Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: MEBsSoul    01/08/2019    2 recensioni
John si sentiva oppresso dalla folla da tutta la vita. Ogni giorno, quando apriva bocca per dire qualcosa, doveva sempre ponderare attentamente ciò che avrebbe voluto dire. A volte mentiva, molto più di quanto voleva.
"Sono gay". Questo non doveva neanche pensarlo.
-
Lui non piaceva a nessuno, doveva essere lui ad adattarsi agli altri, perché non va bene che un ragazzo faccia il saccente, non va bene che un ragazzo trovi vera soddisfazione solo nel risolvere crimini, specie gli omicidi. Quindi meglio tentare una terapia che starsene con le mani in mano.
-
-So come potrei batterlo, ma ho bisogno della tua conferma.-
Non dovette pensarci molto.
-È più facile di come sembra. Non devi dargli uno schema.-
Genere: Mistero, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Lestrade, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Lemon, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO 8

 

Sherlock e lo psicologo avevano passato una decina di minuti in silenzio. L'uomo l'aveva salutato, ma il ragazzo, dopo essersi sbattuto la porta dietro, si era limitato più a cadere che a sedersi sulla poltroncina, senza mai guardare l'altro.

-Non hai nulla da raccontarmi, Sherlock?- il ragazzo alzò gli occhi, ma continuò a non dire niente -Proprio nulla?- silenzio assoluto.

Lo psicologo si segnó un appunto su un quadernino. Non era il loro primo incontro, ma anche le altre volte Sherlock non sì era degnato di dire una parola e così il dottore si era ritrovato con neanche mezza pagina scritta su quel ragazzo.

-Sherlock, perché vieni qui?- l'istinto di rinfacciare domande che hanno risposte palesi prevalse sul mutismo di Sherlock.

-È ovvio. Lei non può dire ai miei genitori in cosa consistono queste sedute, ma può dire loro se mi presento o meno.- l'uomo annuì leggermente con un accenno di sorriso.

-Finalmente sento la tua voce.-

-L'aveva già sentita. Alla prima visita, quando ci presentammo.- replicò Sherlock sbuffando.

-Certo, hai ragione.-

-Lo so.- lo psicologo si trattenne dallo sbuffare. Era uno psicologo scolastico, quindi era abituato a tutte le bizzarrie adolescienziali, ma Sherlock era tutto meno che un adolescente. Sherlock era mentalmente definibile o come un bambino o come un adulto, non aveva una via di mezzo.

-Come ti è andata oggi la giornata?- le sedute non potevano proprio più andare avanti in quel modo.

-Senta, se vuole che io risponda alle sue domande, ne faccia di più intelligenti. Lo sa come mi è andata la giornata, o per lo meno può tirare a indovinare.- finalmente sul quadernino venne scritta una frase diversa.

Determinato ma alla lunga non regge la noia.

-Perché dici così?- Sherlock ripensò all'incontro con gli amici di Ian, al fatto che non era la prima volta che gli capitava una cosa del genere. Inevitabilmente, ripensò a quel che gli aveva detto John quella mattina.

Non ci tengo particolarmente a farmi mandare a fanculo.

In fondo sapeva cosa intendesse in realtà John, ma questo non lo aiutava, gli creava solo confusione, non capendo perché se la stesse prendendo tanto.

-Dico così perché lei non mi sopporta, così come chiunque in questa scuola. Anche se non fosse sicuro, di certo avrà ipotizzato almeno una volta che qui tutti cercano di farmi avere un'esperienza scolastica infernale.- lo psicologo restò senza parole per qualche secondo. Quel ragazzo sarebbe potuto essere il primo a farsi un'autoanalisi corretta, cosa che gli fece venire in mente un paio di domande.

-Cosa ti fa pensare che io non ti sopporti?-

-Sono il classico studente intelligente che non si applica. Con me probabilmente ha una frustrazione ancora più alta contando quanto io sia oggettivamente più intelligente di tutti.-

Alta autostima e consapevolezza.

-Se per te questa scuola è un inferno, perché non cerchi di cambiare le cose?- Sherlock fece un sorriso sarcastico.

-Ho detto che tutti cercano di farmela vivere come un inferno. Non ho mai detto che ci riescono.- il dottore scosse leggermente la testa, guardò l'orologio e abbandonò la penna sul tavolo, ma non prima di scriverci un'ultima frase.

Sa mentire bene.

-Puoi andare, la seduta è finita.-


***
 

Sherlock si era messo ad aspettare John nello stesso punto in cui l'altro lo aveva aspettato durante l'incontro con lo psicologo, ma restando in piedi.

