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Autore: Angel TR    04/08/2019    5 recensioni
Il mitra eroicamente affondato rappresentava l'unica arma da difesa concessa dall’Esercito delle Nazioni Unite del Sud, l'organizzazione politica ed economica composta dalle uniche zone conosciute del pianeta Terra. Per quelli come lui – leggasi: sfigati squattrinati – l'Esercito costituiva la sola salvezza da una vita di stenti a base di delinquenza e droghe con condimento di multinazionali pronte a reclutarli per esperimenti “volontari”. "Sono troppo figo perché quei robottini del cazzo mi sbudellino, grazie."
In un mondo dominato dalle multinazionali e dalla tecnologia avanzata, Hwoarang vive per servire l'Esercito delle NUS. Ma cosa succede se s'imbatte in qualcosa che potrebbe fargli cambiare completamente idea?
[1^ classificata al contest "Test your might II" indetto da Akimi su EFP]
Genere: Generale, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Devil Jin, Hwoarang
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Some Boys Wander by Mistake'
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CONTEST TEST YOUR MIGHT II

Nickname: Angel Texas Ranger
Fandom: Tekken
Personaggi: Hwoarang, Devil Jin
Titolo: The Affair
Pacchetto Extreme
Note: AU

Partecipa anche alla Challenge “Sfida delle Parole Quasi Intraducibili” con la parola Serendipity: attitudine a fare scoperte impreviste, lo scoprire qualcosa di inatteso che non ha nulla a vedere con quanto ci si proponeva o si pensava di trovare.
Partecipa anche alla Challenge "Quella volta in cui" indetta da MissChiara su efp con il prompt "Il tuo personaggio ha un segreto... e non vuole assolutamente che sia divulgato!"

Note autrice:
“Non so scrivere storie fantascientifiche” dicevo.
E fu così che il karma mi punì mandandomi tutti contest di fantascienza. Gioia.
Per questo contest avevo scritto due storie perché in realtà non riuscivo a produrre qualcosa che mi soddisfacesse veramente. Mi sembrava che la trama non si sviluppasse adeguatamente ma che ci vogliamo fare!
L’unica cosa di cui sono abbastanza soddisfatta è il titolo: “affair” in inglese ha un doppio significato. Avevo detto che mi sarei fatta perdonare per “Aconite” ma, povero Hwoarang, non è questa la sua rivincita!
Come al solito, tutto ciò che leggerete sulle Faer Oer è frutto di ricerche su internet, per quanto riguarda la fantascienza… beh, l’anno prossimo esce Cyberpunk 2077. Che ne dite, dovrei dargli una chance?



The Affair


Cos’era quella scarica di dolore improvvisa? Hwoarang batté le palpebre, vagamente confuso.
“Walking through forests of palm tree apartments
Scoff at the monkeys who live in their dark tents
Down by the waterhole
Drunk every Friday
Eating their nuts
Saving their raisins for Sunday.”
«Fanculo.» sbottò, perdendo l'equilibrio e sbattendo rovinosamente a terra. Nella caduta, tese prontamente le braccia per afferrare la radiolina vintage, uno sfizio recuperato al Mercato Pirata del venerdì nella baraccopoli.
“Lions and tigers
Who wait in the shadows
They're fast but they're lazy, and sleep in green meadows.”

