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Autore: ReaRyuugu    04/08/2019    0 recensioni
L’aria che gli inondava i polmoni era diversa; diversa da quella del Giappone e forse, dopo tanti anni, diversa da come l’aveva sempre conosciuta, fanciullo incuriosito dal mondo prima, giovane soldato ricolmo di volontà e speranze poi.
E forse fu una memoria in cui indugiò un secondo di troppo, perché non mancò di sentirsi addosso due indagatori occhi celesti: si voltò verso Chuuya, incrociando uno sguardo che forse, più che lui, sembrava adesso contemplare quali parole, tra quelle che gli ballavano incerte sulle labbra semiaperte, sarebbero state le più giuste.
“È stato nostalgico tornare qui?”

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What If? In cui Gide sopravvive e diventa il braccio destro di Chuuya, perché a volte indugiare in coppie improbabili è il modo migliore per allenare i propri muscoli letterari. Contiene qualche vago riferimento a Fifteen/primi tre episodi della s3.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: André Gide, Chuuya Nakahara
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Prima di tutto: la fanfic si basa sulle premesse di questa AU

In secondo luogo, era proprio l’ora che tornassi a fissarmi con un personaggio non amato e non amabile.

Infine: EHI, BSD, PER COLPA TUA HO INIZIATO A LEGGERE IL GIDE VERO, NON HAI IDEA DI QUANTO MI SENTA POSER


 

Se il chicco di grano muore

Era abituato a svegliarsi nel cuore della notte e non sentire nessuno al suo fianco. 

C’erano un paio di cose che André aveva dovuto mettere in conto dal momento in cui lui e Chuuya avevano iniziato a condividere la stessa stanza, lo stesso giaciglio, lo stesso respiro: la prima, che la posizione del ragazzo all’interno della mafia lo costringeva ad affrettarsi a completare lavori che non discriminavano tra le ore del sole e quelle della luna, spesso trascinandolo improvvisamente sul campo di battaglia e senza che egli potesse, o volesse, in realtà, rilanciare alcuna obiezione. 

La seconda, che erano entrambi ad avere il sonno così leggero da poter esser disturbato da qualsiasi, impercettibile variazione dell’ambiente che li circondava. Due menti affilatesi sulle difficoltà dei campi di battaglia non potevano fare altrimenti, e quando il mondo attorno a loro sembrava accogliente e tranquillo, era forse il momento in cui i sensi dovevano acuirsi di più. 

Ma, e André lo sapeva bene, non era solo il fuori a tenerli svegli. Di diversa tipologia, senz’altro, ma i loro erano animi inquieti, inarrestabili, spesso incapaci di conoscere calma o tranquillità; e per quanto i tumulti dello spirito fossero ormai cosa nota  e abituale a tutti e due , poteva capitare che la staticità esterna divenisse insopportabile, e che fosse assolutamente necessario, quasi come ce ne fosse bisogno per sopravvivere, semplicemente cambiare aria

E forse anche lui aveva bisogno di un nuovo respiro, pensò, mentre si levava dalle coperte sfatte e si gettava una camicia sulle spalle. La camera dell’albergo in cui alloggiavano, avvolta in un manto di oscurità, continuava ad essere per lui molto più sfarzosa e ampia di quanto segretamente reputasse più che sufficiente, ma non aveva osato criticare le scelte del suo partner, e adesso persino le capiva: era poca la distanza che separava la camera da letto dall’ingresso della suite, ma abbastanza perché ci si potesse illudere di essere soli, e crogiolarsi per qualche secondo, minuto, ora, nel silenzio delle ore più buie e nel rumore dei pensieri più forti. 

Proprio per questo Gide esitò nell’annunciare la propria presenza, rimanendo in disparte ad osservare l’armoniosa figura di Chuuya appoggiato con la schiena alla ringhiera del piccolo terrazzo che affacciava sulla città. Era bello, Chuuya, tanto bello da sembrare irreale; le luci di una Parigi addormentata accendevano con eterea dolcezza i contorni della sua silhouette, illuminando il suo profilo voltato al panorama dei colori di una notte gentile. Dietro di lui, l’ombra della Torre Eiffel si stagliava nel cielo cobalto, e André avrebbe quasi giurato che quella finestra aperta non fosse in realtà che il quadro più bello del mondo se non fosse stato per la fiammella che pendeva, casuale ed elegante, dalle sue dita appena strette, e che di tanto in tanto il rosso si portava alle labbra. 

