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Autore: Tinkerbell92    02/08/2019    1 recensioni
[Magnus Chase e gli Dei di Asgard]
SPIN-OFF PREQUEL SULLA SAGA DI MAGNUS CHASE
Di una cosa sono certa: mai e poi mai mi sarei aspettata di incappare in uno zombie assassino tornando a casa dalla parata Pride di Boston, mentre attraversavo l'Esplanade ancora avvolta nella bandiera arcobaleno. Non mi sarei nemmeno aspettata di venire caricata a forza su un cavallo di nebbia dalla sosia di Sansa Stark, per ritrovarmi poi catapultata tra i protagonisti dei miei libri di mitologia norrena.
Dèi, mostri, eroi... roba da pazzi.
Eppure eccomi qui, invischiata in situazioni più grandi di me con dei compagni d'avventura piuttosto insoliti.
Onestamente non so cosa minerà maggiormente l'equilibrio della mia psiche: se la scoperta delle mie origini o la condivisione di un terribile fardello con una sfortunata dea dal volto sciupato...
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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RILEY JENKINS E GLI DEI DI ASGARD
 IL FARDELLO DI SIGYN




Capitolo 4

Mai entrare negli spogliatoi in disuso





La cena era stata piuttosto soddisfacente: Lilly era riuscita ad accaparrare degli ottimi posti in quarta fila, sulle gradinate della mensa, in modo da avere una buona vista sui posti d’onore, dove i due nuovi einerjar avevano raccontato le loro imprese. Uno dei due aveva genitori umani, l’altro si era rivelato discendente di Odino – qualcosa come bis-nipote.
Tornata in stanza, cominciai a svolgere una ricerca approfondita su Njord, la sua storia e i suoi poteri, appuntandomi possibili esperimenti per testare le mie capacità.
La cosa buffa è che in ogni testo disponibile veniva ripetuto almeno tre volte quanto fossero belli e perfetti i piedi di Njord. I miei mi pareva non avessero nulla di speciale, anzi, grazie alla mia fantastica taglia 42 faticavo non poco a trovare scarpe adatte nei reparti femminili.
Dopo circa un paio d’ore di studio, qualcuno bussò alla porta: esattamente come il giorno prima, mi ritrovai faccia a faccia col sorriso di Lilly.
- Spero di non disturbarti – cominciò. – Vedi, ogni tanto capita che Alviss faccia fatica ad addormentarsi, così siamo abituati a spostarci nella sua stanza per chiacchierare un po’… questo lo aiuta a prendere sonno. Se ti va, puoi unirti a noi…
- Oh…
Ci conoscevamo da poco più di ventiquattro ore, ma i miei compagni mi stavano aiutando molto a integrarmi. Perché perdere un’occasione di conoscerli meglio?
- Ehm… sì, d’accordo.
Avevo una vaga idea di come potesse essere la stanza di Alviss e, in parte, indovinai: i colori predominanti erano il nero e il viola, le luci erano piuttosto soffuse, dando all’intero ambiente un aspetto quasi spettrale; l’atrio d’ingresso si affacciava a un ampio salotto, provvisto di un enorme divano dall’aria antica, di forma circolare. Di fronte a esso c’era un curioso caminetto, le cui fiamme erano tinte di colori freddi.
I miei amici sedevano tutti sul divano. Mi sorpresi non poco vedendo che tra loro c’era anche Elizabeth.
- Già tornata dalla caccia? – le domandai, accomodandomi tra Sitala e Alviss.
La valchiria abbozzò un sorrisetto: - Penso che la mia indagine proseguirà ancora per un po’. Quel maledetto è bravo a nascondersi.
- Beh, che ti aspetti da un figlio di Loki? – la punzecchiò Jace, allargando di proposito le ginocchia per darle fastidio.
- Mettiti composto, idiota! – lo sgridò lei, dandogli una pacca sulla gamba.
