaltare per le sue doti. Il messaggio, per cui avevano spinto tutti i loro sforzi, voleva essere che i numeri zero non mancavano di nulla quando si trattava di abilità rispetto alla loro controparte numero due. 

Erano stati quindi estremamente attenti a rivelare il suo status come una informazione di servizio piuttosto che una strategia marketing, non volendo che sembrasse solo il rimbombo rumoroso di un contenitore vuoto.

Jungkook non era stupido, capiva fin troppo bene l'attuale situazione politica ed era consapevole di quanto fragile fosse l'equilibrio della loro società.

Fin da bambino, una volta che era stato  in grado di capire come funzionava la realtà circostante, Jungkook si era impegnato a tenere le orecchie e gli occhi aperti e aveva cercato di fare del suo meglio per essere un cittadino ben informato. Come membro di una minoranza ostracizzata per lui la politica contava, e molto. Erano quelle vecchie cariatidi del senato che decidevano se rendere la sua vita più facile o più difficile.

Vivevano in un periodo di transizione poteva, un periodo in cui il cambiamento aveva preso una forma e riusciva a farsi sentire forte in ogni angolo.

Jungkook non sapeva se era più deluso dal rifiuto del governo di riconoscere il cambiamento o dal fatto che coloro che erano riusciti a far sentire la loro voce, erano quelli che molto probabilmente non meritavano di essere ascoltati.

La violenza e coloro che agivano spinti dall'unico scopo di distruggere, non importava quanto pietosi fossero gli abiti con cui si travestivano per giustificarsi, non sarebbero mai stati la risposta per lui.

Jungkook era disgustato da entrambe le parti e per la prima volta nei suoi ventisette anni di vita, aveva messo distanza tra sé e il mondo esterno.

Avrebbe dovuto capire che era impossibile non venire trascinato in questa bolgia. Come sempre, il suo status aveva dimostrato quanto fosse difficile per lui avere una certa libertà di movimento.

Quasi rise alla sfortunata scelta di parole che il suo cervello aveva evocato. Poteva sentire la sua fronte corrugarsi in preoccupazione anche quando sapeva che irritarsi non avrebbe risolto nulla e sarebbe riuscito solo nell’intento di farsi venire un gran mal di testa. Eppure eccolo lì, a fissare stupidamente il muro del suo studio come un bambino troppo cresciuto, incapace di concentrarsi sul computer dove una nuova canzone a cui stava lavorando suonava in loop.

Non ne aveva bisogno.

Non aveva bisogno che un'altra preoccupazione cadesse a macigno sulle sue spalle, non quando era ancora confuso sul recente sviluppo della sua vita e non quando una sensazione di malessere lo stava rodendo dall'interno e continuava a urlargli che aveva dimenticato di notare un dettaglio.

Il ricordo del sorriso finto di Jimin durante la festa dei gemelli gli balenò davanti agli occhi e il suo cuore si strinse.

Nemmeno un secondo dopo, quasi la sua matassa di pensieri oscuri avesse inviato un segnale di sos, qualcuno bussò alla sua porta. 

"Jungkook sono io, Namjoon, sto entrando", venne la voce profonda di Namjoon dall'altra parte della porta.

Tecnicamente quelle erano le stanze di Namjoon avendo investito tutti i suoi soldi per acquistare quell'edificio che sarebbe stato il quartier generale della sua nuova casa discografica, eppure non si era mai comportato come il proprietario e aveva sempre dato grande libertà ai suoi artisti. Chiedeva il permesso ogni volta che voleva parlare con loro. Considerava infatti gli studi un'estensione delle persone che lo usavano e un posto molto privato.

"Sì," disse Jungkook perché, nonostante le sue parole, Namjoon aveva aspettato la sua conferma prima di entrare.

Jungkook si voltò verso di lui con la sedia girevole non appena sentì la porta aprirsi. Namjoon entrò con una circospezione che di solito non apparteneva alla sua persona, i suoi passi erano lenti e attenti e quando Jungkook lanciò una buona occhiata alla sua espressione facciale, capì che Namjoon non era lì solo per chiacchierare ma per avere un conversazione seria.

Sospirò internamente. Non era esattamente sorpreso di quella visita, dato che aveva appena sabotato un'intervista importante che era stata programmata con settimane di anticipo in preparazione del lancio del suo nuovo spettacolo.

"Jungkook, come stai? In questi giorni ero impegnato quindi non sono riuscito a dare un’occhiata alle canzoni su cui stai lavorando, ma Taehyung, che ha sentito i demo, ne è entusiasta, quindi ho delle aspettative ,” commentò Namjoon.