Ancora provenivano le note della canzone dall’aggeggio sano e salvo nelle mani guantate del ragazzo.
Siccome nella vita si compiono delle scelte, per salvare la radiolina, Hwoarang aveva lasciato volare l’altro oggetto che portava con sé: il mitra – modello Blaze X20, una bomba blaster gioiello di ultima tecnologia – capitombolò a una velocità terrificante dalla prateria verde a strapiombo sul mare.
Hwoarang gattonò fino al precipizio per osservare impotente e a lutto la traiettoria del suo preziosissimo Blaze X20: come in un film horror, tra boom, boom e un tunf, il mitra colpì una roccia e roteò giù colpendone un'altra prima di fare un bel tuffo nelle acque grigio piombo.
«Ma che cazzo!» imprecò il ragazzo, battendo una mano sul tappeto d'erba. Stizzito, schiacciò l'interruttore della radio per infilarla con poco ritegno nella tasca zippata della giacca nera.
Il mitra eroicamente affondato rappresentava l'unica arma da difesa concessa dall’Esercito delle Nazioni Unite del Sud, l'organizzazione politica ed economica composta dalle uniche zone conosciute del pianeta Terra. Per quelli come lui – leggasi: sfigati squattrinati – l'Esercito costituiva la sola salvezza da una vita di stenti a base di delinquenza e droghe con condimento di multinazionali pronte a reclutarli per esperimenti “volontari”. Sono troppo figo perché quei robottini del cazzo mi sbudellino, grazie.
Non che l'Esercito fosse una passeggiata romantica ma almeno forniva pasti quotidiani, pillole per calmare la nausea e vaccini per tutti i virus che prendevano di mira i soldati in esplorazione provenienti dall'altro lato del mondo.
Vomitare anche l'anima sugli stivali lucidi lucidi del generale non è il miglior biglietto da visita, valutò divertito Hwoarang, decidendosi finalmente ad alzarsi per riprendere la perlustrazione di quella terra inospitale.
Come ci siamo arrivati in questo posto dimenticato da internet? Ricordatemelo. Ah, sì, le dannatissime capsule. Le capsule erano un modo rapido ed economico per trasportare persone e merci negli anni delle Esplorazioni Terrestri.
Ovviamente, erano anche il modo meno sicuro. E ti pareva. Non c'è nessun’assicurazione sul mio culo.
Il modo più affidabile sarebbe stato mandare gli avatar dei soldati per esaminare il territorio, simpatici e immortali avatar che avrebbero zampettato ovunque indisturbati. Purtroppo, i problemi erano due: numero uno, in quel luogo sconfinato e incontaminato dalla civiltà effettuare il download degli avatar era pressoché impossibile; numero due, costava un occhio della testa e alle multinazionali che avevano fondato l’Esercito poco fregava della vita dei soldati.
Alle multinazionali interessavano la scoperta e il controllo delle terre perdute per rivoltarne le viscere come calzini e sondarne i fondali alla ricerca di materie prime di cui le Nazioni Unite del Sud ormai scarseggiavano: petrolio, carbone, minerali grezzi contenenti tantalio, tungsteno, stagno e oro per produrre computer, androidi, capsule e, soprattutto, astronavi. Le astronavi ossessionavano le multinazionali, l'idea di poter conquistare persino spazi al di là della Terra faceva venire loro la bava alla bocca.
Altri pianeti. Che grande stronzata. Basta e avanza questo, con questo verde nauseante e nemmeno l'ombra di una strada. La Terra già vale per due, rifletté Hwoarang, avanzando guardingo. Ormai sprovvisto dell'unica arma di difesa, si era tramutato da soldato predatore in facile preda. I suoi occhi scuri saettavano da un angolo della vallata a un altro mentre una strana inquietudine gli serrava la bocca dello stomaco. Aveva la sciocca impressione di essere osservato; ma da chi o da cosa? Si grattò dietro al collo. Che fastidio quel prurito.
