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Autore: dracodraconis    05/08/2019    2 recensioni
mi sono decisa a scrivere qualcosa di breve e leggero, per riprendermi dalla stesura della mia opera prima (l'ottavo anno); siamo alla fine del sesto anno, ma questa fanfiction non tiene conto del sesto libro... harry ha appena scoperto che il biondo Serpeverde non gli è poi così antipatico... ma... dite che ce la faranno a capirsi, prima o poi? forse sì, se qualcuno decide di dargli una mano!
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Hermione Granger, Pansy Parkinson | Coppie: Draco/Harry
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Da VI libro alternativo
Capitoli:
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Dedico questo capitolo a Ste_exLagu, che mi ha provvidenzialmente fornito l’ispirazione per sbloccare la narrazione: cinghiali marinati always!
Grazie, Ste, da parte mia, ma soprattutto da parte di Harry che non sapeva come uscire dall’impasse.
Piccola nota ad alcuni capitoli precedenti: vengono fatte delle magie da personaggi che sono ancora minorenni e al di fuori di Hogwarts; teoricamente questo non sarebbe possibile senza un intervento del Ministero; tuttavia la Rowling stessa nei suoi libri viene meno al rispetto di questo Decreto (vi prego, fidatevi e non mi fate elencare gli esempi): si può presumere che l’applicazione sia piuttosto flessibile, soprattutto se i minorenni si trovano in ambienti senza Babbani intorno.
Anche qui e nei prossimi capitoli, se mi servirà per la trama, i protagonisti faranno magie: quindi tenete per favore presente che siamo sempre tra maghi e streghe e che il Ministero deciderà di chiudere un occhio.
Ammetto anche che qui ho focalizzato molto su Harry e Draco, lasciando gli altri personaggi di sfondo; contrariamente all’altra fanfiction (L’Ottavo Anno) non ho molto interesse a portare avanti una narrazione corale e ad approfondire molto le personalità di tutti…
 
 
 
 
 
 
 
Draco si era premurato di caramellare a suon di lamentele le orecchie di Blaise, via camino, via gufo, via Strillettera: tuttavia il contratto era irrevocabile e lagnanze varie non avrebbero mutato la situazione di una virgola.
Il biondo Serpeverde aveva anche pensato di raccontare l’intera storia a sua madre, che di sicuro avrebbe raso alle fondamenta la dimora degli Zabini a suon di fatture se lui avesse dipinto il fine settimana abbastanza foscamente: ma quando scese dalla sua camera per la cena, i genitori lo informarono che sarebbero partiti quella sera stessa per una seconda… No, terza luna di miele.
-Draco, tesoro, qualsiasi cosa tu mi debba dire può aspettare che io ritorni-, mormorò distratta la madre, accarezzando la testa del figlio e poi tirandoselo al petto in un abbraccio profumato e tenero.
Narcissa era molto prodiga di manifestazioni di affetto, ma in quanto a sesto senso materno… Non ne possedeva un’oncia e non aveva mai indovinato la realtà del carattere del figlio: non era della tempra algida dei suoi genitori e spesso rimaneva vittima del proprio temperamento, scostante ma fondamentalmente appassionato.
E parlarne con il padre? Per Merlino, non si sarebbe fatto scoprire così debole da non sapere affrontare un fine settimana insieme a Potter, per quanto la cosa lo disgustasse.
Certo, per essere disgustato dalla prospettiva aveva accumulato una notevole quantità di bagagli, una volta risalito in camera dopo aver cenato e salutato i suoi: non sapeva decidersi su che abiti portarsi dietro. Ed inoltre aveva cominciato a riempire bauli giorni e giorni prima. Come se fosse scandalosamente in preda all’entusiasmo. Assurdo, davvero assurdo.
“Sono abbastanza sicuro che la veste cerimoniale non mi servirà”, pensò occhieggiando la tunica di seta nera che pendeva da un attaccapanni in un angolo della stanza. “Ma non si sa mai, io me la porto, metti che decidiamo di sacrificare Potterginello su un altare…”
Come sempre, pensare allo Sfregiato gli procurò un intenso brivido giù per la colonna vertebrale, come se una goccia di pioggia gelida fosse scivolata lesta dal collo all’osso sacro; per quanto fuori si schiattasse di caldo, nel Maniero dei Malfoy la temperatura era decisamente più bassa grazie a muri spessi e incantesimi refrigeranti: però sentì il bisogno di farsi una doccia fredda, pur negando con fermezza a sé stesso che il motivo fosse il ricordo di due occhioni verdi e di una bocca umida…
Cacciò velocemente la veste cerimoniale nell’ennesimo baule e corse in bagno, disseminando indumenti per il corridoio man mano che se li toglieva di dosso, gridando agli elfi domestici di sistemare il suo casino.
