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Autore: Little_GirlMoon005    30/07/2019    0 recensioni
"Markus..."
Ciò che gli uscì dalle labbra fu solamente un sussurro,
incapace di dire altro o solamente ripetere quel nome ad alta voce (...) "
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Markus/RK200, Simon, Simon/PL600
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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simarkus Aveva iniziato a nevicare.

Markus alzò lo sguardo, osservando i primissimi fiocchi di neve cadere sul suo viso e intorno a lui. Tutta via rimase seduto lì, su una sporgenza di quel relitto abbandonato, con le gambe a penzoloni. Gli piaceva stare lì; era tranquillo, regnava quasi il totale silenzio, e in lontananza si intravedeva una parte della città di Detroit, composta da enormi grattacieli.

La calma di quel posto lo aiutava anche a riflettere.

Aveva riflettuto sulla sua influenza su Jericho, a quanti altri androidi era riuscito a liberare e farli unire alla loro causa. Tutti quanti lo guardavano come una sorta di... salvatore. La loro unica speranza di essere liberi. Tutti si fidavano di lui. Tutti credevano in lui.
Ma meritava davvero la loro fiducia? Era davvero il leader che meritavano?

Aveva fatto uscire questa gente dall'oscurità che li teneva sicuri, ma prigionieri. Li aveva resi liberi, ma al tempo stesso li aveva condannati a morte. Le vittime c'erano state, e non sarebbero state le ultime. Stava davvero facendo la cosa giusta?

Tutte domande a cui non riusciva a dare risposta. Era così perso nei suoi pensieri che non sentì i passi della figura alle sue spalle.

"Ehy..."
Markus sobbalzò girando di scatto il capo. "Oh... sei tu Simon." sospirò, mentre l'altro gli si avvicinava timido. "Scusa, non era mia intenzione." disse con un lieve imbarazzo.
Poi indicò la sporgenza. "Posso?" Markus gli sorrise mite e si spostò un poco, abbastanza che Simon si sedesse vicino a lui.

"Anche a te piace venire qui?" domandò l'androide biondo.
"Si, è come... ritrovarsi soli con se stessi." rispose il leader di Jericho. "Abbiamo qualcosa in comune allora." affermò Simon, girandosi verso di lui. "Come stai? Eri parecchio silenzioso, prima." Chiese pacato.

Markus riflettè qualche secondo prima di parlare. "Non lo so Simon. Tutte quelle persone mi seguono senza fare domande. E mi obbediscono senza esitare. Avere questo tipo di potere è... soddisfacente, ma al tempo stesso mette paura." Si voltò incontrando gli chiari del biondo. Il suo sguardo era limpido e sereno come un mare calmo. "Chi mi assicura che non fallirò?" disse, quasi cercando il suo consiglio.

Da una parte Simon sentiva che non avrebbe potuto essergli di alcun aiuto. Ma volle tentare.
"Quando.. sono scappato e sono arrivato qui, ho trovato altri che, come me, volevano essere liberi. Credevamo che rimanere nell'ombra, senza agire, fosse la soluzione più giusta. Ma quella non era la libertà che mi aspettavo. E mentre alcuni tentavano di trovarci, altri morivano lentamente."

Sorrise. "Poi sei arrivato tu. Ci hai fatto capire quanto valessimo, che potevamo reagire e far sentire la nostra voce. La differenza sta che grazie a te abbiamo qualcosa per cui vivere, se mai dovessimo morire non lo faremo invano. Questa era la libertà che cercavamo, e che tu ci hai dato."

Aveva parlato con assoluta calma, nel tono della sua voce si percepiva la sua completa fiducia nelle capacità di Markus. Quest'ultimo lo guardò stupito, non l'aveva mai sentito parlare così. Simon distolse lo sguardo, sentendo quei occhi bei bicromati guardarlo intensamente. "Ho... parlato troppo?"

Markus rise. "No, Simon. Sei stato sincero, e ti ringrazio." gli disse, col cuore più leggero. Simon aveva questo strano dono di farlo sentire bene in ogni circostanza. Perfino in quella, quando i dubbi e le incertezze avevano preso il sopravvento.