- Ehi, ehi, non incominciamo – intervenne Sita. – O vi mettete in testa di andare d’accordo, o evitate di sedervi vicini.
Improvvisamente, fui colta da un’illuminazione: - Un momento… non mi direte che…
Elizabeth sospirò, alzando gli occhi al soffitto: - Sì. Lui è mio fratello, purtroppo. Gemello, per la precisione.
- Sottoscrivo il “purtroppo” – fece eco il rosso. – Essere un einerji dovrebbe darti il vantaggio di non vedere più i parenti rompipalle, ma resti fregato di brutto quando tua sorella è anche la tua valchiria.
- Quindi… sei stata tu a portare Jace nel Valhalla?
La ventenne annuì: - Questo idiota si è fatto ammazzare da un gruppo di delinquenti. Li ha visti in un vicolo, mentre se la prendevano con un senzatetto muto e il suo cane, e si è gettato contro di loro, colpendoli con lo skate. Risultato? Un bel taglio alla gola con un coltellaccio sporco.
- Come se avessi potuto fare diversamente! – esclamò lui.
Elizabeth lo fulminò con lo sguardo: - C’era quel poliziotto nei paraggi, tanto per cominciare, quello che li ha arrestati quando ormai per te era troppo tardi! Potevi richiamare la sua attenzione mettendoti a gridare contro quegli stronzi, per esempio. Ma ovviamente è più facile gettarsi nella mischia senza riflettere e finire ammazzato come un cane, costringendo tua sorella a raccogliere la tua anima!
- Beh, almeno il senzatetto e il cane si sono salvati!
Sgranai gli occhi, facendo scorrere lo sguardo da uno all’altra. Lilly interruppe il momento di silenzio schiarendosi la voce: - Siamo qui per aiutare Alviss a dormire, dubito riuscirà a farlo, sentendovi litigare di continuo.
- Però… - mormorò il giovane figlio di Nott, mettendosi a sedere più composto. – Riley non sa come siamo finiti qui. Potremmo raccontarle le nostre storie. Penso mi aiuterebbe, visto che le ho già ascoltate un sacco di volte…
- In effetti sarei curiosa di conoscerle – replicai. – Tu come sei arrivato nel Valhalla?
Alviss si accomodò nuovamente contro lo schienale del divano:- Nulla di che, in realtà. Sono semplicemente caduto in battaglia nel 1244… già, abito qui da un sacco di tempo – aggiunse, notando la mia espressione sorpresa. – Non è stato proprio un toccasana per la mia già fragile salute mentale. Non ho avuto un’infanzia particolarmente felice…
Mi aspettai che aggiungesse altro, invece si zittì, perdendosi in chissà quali ricordi.
Lilly, seduta alla sua destra, gli carezzò la guancia con fare materno: - È rimasto solo a lungo… ma ora ci siamo noi. Io sono arrivata nel 1832: lavoravo nell’orfanatrofio gestito dai miei genitori a Würzburg. Un giorno, un gigante di fuoco fece irruzione, attirato dalla presenza di un piccolo semidio, un figlio di Frigg; ai miei occhi era apparso come un pazzo armato di esplosivi. Lo affrontai con il fucile che mio padre teneva nel proprio studio, ma naturalmente non bastò: fece saltare in aria l’intera struttura. Fortunatamente, i miei genitori erano riusciti a mettere in salvo i bambini nel cortile, ma insieme a me morirono tre cameriere, la cuoca e uno dei giardinieri. Fu grazie alla mia valchiria, Jane, che il gigante venne sconfitto.
- È… terribile – mormorai a fatica. – Ora però capisco perché ami tanto prenderti cura delle persone.
Lilly sorrise, dando una piccola alzata di spalle: - Vecchie abitudini che mi rendono ancora felice.