Gli elfi domestici del Maniero detestavano il signorino Malfoy: ogni tanto se lo confessavano l’un l’altro, per poi punirsi stirandosi le orecchie o tirandosi in testa a vicenda l’intera collezione di calderoni a doppio fondo in ferro del quindicesimo secolo; soprattutto odiavano il signorino Malfoy quando restava da solo nel Maniero e si annoiava, ed allora li coinvolgeva, obbligandoli, nei suoi giochi e passatempi. La prima volta era capitato quando il piccolo erede aveva sette anni: i suoi genitori erano rimasti a dormire fuori dopo una cena e lui aveva fatto mascherare tutti gli elfi da coniglietti per poi inseguirli tirando loro certe strane pallette erbacee piene di piccoli aculei che si attaccavano ai loro sudici indumenti e poi davano un fastidio di inferno; oltre al danno la beffa: gli elfi prima avevano dovuto ripulire tutto il tessile del Maniero da quelle pallette insidiose e poi avevano dovuto picchiarsi con delle mazze per aver maledetto il ragazzino. Poi c’era stata quell’estate, dopo il primo anno di scuola, in cui li aveva reclutati a giornate perché lo aiutassero con gli allenamenti di Quidditch in vista dell’ammissione in squadra dei Serpeverde.
“Per Morgana, volate da fare schifo!”, aveva urlato contro loro.
In effetti, gli elfi domestici sulla scopa fanno una misera figura.
E adesso questo: il signorino Malfoy assolutamente fuori di testa in preda agli ormoni come un Erumpent sulla soglia della stagione dell’accoppiamento.
I piccoli esserini facevano il conto alla rovescia per la sua partenza, mentre si martellavano le dita con i pesanti cucchiai da portata del servito d’argento per aver osato essere felici di liberarsi del padroncino.
 
Draco non stava un gran che in quanto a stabilità mentale, ma si sarebbe sentito rifiorire se avesse potuto vedere lo stato in cui versava Harry Potter: questi aveva inizialmente accolto con un senso di ineluttabilità il contratto firmato ed aveva deciso di affrontare il fine settimana con razionalità e un’arrendevolezza da placida mucca condotta alla fiera di campagna; successivamente erano subentrate le paranoie, miste a momenti di euforia, per il fatto di poter comunque rivedere il soggetto delle sue fantasticherie emotive e sessuali, ed inframmezzate a lunghe parentesi di scoramento, perché era certo che sarebbe stata un’esperienza deludente.
Nei suoi sogni ad occhi aperti (ed anche in quelli ad occhi chiusi) Draco gli si sarebbe avvicinato con fare allusivo e sensuale, gli avrebbe sorriso e poi gli avrebbe infilato trenta metri di lingua giù per la trachea; e questo sarebbe stato solo l’inizio. Non si sarebbero chiesti scusa a parole, ma le azioni avrebbero parlato per loro dichiarando la loro tenerezza ed i loro sentimenti.
E avrebbero fatto sesso, sì, assolutamente tanto sesso, così tanto sesso che i muscoli delle gambe di Harry avrebbero continuato a tremare per giorni.
Di solito, a questo punto dai sogni ad occhi aperti e ad occhi chiusi spariva la componente sentimentale e si accentuava la parte in cui erano sudati ed appiccicati e gementi. Il che lo riportava al punto di partenza: niente di tutto questo sarebbe successo, ed il solo motivo per cui Harry non avrebbe corso pericoli era che Draco non poteva attaccarlo magicamente; anche se, a ben pensarci, forse il biondo sarebbe riuscito ad escogitare qualcosa di tremendo anche senza l’ausilio della magia. Del resto, lo aveva ferito tantissimo quando erano stati a Hogsmeade e, altro che magia, non aveva neanche dovuto usare le mani…
-Merda, non posso farcela!-, sbraitò in mezzo alla cucina di casa dei Dursley.
-Se papà ti sente dire queste parole, è la volta che ti sbatte fuori casa-, esordì una voce atona dietro di lui.
I rapporti con Dudley non erano idilliaci, ma dopo l’attacco da parte dei Dissennatori il grosso cugino aveva migliorato il suo comportamento, come se le visioni di dolore ed angoscia subite lo avessero indotto a cambiare direzione; era sempre odioso, ma meno prepotente. Non era diventato grande amico di Harry, ma ogni tanto riuscivano ad interagire in maniera quasi cordiale.
-Zia Petunia glielo impedirebbe-, rispose Harry, e di questo era certo. Non che dopo i fatti dell’anno precedente sua zia fosse più affettuosa o più tollerante, per carità. Però il racconto di Silente dopo i fatti accaduti al Ministero aveva indotto il ragazzo che in fondo in fondo qualcosa a sua zia lo doveva: gli aveva permesso di avere una vita, anche se insieme al resto della famiglia Dursley aveva provveduto a renderla uno schifo.