Che John non avrebbe cominciato a fargli domande su quell'incontro da subito se lo aspettava. John era il tipo che non farebbe mai agli altri ciò che lui non vorrebbe gli fosse fatto. Era il primo adolescente di quel genere che Sherlock incontrava. Di solito quel comportamento, quelle poche volte che si manifestava nei suoi confronti, veniva da persone adulte, i ragazzi invece se ne fregavano, quando volevano una cosa se la prendevano e basta.

Perciò sì, non lo stupiva che John non gli avesse fatto domande. Era John stesso che lo sorprendeva, per quanto Sherlock potesse essere sorpreso.

Per non restare vittima dell'attesa, se c'era qualcosa che non sapeva davvero gestire era l'attesa priva di distrazioni, accese il proprio cellulare e si mise a esplorare le pagine online con le notizie del momento. Trovò una notizia che sembrava fare al caso suo dopo pochi minuti: era stato trovato un cadavere in un appartamento di una strada abbastanza vicina al college, Sherlock ci si sarebbe recato dopo che John gli avrebbe riferito la sua conversazione con Ian.

Alla fine ciò che John gli disse servì solo a confermare ciò che Sherlock già aveva ipotizzato. Che il killer fosse un sadico lo avrebbe detto chiunque, del resto si trattava di una persona che ne aveva uccisa un'altra volontariamente. Ma la descrizione che Ian aveva dato della madre indicava un livello superiore di sadismo. Quella persona aveva sì scelto la vittima a caso, ma poi si era informata e di certo aveva scoperto che quella donna era amata. La maggior parte dei killer scelgono di uccidere persone dimenticate dal mondo, persone di poco conto. Lui no, lui aveva scelto di far soffrire le persone care alla vittima più della vittima stessa.

-Quindi?- chiese John una volta che Sherlock ebbe finito di elencargli la sua lista di deduzioni.

-Quindi devo aspettare. Questo è intelligente, ha lasciato pochissime informazioni su cui riflettere.-

-Cosa devi aspettare?- Sherlock sorrise. Era il primo della sua carriera e aveva solo diciassette anni, la cosa lo eccitava non poco.

-È un serial killer.- John lo guardò atterrito -Potrò andare avanti solo con un altro omicidio.- era seccato, quel caso gli stava rubando davvero troppo tempo. Ma allo stesso tempo ne era entusiasta, aveva sempre cercato il caso perfetto, di quelli che quasi non ti fanno dormire la notte e dietro cui c'è probabilmente un genio. Fino a quel momento gli erano sempre toccati casi banali, la maggior parte dei quali era riuscito a risolvere semplicemente leggendoli sul giornale o, come poco prima, dal telefono. Non aveva mai dovuto fronteggiare un vero rivale, qualcuno che potesse anche solo avvicinarsi alla grandezza della sua mente. Se l'assenza di indizi non era un caso, e non lo era, aveva per le mani una vera sfida.

Ma quando guardò John, non vide in lui lo stesso entusiasmo. Aveva uno sguardo severo, non glielo aveva mai visto prima. Lo stava guardando come lo guardavano i professori quando non faceva i compiti, con delusione.

-Okay, quale principio morale ho infranto?- era sicuramente una cosa del genere il motivo di quell'ostilità, era perfettamente in linea con la personalità di John.

-Davvero non ci proverai neanche?- aveva le braccia incrociate e stavolta non era come la frase fraintesa di quella mattina, l'astio era tutto vero. Sherlock fece una smorfia.

-È quello che ho fatto fin'ora.-

-Quindi lascerai tranquillamente che qualcuno venga ucciso e, anzi, te ne servirai?- Sherlock John non lo capiva proprio, e la cosa gli dava ancora più fastidio del fatto che lo stesse rimproverando. A volte lo appoggiava completamente, lo cercava, anzi, spesso lo imitava andando con lui sulle scene del crimine, altre reagiva così, come avrebbero reagito tutti.

-Ma cosa dovrei fare? Essere un genio non conta quando non c'è proprio niente da dedurre!-

-Potresti per lo meno fingere che ti dispiaccia!- la voce di John si era alzata.

-Il mio dispiacere non porterà l'assassino in prigione.- John stava per ribattere, ma Sherlock si era stancato, quella conversazione era inutile e gli faceva anche perdere tempo.

Semplicemente, se ne andò con uno sbuffo e alzando gli occhi al cielo, lasciando John così, a chiedersi cosa diamine era appena successo.