Per calmarsi, estrasse il Registratore, un mini computer dove erano archiviate la fauna, la flora e la tecnologia conosciute fino a quel momento dalle Nazioni Unite del Sud. I soldati dell’Esercito avevano il compito di caricare sui file ogni minimo centimetro su cui mettevano piede al di fuori dei territori colonizzati dall'uomo. Il Registratore, munito di tecnologia androide, riusciva a comparare quelle porzioni sconosciute con quelle conosciute per giungere a una semplice conclusione: serve o non serve alle multinazionali? In caso di risposta negativa, la zona andava distrutta; in caso di risposta positiva, si procedeva alla colonizzazione. Hwoarang non avrebbe saputo dire quale fosse l'alternativa migliore.
Fino a quel momento, le cosiddette Isole Faer Oer – ovvero, Isole “lontane dalle Nazioni”, viva la fantasia – non avevano fatto squillare gioiosamente il computerino.
«Stronzissime Isole Faer cazzo. Perché la mia stronzissima Corea del Sud insieme alla stronzissima America del Sud doveva aderire alla spedizione? “Certo, sì, mandiamo questi poveracci in mezzo al nulla… vediamo se trovano un po’ di metallo. Oh, hanno scovato un'isola incontaminata? Meglio ancora! Scaricateli lì.” Quest'isola di merda si è fottuta il mio mitra! Fanculo!» si lamentò Hwoarang, principalmente per riempire il silenzio assordante spezzato solo dal fruscio delle piante e dall’infrangersi delle onde sulle rocce.
Affannando, risalì la vallata, resistendo alla tentazione di mettersi a correre per fuggire da quel paesaggio sconfinato. Non avrebbe mai pensato di poterlo dire ma avvertiva pizzichi di nostalgia al pensiero degli altissimi grattacieli accatastati che proiettavano i colorati spot della multinazionale di turno, le luci psichedeliche, il traffico, sfrecciare con la sua moto truccata da un bar fatiscente a un altro bar fatiscente…
Scosse la testa. No, forse era meglio reprimere la nostalgia.
Continuò ad arrancare nella vegetazione, sbuffando più per la noia che per la stanchezza. I suoi polmoni, infatti, si stavano gonfiando di ossigeno come mai prima d'ora, il cuore sembrava pompare il sangue nelle vene più velocemente; si sentiva più vispo, più attivo. Sarà qualcosa nell’atmosfera?, si chiese, vagamente stordito da quella miriade di sensazioni.
Un tuono squarciò l'aria. Hwoarang sollevò lo sguardo al cielo: si preparava un acquazzone.
«Grandioso» brontolò, guardandosi attorno per cercare riparo in qualche cavità. Niente riempì il suo sguardo: sarebbe tornato alla base in qualità di pulcino inzuppato.
Un brivido gli scivolò lungo la spina dorsale e Hwoarang si agitò. Ti stai facendo impressionare da qualche roccia, il mare e una vallata. Smettila di essere cacasotto, si convinse, strofinandosi le braccia avvolte dalla divisa dell’Esercito – niente di che, nemmeno un inserto di Resistance 1.5, il tessuto resistente ai colpi più banale e a buon prezzo sul mercato.
Eppure, quella sensazione non smetteva di attanagliargli il cuore. Era la stessa emozione che sentiva quando udiva la vettura fluttuante delle Sentinelle sferragliare lungo le strade rivestite di metallo venato da fili elettrici, la stessa ansia mista ad adrenalina.
«Va bene, stronzo, esci fuori!» urlò, compiendo un giro su se stesso per puntare il verde con un cipiglio che voleva essere minaccioso. Inarcò un sopracciglio mentre spostava lo sguardo da un punto all'altro. Le mani avrebbero voluto imbracciare il mitra e invece si strinsero in pugni.
