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Autore: ilcieloinunapenna    30/07/2019    2 recensioni
Di cosa può essere capace una tranquilla ragazzina cresciuta in un sperduto paesino dell`Arkansas? Quali pensieri, soffocanti come serpenti che si attorcigliano, si nascondono in fondo alla mente e fermentano dentro al cuore di Jeny, in attesa di essere liberati?
La sua passione per la scrittura sarà un`isola su cui ripararsi, ma il mare consuma i suoi contorni e quando essa si sarà ridotta a una minuscola zolla di terra non rimarrà che tuffarsi e iniziare a realizzare ciò che viveva fra le righe dei fogli.
Un viaggio negli incubi di un viso d`angelo e nell`inferno a cui saranno costretti coloro che le hanno fatto del male senza pensare alle conseguenze.
Genere: Introspettivo, Mistero, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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<<Dal piccolo cumulo di terra non si intravedeva più quello che un tempo era stato un uomo enorme, robusto come una quercia, imponente come la Statua della Libertà. Ora nessuno avrebbe più potuto udire la sua risata sguaiata, né alcuna donna avrebbe potuto percepire sulla propria pelle le sue scanzonate e ruvide mani mentre cercava di appropriarsi indebitamente di piaceri che tutte gli precludevano. Annie poteva sentirsi soddisfatta: il suo gesto sarebbe passato sotto silenzio, non avrebbe ottenuto titoli sui giornali né ringraziamenti, era un segreto da tenersi stretto, ma lei aveva tolto al mondo un mostro e, con un sorriso nascosto dai capelli ancora sudati, si mise a spianare meglio i rivoletti di terra eccedente>>.

«Jeny! E' pronto da mangiare!». 
Jeny mise subito via il foglio su cui aveva appena annotato le ultime frasi della storia a cui stava lavorando da qualche mese.
«Sì, arrivo!». 

Si sistemò la maglietta verde che le terminava perfettamente in vita, mettendo bene in chiaro quanto oramai le sue forme fossero davvero quelle di una splendida diciottenne, a cui la natura aveva donato un raro equilibrio nel corpo, nei gesti, nei movimenti, fino al linguaggio e allo sguardo, da cui non trapelava mai una nota stonata, un qualcosa di irriverente, un impeto fuori tempo. 
I suoi occhi erano un mare calmo di tiepide emozioni, i periodi più temibili dell'adolescenza erano trascorsi, i pianti e i pugni contro il muro erano increspature passate di fasi comuni a qualsiasi ragazzo sulla faccia della terra. Rimaneva la calma di un cielo dopo la tempesta, il colore tenue di un acquarello, sensazioni serene da assaporare nelle ore serali tenendo fra le mani una tazza di the fatto di zucchero e d'abitudine. 
Solamente quando si trovava davanti alla carta, Jeny diventava un vortice di pensieri controcorrente e perversi. Armata di penna o di qualsiasi altra cosa in grado di tracciare un segno sul foglio, Jeny non era più la tranquilla ragazzina di un paesino sperduto negli spazi selvaggi e misteriosi dell'Arkansas. 
Jeny, scrivendo righe su righe in notti troppo dense di solitudine e ferite mai chiuse, diventava una lince pronta a rendersi giustizia da sé per sgarbi accumulati e taciuti nel corso della sua infanzia e adolescenza. 
Prima di diventare davvero adulta, anzi, per diventare davvero adultasentiva che avrebbe dovuto vendicare nell'inchiostro le numerose vittime disseminate lungo la superficie della sua anima: l'orgoglio, la dignità, il rispetto, l'educazione... Tutti martoriati sul campo, fiori spezzati da braccia insensibili e da bocche urticanti, che le avevano cambiato per sempre il corso della propria vita, come un fiume deviato dal mare, e costretto a far tappa fra periferie oscure e maleodoranti, da cui uscire sporcato e carico di veleno, ma pronto a ritornare, per sommergere tutto ciò che lo ha irrimediabilmente inquinato. 
E' così che partoriva dalla propria mente inquietanti personaggi senza alcuna pietà né coscienza verso chi li aveva offesi. E' solo così che trovava almeno un po' di sollievo dalle sue pene annidate in ogni angolo del cuore e della testa, di cui apparentemente non rimaneva traccia visiva in grado di suscitare un sospetto in chi la osservava.
Ma, forse, a guardare meglio e più a lungo, si sarebbe potuto notare, in tutto quell'idillio di rose, un fiore marcio e dai petali cadenti, in quell'enorme e sopraffina sinfonia degna di Mozart, una chiave di violino storta e mai aggiustata. 
Allora il the allo zucchero si sarebbe inceppato in gola, e si sarebbe corsi ai ripari da quella primavera tanto vivace quanto fragile, il cui lato oscuro stava fermo, immobile, ad aspettare il proprio momento. 
«Uova strapazzate e patatine fritte» proclamò suo padre, mentre spegneva i fornelli e sistemava la cena dentro i piatti.
«Non capisco perché diavolo devo sempre chiamarti mille volte prima che tu venga a mangiare. Cos'hai di tanto importante da scrivere? Dalla cucina ho visto la tua ombra proiettata sul muro del corridoio, tutta rannicchiata e tremolante, e ho sentito il rumore della penna contro il legno del pavimento... Mica terrai ancora i diari segreti come le bambine?».