***
 

Londra era come un'isola del tesoro per Sherlock. Ovunque guardasse, poteva scorgere anche solo un minimo di decadenza e criminalità, anche dove chiunque altro avrebbe visto solo una grande città piena di attrazioni.
A volte fantasticava di essere nato in un'altra epoca, per potersi trovare faccia a faccia con i criminali più depravati, quelli di cui neanche si conosce ancora l'identità.

Se ci fossi stato io, si diceva, pensando a Jack lo Squartatore. Ne era certo, se ci fosse stato lui, i libri non avrebbero scritto di quel misterioso essere, tirando a indovinare nomi e descrizioni, ma di colui che l'aveva smascherato. Però non era la notorietà ciò che interessava a Sherlock, lui voleva una connessione, anche breve, con quelle menti disgustose tanto quanto geniali.

In realtà, le sue, più che fantasie erano vere e proprie immedesimazioni. Lo chiamava "palazzo mentale", era una tecnica molto utile, ciò che lo aiutava di più con le sue deduzioni, perché poteva mettere nella sua testa tutto ciò che gli serviva davvero ricordare, per poi eliminarla, come se non ci fosse mai stata. A Freud sarebbe venuto il mal di testa a sentirgliene parlare, se solo Sherlock avesse avuto idea di chi fosse. Aveva provato a spiegarla a John e il suo commento, dopo vari esclamazioni meravigliate, era stato "Magari potessi farlo io, studierei tutto in dieci minuti".

John.

Smise per un attimo di camminare e si guardò indietro, osservando la strada che aveva percorso. La scuola aveva smesso di essere visibile da un pezzo, ma era là, dopo alcune curve e strade.

Provò a immaginare cosa stesse facendo, se si fosse semplicemente messo a studiare o stesse parlando di quel che era successo con Greg. Fosse stata la seconda, Sherlock sperò che fossero semplici confidenze e non degli insulti.

Ma in fondo, non gli importava. John gli era solo utile perché non era un compagno di stanza rumoroso e invadente, perché gli piaceva dire le sue deduzioni ad alta voce. Non si sentì certamente sollevato nel capire che John, per smaltire la rabbia, era sicuramente andato ad allenarsi, sebbene avesse appena vinto una partita. Se si sentiva più leggero era solo perché non avrebbe più dovuto sopportare una conversazione come quella di prima e perché John avrebbe potuto tornare a essergli utile.

Ovvio che era così.

Così come, gli tornò in mente, era ovvia la soluzione del caso che aveva trovato sul telefono.

Ricominciò a camminare, dirigendosi verso il vicolo che gli interessava. Prima, però, entrò in una tabaccheria. Una delle cose che lo infastidiva di stare a scuola, era che non poteva fumare, quindi doveva fare i suoi ragionamenti con la mente lucida, che per tutti gli altri era la cosa migliore, ma per lui no. Fortunatamente, di lì a poco sarebbero iniziate le vacanze di Ottobre.

Uscito dal negozio, si portò una delle sigarette tra le labbra e la accese. Lasciò che la propria bocca, ormai abituata a quel pizzicorio e alla gola impastata, si godesse il fumo che avanzava, andando a scendere giù, fin nei polmoni, poi espirò tutto.

Delle sigarette, a John non ne aveva parlato. Avrebbe reagito come quel giorno, cominciando a propinargli discorsi moralisti dicendogli che si stava solo facendo del male, che era un errore e che davvero da lui non se lo aspettava.

Ma cosa, esattamente, avrebbe dovuto aspettarsi da lui? Non lo conosceva davvero, e Sherlock non poteva certo fargliene una colpa, non è che stesse facendo chissà cosa perché fosse il contrario.

Altri due tiri e si incamminò verso la sua destinazione finale.

Una volta arrivato, notò, in parte compiaciuto, in parte no, che quel caso non era stato preso da Lestrade. Era quello che trovava più odioso, ma allo stesso tempo quello che lo lasciava fare di più. Non che gli altri poliziotti non fossero abituati a vederlo arrivare, ma cercavano sempre di intromettersi e dire le loro opinioni idiote solo per finire le indagini in fretta, alcuni cercavano anche di allontanarlo inizialmente.

Fortunatamente attorno a quel cadavere erano tutti talmente confusi, che avrebbero accettato anche i consigli di un cieco.
Il morto era steso sul pavimento del soggiorno, con un buco in fronte e una pistola poco distante da lui. Sherlock, con qualche teoria già bella che formata nella mente, diede appena un'occhiata per poi spiegare tutto per filo e per segno.