Per quanto la civiltà estremamente tecnologica delle Nazioni Unite del Sud reputasse il corpo a corpo un’ignobile eventualità da far sbrigare agli androidi, Hwoarang, da bravo orfanello, aveva presto imparato a usare il proprio corpo come strumento di difesa tra le baraccopoli fatiscenti della metropoli. Un uomo ben vestito una volta gli aveva detto: «Prendi ciò che c'è di buono nella tua cultura e mischialo con quello che trovi.» prima di mostrargli qualche mossa di uno stile chiamato “Taekwondo”. Si chiamava Baek Doo San e, per pochi giorni, era stato suo maestro e guida. Gli aveva persino insegnato a scrivere a mano.
Poi era sparito.
«Quando non ci incontreremo più, Hwoarang, sarà perché le Sentinelle mi avranno preso. Tu corri via» gli aveva confessato, un giorno.
Sono corso via. Dritto dritto tra le fauci della Terra, pensò il soldato, badando bene a non far trapelare le sue emozioni. La paura puzzava e la natura vergine era dotata di un olfatto particolarmente sviluppato.
E, improvvisamente, Hwoarang si ritrovò zuppo a causa del violento acquazzone. «Fanculo» bofonchiò, abbassando la visiera a infrarossi per riparare gli occhi.
Gocciolanti ciuffi di capelli rossi, ormai troppo lunghi, gli sfiorarono il mento e fu costretto a ravviarli con le mani. Avvertiva l'acqua piovana scorrere all'interno del colletto e poi giù lungo la schiena, provocandogli un brivido. La pioggia batteva troppo forte perché Hwoarang potesse concentrarsi sui rumori dell'altopiano e questo lo innervosì non poco. Piantò bene gli anfibi a terra, ogni fibra del suo corpo si tese.
Qualcosa stava arrivando.
Aveva sempre saputo che c'era un motivo se i soldati non tornavano mai dalle spedizioni…
Una creaturina bianca e grigia planò dolcemente davanti a lui e gli rivolse un'occhiata indifferente prima di zampettare in modo goffo. Hwoarang sollevò prontamente il Registratore, puntandolo contro l’affarino. Aveva una vaga idea di cosa potesse essere ma preferiva che fosse il computerino pazzo a confermargliela. Lo schermo si illuminò e proiettò una riproduzione 3D dell'animale.
«Gabbiano, estinto» lesse Hwoarang stupefatto, sollevando la visiera di scatto per poter osservare meglio quel miracolo. Abbassò il Registratore: aveva bisogno di guardare l'animale attraverso i suoi occhi e non la lente distorta del computer. Il gabbiano, assolutamente ignaro di rappresentare uno shock per la civiltà delle Nazioni Unite del Sud, starnazzò. La pioggia batteva forte sulla testa del ragazzo ma lui restò immobile. A un certo punto, il gabbiano lanciò un ultimo grido prima di spiccare il volo.
Hwoarang ne seguì la traiettoria, socchiudendo gli occhi per schermarli il più possibile dalle gocce che si abbattevano con la forza di proiettili, fin quando non fu più visibile. Le dita erano ancora strette attorno alla consistenza rigida e fredda del Registratore; gli gettò un'occhiata sospetta. I gabbiani erano considerati estinti.
Cosa sarebbe successo se le multinazionali avessero scoperto che sulle Isole Faer Oer questi danzavano allegramente negli acquazzoni?
Il pollice restò sollevato sull’opzione “Invia” ma non premette mai lo schermo. Hwoarang preferì annullare l'operazione e fare finta che nulla fosse accaduto.
Infilò la mano nella tasca, cercando la familiare robustezza della radiolina. L’accese, chiudendo gli occhi per perdersi nelle note ormai memorizzate dell'unica canzone presente.
“Let's bungle in the jungle
Well, that's all right by me
I'm a tiger when I want love
But I'm a snake if we disagree.”
Non poteva sapere che aveva ragione: c'era qualcun altro, oltre al gabbiano, a osservarlo.