Quando Jungkook espresse il desiderio di espandere i suoi orizzonti ed addentrarsi nella composizione, Namjoon si era attivato subito e un paio di settimane dopo la sua richiesta, a Jungkook era stato assegnato un mini studio dotato di tutto ciò di cui aveva bisogno. Conosceva Namjoon già da molti anni e sapeva esserlo un’ottima persona, ma quando Namjoon faceva cose del genere, gli faceva ricordare ancora una volta quanto fosse fortunato a lavorare con lui.

Namjoon era molto appassionato del suo lavoro, preciso e accurato quando si trattava di composizione e produzione, e anche molto diretto quando doveva esprimere la sua opinione sul lavoro dei suoi artisti e compositori.

Ma era anche logico e ragionevole ed era il tipo di persona che cercava il confronto trasparente piuttosto che l’imposizione forzato del proprio giudizio sugli altri.

Dato che avevano un AD che gestiva la governance della casa discografica, Namjoon raramente doveva preoccuparsi del lato burocratico e tecnico dell'azienda e quindi era libero di comportarsi più come un direttore creativo che come un amministratore. Questo accordo gli aveva permesso di avere relazioni amichevoli e informali con i suoi dipendenti.

Con lui e Taehyung, due persone con cui aveva stretto amicizia prima di assumerle, Namjoon era particolarmente aperto e disinvolto.

I tre andavano molto d'accordo e le occasioni in cui si scontravano o avevano un disaccordo artistico erano piuttosto rare.

Eppure quel giorno Jungkook sapeva di aver oltrepassato alcuni limiti e sapeva che la visita di Namjoon non era solo quella di un amico che passava a salutare.

L’imbarazzo di Namjoon era palpabile e lui stesso si sentiva un po' a disagio.  Aveva paura di essere finalmente riuscito in quello che temeva di più ossia deludere il maggiore.

"Quando si tratta di me, Taehyung è di parte , ma mi fido di lui come musicista, quindi sono contento che non abbia pensato che fosse un completo disastro", disse Jungkook tradendo un po' di nervosismo.

Nonostante avesse imparato ad essere più vocale, Jungkook aveva ancora qualche problema ad aprirsi come un essere umano normale. Jungkook aveva sperato che superata una certa età alcuni problemi si sarebbero risolti da soli una volta raggiunto un livello più alto di consapevolezza, purtroppo non era stato così per tutto e alcune insicurezze erano più difficili da superare rispetto ad altre.

"Ma scommetto che non sei venuto qui solo per dirmi questo,” aggiunse subito dopo Jungkook prendendo Namjoon alla sprovvista. Decisamente non era un mostro di tatto e nella sua ansia di comunicare spesso lo faceva in modo troppo diretto. Sperava che Namjoon lo avrebbe aiutato ad attraversare il ponte.

"No, non solo per questo", rispose Namjoon senza perdere la calma. Il bello di  Namjoon era che c'erano davvero poche cose nella vita che potevano infastidirlo e lui nel complesso era più affidabile di una roccia.

Era facile fidarsi di lui, dato che era sempre onesto. "Ero sincero ma ammetto che in effetti il mio era un tentativo di farci sentire più a nostro agio prima di passare ad argomenti più difficili,” confessò Namjoon emettendo un sospiro.

“Quando si tratta di interazioni non credo di poter giudicare, probabilmente sono peggio di te,” commentò Jungkook cercando di mantenere un umore leggero.

"Sì, ma se consideri che in gioventù ero effettivamente addestrato a fare discorsi, è abbastanza vergognoso quanto io sia ancora inadeguato," commentò Namjoon, battendosi distrattamente il mento mentre la sua mente per un momento si perdeva nei ricordi del passato.

Jungkook emise una risatina, mentre l'immagine di un Namjoon vestito in modo formale gli attraversava la mente. A volte era difficile pensare che il suo capo, il suo amico, in un universo alternativo avrebbe potuto essere il secondo uomo più potente del paese.

"Dato che è chiaro che non siamo bravi a sorvolare...Dimmi cosa è successo stamattina Jungkook?" Chiese Namjoon guardandolo dritto negli occhi.

Jungkook dovette combattere la tentazione contorcersi sulla sedia mentre cercava le parole giuste per descrivere i fatti di quella mattina.

Eppure il suo cervello aveva deciso che era più facile ammutinarlo e Jungkook rimase lì, con la mente vuota e la bocca asciutta, incapace di spiccicare parola.