Dudley intanto si era servito una più che generosa porzione di pudding al caramello, accompagnato da altrettanto gelato alla vaniglia e granella di nocciole: praticamente una promessa di infarto a quarant’anni; si era seduto a tavola, su una sedia che aveva protestato vivacemente contro la sua mole e poi aveva alzato lo stolido sguardo dal piatto per rivolgerlo al cugino.
-Cosa non puoi riuscire a fare?-
Fantastico: miliardi di persone su questo pianeta e l’unico che si interessava ai suoi problemi era l’unico a cui non avrebbe mai voluto confessarli.
Tuttavia Harry aveva disperatamente bisogno di uno sfogo.
-Mi piace una persona-, si ritrovò ad ammettere, senza però sbilanciarsi con i dettagli. -Ma non credo di essere ricambiato-, aggiunse dopo un secondo.
-Non puoi farla innamorare di te con la bacchetta?-, chiese il Babbano.
-Credimi, magari potessi; purtroppo non va così-.
-Allora comprale dei fiori e dedicale una canzone: alle ragazze piacciono cose del genere-, suggerì Dudley, dando per scontato le preferenze di Harry, cosa che lui non si sentì di contraddire: davvero non gli pareva il caso di iniziare una discussione sulle sue preferenze sessuali.
Harry immaginò la scena di sé stesso che porgeva un mazzo di fiori a Draco e la reazione del Serpeverde: gli venne alle labbra una risata con un accenno di esasperazione.
-Non credo che funzionerebbe-, sospirò tra l’afflitto e il divertito.
Ma Dudley aveva iniziato a mangiare e a guardare la televisione, perennemente accesa in quella casa: il parente era sparito dall’orizzonte dei suoi interessi.
Così il Grifondoro si risolse a salire in camera propria: in attesa di poter liberare Edvige per un volo notturno le dette da mangiare e poi si buttò sul letto con l’intenzione di leggere e finendo invece con pensare a… Tanto per cambiare a quello che lo aspettava nel fine settimana.
Stava rimuginando da un bel po’ quando gli venne in mente che non aveva ancora letto le clausole del contratto magico ed iniziò a rovistare sul fondo dell’armadio dove lo aveva cacciato tentando invano di dimenticarsi dell’intera faccenda. Lo recuperò e si mise a studiarlo con attenzione.
Mezz’ora dopo lo riavvolse con cura: aveva appreso molte cose utili e aveva iniziato a spuntargli un piano in testa, a metà tra la rivalsa ed un inconfessato tentativo di conquista. Un po’ come tirare le trecce alla ragazza più carina dell’asilo per farsi notare.
Sorrise.
“Ci vediamo presto, Draco”.
 
Il fine settimana fatidico arrivò sin troppo presto.
Blaise aveva scritto a tutti per dare istruzioni: l’appuntamento era fissato per venerdì prima di pranzo, davanti al Paiolo Magico: avrebbero mangiato lì e poi avrebbero utilizzato una Passaporta per arrivare a casa sua; dei loro bagagli si sarebbero occupati gli elfi domestici della famiglia Zabini.
Harry ricevette un gufo anche da Ron, dove questi gli chiedeva se dovesse passare a prenderlo in qualche maniera; il ragazzo rispose che sarebbe andato a Londra con il Nottetempo dalla sera prima, ed avrebbe pernottato al Paiolo Magico, per cui si sarebbero visti là; chiese anche se poteva far restare Edvige alla Tana per il fine settimana, convinto che la risposta sarebbe stata positiva.
-Edvige, ti va di restare dalla famiglia Weasley mentre io non ci sono?-
La civetta fece un verso in risposta che non poteva essere interpretato che come un assenso: era molto meglio cacciare topi nel Devonshire che in città.
-Bene, allora consegna il messaggio e resta semplicemente lì. Se ci sono problemi, raggiungimi al Paiolo Magico-.
Poi aprì la finestra e lasciò volare fuori la candida civetta: la guardò allontanarsi silenziosa ed aggraziata e, solo quando fu diventata un puntino lontano, si riscosse per preparare il baule da portarsi dietro.
Per fortuna che aveva perfezionato con Hermione l’incantesimo Adduco Maxima ed ora era in grado di far entrare una gran quantità di oggetti, compresa la sua attrezzatura da Quidditch, in un baule molto più piccolo, leggero e maneggevole di quello che usava per la scuola. Ripensare alla sua amica riportò di conseguenza alla mente l’imbarazzata telefonata che lei gli aveva fatto per tentare di spiegare il suo comportamento riguardo al piano escogitato con Pansy: Harry tuttavia aveva liquidato l’argomento, perché in quei giorni provava una sorta di sordo fastidio nel sapere i suoi amici felicemente, diciamo, fidanzati e che rinsaldavano i legami della nuova combriccola, da cui lui per ovvie ragioni si sentiva escluso; sperava che almeno la presenza di altri ragazzi durante il ritrovo lo avrebbe distratto dal sentirsi un intruso: sapeva che Luna gli sarebbe stata di sicuro di appoggio, anche se nella sua trasognata ed assurda maniera.