Incrociai per un attimo lo sguardo con Alviss, che sembrava ancora assorto nel proprio mondo. Non osai chiedergli quali orrori avesse dovuto affrontare durante la propria infanzia, così mi voltai a sinistra, verso Sitala: - E tu come sei finita qui?
La bella nativa scoprì la sua perfetta fila di denti bianchi: - Ho affrontato anch’io un mostro mitologico, un drago. Giunse alla nostra riserva e, in una notte, uccise tre persone e ne trascinò via una. Il mattino dopo, mentre cercavamo nei boschi i possibili resti della vittima rapita, fui avvicinata da un uomo afroamericano alto e robusto: non mi diede il tempo di chiedergli cosa ci facesse lì, si limitò a consegnarmi un grosso fucile e un sacchetto con proiettili, a detta sua, adatti a sconfiggere la creatura malvagia. Non avevo idea di chi fosse, né come facesse a sapere del mostro, ma qualcosa dentro di me mi spingeva a fidarmi di lui. Immagino tu abbia capito: quell’uomo era Heimdall. Naturalmente, la notte stessa il mostro tornò, ma riuscii ad affrontarlo grazie all’arma che mio padre mi aveva donato. Lo attirai lontano dalla riserva, per non mettere a rischio la mia gente, e lo uccisi, anche se a costo della mia stessa vita. E questo… beh, è quanto.
- Tuo padre è intervenuto per aiutarti? – esclamai. – Pensavo che gli dèi non avessero contatti diretti con i figli mortali…
- Dipende dalla divinità in questione – spiegò la ragazza Miwok. – Alcuni ti ignorano completamente, altri agiscono restando nell’ombra… e poi ci sono quelli che, invece, cercano di essere presenti.
Provai una piccola punta di invidia: prima di diventare einerji, percepivo i miei genitori biologici come vaghe idee, distanti e irraggiungibili. Mi era capitato di fantasticarci su, qualche volta, ma nulla di più; e poi, ero felice con Peggy, l’unica figura materna che avrei sempre riconosciuto come tale.
Adesso, però, qualcosa era cambiato, avevo scoperto che mio padre era una divinità norrena e che avrebbe potuto benissimo darmi qualche cenno della propria presenza. Aveva avuto diciotto anni di occasioni per farlo, ma evidentemente aveva scelto di far parte del gruppo “Ignoriamo completamente”. Molto carino da parte sua.
Alzai lo sguardo, incontrando quello di Ben che mi sedeva di fronte, dalla parte opposta del divano rotondo. Le fiamme del caminetto coloravano i suoi lineamenti di blu, verde e violetto e mandavano un debole luccichio tramite il ciondolo con la Stella di David appeso al suo collo.
Mi resi improvvisamente conto di provare timore per ciò che avrebbe potuto raccontarmi.
- Ben… - esitai.
Le sue labbra ben disegnate si piegarono in un sorriso benevolo: - Non amo molto raccontare la mia storia...   
- Non ti preoccupare, capisco benissimo, non serve che tu lo faccia.
- Ti ringrazio - mormorò lui.
- E… per quanto riguarda Mia? Potrei sapere cosa le è successo? O perlomeno come è arrivata qui? Il suo cognome…
- De Medici – s’intromise Elizabeth. – Sì, quei Medici, la famiglia che governò Firenze.
Un sorriso decisamente radioso illuminò il volto di Ben: - Era figlia di Giovanni, fratellastro illegittimo di Lorenzo il Magnifico, e di sua moglie, Luigia De Medici. Beh, questo almeno ufficialmente…
- Il vero padre di Mia è Tyr – spiegò Sitala. – Ma naturalmente, ha scoperto questa verità dopo essere diventata einerji…
Si era creata una sorta di coralità, all’interno del gruppo: ognuno sembrava desideroso di dire qualcosa sulla ragazza scomparsa.