-Era un uomo stressato oltre il limite della sopportazione. È morto da poco, eppure ha delle occhiaie ben marcate. Non ha la fede, quindi non si trattava di un matrimonio in rovina. Dall'abbigliamento si direbbe fosse dedito al lavoro, probabilmente metteva tutte le sue energie in quello. Tornando agli abiti, sì, sono costosi, ma trattati male, il che potrebbe essere un altro segno di stress. Il suo mondo girava attorno al lavoro, quindi la causa della morte riguarda quello...-

-Noi pensiamo si sia suicidato.- Sherlock lanciò uno sguardo furioso all'anonimo detective che se ne stava lì a sperare di poter contribuire e che l'aveva interrotto.

-No. Sbagliato. E non mi interrompa di nuovo. Se non voi, almeno la scientifica dovrebbe essersi accorta che gli hanno sparato da una distanza troppo grande perché possa averlo fatto da solo. Inoltre la pistola è all'altezza della vita e il braccio è disteso, ma per spararsi avrebbe dovuto piegarlo e la pistola sarebbe atterrata sopra la spalla.- gli occhi che lo guardavano erano pieni di vergogna. Sherlock riusciva a far sentire idioti tutti anche senza degli insulti diretti -L'ha ucciso qualcuno che lavorava con lui. Anzi, sarei pronto a scommettere che è stato qualcuno per cui lavorava. Se fossi in voi, farei una visitina al suo datore di lavoro.- sperava fosse un'altra l'ipotesi giusta, una più avvincente che avrebbe potuto occupare più di soli due minuti, una che magari lo avrebbe portato a girovagare per la città in cerca di indizi. Avrebbe fatto un giro comunque, l'aria del college cominciava a soffocarlo.

Uscì dall'appartamento, accendendosi un'altra sigaretta mentre scendeva le scale. I suoi piani riguardo alla gita di Londra furono cancellati.

-Ciao.- John era lì, chiaramente ad aspettare che uscisse dall'edificio. Aveva ancora la divisa della squadra di calcio, cosa che confermava la sua teoria, e stava praticamente morendo di freddo. John avrebbe voluto evitarlo, ma il suo animo moralista fu più forte di lui -Una sigaretta, Sherlock? Davvero?- il più alto neanche rispose.

-Che ci fai qui?- gli chiese.

-Volevo parlarti. A scuola non c'eri, ovviamente, così mi sono informato e ho scoperto di questo cadavere.- Sherlock sfoggiò la migliore delle sue espressioni sorprese, anche se John avrebbe giurato che c'era un pizzico d'orgoglio non riconosciuto.

-Wow. Bella deduzione.- probabilmente, tolta quell'atmosfera di litigio che persisteva, sarebbe stato un complimento più sentito -Cosa volevi dirmi?-

-Voglio scusarmi, ho reagito in modo pessimo. È che ci sono rimasto male, ma è stato stupido.- e l'atmosfera pesante svanì -Dio, è la seconda volta che mi scuso con te oggi.-

-In realtà la prima non dovevi. Avevo capito male io.- Sherlock aveva risposto d'istinto, ma vedendo il sorriso di sollievo di John si disse che non era stato un grande errore. E John non fece commenti sul "Avevo capito male io", quindi poteva rilassarsi, per quanto Sherlock ne fosse capace, anche lui.

-Bene.- John sorrise -Che si fa ora?-

-La mia intenzione era di andare a caccia di malviventi in giro per Londra. Ma prevedo che se starai qui vestito così per altri venti minuti ti prenderai un pesante raffreddore. Quindi torniamo a scuola.- in realtà a John non sarebbe dispiaciuto troppo girovagare per Londra con Sherlock, ma effettivamente sentiva già la gola cominciare a pizzicargli.

Sherlock allungò il braccio verso la strada e un taxi si fermò per farli salire, non prima che Sherlock buttasse la sua sigaretta. Stettero seduti e in silenzio sui sedili posteriori per un po', entrambi a guardare fuori dal loro finestrino, poi John cominciò a parlare.

-Senti, questa cosa che fai con le deduzioni è davvero fantastica.- Sherlock tese l'orecchio -Ma così non vale. Dio solo sa quante cose hai capito di me, mentre io ti conosco davvero pochissimo.- il riccio lo guardò.

-Quindi?-

-Quindi mi è venuta un'idea. Io ogni tanto ti farò delle domande che mi verranno in mente, tu risponderai e poi cercherai di dedurre quale sarebbe la mia risposta.- Sherlock non sapeva bene come reagire alla proposta. Nessuno era mai stato interessato a ciò che pensava, anzi, tutti facevano sempre il possibile per non venire a saperlo. Il gioco proposto da John era quanto di più fuori dalla sua routine ci potesse essere. Ma Sherlock e la monotonia erano vecchi rivali.