 
Pernottare al Paiolo Magico fu piacevole.
Probabilmente non esisteva una sorta di percezione extrasensoriale per la magia, ma Harry era convinto di poter avvertire intorno a sé un’atmosfera diversa da quella che si respirava nel resto di Londra e soprattutto in Privet Drive: si sentiva svagato e leggero, a suo agio.
Chiese sia la cena che la colazione in camera, così non sarebbe dovuto scendere di sotto e sorbirsi tutta la tiritera su Il-bambino-che-è-sopravvissuto-e-‘sti-cazzi.
Il giorno dopo, di buon’ora uscì per fare un giro a Diagon Alley, che trovò come sempre magnifica; passò alla Gringott a ritirare un tot di soldi, visitò ovviamente il negozio di Accessori di Pima Qualità per il Quidditch, si prese un gelato alla Gelateria Fortebraccio e infine entrò nel negozio di Fred e George, dove fece incetta di ogni cosa: soprattutto comprò un edizione deluxe dei Fuochi Forsennati Weasley pensando che sarebbe stato bello farli esplodere con gli altri durante il fine settimana; Fred e George ovviamente non vollero che li pagasse, anzi, dissero che quanto prima gli avrebbero versato la sua parte degli utili: Harry, dopo il primo finanziamento, aveva proposto loro di essere un socio minoritario, non voleva mettere bocca nella gestione del negozio e nella produzione degli articoli, ma avrebbe fornito una certa cifra per contribuire a tenere in piedi l’attività.
La cosa non era ufficiale perché il ragazzo era per il momento ancora minorenne, ma Fred e George si sentivano riconoscenti per questo e non mancavano mai di dividere con Harry i guadagni; la realtà era invece che Harry si sentiva enormemente in debito con i due gemelli: dandogli la Mappa del Malandrino loro gli avevano in parte restituito suo padre.
In ogni caso, i Tiri Vispi Weasley andava alla grande, e il conto di Harry si incrementava costantemente.
Trascorse bighellonando il resto della mattinata e quando rientrò al Paiolo Magico, alcuni dei ragazzi erano già arrivati.
Blaise e Hermione, Pansy e Ron con Ginny, Megan Jones: tutti gli si fecero incontro, Harry li salutò con calore ma volse lo sguardo a scandagliare il pub.
-Se cerchi Draco, ha scritto che arriverà dopo mangiato-, gli spiegò Blaise con condiscendenza, mentre rivolgeva un cenno con il mento a Terry Boots, che stava entrando nel locale in quel momento.
-No… Io… Ecco… Cercavo la cameriera per ringraziarla del servizio in camera-, buttò lì Il-bambino-che-è-sopravvissuto-con-scarsa-immaginazione-per-le-scuse.
-Sì, certo, come no-, concesse Pansy.
Harry ammutolì, pensando a quanto odiasse i Serpeverde intuitivi.
L’atmosfera non era proprio cameratesca, ma grazie al buon cibo e alla Burrobirra piano piano riuscirono ad instaurare una buona conversazione allegra, soprattutto quando, con l’arrivo di Michael e Luna, Ginny si rilassò visibilmente e smise di lanciare occhiatacce ali due Serpeverde. Harry stava ingurgitando un grosso boccone di arrosto, quando la porta del Paiolo Magico si spalancò e Draco Malfoy fece il suo ingresso, sostando appena due passi oltre la soglia e osservando intorno, mentre il suo consistente bagaglio gli levitava dietro.
Harry ingoiò il pezzo di carne che si stava cacciando in bocca e manca poco anche la forchetta:
Draco era bellissimo, con il viso altero, i capelli intrecciati e… Vestito con indumenti babbani?!
Lo sguardo grigio si posò sul Grifondoro e le pupille si dilatarono per una frazione di secondo prima che Draco assottigliasse gli occhi ed arricciasse la bocca in una smorfia che sembrò di fastidio.
Nessuno avrebbe potuto immaginarlo, ma il motivo per cui Draco era arrivato tardi era di dover passare a ritirare gli abiti commissionati a Telami e Tarlatane, dove, contando sulla discrezione del proprietario e dei commessi, si era fatto cucire alcune cose sul modello di vestiti babbani: jeans che però non erano jeans, magliette che però non erano magliette; così gli aveva suggerito di fare Pansy per conciliare il suo rifiuto di mischiarsi ai Babbani con uno spiraglio di moderazione per campare in pace in quel fine settimana.