**

«Soldato, dov'è il tuo mitra?» ordinò il generale. Ordinò, non chiese.
Hwoarang non lo degnò di uno sguardo. «Affogato, signore» rispose, annoiato. Sdraiato nella capsula, il suo sguardo si era perso tra le venature metalliche che si rincorrevano nel soffitto della base.
«Cazzi tuoi, soldato» sentenziò il generale.
Il ragazzo si limitò a scrollare le spalle. Sapeva di non incarnare esattamente la definizione di "diligente" tuttavia sapeva anche di essere troppo prezioso per essere mollato.
Quel giorno si sarebbe ripetuto esattamente come tutti gli altri: sveglia presto, colazione frugale, pillole, esplorazione, pranzo, pillole, esplorazione, cena, pillole, letto. Niente di particolarmente entusiasmante, secondo Hwoarang, ma sicuramente meglio di vagabondare tra i vicoli delle baracche della metropoli. A piedi, peraltro, pensò, ricordando come avesse venduto la sua motocicletta all'Esercito perché nessun soldato del suo livello poteva possederne una del genere. Gerarchia dannata.
Nell'accampamento si respirava un forte malcontento. Nessuno di loro aveva scoperto nuove specie o materie che potessero interessare le Nazioni Unite del Sud. L'inquietudine era palpabile: quali sarebbero state le conseguenze di una tale disfatta?
«Dov'è il soldato numero 463?» abbaiò il generale. Il vociare si spense, delle teste si voltarono per osservarlo marciare irato. «Era in spedizione presso la grotta dell'isolotto a due ore di barca da qui. Per comodità, l'isolotto è stato nominato "Hestur"» bofonchiò, osservando la mappa elettronica dal Registratore. Sollevò lo sguardo duro sui soldati che, prontamente, abbassarono le teste, improvvisamente indaffarati a lucidare stivali e preparare armi.
Un angolo delle labbra di Hwoarang si piegò in un ghigno. Quanti volontari! Senza un motivo apparente, la sua gamba ebbe un fremito improvviso, così violento che lui distorse il viso una smorfia. E ovviamente…
«Tu, rosso. A fine giornata andrai a verificare le condizioni del soldato 463. Puoi usare la barca laggiù» decise il generale, indicando una piccola e instabile barchetta rivolta a pancia in su fuori dalla cabina.
Hwoarang agitò un braccio in una sarcastica esultanza. «Andiamo in gita, urrà!»