Jeny sospirò.
«No papà, nessun diario segreto. Lo sai che la mia passione è la scrittura, tutto qui. Se a te scrivere non piace, ciò non ti legittima a continuare a tappezzarmi di domande e a sminuire ciò che faccio».

«Beh, io qui in tavola non ho mai mangiato ciò che scrivi. Sarà meglio che lasci perdere quelle scartoffie e ti dia da fare per imparare a cucinare. Altrimenti quale buon'anima vuoi che un giorno possa vedere in te qualcosa che assomigli anche solo lontanamente ad una donna di casa?» .
Gli occhi di Jeny rimasero impassibili.
«Non preoccuparti, papà. Forse un giorno sarà proprio ciò che scrivo a procurarmi da mangiare. Nel frattempo, non peso certo a nessuno. Il mio lavoro nei weekend, come cameriera all'Angolo di Parcky's, mi basta e mi avanza per le mie alquanto moderate esigenze. Grazie per la cena, d'altronde dilettarti ai fornelli è il tuo hobby principale e, anzi, dovresti ringraziar Dio per avere una donna che te lo lasci fare e non una faraona della casa, gelosa del proprio ruolo e impegnata a intralciarti nelle tue fantasie culinarie!». 

«Stasera ho avuto poco tempo, e ho ripiegato sullo stile Mac Donald» disse suo padre un po' affranto.
«E' delizioso, papà, dico sul serio. Uno chef lo si riconosce anche nei piatti più volgari».
Poi il silenzio riavvolse la piccola cucina, e si poteva distinguere solo il rumore del vento primaverile che faceva sbattere di tanto in tanto la leggera porta di legno, e i denti di padre e figlia intenti a sminuzzare deliziose uova e patatine croccanti.
Però... Devo ammettere che stai davvero bene sotto quella croce in fondo al sentiero... Il cielo del tramonto e l'erba giallastra dell'estate ti donano tantissimo...
Jeny addentò affamata l'ultimo pezzo di patatina sopravvissuta nel piatto.
«Domani uscirò prima per andare a scuola, perché devo trovarmi con il gruppetto della recita in lingua inglese. La prof ha diviso la classe in quattro gruppi, e ognuno ha un mese di tempo per allestire una recita interamente inventata e interpretata da noi. Non vogliamo certo fare brutta figura, e abbiamo intenzione di trovarci in orari extra scolastici per preparare al meglio tutto» disse Jeny eccitata.
Suo padre socchiuse la bocca come per dire qualcosa, ma vi infilò subito l'ultimo boccone di uova strapazzate. Jeny cominciò a sparecchiare.
Sì, quel rivolotto di sangue neppure la pioggia della notte è riuscita a togliertelo di dosso...
Un lampo le balenò negli occhi.
«Hai detto qualcosa?» le chiese suo padre. 
«Che domani uscirò prima per...»
«No, quello l'ho sentito... Un istante fa, intendevo...» 
«Certo che no» rispose Jeny, spaventata e chiedendosi se forse avesse pensato ad alta voce. 