Pareva aver funzionato, perché quasi tutto il tavolo lo osservava meravigliato e nella fattispecie Potter sembrava che stesse soffocando per la sorpresa: fantastico. A saperlo, se fosse riuscito a liberarsi dello Sfregiato con così poco avrebbe commissionato dei jeans-non-jeans anni prima.
Il biondo inspirò a fondo per farsi forza di affrontare quella tavolata di traditori del loro sangue, inetti, Mezzosangue, Nati Babbani e amici fedifraghi: lui era la vittima di quella congiura e se avesse potuto l’avrebbe fatta pagare a tutti; ma dato che era obbligato a frequentarli e che si trovava in evidente inferiorità numerica, tanto valeva frequentarli con classe e stile.
Sorrise con cordialità e si avvicinò.
A Harry, che lo stava mangiando con gli occhi mentre tentava di non soffocare con il boccone di carne, sembrò che la stanza si illuminasse al sorriso di Draco, anche se dovette ammettere che per affabilità assomigliava ad un Nundu che scoprisse i denti per divorare una pecorella; quando Draco prese posto accanto a lui mormorando “tanto prima o poi mi tocca”, lo stomaco di Harry si chiuse repentinamente, tanto che spinse via il piatto.
Ron gli chiese se non ne mangiasse più, Harry fece un vago cenno di assenso e il rosso si impossessò della sua razione per trangugiarla.
-Ron, sei un maiale!-, esclamarono all’unisono Hermione e Pansy, scoppiando poi a ridere.
Il resto della compagnia riprese a mangiare e discorrere, come niente fosse, ma per Harry producevano solo un indistinto brusio, perché Draco, gomito sul tavolo e mento sulla mano, lo studiava con intensità; in più, le loro cosce sotto il tavolo aderivano per tutta la lunghezza.
E niente, il cervello del Grifondoro si era spento come un cerino consumato. Il ragazzo tentò un sorso di Burrobirra, ricordando a sé stesso di non sorridere prima di aver inghiottito, poi provò a replicare la posizione di Draco per studiarlo a sua volta, ma mancò clamorosamente il tavolo con il gomito e arrossì imbarazzato, aspettando il commento acido del biondo: il quale però se ne stette zitto, continuando a guardarlo e anzi aprendo la sua espressione in qualcosa di più amichevole.
“Eccoci, ci risiamo con la tiritera dell’ultimo periodo a scuola, quando mi ha mandato fuori di testa”, pensò il Grifondoro, ma invece di incupirsi sorrise: per fortuna aveva ingoiato la Burrobirra.
Draco non aveva pianificato di sedersi là, ci era andato di impulso; ma a conti fatti si disse che il suo istinto doveva essere bastardo come la sua parte cosciente se quello era l’effetto che sortiva in Potter la sua vicinanza: di sicuro l’astio che provavano uno nei confronti dell’altro doveva averlo confuso. Rimase a fissarlo ancora un po’ e a godersi il contatto delle loro gambe (aveva detto “godersi”?), poi distolse l’attenzione e cominciò a parlare con Ron (tentando di non far trapelare quanto fosse disgustato dal suo modo di mangiare) di Quidditch: li avrebbe frequentati con classe e stile e forse ci sarebbe stato anche spazio per qualche piccola vendetta.
 
-Tu stai scherzando!-, sbottò Draco indignato.
-Per niente, te lo assicuro-, ribatté serio Blaise sulla soglia della stanza.
Erano arrivati alla dimora in Galles della famiglia Zabini: non era grande a detta del ragazzo, ma a Harry, che veniva da un sottoscala, era sembrata enorme e sfarzosa.
Il Serpeverde padrone di casa aveva illustrato loro i vari ambienti: cucina, bagni, camera da pranzo, salone, stanza della musica e dei giochi ed infine camere da letto. Era a quel punto che il melodramma era esploso, quando Draco aveva scoperto che avrebbe dovuto pernottare insieme a Harry Potter.
-Sono tutte camere doppie o triple, e ringraziami che non vi sia toccata una di quelle con il letto matrimoniale-, proseguì l’amico, infierendo.
Draco lo guardò stravolto e senza parole, ma solo per un attimo: si riprese prontamente e dichiarò di voler dividere la camera con Terry Boots.
Harry si intrufolò nella stanza e nella conversazione, con un sorriso da orecchio a orecchio. Da dopo pranzo tampinava Draco abbastanza da vicino: quest’ultimo se ne era accorto, però non si era domandato come mai.
Blaise invece ritenne opportuno squagliarsela.