Come avrebbe potuto spiegare a Namjoon perché aveva agito in quel modo?

Non c'era modo di mascherare i fatti e lui non era il tipo da cercare scuse, eppure aveva disperatamente bisogno che Namjoon capisse il suo punto.

Lui era probabilmente quello che si vergognava di più dell’accaduto.

Per tutta la vita, il suo obiettivo era stato quello di agire al meglio delle sue possibilità e di non dare occasioni agli altri di critica quando si trattava del suo lavoro perché sapeva che i suoi nemici stavano aspettando un suo passo falso per accusarlo del suo comportamento sciatto e fare del suo status la ragione.

Aveva giurato a se stesso che non si sarebbe mai comportato come una vittima.

Era venuto meno alle sue aspettative e non importava quanto fosse stato provocato, nel momento in cui era fuggito via dall’intervista, aveva dato prova di quanto ancora doveva lavorare su se stesso visto che con un unico gesto aveva gettato al vento anni di sforzi comuni.

Jungkook non poteva perdonare a se stesso di essere stato così poco professionale.

"Il tuo manager mi ha chiamato un paio d'ore fa, raccontandomi gli avvenimenti di questa mattina. Non sono qui per sgridarti o giudicarti Jungkook, penso che abbiamo un tipo di relazione che va oltre i piccoli screzi e lo scopo del tuo manager non era certo di screditarti quando ha deciso di informarmi. Voleva che ti parlassi personalmente per capire cosa è successo. Ti sei isolato nel tuo studio non appena sei tornato in azienda ed era molto preoccupato. Quindi eccomi qui sono tutto orecchi. Ti conosco molto bene e so che non fai le cose per capriccio e se devo difenderti dal mondo esterno, ho bisogno di sapere tutto quello che è successo. "

"Mi vuoi difendere?" Chiese Jungkook colto di sorpresa. Poi si rese conto che durante tutto il discorso di Namjoon aveva tenuto la testa bassa per la vergogna. Quando sollevò la testa, vide quanto serio fosse Namjoon.

"Sì, difenderti. Mi preparo a combattere in prima linea dal momento in cui abbiamo deciso di non nascondere il tuo status", rispose Namjoon come se fosse la cosa più ovvia al mondo.

Non lo era. Dannazione, non lo era.

In un mondo in cui i numeri due erano addestrati a guardare dall'alto in basso i numeri zero, persone come Namjoon erano la prova di come esistesse ancora il libero arbitrio e, in definitiva, il motivo per cui il referendum non era andato come previsto dal governo.

Jungkook provò sollievo e calore e molte altre cose complicate ma piacevoli che gli diedero il coraggio di ricordare l'episodio.

"Come saprai, avevo in programma un'intervista stamattina. Si trattava di un'intervista importante per un canale importante. Avevamo concordato che il primo segmento del programma sarebbe andato a me e dato che la mia tournée sta per ripartire, non potevamo perdere l'occasione. Quindi mi sono svegliato prestissimo stamattina perché lo staff potesse prepararmi e poi una volta pronto il mio manager mi ha accompagnato in studio. Lo staff della stazione televisiva era estremamente gentile e non vi era indizio alcuno del disastro che di lì a poco avrebbe avuto luogo. Perciò mi hanno ritoccato il trucco, mi hanno messo un microfono e mi hanno fatto sedere nello studio elegantemente arredato per l'intervista. Ho sorriso e l'intervistatore mi ha sorriso chiedendomi se le luci andavano bene continuandomi a ripetere di fare come se fosse casa mia. All'inizio le domande sono state piuttosto innocue, mi hanno chiesto del mio ultimo spettacolo e dei miei piani. Ma l'atmosfera è mutata rapidamente. Hanno iniziato chiedendomi se mi piaceva leggere i giornali e se mi piaceva tenermi informato ed ho risposto di sì, che ho sempre fatto del mio meglio per essere aggiornato sulle ultime notizie perché credevo fosse mio dovere di cittadino essere informato. 