**

“Is it so frightening to have me at your shoulder?
Thunder and lightning couldn't be bolder”

La pioggia si abbatteva su di lui con la forza di mille proiettili, appannandogli la vista mentre tentava di rovesciare la fragile barca. I tuoni squarciavano l'aria, fulmini e saette si ramificavano nel cielo nero come pece, improvvisi, illuminando l'ambiente circostante. L'aria odorava. Ah, le Isole Faer Oer…
«Che schifo» commentò Hwoarang. Lontano dalla cupola che costituiva l'accampamento dell'Esercito, la vallata sembrava pullulare di vita in modo sinistro. Nulla taceva: la natura esprimeva il suo disappunto verso l'invasore. Hwoarang si sfilò le cuffie per concentrarsi meglio e si guardò cautamente attorno prima di riportare la sua attenzione sulla barca. Era una vettura strana, la barca. Antica. Poco sicura. Hwoarang rimpianse la sua motocicletta: sarebbe bastato premere un pulsante e le ruote si sarebbero piegate per permettergli di sfrecciare sul fiume indisturbato.
«Brutti stronzi, porto il mio bel culo lontano da voi, fanculo» si rallegrò, trascinando la barca verso il mare aperto. Peccato che si dimenticò di doverci saltare sopra fin quando le acque agitate non la rapirono. Hwoarang mormorò un'imprecazione tra i denti e corse per raggiungerla, affondando gli anfibi nel liquido gelido. Rabbrividendo, si sbrigò a salire sull'imbarcazione. Rapidamente, estrasse il Registratore affinché lo guidasse.
Ebbe la pessima idea di sollevare lo sguardo: attorno a lui, l'oscurità rischiarata solo occasionalmente dai lampi; sotto di lui, le acque apparentemente nere del mare aperto; sopra di lui, le nuvole minacciose gonfie di pioggia battente.
Istintivamente, Hwoarang si rannicchiò su se stesso, sentendosi infinitamente piccolo, molto più piccolo di quanto si sentisse osservando la megalopoli di Seoul dal basso. Lì non c'era un punto dove il suo sguardo si fermasse, lì la natura regnava sovrana, avvolgendolo.
«Cazzo» sussurrò, quasi avesse paura di essere udito. Per quanto ne sapesse, il soldato 463 era stato risucchiato da quell'immensità.
Passarono i secondi, i minuti, le ore.
Hwoarang perse la cognizione del tempo e dovette lottare per non soccombere al desiderio di chiudere le palpebre per riposarsi un po', anche se ad aiutarlo a desistere dal sonno c'erano quei rumori sconosciuti che parevano infestare le acque scure e il frastuono dei tuoni e lo schioccare dei lampi. Con il trascorrere delle ore, quei rumori divennero una – quasi – piacevole compagnia.
C'era un che di sublime in quella manifestazione così violenta della Natura, un che di rassicurante: rammentava a Hwoarang che l'uomo non era che di passaggio e che tutte le multinazionali sarebbero state inghiottite dalle profondità della Terra, prima o poi. Non avrebbero più sfruttato niente e nessuno, prima o poi. Un pensiero per cui vale la pena vivere, rifletté.
Poi, la barca tremò e Hwoarang perse l'equilibrio, risvegliandosi dal torpore. «Cosa diavolo…?» sbottò, girandosi di scatto con il Registratore scioccamente teso in avanti, come se fosse un'arma.
Quello che vide gli mozzò il fiato in gola.
Illuminati dal bagliore dei lampi, gli occhi bianchi orlati di nero dell'essere splendevano come le insegne dei grattacieli di Seoul. E non erano solo le sue iridi a brillare: i canini affilati come le lame degli androidi erano scoperti in un ringhio minaccioso che fece accapponare la pelle a Hwoarang.
L'essere spalancò le ali nere per intimidirlo ulteriormente – non che fosse necessario – e Hwoarang sbatté il sedere sulle assi fragili della barchetta con un tonfo. Una scarica di dolore fortissima, troppo forte per quella caduta, serpeggiò lungo la sua spina dorsale.
«Stupidi umani che osate invadere la mia terra! Ancora non vi è bastata la lezione? Sarai tu il prossimo a morire?» tuonò l'essere con una voce profonda venata da un accento irriconoscibile che scosse Hwoarang.
Allora il soldato disperso era veramente morto e lui sarebbe stato il prossimo…
Restò lì, occhi spalancati e bocca aperta, fradicio di pioggia, alla mercé del mostro. Eppure non riusciva ad arrabbiarsi con lui: come dargli torto? Le Nazioni riuscivano a inimicarsi chiunque.
Un altro lampo lo illuminò e Hwoarang trattenne il fiato. Dannazione. Sollevò lentamente il Registratore verso di lui: voleva sapere a che specie appartenesse.
È questo il brivido che sento. Il brivido della scoperta. Non importava che avesse già incontrato una specie reputata estinta, era quella la scusa che voleva usare per spiegarsi l'assurda reazione del suo corpo davanti a quel viso scultoreo.
Negli occhi diffidenti del mostro balenarono i riflessi verdastri del computerino. «Cosa fai, umano? Credi di spaventarmi?» chiese in un sussurro terrificante.
Il Registratore emise un suono poco rassicurante. Lui ringhiò, tese la mano e il computerino esplose.
Fu la goccia che fece traboccare il vaso.
«Eh no, cazzo! Pure questo no!» urlò allora Hwoarang, battendo una mano sulle assi di legno. Ora sì che l'avrebbero spedito alle multinazionali e addio Hwoarang, benvenuto topo da laboratorio. Squadrò il mostro, decisamente incazzato, anche se non avrebbe saputo dire verso chi esattamente. «Sai che sei un grandissimo stronzo? Io nemmeno ci volevo stare su questa fottutissima isola di merda! Sai, alcuni di noi non sono così fortunati da scegliere e alcuni di noi si ritrovano qui, davanti a un coglione come te. Schifo le Nazioni più di te, stanne certo. Vuoi uccidermi? Non credere che sarà tanto facile» lo sfidò, rialzandosi in piedi per posizionarsi come gli aveva insegnato l'uomo di Seoul.
Con sua somma sorpresa, il demone scoppiò a ridere, rovesciando il capo all'indietro. La vista del collo bianco scoperto fece scorrere un altro brivido lungo la schiena di Hwoarang. E basta, dannazione. Non ho mai avuto fetish nella mia vita, non incomincerò proprio ora.
«Quanta energia per un mortale! Ti ho osservato mentre gironzolavi per casa mia. Ero indeciso: ucciderti o lasciarti andare? Mi sa che ho fatto la scelta giusta, umano. Mi hai dato un'idea. È inutile continuare a farvi sparire di nascosto: a voi piacciono i gesti plateali. Domani fatti trovare fuori la base» ordinò. Poi, sfoderando un ghigno che rese molli le gambe di Hwoarang, l’afferrò per la collottola, scatenando un fremito in tutto il suo corpo.
Il soldato si morse il labbro per non urlare.

