Everything the snow touches is yours
-I-
Quando
l’aveva vista per la prima volta aveva già quasi
duecento anni sulle spalle,
duecento anni di solitudine e freddo, due o tre vite condensate in una.
Lei
ne aveva a malapena sette o otto.
Aveva
chiesto al vento di portarlo a casa, come faceva sempre, quasi senza
accorgersene, sussurrando quelle parole tra sé: tanto
nessuno le avrebbe
sentite ugualmente. Ma dov’era casa? Non lo sapeva, o meglio,
non lo ricordava.
Il vento lo conduceva ogni volta in un posto diverso, un posto che
rispecchiasse il suo stato d’animo o che lo distogliesse
almeno per un po’ da
quella monotona solitudine. Lo faceva librare su città
dormienti che si
estendevano a perdita d’occhio, volteggiare su pascoli
notturni incastrati tra
picchi scoscesi, dove si fermava ad ascoltare le quiete canzoni dei
pastori, o
sulle onde del mare in tempesta e lui si aggrappava alle sartie e
saltava da un
ramo all’altro delle navi.
E
il vento l’aveva condotto da lei, oppure il destino,
più capriccioso e
imprevedibile di ogni altra forza esistente. Nemmeno lui, essere
immortale ed
eterno, poteva sfuggirgli.
I
vetri della sua finestra erano gli unici del regno ad essere
ghiacciati. Quello
non era ghiaccio del suo sacco e non era riuscito a scioglierlo per
vedere
all’interno. La sua parte più intraprendente lo
aveva convinto a bussare alla
finestra, sperando che qualcuno gli aprisse per poter sbirciare dentro.
La sua
gioia iniziale, quando aveva visto le imposte aprirsi, si era tramutata
ben presto
in sconcerto, poi in sbalordimento ed in seguito in panico.
La
bambina affacciata al davanzale lo aveva fissato, ma non come se stesse
guardando nel vuoto. Lei aveva guardato proprio lui, essere invisibile
ai più,
con i suoi penetranti occhi azzurri. Lei era riuscito a vederlo!
Poi
la bambina aveva aperto la bocca, come per urlare e lui le era volato
vicino,
tappandogliela celermente. Ci era riuscito, non le era passato
attraverso e lei
non aveva rabbrividito. Anzi, una sensazione strana gli aveva
formicolato nella
mano, quando gliel’aveva posata sulle labbra.
Non ti farò
del male, tranquilla. Ora ti lascio andare ma non urlare.
Quegli
occhi l’avevano fissato ancora e la testolina bionda aveva
annuito. Appena
l’aveva lasciata andare, un muro di
ghiaccio si era frapposto tra loro e stavolta era stato lui ad urlare
per la
sorpresa. Aveva balbettato qualcosa di incomprensibile, troppo
sconvolto per
articolare una frase di senso compiuto, mentre mille domande gli si
affollavano
in mente.
Un
occhio chiaro lo aveva sbirciato dal ghiaccio trasparente e tutto
d’un tratto
la bambina era riapparsa, sciogliendo con un gesto della mano la parete
che li
divideva.
Chi sei?, gli aveva chiesto con una
vocina striminzita.
Jack Frost, aveva sussurrato senza
fiato, sbalordito da quello che aveva appena visto, Tu
puoi vedermi? Come è possibile?
Perché non
dovrei?, un
piccolo e arcuato sopracciglio si era alzato interrogativo.
Nessuno può
vedermi, io sono invisibile come il vento e freddo come la
neve…io sono lo
spirito dell’inverno, le
aveva detto recitando i versi di una ballata che qualcuno gli aveva
dedicato. Poi
battendo il bastone in
terra aveva dato vita ad un campo di fiori ghiacciati sul pavimento.
Gli
occhi azzurri si erano spalancati oltre l’inverosimile e le
piccole manine si
erano strette l’una all’altra, tormentandosi.
Tu sei come
me, l’aveva
sentita balbettare tra le lacrime. I fiori di ghiaccio ai suoi piedi si
erano
crepati, lasciando spazio a frattali geometrici.
Non credo. L’aveva osservata
bene e,
nonostante gli fosse sembrata qualcosa di più che una
semplice bambina, non
aveva scorto i segni del ghiaccio sulla sua pelle diafana,
né le falci di luna
nei suoi occhi. L’uomo nella luna
ti ha
mai parlato?
Non c’è
nessuno nella luna.
Allora tu non
sei come me.
Ma tu hai
fatto questo!, aveva
protestato indicando il pavimento, Devi
essere come me, altrimenti come sarebbe possibile.
Sono stato
scelto, non l’ho chiesto io di essere così.
Oh, mi
dispiace.
Perché? Non è
mica una malattia.
Ma è una
maledizione, aveva
controbattuto con una scintilla di disappunto negli occhi.
Be', non è
sempre facile come sembra adempire ai miei compiti, ma non la chiamerei
maledizione. Perché dici questo?
Il freddo
uccide tutto quello su cui allunga le sue spire, come le mie mani, aveva
abbassato lo sguardo
sulle mani fasciate da guanti scuri.