Mi hanno ingannato. Mi hanno portato esattamente dove miravano di portarmi fin dall'inizio, ma me ne sono reso conto troppo tardi. L'intervistatore ha sorriso e poi ha cominciato a leggere alcuni titoli di giornale che parlavano dei danni alle proprietà pubbliche per mano degli insurrezionalisti. Per un momento sono rimasto senza parole ma mi sono ripreso abbastanza per rispondere che non ne sapevo nulla  e che comunque non ero d'accordo con nessuna forma di violenza. Ho immaginato che non avrebbero chiesto altro perché non era affatto quello che avevamo concordato. Non si sono fermati e hanno continuato. Hanno letto un'altra notizia su una molotov gettata alla stazione di polizia e poi hanno continuato a leggere altre notizie chiedendomi quale fosse la mia opinione al riguardo, tempestandomi di domande senza lasciarmi il tempo di rispondere correttamente a nessuna di esse. Hanno anche commentato come di recente molte celebrità fossero uscite allo scoperto e mi hanno chiesto se ero d'accordo con chi diceva che queste celebrità erano degli ipocriti che hanno munto l'industria a suon di menzogne. E ancora se come primo numero zero dichiarato, non ero quello che più di tutti doveva parlare e se il fatto che ero uscito allo scoperto fin dall'inizio non faceva di me un rivoluzionario. La telecamera ha continuato a girare per tutto il tempo e scommetto che hanno registrato dieci minuti solidi di me che spalancavo e chiudevo la bocca come un pesce fuor d'acqua. Mi hanno distrutto e non ho nemmeno saputo difendermi."

"Non hai niente da dire al nostro pubblico Jeon Jungkook?" L'intervistatore aveva concluso con un sorriso, soddisfatto della sua opera di umiliazione. E umiliato Jungkook si era sentito. 

"Mi sono lasciato prendere dal panico. Sono un uomo adulto ma mi sono fatto prendere dal panico e prima che il mio cervello potesse registrare cosa stavo facendo, ero già in piedi e stavo fuggendo. Il nostro manager mi ha trovato mezz'ora dopo chiuso in una toilette del primo piano della stazione televisiva. Mi dispiace. Avrei dovuto gestire meglio la situazione, lo so. Mi dispiace di aver causato un simile inconveniente alla compagnia, "disse Jungkook sospirando e cercando di resistere all'impulso di coprirsi il viso.

La rabbia era arrivata troppo tardi. Prima era arrivata la paura e poi la vergogna. 

"Non essere dispiaciuto, non è colpa tua Jungkook." Brividi lo percorsero da capo a piedi nel sentire il tono di ghiaccio di Namjoon

Ebbe comunque il coraggio di guardare in alto, sorpreso di trovare la convalida invece della punizione.

Namjoon si alzò e fece dei passi nervosi verso la finestra, le mani appoggiate sui fianchi in un gesto che ricordava a Jungkook  sua madre quando si arrabbiava. Si fermò lì come se stesse cercando di contenersi.

"Namjoon?"

Namjoon si voltò. Sembrava furioso.

"Non c'è niente che avresti potuto fare di meglio Jungkook, non è stato un incidente ma un'imboscata. E non devi preoccuparti della registrazione, farò in modo che non venga trasmessa. Se pensano che non ti proteggerò  solo perché sei un artista numero zero si sbagliano di grosso.

"Non sei arrabbiato con me? Per la mia completa mancanza di professionalità? Avrei potuto dire qualcosa, gestirla meglio, dire qualcosa di più invece di fare la figura dell'idiota."

"Jungkook sei un ballerino, non un politico."

"Lo so, ma ... forse hanno ragione, forse anch'io sono un vigliacco a non dire niente."

"Se in futuro vorrai parlare del tuo status ed essere assertivo su questioni sociali attraverso la tua arte non ti fermerò, ma solo se sei disposto a farlo e non quando sarai trascinato con la forza per dimostrare il punto di vista malato che alcuni hanno sui numeri zero."

Le dita di Jungkook affondarono dolorosamente nelle sue cosce mentre una nuova verità si svelava davanti a lui.

"Continuerà ad accadere, non è vero?" Chiese, con la gola secca, la mascella contratta così dolorosamente da fare male.

La faccia seria di Namjoon era una risposta sufficiente.

"Cercherò di fare del mio meglio per evitare che ciò accada, ma devi essere preparato e ..."

"Lo so, lo sarò e farò di tutto per non coinvolgere ulteriormente te e la compagnia il meno possibile. Hai già fatto così tanto per me."

Namjoon scosse la testa come se fosse addolorato di sentire quelle parole.

Namjoon era un sognatore, lo era sempre stato, da quando era scappato dalla famiglia Kim, ogni passo che lui e Seokjin avevano fatto era stato per vivere una vita diversa da quella che il governo aveva programmato per loro.

"La prossima volta vieni da me prima. Viviamo in tempi difficili e dobbiamo restare uniti."