Imbarazzata, e per confondere un po' l'atmosfera di dubbio, cominciò a canticchiare un motivetto imparato quando era ancora un'allieva della scuola materna di Conway. Allora odiava indossare quegli stupidi grembiulini rosa, che la facevano sentire una piccola Barbie, e credere che le differenze rispetto alle altre bambine ne venissero appiattite. Per dispetto a quella regola imposta al vestiario, era solita sbottonare il grembiule in modo da distinguersi almeno in qualcosa. Ma non sapeva che sarebbe stata comunque inconfondibile, anche da dietro un'armatura. I suoi occhi avevano sempre fatto la differenza. Azzurri, infantili anche da adulta, capaci di far sciogliere persino un diavolo come una zolletta di zucchero dentro a una tazza di cioccolata.
Suo padre prese in mano il giornale e iniziò la propria lettura serale.
Jeny, terminato di rassettare la cucina, cercò di ritirarsi in camera il prima possibile.
Chiusa la porta dietro di sé, cominciò a rileggere lentamente, ad alta voce, la storia appena terminata. Ad ogni capitolo emetteva un gridolino di felicità, perché di tutte le storie scritte sino a quel momento, quella le pareva di gran lunga la meglio riuscita.
Piena di colpi di scena, e particolari paurosi da togliere il fiato. Ma, arrivata al quarto capitolo, i fogli le caddero fra le braccia, librandosi soffici, in parte posandosi sulle ginocchia e in parte sul pavimento. Un sonno che si portava dietro ormai da settimane prese il sopravvento. Finalmente, dopo tanta febbre creativa, poteva riposarsi e liberare, anche solo per una notte, la mente. Ma la sua mente non era mai libera. E i sogni furono puntellati delle stesse creature a cui aveva dato vita nell'ultima storia. Anziché un sonno ristoratore, fu un duello contro ogni frammento della notte che si portava in grembo, e da cui neppure la scrittura - seppur attutendola - avrebbe potuto svincolarla del tutto.
Il mattino arrivò con le sue luci cariche di promesse e di speranza. Jeny riaprì gli occhi e sistemò i fogli in un cassetto della scrivania, chiudendolo a chiave.
Si guardò allo specchio: più che una notte, pareva fosse passata una guerra sul proprio corpo, e delle borse - ancor più terribili di qualsiasi particolare avesse riversato nel racconto - avevano fatto capolino sulla sua faccia, rendendola simile a un pallone gonfiato.
Jeny, controllando l'ora, si accorse di essere in ritardo, si risciacquò il viso con dell'acqua fredda, prese lo zaino e un pezzetto di pane da morsicare lungo il tragitto, montò in sella alla propria bici verde acceso, e corse al ritrovo programmato con i suoi compagni.
Ma, appena raggiunto il gruppetto della recita in inglese, già nessuna traccia della nottata rimaneva sul volto. Gli occhi azzurri brillavano come delle montagne pulite nell'aurora, e le borse sotto agli occhi avevano lasciato posto ad un colorito tanto perfetto da sembrare dipinto coi pennelli.
Quanta carne inutile, vi potrei bollire tutti e gettarvi in pasto a dei cani randagi...
Si concentrò, per assicurarsi di non proferire parola. Chi mai avrebbe potuto immaginare simili pensieri?
Il suo sguardo amabile li teneva più nascosti che il cassetto chiuso a chiave i suoi fogli.
   
 
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