**

Hwoarang si risvegliò nella sua brandina. Si sollevò a sedere bruscamente: dov'era il demone? Cosa intendeva esattamente per "gesto plateale"? Perché doveva farsi trovare fuori la base? Era un appuntamento quello, per caso?
Scalciò via le lenzuola, fremendo dall'ansia. Il comandante lo chiamò per l'appello ma Hwoarang non lo ascoltò: come mosso da fili invisibili, si fiondò fuori la base per guardarsi attentamente intorno. Il cuore gli batteva forte nel petto, il respiro si era trasformato in un ansito, ogni senso era all'erta. Dov'era? Se l'era sognato? Aveva sognato tutto? Il mostro esisteva solo nella sua testa, un riflesso del senso di inquietudine che provava per quella missione? Il desiderio che le Isole Faer Oer restassero per sempre lontane dalle fauci delle Nazioni Unite?
Dove sei? Perché non ti fai vedere?
Come c'era tornato alla base sano e salvo? Si controllò: indossava ancora i vestiti con cui era partito ed erano completamente asciutti. I suoi occhi corsero da un punto all'altro della vallata, pronti a cogliere ogni movimento sospetto.
Dovrei avvisare l'Esercito. Dovrei informare del possibile attacco da parte di un mostro. Ma con quale coraggio?
Hwoarang sapeva che l'essere era dalla parte giusta. Diamine, avevano costruito una base e spedito un intero plotone di uomini a casa sua! Chiunque avrebbe reagito così.
Il suo corpo, ovviamente, lo tradì: il sudore aveva iniziato a scorrere copiosamente dietro la sua schiena e le gambe non lo reggevano a dovere. Il prurito di cui occasionalmente soffriva alla base del collo divenne insopportabile. Diventerò un topo da laboratorio appena mi scopriranno. Il tradimento è il peggior crimine che ci sia, pensò, atterrito.
Avrebbe dovuto essere terrorizzato… e allora cos'era quel senso di eccitazione che gli rendeva la testa leggera? Era divertito all'idea di condividere un segreto con il demone, un segreto solo tra loro due, gli veniva da ridacchiare come un ragazzino in preda agli ormoni.
«Quanta energia per un mortale!» Il ricordo di quella voce cavernosa e di quegli occhi brillanti gli attorcigliò lo stomaco. Voleva rivederlo: non poteva permettere che quel ricordo svanisse.
Avanzò, impaziente.
«Esci fuori, dài. Lo so che sei qui da qualche parte» disse a denti stretti.
L'unico suono che sentiva era il suo respiro. Un dubbio lo colse: e se avesse fatto proprio il gioco del demone, allontanandosi dalla base affinché lui l'attaccasse indisturbato?
Ma davvero? Come se potessi fermarlo… L'aveva sollevato per la collottola, come si fa con i ratti che infestano le catapecchie nei quartieri poveri della megalopoli. Per un momento, le labbra piene del demone avevano sfiorato i suoi capelli rossi e fradici e una scarica elettrica aveva attraversato il corpo di Hwoarang.
Si strofinò le braccia, imbarazzato, disturbato e… qualche altro sentimento che era meglio non identificare.
«Mi stai stufando, pennuto!» si lamentò Hwoarang, per distrarsi.
«Ti ho osservato mentre gironzolavi.» Chissà quanto doveva aver riso della sua caduta maldestra con tanto di imprecazioni. Tuttavia neppure il senso di fastidio che gli provocava la consapevolezza di essersi reso ridicolo poteva far fronte al calore che gli riempiva il corpo.
Mi guardava. Batté un piede a terra, al limite della sopportazione. «Ora basta!» sbottò, agitando un braccio per aria. Si stava beffando di lui?
Una risata leggera giunse alle sue spalle. Hwoarang rabbrividì e, per un momento, tutto scomparve: le multinazionali, l'Esercito, il tradimento con le sue conseguenze.
Cos'era quell'essere? Perché? Perché lui non poteva essere come gli altri? Sarebbe stato punito anche solo per il modo in cui lo stava guardando, se lo avessero scoperto.
«Sei buffo, umano. Sai che è inutile eppure continui ad agitarti. Perché?» commentò il demone, incrociando le braccia al petto. I raggi del sole si posavano leggeri su di lui, illuminando gli zigomi alti, gli occhi bianchi, il guizzo dei suoi muscoli nudi. Hwoarang deglutì più volte.
Cazzo. «E tu che ci fai qui? Pensavo volessi attaccare la base, sai, la vendetta, umani insolenti e bla bla bla...» lo scimmiottò il soldato, gesticolando.
L'essere l'osservò, abbozzando un sorriso sbilenco che fece salire la pressione al ragazzo. Non rispose, non subito. «Fuochino» disse, dopo un po'.
Fuochino? Chi parla così!? Hwoarang aprì la bocca per dire qualcosa ma non ne uscì niente. Il demone si avvicinò; aveva un'aria vagamente divertita, come un gatto che gioca con il topo. Il ragazzo tese una mano, anticipando qualsiasi gesto. «Non ti permettere! Ti verranno a cercare!» esclamò, sbarrando gli occhi quando il mostro gli afferrò il mento per essere certo che non si muovesse. I contorni del suo viso statuario erano stranamente sfocati e il ragazzo batté più volte le palpebre per tentare di metterli a fuoco: inutile. Che succede? Non starò per svenire?
«Gli umani scelgono sempre la strada sbagliata» fu l’arguta risposta del demone e badò bene a soffocare qualsiasi protesta con un bacio che infiammò il sangue nelle sue vene. Nonostante fosse stato decisamente colto di sorpresa, Hwoarang chiuse gli occhi, lasciandosi sfuggire un gemito… stava succedendo tutto troppo in fretta ma non si sarebbe mai sognato di lamentarsi. Eppure…
Qualcosa non va. Cercò di scacciare via le sensazioni negative per godersi appieno il momento, le soffici labbra del mostro di cui non conosceva neppure il nome sulle sue. Una scossa sul collo. Hwoarang avrebbe voluto grattarsi ma non ci riuscì e mugolò infastidito contro la bocca del demone che, di riflesso, approfondì il bacio.
Le scariche aggredirono piacevolmente il suo corpo, intensificandosi mentre si apprestava a ricambiare il contatto… sempre più forti…
Troppo forti…
I gemiti si trasformarono in un grido di dolore…