A prendere parola, questa volta, fu Alviss: - Mi ricordo il suo arrivo nel Valhalla, nel 1480: è stata la mia primissima compagna di piano. I primi tempi sono stati difficili per lei: già al banchetto, quando la vala rivelò l’identità di suo padre, aveva reagito piuttosto male. Nel corso degli anni, abbiamo stretto amicizia e ci siamo fatti compagnia per circa quasi quattrocento anni, prima che, finalmente, arrivasse Lilly.
La bionda gli sorrise, posando la propria mano sulla sua con fare affettuoso. Nonostante l’aspetto fisico e l’età, si comportavano quasi come fossero madre e figlio.
- Mia crebbe in un ambiente aristocratico – continuò la ragazza tedesca. – Nonostante suo padre fosse un figlio illegittimo, fu trattato dai fratellastri con riguardo, tanto da contrarre il matrimonio con una delle loro cugine. Mia ci mise poco a farsi conoscere dalla nobiltà fiorentina: era nota per la sua bellezza ma anche, e soprattutto, per il suo – mimò il gesto delle virgolette con le dita. – caratteraccio.
- Beh, non ci si può aspettare che una figlia di Tyr sia docile e obbediente – ridacchiò Jace. – Ovviamente, per l’epoca, il suo comportamento ribelle era ritenuto inaccettabile. Non stava mai ferma, scappava di continuo, rispondeva per le rime e aveva una fissa per le armi e i combattimenti. Quando è cresciuta, i suoi genitori hanno tentato più volte di trovarle un marito, ma lei finiva sempre col far scappare ogni pretendente. Finché non se ne presentò uno particolarmente insistente…
Fui colta da un orrendo presentimento: - Ed è… per colpa di questo pretendente che…
Elizabeth diede conferma alle mie parole: - Un giorno, Mia e una delle sue sorelle passeggiavano in un tranquillo boschetto: lui le seguì, tendendo un agguato per prendersi Mia con la forza. Lei portava sempre un pugnale nascosto sotto la veste e lo affrontò, per difendersi e per dar modo alla sorella di scappare e chiamare aiuto; riuscì ad accoltellarlo ma, prima di morire, lui le fece battere la testa contro il tronco di un albero.
- Santo cielo… - mormorai. La storia di Mia mi aveva lasciata a corto di parole. Fortunatamente, Sitala ruppe in tempo la pesante cappa di silenzio che aveva avvolto l’intera stanza.
- Mia è sparita nel nulla circa cinque mesi fa. Era tornata di nascosto su Midgard, non sappiamo il perché, e da allora non è più tornata. Ho chiesto a mio padre di indagare, ma nemmeno lui è riuscito a trovarla.
Riuscii a sciogliere il nodo alla lingua: - E pensate che c’entri Dimitri Lagerfelt?
- Non può essere altrimenti! – sbottò Elizabeth, stringendo i pugni. – Sono anni che cerca di sabotare gli eroi del Valhalla! Quel… quel…
- Ssshhh – intimò dolcemente Lilly. Ci rivolse un sorriso, indicando Alviss poggiato contro la sua spalla. In qualche modo, si era finalmente addormentato.



Riuscii a trascorrere un paio di settimane in modo relativamente tranquillo, almeno, secondo gli standard dell’Hotel Valhalla. Avevo cominciato a formare un legame piuttosto solido con i miei compagni, studiavo e mi esercitavo duramente per riuscire a diventare una guerriera decente.  
Naturalmente, Elizabeth pensò bene di interrompere il mio momento di “quiete” una sera, a cena, con un simpaticissimo annuncio.
- Un attimo di attenzione, prego! – ci richiamò Helgi. – Dopo un’attenta e accurata analisi dell’ultima profezia delle Norne – occhiataccia rivolta al povero Lee Fukuhara. – abbiamo deciso di organizzare una spedizione. Capitan Gunilla ha scelto di affidare l’incarico alla sua valorosa compagna Elizabeth Colbert.