-Okay.- John si mise a pensare alla prima domanda.

-Colore preferito?- Sherlock aggrottò le sopracciglia.

-Davvero, colore preferito? Non ho un colore preferito, è una cosa inutile.-

-Oh andiamo, fa uno sforzo!- Sherlock sbuffò, ma alla fine cominciò a pensarci seriamente. Non si era mai soffermato su una cosa del genere, anche se normalmente era una decisione che prendono i bambini fin dai loro primissimi anni di vita. Fu un pensando questo che trovò la risposta.

-Blu scuro.- John non ne fu sorpreso, era un colore che gli avrebbe associato istintivamente, ma non sapeva il vero motivo di quella risposta, da quale parte del suo inconscio provenisse.

Pensare a un colore per John fu molto più semplice. John era solare, almeno esteriormente, cercava il più possibile positività, un colore che rispecchiava entrambe le cose era il giallo, ma era anche profondo e un colore profondo simile al giallo ma non abbastanza era il rosso. Rendendosi conti dei pensieri che stava facendo si diede dell'idiota.

I colori non hanno personalità.

-Il tuo è l'arancione.- l'arancione era il connubio tra il giallo e il rosso. John sorrise incredulo.

-Giusto. Ma come fai?- Sherlock alzò le spalle.

-Osservo.-

-Anche io osservo, però...-

-No, John, tu guardi. Attentamente, ma guardi. Ma tranquillo, praticamente tutto il mondo si limita a guardare.- qualcun'altro si sarebbe potuto offendere, ma John ne rimase semplicemente affascinato -Ad esempio: dimmi cosa vedi in questo tassista.- lo prese alla sprovvista, ma doveva ammettere che da quando aveva conosciuto Sherlock, ogni tanto provava a osservare (guardare attentamente) qualcuno e vedere cosa ne usciva fuori.

-Allora, non ha la fede, quindi non è sposato. È lievemente in sovrappeso, questo potrebbe spiegare il fatto che suda sebbene siano i primi di Ottobre e non ama le chiacchiere, visto che tiene il vetro che separa la parte anteriore da quella posteriore dell'auto chiuso e la radio spenta.- sentiva che non era tutto, ma era il meglio che potesse fare.

-Bene.- gli occhi di John si accesero -Hai guardato attentamente.- e proprio quegli occhi, John li alzò al cielo, mugugnando leggermente.

-Non indossa la fede ora, ma se ne vede il segno attorno al dito, quindi ne possiede una ed è sposato, solo che non porta l'anello mentre lavora perché ha paura che glielo rubino o che possa perderlo in qualche modo. Questo, insieme al tenere chiuso il vetro e la radio spenta, denota un serio problema d'ansia, talmente serio da farlo sudare e mangiare esageratamente, che effettivamente alimenta il sudore eccessivo.- John era rimasto a guardarlo sbalordito per tutto il tempo -Vuoi una dimostrazione?- senza aspettare una risposta, aprì il vetro che li separava e vi si avvicinò -Signore, come sta sua moglie?- l'uomo, se possibile, cominciò a sudare ancora di più.

-Oh, ehm, sta... Sta bene.- rispose, mentre apriva e chiudeva la mano sinistra attorno al volante, un gesto che diede ancora più valore alla diagnosi d'ansia di Sherlock.

-Ne sono contento.- detto questo, Sherlock richiuse il vetro e si voltò verso John, il quale stava ridendo.

-Okay, okay, è sposato e ha l'ansia. Complimenti.- Sherlock sorrise orgoglioso -Prossima domanda...-

-Prima che tu me la ponga, ti avverto che non risponderò se sarà di nuovo una domanda del livello dei bambini dell'asilo.- John si mise a ridere, e Sherlock fece qualcosa di abbastanza simile a una risata.

Effettivamente John non aveva la minima intenzione di continuare con domande del genere, anzi, voleva approfittarne per capire Sherlock il più possibile. La domanda sui colori era semplicemente per iniziare con calma.

Arrivati a scuola gli aveva già fatto qualche altra domanda e ormai l'atmosfera era di nuovo normale. Ovvero, tutto l'opposto di "normale", trattandosi di Sherlock.

 

 

Angolo Autrice:

Eeee finalmente ce l'ho fatta. Scusate se ci ho messo tanto, ma per lo meno è il capitolo più lungo che abbia mai pubblicato e anche, secondo me, uno dei meglio riusciti.
La parte che ho preferito scrivere è stata decisamente quella di Sherlock in giro per Londra.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: MEBsSoul