Sarebbe potuto rimanere a guardarlo per ore, conscio che quella vista non sarebbe stata mai concessa a nessun altro, ma fu Chuuya stesso a risvegliarlo dal suo stupore. “Vieni”, gli disse, con voce leggera, e l’uomo neppure si stupì d’essere stato scoperto così velocemente: si limitò ad obbedire, affiancandolo il quel remoto angolo di mondo che era ora concesso solo a loro due. 

Le mani strette sulla ringhiera, Gide decise di indulgere per qualche silenzioso secondo in un lungo respiro. L’aria che gli inondava i polmoni era diversa; diversa da quella del Giappone e forse, dopo tanti anni, diversa da come l’aveva sempre conosciuta, fanciullo incuriosito dal mondo prima, giovane soldato ricolmo di volontà e speranze poi. 

E forse fu una memoria in cui indugiò un secondo di troppo, perché non mancò di sentirsi addosso due indagatori occhi celesti: si voltò verso Chuuya, incrociando uno sguardo che forse, più che lui, sembrava adesso contemplare quali parole, tra quelle che gli ballavano incerte sulle labbra semiaperte, sarebbero state le più giuste. 

“È stato nostalgico tornare qui?” gli domandò infine, con semplicità, porgendogli la sigaretta. Non rifiutò la sua offerta, ma sulla sua domanda fu invece costretto a soffermarsi un po’ più a lungo, mentre una piega si evidenziava appena in mezzo alle sue sopracciglia. 

Inspirò. Il paese che per qualche giorno l’aveva ospitato, e che si sarebbero apprestati a lasciare all’indomani, era lo stesso che l’aveva usato e poi additato a traditore, privandolo, da un momento all’altro, di tutto quello che aveva. Di tutti i suoi ideali, delle sue speranze, delle sue conquiste; ogni cosa, sotto un’ingiusta condanna, aveva incontrato la sua fine. L’unica promessa rimasta intatta, quella che aveva stretto coi suoi commilitoni, era stata quella di incontrare la morte sulla battaglia – ma se pure l’aveva mantenuta per loro, per se stesso persino quella, forse, aveva cessato d’esistere fin dal principio. 

Alla luce di tutto questo, André era convinto che l’unico sentimento che avrebbe provato nel rimettere piede in quelle terre sarebbe stato di disgusto, di rifiuto, di rabbia. Aveva creduto che il rancore per la sua patria sarebbe stato un sentimento eterno e insuperabile, almeno fino a che qualcuno non gli aveva messo davanti nuovi obiettivi e nuove prospettive. 

Nel momento in cui aveva ripreso in mano la propria flebile esistenza, in lui anche il rancore era finito per svanire, lento, quasi dolce, fino a trasformarsi nella melliflua malinconia che l’aveva assalito nell’istante in cui i suoi occhi avevano riconosciuto gli scenari che era sicuro di aver dimenticato sotto ai polverosi ricordi di una guerra infinita. E con quella malinconia, in gran segreto, aveva convissuto fino ad ora: espirò una nuvola di fumo, riconsegnando a un Chuuya rimasto in silenzio tanto la sigaretta quanto la sua meritata risposta. 

“In parte. Ma è stato come salutare una vecchia amica gravemente malata, con la consapevolezza che, da domani, potremmo anche non vederci mai più. Prima lo si accetta, prima si smette di soffrire.” 

Un sorriso leggero, quasi divertito si aprì sulle labbra di Chuuya, che si strinse brevemente nelle spalle. 

“Te lo chiedo perché non ho idea di come ci si possa sentire, a rincontrare le proprie radici.” nel suo tono non c’era tristezza, né tentativo di indurre compassione. Le sue iridi, tuttavia, quelle erano ricolme di un sentimento diverso, qualcosa che Gide non seppe come descrivere – e fu tanto fugace, tanto improvviso, da lasciare il dubbio se ci fosse stato davvero. 

“Però mi piace stare qua.” continuò, inspirando un’ultima boccata di fumo e spiaccicando il mozzicone nel posacenere “C’è qualcosa che mi chiama, in questa città. Se potessimo penso che mi piacerebbe viverci.” 