Jungkook guardò Namjoon a lungo mentre cercava disperatamente di pensare al modo giusto per esprimere quanto l'amicizia di Namjoon significasse per lui, quanto fosse grato per tutto ciò che aveva fatto e stava ancora facendo per lui, ma prima di riuscire ad articolare qualcosa di più di un rumore strozzato, il telefono di Namjoon squillò.

Il maggiore sobbalzò sul posto e tirò fuori il suo cellulare dalla tasca posteriore con tutta l'intenzione di mettere a tacere il dispositivo, se non fosse stato per il nome sul display. Il suo viso si trasformò da infastidito a confuso.

"È Seokjin ..." disse, aggrottando le sopracciglia e accettando la chiamata mentre sillabava uno scusa a Jungkook.

Sia Namjoon che Jungkook sapevano che Seokjin non era il tipo da chiamare durante l'orario di lavoro, a meno che non fosse la pausa pranzo, preferendo comunicare attraverso i messaggi. Gli unici casi in cui aveva chiamato durante le ore di lavoro, era stato quando era successo qualcosa alla famiglia o Seokjin era stato in urgente bisogno di Namjoon su qualche questione importante.

"Pronto, Jin?" quelle due parole furono seguite da un fiume di parole dall'altra parte, dette in tono così nervoso e acuto che persino Jungkook riuscì a sentirle vagamente dal suo posto.

Namjoon tornò alla finestra a camminare nervosamente avanti e indietro.

"Ma stai bene? Vuoi che torni? Posso tornare anche subito. Ti sento agitato, "Jungkook sentì Namjoon dire.

Non era un buon segno.

Jungkook si fece piccolo sulla sedia, cercando di non origliare e di dar loro un po 'di privacy ma proprio mentre stava meditando l'idea di uscire e lasciare il suo studio a Namjoon, questi tornò alla sua scrivania e mise il telefono in viva voce.

"Stamattina qualcuno ha imbrattato le pareti del nostro centro comunitario con vernice. L'accaduto ha allarmato i nostri vicini che hanno chiamato la polizia: non è successo nulla di veramente irreparabile e hanno già coperto i graffiti lasciati sul muro ma, nel caso improbabile che questo diventi notizia data la popolarità dei nostri centri, ho preferito parlartene. Non volevo che tu sentissi questo da un'altra fonte e non da me. "

"Jimin, sta bene?"

"Oh ciao Jungkook, ci sei anche tu? Comunque sì, sta bene, non ti ha chiamato?"

Jungkook tirò fuori il telefono dalla tasca ma sul suo display non c'era nulla di nuovo.

"No, non l'ha fatto."

"Ah, quel ragazzo, probabilmente non voleva disturbarti, non preoccuparti Jungkook, sta bene, l'ho lasciato a lavorare con il resto degli insegnanti. Sono al sicuro, la polizia pattuglia il quartiere nel caso in cui il colpevole ci riprovi. "

"La polizia, Jin? Stai dicendo che non c'è nulla di cui preoccuparsi, ma ci stai anche dicendo che la polizia è stata coinvolta? Perché erano coinvolti se la faccenda non è nulla di serio?" Namjoon chiese concitato rubando a Jungkook le parole di bocca.

"Joon, calmati, sono solo graffiti."

"Eppure i tuoi vicini hanno deciso di chiedere un intervento e tu stesso sembri spaventato, non provare a nasconderlo. Che cosa hanno scritto su quel muro Seokjin?" Namjoon incalzò.

Un silenzio inquietante seguì la domanda e poi il suono chiaro di un sospiro pesante. "Traditori, hanno scritto traditori ma non è davvero nulla di cui preoccuparsi ..." Namjoon tolse il vivavoce e si portò con urgenza il telefono all'orecchio per assicurarsi che la sua voce raggiungesse chiaramente il suo compagno.

"Vengo. Ora, dove sei?" Namjoon chiese scambiandosi uno sguardo di preoccupazione con Jungkook prima di uscire dalla stanza.

Jungkook sentì una stretta spiacevole allo stomaco.

Seokjin poteva blaterare quanto voleva sul fatto che fosse solo un graffito, ma conosceva solo un gruppo di persone a cui la parola traditori suonava giusta e la cosa non piaceva a Jungkook affatto.

Strinse il telefono nella sua mano mentre cercava freneticamente tra le sue notifiche se in qualche modo avesse avuto una chiamata persa da Jimin, ma niente. Jimin credeva davvero di disturbare Jungkook parlandogliene?