Hwoarang sbarrò gli occhi, scioccato; il suo grido rimbombò.
La scena che gli si presentò davanti contrastava completamente con tutto ciò che si era aspettato di vedere: invece degli occhi caldi e maliziosi del demone, c'erano quelli freddi e soddisfatti di un dottore che di umano aveva solo la testa.
Invece delle verdi distese delle Isole Faer Oer, una sterile sala.
Invece della libertà, degli elettrodi e dei macchinari che gli incatenavano il corpo.
Il dottore picchiettò un dito meccanico sugli enormi schermi che occupavano un lato della sala. «Il resto dei tuoi organi sono ancora in ottimo stato, non potevo chiedere di meglio! Sono sicuro che anche questa volta verremo ripagati adeguatamente per te, gioiellino» sogghignò. Uno scintillio di delusione balenò nei suoi occhi slavati. «Ah, certo, ora ti senti confuso, non ti ricordi di me: è un po’ noioso questo fatto. Allora, ricominciamo. Mi hanno detto cos’hai fatto, quando ti hanno venduto a noi, sai?» scosse la testa e arricciò le labbra in un finto broncio. «Con un mostro, bah. Voi giovani non avete più i valori di una volta, meritate proprio una lezioncina. E quale punizione migliore del rivivere per sempre il momento della disfatta? Questa è la terza volta che ti svegli e, solitamente, questo è il momento dove inizi a piangere...»
Mentre parlava, il dottore trafficava con dei comandi e, più bottoni schiacciava, più le immagini affollavano la mente martoriata di Hwoarang: l'Esercito che li scopriva, i proiettili che assalivano il demone, il taser che paralizzava il corpo del ragazzo…
Il dottore si fermò per lanciargli un’occhiata profonda, morbosamente affascinato e divertito da quei sentimenti così forti, così umani, così mortali. «… perché inizi a ricordare» concluse.
Era realtà o invenzione di quegli aggeggi infernali?
Dov’era lui ora?
Nonostante non volesse dare quella soddisfazione al cyborg, i suoi occhi si riempirono di lacrime – per somma delizia del dottore che, tra una leva e un bottone, si lasciò sfuggire una risatina stridula. Era a causa del dolore dell’elettroshock o a causa del pensiero di ciò che fosse successo al demone che non riusciva a trattenere il pianto? O, peggio, a causa della consapevolezza che non avrebbe mai trovato una risposta a nessuna delle domande?
Era la terza volta che si svegliava, aveva detto il mostro – il vero mostro, quello che gli stava davanti e che vendeva un organo alla volta alle multinazionali. Dunque era in trappola: ogni volta, riviveva il giorno della sua cattura e, ogni volta che si svegliava, avrebbe trovato un pezzo in meno del suo corpo.
Ora sì che ricordava. La prima volta si era svegliato intatto, la seconda…
Chiuse gli occhi, pieno di terrore.
La seconda no.
«Sogna, soldato» lo salutò il cyborg dal sorriso isterico e Hwoarang non poté far altro che dimenarsi nel momento in cui questi si avvicinò e gli agitò una familiare radiolina davanti agli occhi. Gli infilò piano le cuffie nelle orecchie, come se temesse di ferirlo.
«Ora ricomincia» l’avvisò con un filo di voce, quasi gentile, sfoderando un ghigno che gli distorse i lineamenti.
“I'll write on your tombstone, I thank you for dinner
This game that we animals play is a winner”

**

Cos’era quella scarica di dolore improvvisa? Hwoarang batté le palpebre, vagamente confuso.

  
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