Peut-être que tu viens de Paris.” Per quanto sapesse che la fluenza di Chuuya nel francese non fosse esattamente eccellente, non lo stava solo punzecchiando. Il giovane si fidava di lui abbastanza da avergli permesso di apprendere la sua convoluta storia e l’assenza di origini che, in qualche rara volta, costituiva in lui fonte di turbamento; ma la meraviglia dell’incertezza risiedeva nel fatto che ogni possibilità diventava reale e concreta, anche quella, per un giovane giapponese senza passato, di essere un tempo appartenuto alla città più bella del mondo. 

Egli sorrise, infatti, tirando indietro le braccia per stiracchiarsi flessuoso. 

Peut-être.” 

Scese di nuovo un calmo silenzio tra di loro, cullandoli lenti in un’atmosfera così calma che il sonno non tardò più a farsi di nuovo sentire sulle loro palpebre. Il primo ad avanzare fu Chuuya, passi scalzi e felpati sulle mattonelle fredde, ma prima ancora che l’altro potesse seguirlo si fermò. 

“André.” 

“Sì?” 

“Ti prego, sii sincero.” si voltò verso di lui, gli occhi grandi, il profilo piegato leggermente verso il suo. “È stato crudele, da parte mia, portarti qui? Farti vivere nella tua terra per una manciata di giorni, farti ricordare com’è, pur sapendo entrambi che non potremo mai viverci? Che non potrai mai viverci?” 
C’era sincero dolore, nella sua voce quasi tremante, ma non fu solo per quello che André sentì il cuore stringersi.  

Tutto il suo essere, meraviglioso e perfetto, era baciato dalla luna più dolce di cui fosse mai stato testimone. Il viso chiaro, i capelli che morbidi gli ricadevano sulle spalle coperte da una camicia ben troppo grande, il busto spoglio che faceva a malapena capolino da dietro la stoffa chiara: era il ritratto di un’apparizione celestiale, la cui pena era straziante e insopportabile. 

Gli bastò un passo per slanciarsi verso di lui, una mano che affondava tra le sue ciocche vivaci per stringerlo contro di sé, un bacio che si poneva sulla sua testa, delicato. 

“Mi avrebbe fatto male, in passato. Ma adesso il mio scopo è lontano da qui, lontano da questa terra, accanto a te. E questo mi rende sopportabile qualsiasi cosa.” 

Chuuya non rispose, ma André sentì le sue mani stringerglisi addosso. 

Era ingiusto, ciò che gli stava facendo. Non era stato troppo velato il processo tramite cui l’aveva elevato a ragione di vita, ed era una responsabilità che non aveva nessun diritto di far pesare sulla sua schiena o di quella di qualsiasi altro essere umano. 

Ma il giovane guerriero era stato la sua seconda possibilità, il suo riscatto, la sua rinascita. Il male che aveva causato non poteva cessare di esistere; non poteva pretendere il perdono degli uomini che aveva ferito, ma quando Nakahara Chuuya gli aveva teso la mano per portarlo di nuovo a camminare sulle sue gambe aveva compreso che l’unica esistenza priva di redenzione è quella abbandonata e richiusa sul proprio miserabile, fatuo destino. Non era Dio a dover riconoscere il suo pentimento: gli sarebbe pur andato bene trovare il proprio posto nella gola più bruciante dell’inferno, purché avesse vissuto abbastanza per rappacificarsi quantomeno con se stesso. C’era un'unica ragione per cui si era aperta davanti a lui la possibilità di riuscirvi: il giovane stretto tra le sue braccia, a cui André doveva tutto, e a cui non avrebbe avuto la ragione di biasimare niente, né tantomeno il viaggio che li aveva accompagnati fino alle sue terre, finché egli gli avrebbe concesso di rimanere al suo fianco. 

Sapeva che non esisteva eternità terrena. Sapeva che la loro era un’esistenza troppo rischiosa per dare per scontato che le loro vite avrebbero seguito un corso naturale, che Chuuya sarebbe potuto svanire da un momento all’altro, lasciandolo di nuovo solo e senza uno scopo che lo convincesse a continuare a lottare; o che lui stesso avrebbe potuto scontrarsi a una prematura disfatta, trovando quello che un tempo era l’anelato eterno riposo ben prima di recuperare la propria pace.  

Ma non volle pensarci, André, sciogliendo senza scosse la loro stretta, e incontrando un viso che forse aveva altre domande, ma che, allo stesso tempo, non ne avrebbe rivolte altre. Non ce n’era bisogno, né ce n’era la voglia: un singolo bacio li unì nuovamente per una tenera manciata di secondi, e adesso, per entrambi, il calore dell’altro era l’unica cosa che contava. 

   
 
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