Jungkook sospirò.

All'inizio della loro relazione non era stato l'unico ad avere problemi ad aprirsi.

Anche se Jimin era decisamente più genuino e onesto quando si trattava di esprimere i suoi sentimenti, era molto riservato invece quando quelle sensazioni coinvolgevano i suoi problemi personali. 

Jungkook capiva, lo capiva davvero, l'abitudine ad essere autosufficienti. Da numero zero venivi cresciuto con l'idea che l'unica persona su cui avresti potuto contare nella vita eri tu stesso e Jungkook aveva abbracciato l'amara verità e si era impegnato a cavarsela da solo per il resto della sua vita. Questo avrebbe dovuto renderlo una persona arida ma così non era stato. Anche se aveva imparato a nascondere la maggior parte delle sue emozioni, Jungkook era ancora in grado di esprimere le sue più profonde preoccupazioni alle persone di cui si fidava. Ogni volta che sentiva di affogare non aveva esitato ad andare a Taehyung e, quando aveva iniziato a frequentare Jimin, ad andare da quest'ultimo.

Jimin invece faceva il contrario considerava il parlare dei suoi problemi un'imposizione e ci era voluto del tempo perché entrambi si adattassero l'uno all'altro e capissero che per crescere insieme dovevano lasciarsi alle spalle le loro abitudini sbagliate. Imparare a fidarsi e fare affidamento l'uno sull'altro senza vergogna o paura di essere giudicati non era semplice, ma Jungkook pensava che avessero fatto progressi nel corso degli anni, quindi perché Jimin non aveva chiamato?

Questa era una cosa importante. Si trattava del fottuto Freedom movement per l'amor di Dio.

Digitò in fretta un messaggio a Jimin chiedendogli come procedesse la sua giornata e sperando che Jimin abboccasse e parlasse con lui.

Namjoon tornò prima che ci fosse qualsiasi risposta da parte di Jimin.

"Jin sta andando a casa dei miei genitori dove sono i bambini e andrò lì anch'io, anche se mi ha chiesto di restare qui. Se vuoi andare da Jimin puoi farlo."

"Grazie Namjoon, sento Jimin e vedo cosa fare," rispose Jungkook debolmente.

Namjoon annuì prima di ritirarsi e lasciare Jungkook da solo.

Quando Jungkook guardò il suo telefono, vide che Jimin aveva risposto. Aprì frettolosamente il messaggio solo per leggere le parole di Jimin che diceva che stava andando tutto bene e gli augurava una buona giornata. Non menzionava nulla di ciò che Seokjin aveva appena detto loro.

Jungkook si sentì affondare, un peso che lo trascinava a fondo: la realizzazione che vi fosse qualcosa che non andava in Jimin. Ma che cosa fosse, Jungkook non ne aveva idea e per la seconda volta quel giorno, si sentì impotente.

Per un momento pensò di chiamare Jimin e affrontarlo. Forse nel sentire la voce di Jungkook si sarebbe convinto a parlare. Continuò a fissare  il suo telefono invece e più lo fissava, più si sentiva incerto.

Quello che era successo lo preoccupava e il silenzio di Jimin lo preoccupava ancora di più. Eppure una parte di lui, nonostante Jungkook morisse dalla voglia di correre dal maggiore, gli suggeriva di aspettare. Rimanere a vegliare finché l'altro non si fosse convinto ad abbandonare il suo piano di silenzio.

Quella parte vinse.

Quindi Jungkook rispose a sua volta qualcosa di generico, dicendo che aveva una giornata tranquilla e cercando in modo sottile di far sapere a Jimin che tempo per parlare ce lo aveva.

Decise quindi di continuare a comporre per un po' prima di lanciarsi negli allenamenti di ballo, ma non importava quante volte controllasse il telefono, Jimin non menzionava mai l'incidente.

Dire che Jungkook era deluso, era un eufemismo.

Il giorno si trascinò dolorosamente lento e, anche se aveva parecchie cose da fare, decise di tornare a casa presto, incapace di resistere un'ora in più lontano da Jimin.

"Sono a casa", annunciò Jungkook non appena varcò la soglia di casa.

Il delizioso profumo di cibo che si cuoceva colpì le sue narici e Jungkook capì immediatamente che Jimin doveva essere tornato da un po',  ​​abbastanza presto per avere il tempo di preparare un pasto delizioso.

La vita domestica era qualcosa di cui Jungkook non avrebbe mai smesso di sentirsi grato.