Fece cenno alla valchiria di alzarsi, cedendole la parola. Lizzie si schiarì la voce, osservando il proprio pubblico con fare deciso: - Abbiamo ragione di credere che la profezia voglia spingerci alla cattura del pericoloso criminale Dimitri Legerfelt, figlio di Loki…
- Oh, no, eccola che ricomincia! – borbottò Jace, alzando gli occhi al cielo. – Questa volta è riuscita a convincerli!
- Il nostro compagno, Lee Fukuhara – continuò la valchiria. – Ha confermato di essere rimasto ucciso per colpa del famigerato fratellastro mentre questi cercava di impossessarsi di un’antica reliquia contenente il sangue versato dal dio Tyr, il giorno in cui il lupo Fenris lo privò della mano destra.  
- Il seme del coraggio… - mormorò Alviss. – Possibile che si riferisse a questo?
Elizabeth proseguì con maggiore zelo: - Si parla poi di una rotta da tracciare lungo “lo specchio del cielo”. È piuttosto ovvio che queste parole indichino il mare: le Norne ci hanno suggerito di intraprendere un viaggio alla ricerca della reliquia scomparsa e fermare Lagerfelt. In qualità di leader della spedizione, mi è stato concesso di scegliere la mia squadra: saranno gli einerjar del piano Ventitré ad accompagnarmi.
Sgranai gli occhi, mentre il respiro mi si mozzava in gola. Per un istante, temetti di vomitare la salsiccia di soia ingerita poco prima.
Doveva esserci un errore, o forse si trattava di uno scherzo di pessimo gusto: Elizabeth non poteva aver incluso anche me nella missione, giusto?
Lanciai un’occhiata sconvolta in direzione di Sitala, la quale mi rivolse un sorriso comprensivo.
- Non vorrà che venga anch’io, no? – domandai con un filo di voce. – Sono appena arrivata, sarei… sarei solo d’intralcio… non sono pronta per una cosa del genere!
- Beh… è previsto un viaggio per mare – replicò Ben, con una punta di amarezza. – E tu sei figlia di Njord, signore delle navi… la tua presenza è fondamentale…
Maledissi mentalmente le mie origini, pizzicandomi continuamente le gambe per convincermi che si trattava soltanto di un brutto sogno.
Sfortunatamente, non stavo affatto dormendo.



Non riuscii a dormire bene per le tre notti seguenti, così,  il giorno della partenza, mi ritrovai con due occhiaie spaventose e la vitalità di un telefonino scarico. Feci una fatica immane a indossare un corpetto protettivo sotto i vestiti, tanto che al primo tentativo lo misi addirittura storto – e attribuire la colpa alla mia taglia minuscola di reggiseno non mi aiutò a sentirmi meno stupida.
Fortunatamente, i miei compagni di piano attesero che tutti quanti fossero presenti in corridoio, prima di partire. Avessi dovuto recarmi da sola al punto di ritrovo, mi sarei sicuramente persa.
Ognuno di loro recava con sé l’arma preferita e un po’ li invidiai: io non avevo ancora trovato un’arma con cui riuscissi a sentirmi in sintonia, così mi ero accontentata del lungo pugnale che mi aveva procurato Jace, un gentile omaggio del reparto Oggetti Smarriti.
- Quindi… uno dei passaggi per la Terra… o Midgard, insomma… si trova in uno degli spogliatoi della piscina? – domandai, mentre entravamo in ascensore.
- Già – confermò Sitala. – L’unico spogliatoio perennemente in disuso. Volendo, in realtà, potrei aprire dei varchi io stessa, ma dovrei avere le idee chiare sul luogo da raggiungere. Essere stata fisicamente in quel posto, insomma. Una volta Jace mi ha convinta a provare una destinazione sconosciuta, e… - lanciò un’occhiataccia al compagno rosso. – Beh, non è andata molto bene. Ci siamo ritrovati a Nidavellir ed è stato piuttosto complicato uscirne vivi.