-Non puoi, non hai letto il contratto? Non possiamo stare a più di tre metri di lontananza. E visto che le camere da letto sono tutte distanti tra di loro, non possiamo che dividere la stessa; a meno che tu non voglia dormire nella vasca del bagno qui accanto, ma forse è già troppo lontana. Ehi, Blaise, mi piace qui! Draco, io prendo il letto vicino alla finestra, se per te va bene-, concluse gaio lasciandosi cadere seduto sul materasso e facendo un paio di saltelli per testarne la morbidezza. Se gli passò per la mente come sarebbe stato rotolarvisi sopra con Draco, riuscì a dissimularlo perfettamente. Era matematicamente certo che Malfoy non si fosse degnato di scorrere il contratto, e gongolava nell’aver segnato quel punto a suo favore: lui aveva avuto modo di prepararsi mentalmente, il biondo no; in quel momento il Grifondoro si sentì molto Serpeverde.
Draco boccheggiava come un capodoglio spiaggiato: bello, elegante, proporzionato, ben vestito e ben pettinato, per carità! Ma pur sempre pesce fuori dall’acqua.
-Cos… Cosa?! Io… No! Come? No!-
-Bello sfoggio di eloquenza, Malfoy. Allora per te va bene il letto vicino alla porta?-
-Potter, levati subito di testa questa puttanata di idea per cui divideremo la stanza per la notte!-
Potter per tutta risposta allargò ancora il sorriso sulla sua faccia.
-Non vedo come potresti svicolare!-
-Io… Io russo, ecco! Riesco perfino a svegliare Tiger e Goyle!-
-Perfetto! Io ho degli incubi in cui sogno Voldemort e urlo come un pazzo! Vedrai, sarà bellissimo-, disse battendo le mani in una perfetta parodia di sé stesso sotto esaurimento nervoso.
Draco avanzò a lunghi passi fino ad arrivargli davanti per sventolargli un dito minacciosamente davanti al naso.
-Prendi il cazzo di letto che ti pare, Potty. Hai vinto una battaglia, non la guerra-, sibilò minaccioso, per poi dirigersi glaciale verso la porta. Certo, la sua uscita teatrale avrebbe sortito un migliore effetto, se non fosse stata bloccata dal fatto che si trovava a più di tre metri da Harry, per cui Draco non riuscì per niente ad uscire e gli toccò rimanere lì imbronciato a battere un piede sul pavimento con fare impaziente, intanto che Harry cominciava a sganasciarsi dalle risate: si sentiva bene a tormentare Draco, perché indispettirlo era comunque meglio di niente.
Nell’immediato il piano di Draco per vincere la sua guerra fu di rinchiudersi in un ostinato, astioso silenzio, con un’espressione immusonita; e tanti saluti alla classe e allo stile.
Ora, Harry trovava la sua bocca imbronciata desiderabilissima e sexy, ma non gli parve il caso di dirlo ad alta voce.
Entrambi sistemarono i bagagli e poi scesero al piano di sotto nel salone: il Grifondoro entusiasta davanti e il Serpeverde dietro, di malavoglia, alla distanza massima consentita dal contratto. Riunitisi agli altri, Harry prese posto in una poltrona, mentre Draco si lasciò sprofondare con mala grazia in un divano lì appresso, appoggiando le gambe sul bracciolo e distogliendo lo sguardo verso dei trofei appesi al muto, ostentando indifferenza verso quello che gli accadeva intorno.
Il resto del gruppo stava decidendo di scendere al fiume, anche quello dentro la tenuta, per imparare tutti insieme uno sport babbano che Michael aveva proposto: si era detto convinto che sarebbe piaciuto agli altri perché in parte simile al Quidditch e aveva aggiunto di essersi portato dietro l’equipaggiamento per chiunque avesse voluto provare.
Il biondo fece un commento a bassissima voce su sport babbani del cazzo, ma lo sentì solo Harry, perché andò perso nella confusione della discussione mentre il Corvonero spiegava le regole del baseball e gli altri facevano domande.
Lo spirito Grifondoro ebbe la meglio sugli altri, facendo optare Harry per non accodarsi al programma così da non rovinare il pomeriggio a tutti, cosa che sarebbe inevitabilmente accaduta se Draco fosse stato con loro; inoltre voleva stare con lui da solo il più possibile, perché sentiva dentro di sé che questa sarebbe stata la sua sola ed unica occasione per passare più tempo possibile con l’oggetto della sua concupiscenza: terminato quel fine settimana sarebbe terminato tutto. Si stava arrabattando il cervello per trovare una scusa alla loro defezione, quando tra i ragazzi trotterellò l’unico elfo domestico rimasto con loro, mentre gli altri erano tornati nella casa principale con la signora Zabini: era ben vestito ed aveva uno sguardo sereno e vivace. Fece un piccolo inchino a tutti e poi si rivolse a Blaise; mentre parlava il suo sguardo era carico di affetto e Harry si ricordò del racconto di Hermione in cui gli spiegava che in quella famiglia gli elfi venivano trattati bene e, anche se non erano pagati (del resto loro non avrebbero voluto), avevano condizioni di lavoro accettabili e indumenti dignitosi: il trucco per farglieli avere senza liberarli era di lasciare che li trovassero in giro per casa senza donarli loro.