Si tolse le scarpe e le posizionó con cura vicino alla porta e accanto a quelle di Jimin, prima di dirigersi verso la cucina.

Vi si tuffò dentro desideroso di vedere la faccia di Jimin. Come aveva immaginato, Jimin era ai fornelli a mescolare qualcosa dentro una pentola. Stava canticchiando sottovoce l'ultima canzone di Jungkook, gli auricolari infilati nelle orecchie che spiegavano il perché non avesse sentito l'arrivo di Jungkook.

Jungkook rimase a fissare le sue spalle per un po ', le sue paure pacificate alla vista di tanta normalità. Coprì gli ultimi passi che li separavano e, nonostante il suo tumulto interiore, non riuscì a trattenersi. Posó un bacio leggero sulla sua tempia allo stesso tempo in cui le sue mani si posavano delicatamente sui fianchi di Jimin, stringendolo.

Jimin trasalì per la sorpresa, ma quando si voltò verso di lui questa lasciò immediatamente il posto a un sorriso stupendo.

"Jungkook!" Esclamò togliendosi gli auricolari. "Sei qui presto," disse, stiracchiando il collo di lato per poter premere le labbra su quelle di Jungkook. 

La sua espressione non tradiva nessuna emozione negativa e se Jungkook non avesse saputo meglio, avrebbe creduto che nulla fosse successo, ma le parole di Seokjin erano incise nel suo cervello.

"Sì, oggi è stato un giorno strano, ecco perché sono tornato presto", commentò Jungkook cercando di vedere se nell'aprirsi, Jimin avrebbe avuto voglia di fare lo stesso.

"Giorno strano?" Le sopracciglia di Jimin si sollevarono preoccupate e il suo viso fu dipinto da un sentimento così genuino che per un attimo Jungkook dimenticò il suo scopo e si lasciò sopraffare dalle proprie emozioni post intervista.

Il suo viso probabilmente mostrava parte della sua pena perché Jimin sollevò la mano e la appoggiò sulla guancia di Jungkook come forma di conforto.

"È successo qualcosa," disse Jimin guardando Jungkook negli occhi in cerca di risposte.

Jungkook trovava ingiusto che Jimin fosse così generoso con gli altri ma così avaro con sé stesso. 

Il sugo dentro la pentola scoppiettó rumorosamente facendo sobbalzare tutti e due.

"C'è stata una disavventura al lavoro, ma prima il cibo o brucerà", rispose Jungkook gentilmente mentre prendeva la mano Jimin e se la portava alle labbra, posandovi un piccolo bacio prima di fare qualche passo indietro.

Jimin spense i fornelli invece e si voltò rapido verso Jungkook, che si era nel frattempo appoggiato al tavolo della cucina.

"Questo può aspettare, dimmi cos'è successo," Jimin insistette, camminando verso di lui finché non gli fu di fronte. Intrecciò le dita con le sue e così facendo le ultime barricate di Jungkook crollarono.

"Oggi avevo un'intervista, ti ricordi? Quello che stavo aspettavo con ansia. Beh, non è andata come immaginavo," rispose Jungkook e poi con un sospiro gli raccontò tutto quello che era successo quella mattina.

Il volto di Jimin si trasformò man mano che lui proseguiva nel suo racconto e il volto del maggiore da preoccupato si fece aspro.

"Mi dispiace che sia successo a te, Jungkook," disse Jimin con il tono addolorato di chi era costretto ad assistere alle iniquità quotidianamente senza essere in grado di fare qualcosa per aggiustarle. "Lavori sodo e non meriti un trattamento del genere ma Namjoon ha ragione, non è colpa tua quindi non incolpare te stesso per una reazione che non avresti potuto evitare".

Non era giusto come Jimin sapesse sempre quali parole dire per farlo sentire meglio. Non era giusto perché rendeva il suo compito di avercela con lui piuttosto difficile.

"Non avrei mai dovuto illudermi di poter avere  un trattamento imparziale. Ma lavorare con Namjoon e fare quello che sognavo da quando ero un bambino per giunta senza dover nascondere il mio status come se fosse una malattia, mi ha fatto sperare che le cose potessero cambiare. Quando faccio i miei spettacoli e la gente applaude, non sono Jungkook il numero zero ma Jungkook il ballerino. È così facile dimenticare l'ambiente circostante. È così dannatamente facile che quando vieni riportato dal sogno alla realtà è come essere investiti da un treno. E fa paura. "

Jimin strinse la sua mano, e in quel gesto c'era tutta la comprensione e l'empatia di chi aveva subito delle cicatrici simili e quindi poteva capire. Jungkook sentì il peso scottante della sua delusione sciogliersi  un po' e fu per l'ennesima volta grato di avere il maggiore al suo fianco.