- Bah, non puoi dire non sia stato divertente – ribatté l’altro, tenendo lo sguardo fisso avanti a sé.
Lilly gli posò una mano sulla spalla: - Jace, c’è qualcosa che ti turba?
Il ragazzo alzò gli occhi al soffitto: - Non mi convince per niente questa missione. Lizzie fa girare tutto attorno a quel dannato Dimitri Lagerfelt. Diventa totalmente irrazionale quando si tratta di lui. Non sono un grande interprete, ma dubito che la profezia si riferisse a Lagerfelt: sono piuttosto convinto che mia sorella abbia manipolato le informazioni per convincere il direttore a organizzare una spedizione contro di lui.  
- Sì, anche secondo me l’interpretazione dei versi è stata molto approssimativa – borbottò Alviss. – Il seme del coraggio… perché parlare di seme, se l’oggetto della ricerca è una reliquia con il sangue?
- Mia mi ha parlato, una volta, di quell’oggetto – intervenne Ben. – Ha detto che è un tesoro inestimabile, perduto da anni, che può essere reclamato soltanto da uno, o una, discendente del dio.
- Che proprietà avrebbe? – domandai. – Dona coraggio? Aiuta ad affrontare le battaglie?  
- In un certo senso. Permette di affrontare con successo qualsiasi tipo di battaglia. Fisica e… interiore.
Gli ingranaggi del mio cervello cominciarono a mettersi in moto: - E se… e se Dimitri volesse veramente questa reliquia… potrebbe aver effettivamente rapito Mia. Una figlia di Tyr gli servirebbe per trovarla…
- Assai probabile – annuì Sitala. – Giustificherebbe la sparizione della nostra amica e darebbe conferma ai sospetti che nutriamo da tempo.
L’ascensore si fermò. Uscimmo piuttosto rapidamente, raggiungendo gli spogliatoi maschili della zona sauna. Elizabeth ci aspettava con impazienza di fronte a un camerino dalla porta mezza scassata, su cui era stato appeso il cartello “Fuori Servizio”.
- Bene, eccovi qua! Avete preso tutto?
- Noi sì – rispose Jace, con una smorfia. – Tu invece? Se non sbaglio, ci servirà una nave...
- Già risolto. Ne ho noleggiata una, che ci aspetta ormeggiata al porto di Boston. Allora, siete tutti pronti?
Replicai mentalmente con un “no”, mentre lei spalancava la porta dello spogliatoio in disuso: mi aspettai di trovarmi davanti a un portale magico e luminoso, invece, l’interno del camerino era un semplice… interno di camerino un po’ spoglio. Un pavimento con piastrelle rovinate, una panca sconquassata e un paio di grucce appese al muro.
La valchiria percepì la mia perplessità, infatti mi rivolse un sorriso poco rassicurante: - Non preoccuparti, Riley. Siamo nel posto giusto. Aspetta e vedrai.
Fece un passo avanti e… scomparve nel nulla.
Trattenni a stento un gemito di sorpresa.
- Andiamo – incitò Lilly, offrendomi la mano. – È la tua prima volta. Attraversiamo insieme?
Annuii, serrando le dita attorno alle sue, piccole e morbide. Varcammo quindi la soglia dello stanzino e, da quel momento, tutto attorno a noi parve accelerare.
Mi sentii rivoltare lo stomaco come un calzino, mentre un lieve ma fastidioso pizzicore mi tormentava ogni singolo centimetro di pelle.
Provai a voltarmi verso Lilly: sentivo la stretta della sua mano nella mia, eppure la mia amica pareva essersi trasformata in un insieme di macchie di colore incorporee. Improvvisamente, la sua vocina rimbombò nella mia testa.
- Qualcosa non va… - disse. – Sta durando troppo… non dovrebbe essere…
Prima che terminasse la frase, i nostri corpi subirono un tremendo scossone, prima di venir catapultati contro qualcosa di duro.