-Padroncino Zabini, questo è menù per la cena-, esordì la creatura porgendo un foglio.
-Mi fido di te, Ghisten-, lo rassicurò Blaise, sorridendo, restituendo la carta senza neanche guardarla.
L’elfo prese a torcersi le mani con violenza.
-Però io teme che cena sarà servita tardi, io deve ancora fare tante cose per prepararla-, confessò lamentoso.
Tutti cominciarono a dire che non era un problema, che non si preoccupasse; tutti tranne Draco, che guardò l’esserino in silenzio, alzando un sopracciglio.
L’elfo si scusò e ringraziò, per poi ritirarsi verso la cucina.
Harry ebbe un’epifania: scattò in piedi.
-Ti aiuto io, Ghisten!-, disse trionfante. Poi guardò Draco che lo fissava a bocca aperta. -Anzi, ti aiutiamo noi!-, aggiunse, agguantando il biondo per un polso e trascinandoselo dietro di peso, caracollante nel tentativo di recuperare l’equilibrio.
Hermione e Pansy si scambiarono un sorriso di intesa e poi incitarono gli altri ad avviarsi.
 
Ghisten era sull’orlo delle lacrime per quell’insperato supporto, ma lo stesso fece un sacco di cerimonie prima di accettare. Harry riuscì a spuntarla solo perché lo convinse che era l’elfo a fargli un favore, accettando il suo aiuto.
Be’, in una certa maniera era anche vero.
Draco, nel frattempo, era rimasto alla massima distanza consentita: la cosa di fatto si traduceva nel Serpeverde appoggiato ad un muro, caviglie incrociate, braccia conserte e tempesta sul viso.
Harry lo aveva ignorato, per il momento gli bastava che fosse lì con lui e che fossero soli. Chiese invece all’elfo cosa potesse fare: questi riemerse dalla dispensa con un grosso involto tra le braccia e lo poggiò sul piano da lavoro, in mezzo a barattoli di spezie e bottiglie di condimenti; a quel punto guardò Harry diretto negli occhi e chiese con rispetto se davvero padron Potter sapesse cucinare.
-Me la cavo, mia zia mi ha spesso obbligato ad aiutarla-.
-E padron Malfoy sa cucinare?-, domandò abbassando la voce in un bisbiglio dubbioso.
Draco, sentendosi nominare ma non capendo il resto si avvicinò, vinto dalla curiosità.
Harry si abbassò verso un orecchio dell’elfo, che gli ricordava tanto Dobby.
-Non credo, ma non ti preoccupare: è qui solo per farmi compagnia, gli impedirò di fare disastri-, rispose con fare complice sussurrando. Poi si rialzò, vedendo che Draco era sopraggiunto. -Dimmi cosa vuoi che faccia, Ghisten-, aggiunse con un tono più alto.
-Padron Potter può marinare il cinghiale, mentre Ghisten finisce di pulire casa; poi Ghisten torna e prepara la torta e cuoce il cinghiale e le patate, sì, sì-, propose andando via dalla cucina.
Così Harry rimase davvero solo con Draco, ed un tocco di cinghiale davanti da marinare per la cena.
Guardò, il biondo, gli scappò un sorriso genuino per la strana ed intima situazione in cui si trovavano e poi iniziò a studiare i barattoli per scegliere quelli giusti.
Forse un gruppo di neuroni e sinapsi proiettò l’immagine dei due insieme a preparare la cena in una casa che apparteneva a loro, poco vestiti e in confidenza: ma erano neuroni e sinapsi cattivi, ed andavano ignorati.
Draco, dal canto suo, era rimasto in silenzio più che aveva potuto, deciso ad essere spettatore passivo di tutto quel che accadeva, ma ad un certo punto la sua ironia proprio non ce la fece a restargli dietro la linea delle labbra.
-Potter, davvero non capisco perché dovresti voler portare pezzi di cinghiale morto al mare e gettarcelo dentro-, commentò Draco trasudando sdegnata perplessità. -Mi sembra altamente antigienico, visto che lo dobbiamo mangiare-, considerò infine.
-Draco, marinare non vuol dire mica buttare a mare-, ribatté il moro, tentando di non dare enfasi al fatto che l’altro avesse ripreso a parlare. -È una cosa che si fa con la carne per renderla più tenera e darle aroma-.