Sapeva di essere fortunato per molte più ragioni dell'essere riuscito nell'impresa di trovare l'amore in una realtà in cui esso era stato decretato fuori dalla sua portata. Essere in grado di fare ciò che hai sempre sognato supportato dalla persona che ami era un risultato che anche alla parte eletta della loro società riusciva difficile. Ma lui ce l'aveva fatta. 

In quel momento fu colpito dalla consapevolezza di quanto fosse importante il lavoro di Jimin e quanto ciò che il maggiore faceva influenzasse positivamente la comunità. Lui e Seokjin avevano creato un luogo in cui le persone potevano ottenere gli strumenti per cercare di rendere i propri sogni possibili. Non era come se Jungkook non se ne fosse mai accorto, era infatti orgoglioso di quello che Jimin aveva fatto, ma alla luce degli eventi recenti, improvvisamente che Jimin potesse continuare a operare pacificamente e indisturbato, appariva vitale.

Sapeva che anche Jimin era consapevole di ciò, eppure sembrava non pensare che l'episodio che gli era successo fosse abbastanza serio o peggio ancora, sembrava convinto che non fosse qualcosa di cui Jungkook dovesse preoccuparsi.

Quando avrebbe imparato Jimin che la felicità significava sopportare insieme le difficoltà?

"Grazie," sussurrò Jungkook stringendo volta la mano di Jimin. "Grazie per essere qui per me a sostenermi, spero che tu sappia che anche io sono qui per te. Sempre."

Ci fu un momento di esitazione da parte di Jimin che durò un battito di ciglia e Jungkook non se ne sarebbe accorto forse se non fosse stato che conosceva Jimin come il palmo della sua mano.  Eppure, quando Jimin aprì la bocca, non fu per raccontare quello che gli era successo, ma fu per tenere la verità per sé.

"Lo so," rispose, e l'affetto che traboccava da quelle parole era evidente  e Jungkook si fidava del loro legame abbastanza da sapere che tutto ciò che Jimin faceva era per una ragione e che avrebbe fatto qualsiasi cosa in suo potere pur di non ferire Jungkook.

Tuttavia, nella fretta di mantenere lo status quo, stava facendo esattamente quello che aveva voluto evitare. Stava ferendo Jungkook. 

E Jungkook non capiva il perché di quella bugia, perché quel silenzio, perché quella decisione quando si amavano così tanto?

Pensava davvero che Seokjin non lo avrebbe detto a Namjoon? Pensava davvero che Namjoon non avrebbe condiviso con lui l'informazione non appena l'avesse scoperta?

Non aveva alcun senso. Non aveva alcun senso e questo lo spaventava più di qualunque cosa il mondo esterno gli lanciasse addosso.

Jungkook avrebbe potuto dire qualcosa, indurre con le cattive il maggiore a raccontargli l'episodio, eppure sentiva che la volontà di farlo doveva venire da Jimin. Per quanto volesse smussare ogni piccolo incidente che potesse ostacolare il loro viaggio insieme, sentiva di dover dare a se stesso e a Jimin spazio di manovra e che quest'ultimo sentisse di poter venire da lui.

Costringendolo avrebbe forse risolto quell'istanza ma non avrebbe aggiustato le loro dinamiche a lungo termine, Jungkook ragionò con se stesso. 

E quando più tardi quella sera, dopo che avevano cenato e si erano rilassati sul divano di fronte alla tv, erano andati a dormire e giacevano sdraiati fianco a fianco, il corpo di Jimin rannicchiato su di lui e il suo naso che sprofondava nell'incavo del suo collo, Jungkook decise che avrebbe aspettato tutto il tempo di cui Jimin aveva bisogno.

Pregò affinché Jimin potesse sentirsi libero di dirgli qualunque cosa lo infastidisse perché era sicuro che il silenzio che manteneva su quell'incidente era solo la punta di un problema più serio ed era anche chiaro che il maggiore stava avendo delle difficoltà a venire a patti con esso. Lo addolorava sapere che l'altro soffriva in silenzio e avrebbe voluto che l'abbraccio con cui stringeva Jimin fosse sufficiente a proteggerlo da qualunque tristezza gli fosse caduta addosso.

Perché il tempo in cui erano condannati a soffrire da soli, era da tempo finito.

   
 
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