Eseguii diverse capriole – in modo del tutto involontario – sbattendo, di tanto in tanto, contro qualcosa che deviava la traiettoria dei miei ruzzoloni.
Quando, finalmente, il mondo si fermò, mi ritrovai rannicchiata in posizione fetale, con la testa che girava e i succhi gastrici che cercavano in tutti i modi di risalire lungo l’esofago.
Un fischio piuttosto fastidioso mi tormentava entrambi i timpani.
Ansimante e dolorante, col volto nascosto tra le braccia, cercai di mettere ordine ai pensieri e, soprattutto, di trovare il coraggio di aprire gli occhi.
Finalmente, quando il fischiò si affievolì, riuscii a percepire il suono di una voce femminile. Era ovattata e indistinta, ma dubitavo appartenesse a una delle mie compagne.  
Con uno sforzo immane, riuscii ad afferrare alcune parole.
- Blitz, eccone un’altra! Guarda!
Mi sforzai di dischiudere le palpebre. Furono necessari diversi tentativi prima di mettere a fuoco qualcosa, oltre ai pallini neri che mi danzavano davanti alle orbite. Dalle tonalità dell’ambiente che mi circondava, intuii dovesse esser scesa la sera.
Vedevo nitido a metà: la lente sinistra degli occhiali era attraversata da una lunga crepa. Fantastico, ci voleva proprio.
C’erano due figure chine su di me. Quella più vicina, che capii essere inginocchiata, era una ragazza piuttosto carina, bassa e formosa, con la pelle abbronzata e grandi occhi celesti. Portava i capelli castani sciolti e diversi ciuffi le cadevano davanti al viso.
La seconda figura era un giovane uomo, tarchiato e abbigliato con abiti sporchi e trasandati, che capii essere un senzatetto. Aveva una carnagione piuttosto scura e continuava a passarsi la mano sulla barba con fare pensieroso.  
Per un attimo, mi parve di scorgere una lieve somiglianza tra i due, ma pensai di essere ancora confusa dalla strapazzata appena ricevuta: cosa potevano avere in comune un povero barbone sporco e una giovane donna assai graziosa e pulitissima?
- Sono einerjar – continuò lei. – Sono piombati dal cielo all’improvviso… hanno bisogno d’aiuto…
- Sì, è evidente – borbottò il senzatetto. – Maledizione, Tara, che tempismo… ormai è sera, devo andare dal ragazzo e dare il cambio a Hearth…
- Non ti preoccupare, ci penso io.
- Sei sicura?  
- Assolutamente.
Una mano gentile mi diede alcuni lievi colpetti sulla spalla: - Tranquilli, mi occuperò di voi.
Aprii la bocca per rispondere qualcosa, per strillare, per chiedere dove fossero i miei amici. Invece, fui scossa da un violento colpo di tosse, giusto un istante prima di essere sopraffatta dalla confusione e da un violento turbinio di emozioni.
Come ogni brava semidea che si rispetti, finii col perdere conoscenza, sprofondando nell’oblio.





***
Angolo dell’autrice: Sono riuscita ad aggiornare in fretta, ero piuttosto ispirata.
Per due settimane starò via, come ho scritto anche nelle note d’autrice della nuova storia pubblicata l’altro giorno, quindi probabilmente non avrò connessione, se riuscirò a scroccarla, magari proverò ad aggiornare le long.
Comunque… questo capitolo è stato di passaggio e l’ho dedicato principalmente alle storie degli altri einerjar. AVVISO: Ho eliminato la storia originale di Ben perché penso non sia rispettoso usare certi argomenti per scopi fittizi.
In compenso, i ragazzi hanno ottenuto una missione (con grande gioia di Riley) e hanno incontrato una nostra vecchia conoscenza. Ebbene sì, Hearth e Blitz faranno parte della storia. Sorpresa!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, grazie a tutti per aver letto!
Un bacio,

Tinkerbell92
  
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