-E come avrei potuto saperlo? Queste cose per me di solito le fa qualcun altro: un cuoco, un elfo…-
-Ma non desideri essere indipendente nella tua vita?-, domandò il moro, stupito ed incuriosito, come se fosse una domanda pienamente lecita da fare a chi aveva evitato di parlarti fino a qualche secondo prima.
Draco lo guardò come se gli fosse spuntata una seconda testa, e per di più brutta.
-Economicamente indipendente, vorrai dire. Mica culinariamente indipendente. Se sarò molto ricco e potente, e non vedo perché non dovrei esserlo, basterà che io paghi qualcuno che dipenda da me e mi marini il cinghiale-. Ci pensò su un attimo e sogghignò. -Potrei assumere te-.
Harry lo guardò storto, ma Draco proseguì nella sua ironica e assurda fantasticheria senza badarci.
-Nel caso che tu non venga sconfitto dall’Oscuro Signore, trionferai e sarai osannato. Però la gloria ti darà alla testa, diventerai instabile e finirai internato al San Mungo per aver aggredito dei disgraziati bambini che ti chiedevano un autografo; dopo qualche anno ne uscirai per scoprire di essere rimasto solo al mondo e povero perché il Ministero avrà confiscato tutti i tuoi beni. Allora, disperato, ti rivolgerai a me per avere un impiego; io, nella mia magnanimità, ti concederò di marinarmi il cinghiale e lustrarmi le scarpe, debitamente inginocchiato ai miei piedi-.
Parve soddisfatto della sua fantasia e rivolse una smorfia all’altro, una smorfia di scherno e superiorità.
-Preferirei spulciare un lupo mannaro con la lingua che stare sotto di te-, ribatté secco Harry di getto.
Fu subito lampante che entrambi avevano interpretato “stare sotto di te” in una maniera che niente aveva a che fare con cinghiali e scarpe ed assunzioni lavorative: si guardarono ad occhi sgranati, con le pupille istantaneamente dilatate per lo scatto immaginativo. Nella fattispecie, Draco visualizzò Harry inginocchiato davanti a lui a prenderglielo in bocca e Harry si immaginò riverso sul tavolo con Draco sopra che gli faceva cose che non sapeva nemmeno bene se fossero compatibili con le leggi anatomiche umane.
Dimenticandosi del contratto magico ciascuno dei due tentò di scappare precipitosamente via dall’altro per sottrarsi all’imbarazzo, ma raggiunta la distanza massima vennero riattratti tra di loro come se fossero legati da un potentissimo elastico, con il risultato di sbattere violentemente uno addosso all’altro e cadere rovinosamente a terra.
Rimasero lì, a guardarsi senza saper che fare, in preda ad una galoppata ormonale ma ognuno reticente ad agire per i propri motivi: Harry per paura di essere respinto e deriso, Draco per aver male interpretato la recita di Harry quando gli aveva scritto che quella cosa successa ad Hogsmeade non aveva significato niente.
Quel momento sarebbe durato ancora in eterno, o forse si sarebbe risolto in qualcosa di più piacevole, se Ghisten non avesse inopportunamente scelto di rientrare in cucina per iniziare a preparare da mangiare: non mostrò di aver notato i due sul pavimento o, se lo aveva fatto, non sembrò reputarlo degno di stupore.
-Bravo, padron Potter! Io ora porta il cinghiale di là e mette al fresco fino a che non arriva l’ora di cuocerlo! Grazie, amici di padroncino Blaise!-, comunicò trotterellando fuori dalla stanza.
E l’attimo magico era passato: il Serpeverde si era tirato su.
-Potter, basta giocare allo sguattero! Io voglio divertirmi con gli altri!-, proruppe sgarbato. Fare i capricci aveva risolto molti dilemmi nella sua vita, forse sarebbe andato bene anche con questo.
Tuttavia Harry, aveva notato che Draco aveva il respiro un po’ affannato e che gli voltava le spalle con troppa convinzione ed un filo ingobbito: intuì cosa ci fosse dietro a quella scena. Lo intuì perché lui aveva passato mesi a tentare di dissimulare le sue erezioni.
Una flebile scintilla di speranza baluginò in fondo al suo animo: forse Draco non lo voleva, ma forse non lo schifava neanche.
In ogni caso aveva ottenuto il suo scopo: smuoverlo da quell’apatico malumore e dal silenzio cocciuto.
-Bene, allora, prendiamo le scope e raggiungiamo gli altri che sono scesi al fiume da un po’-, propose Harry: Blaise gli aveva spiegato che la villa era in mezzo a una vasta tenuta di proprietà della famiglia Zabini e protetta da incantesimi che impedivano ai Babbani di entrarvi e di vedervi dentro; per cui non c’erano problemi a volare sui manici di scopa, a patto che non fosse troppo in alto.
  
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