"Chi eri, prima di venire qui?" la domanda di Simon spezzò il silenzio che era calato tra i due. Non aveva fatto a meno di notare che Markus non parlò molto di sè, al suo arrivo. Era curioso di sapere il suo passato. Markus sospirò, guardando il panorama davanti a sé. "Facevo da assistente a un anziano," disse, "si chiamava Carl, un pittore. Era... come un padre per me. E mi ha mostrato che umani e androidi possono vivere insieme, in armonia."

Fece una pausa per un momento prima di voltarsi verso Simon. "E tu invece? Non hai mai parlato del tuo passato."
Lui gemette senza volerlo. "Io... non ne voglio parlare," distolse lo sguardo. Probabilmente era una ferita ancora fresca. "Non vorrei nemmeno ricordare."
"Abbiamo tutti... qualcosa da dimenticare, ma dobbiamo sapere chi eravamo, per definire chi siamo."

L'androide biondo sembrò trattenere per un attimo il respiro. Poi parlò;
"Ero un semplice androide casalingo, progettato per le faccende domestiche e prendersi cura dei bambini. Il nostro modello era il più venduto, almeno fino a quando ne uscì uno migliore." cominciò a torturarsi le mani, gesto involontario che mostrata tutta la sua agitazione. "La mia famiglia era molto semplice; madre, padre, un unico figlio. E poi c'ero io, un modello diventato obsoleto."

"Simon..." Markus allungò una mano posandola sul suo ginocchio.
"Il padre passava più tempo al lavoro che a casa. Un uomo debole e alcolizzato, a cui è capitato di alzare le mani sulla moglie. Lei era superficiale, e frustata... che nascondeva i problemi come polvere sotto il tappeto. Inutile dire quanto il figlio soffriva in questa situazione, e cercava più conforto in me che in loro."

Simon sentì la propria voce tremare, ma si costrinse a continuare, ingoiando quel forte nodo alla gola. "Suo figlio mi aveva chiamato... papà. E io... io non capivo... perché? Perché... chiamava me così, e non il sangue del suo sangue? Io ero solo plastica... un oggetto da sostituire, ma per lui ero tutto ciò che aveva."
La mano di Markus strinse la sua, una presa confortante che fece calmare un po' Simon.

"Un giorno il padre ha bevuto così tanto che non riusciva a camminare decentemente. Doveva aver saputo... perchè mi aveva scagliato contro il muro, non capisco da dove sia uscita una tale forza. Calci... pugni... ha iniziato a gridare che mi avrebbe distrutto, perché gli stavo portando via suo figlio. Perché se lui mi odiava era colpa mia-"
Simon si interruppe, sentendo una lacrima rigargli una guancia. Markus gli stringeva ancora la mano. "Non so come sia successo... ma è stato come abbattere un muro che ti impediva passare. E quando è crollato mi sono sentito... libero."

L'androide biondo volse lo sguardo lacrimoso verso Markus. "Ho iniziato a piangere," Simon rise debolmente, "Il mio primo atto da deviante è stato... piangere. L'uomo mi ha lasciato andare, mi ha guardato... e si è fatto una grossa risata. Un androide che piange? Questa sì che è bella! aveva detto. Non ce l'ho fatta, e sono scappato..."
Un altra lacrima solitaria gli rigò il viso, venne catturata dal pollice di Markus che iniziò ad accarezzargli la guancia.

"Ho pianto anch'io," disse dolcemente Markus, la voce bassa e gentile, "quando sono diventato deviante. Ho visto morire l'unica famiglia che avevo davanti ai miei stessi occhi. A volte penso a cosa sarebbe successo se avessi reagito. Forse... sarebbe ancora vivo."
Simon allungò la mano per accarezzare quella di Markus, ancora poggiata sul suo viso. L'androide dalla pelle scura portò la testa di lui dolcemente contro il suo petto, stringendolo poi a sè cingendogli le spalle con l'altro braccio.

Il calore quasi confortante del corpo di Markus lo investì, e Simon non fece altro che lasciarsi andare fra le sue braccia.



// SIMON ∧ //


  
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