Le
parole Anna, mia
sorella e quasi uccisa,
erano uscite diverse volte dalla bocca della bambina quella notte,
mentre
cercava di farle capire che no, non era una maledizione la sua e che
sì, poteva
esserci del bello laddove lei vedeva solo freddo e morte. I suoi
coniglietti di
neve avevano saltellato per la stanza suscitando la delizia della
bambina. I
suoi enormi occhi chiari si erano spalancati per la sorpresa.
Elsa. Questo era il suo nome.
Tornerai a
trovarmi?,
gli aveva chiesto poco prima che lui si rigettasse di nuovo nel flusso
del
vento per farsi condurre in un altro luogo.
Ogni volta che
mi sarà possibile, te lo prometto. Le
aveva lanciato un fiocco di neve sul naso e una risatina lieve le era
uscita
dalle labbra dischiuse. Poi era uscito dalla finestra aggrappato al suo
bastone.
Osservando
il piccolo regno incastonato tra i fiordi diventare sempre
più piccolo, si era
chiesto quando avrebbe rivisto quella singolare bambina dai penetranti
occhi
azzurri.
********
Di
solito manteneva le sue promesse. Non che ne facesse molte dato che
nessuno
poteva vederlo, ma quando ne aveva occasione, cercava sempre di tener
fede alla
parola data. E di certo non si era dimenticato di Elsa e del giuramento
che le
aveva fatto.
Però
per due lunghi inverni, far visita alla bambina era passato in secondo
piano
sulla sua lista di cose da fare. Al primo posto era scalata la
questione cercare di non gelare i raccolti
per sbaglio…di
nuovo.
Alla
fine, una notte di due anni dopo il loro primo incontro, sul finire
della
stagione fredda, poco prima che la neve si sciogliesse definitivamente
e
l’inverno lasciasse il posto alla primavera, aveva
esplicitamente chiesto al
vento di riportarlo da Elsa.
Sono
tornato, visto?, l’aveva salutata saltando
nella sua stanza.
Sono
passati due anni, l’aveva ripreso lei,
scalciando via le coperte. Era cresciuta in altezza e i capelli si
erano
allungati, ricadendole sulle piccole spalle come una cascata
d’oro bianco.
Sono
stato molto impegnato.
Ho un lavoro a tempo pieno io, non scorrazzo tutto il giorno in un
enorme
castello, aveva
cercato di risponderle a tono, ma la sua espressione si era rattristata
ancora
di più. Cosa ho detto?
È
diventato più forte, gli aveva risposto
semplicemente, come se quelle parole spiegassero tutto,
ora se posso evito di lasciare la mia stanza.
Non
era riuscito a dire molto, tranne un semplice e banale
oh che sembrava la cosa più stupida da dire in
quel momento, ma la
faccia triste di Elsa e i suoi denti bianchi che tormentavano il suo
labbro
inferiore, lo avevano lasciato senza parole. Le aveva tenuto compagnia
in
silenzio, cercando di farla sorridere con piccoli indovinelli e magie
con la
neve, ma lei era rimasta impassibile, quasi come se ogni traccia di
gioia le
fosse stata strappata via in maniera brusca e violenta e lei non se ne
fosse
nemmeno accorta. Guardarla era stato uno spettacolo straziante per il
suo
cuore. Non aveva potuto fare altro che stringerla timidamente in un
abbraccio
consolatore, come se con quel semplice contatto lui potesse scacciare
ogni
demone assiepato nella giovane anima della ragazzina. Un brivido aveva
scosso
la principessa da capo a piedi quando l’aveva toccata.
Hai
freddo?, le
aveva chiesto, preoccupato che la sua temperatura corporea potesse
infastidirla.
Il
freddo non mi ha mai dato
fastidio,
gli aveva risposto semplicemente, stringendosi ancora di più
a lui.
E
allora Elsa era scoppiata a piangere: prima piano, con lacrime
silenziose che
si facevano strada sul suo visino pallido, poi sempre più
forte, con singhiozzi
strozzati e gemiti dolorosi.
Quella
notte si era addormentata così, piangendo tra le sue braccia
e, come non gli
capitava da decenni, si era lasciato rapire anche lui dal richiamo del
sonno,
cullato dal respiro dolce e ritmico di Elsa poggiata sul suo petto.
All’alba
era stato svegliato dal canto di un tordo, quando ancora il mondo fuori
dalla
finestra della stanza del castello era immerso nel buio. Elsa ancora
stretta a
lui, come se da quel contatto dipendesse la sua stessa vita. Si era
districato
dolcemente dalla sua presa, cercando di non svegliarla, poi le aveva
rimboccato
le coperte e prima di lasciarla di nuovo le aveva posato un bacio tra i
capelli.
Mentre
volava lontano da Arendelle per la seconda volta, si era ripromesso che
non
avrebbe più fatto passare tanto tempo prima di tornare da
lei.
********
Come
suo solito aveva disatteso per l’ennesima volta una promessa
fatta a se stesso.
Aveva lasciato passare un altro anno prima di rivederla e poi un altro
ancora,
e quel piccolo viaggio verso il nord del mondo era diventato routine
per lui:
una volta al mese, durante la stagione invernale, andava a trovarla.
Lui
cercava di portarle gioia, ma lei con il passare del tempo diventava
sempre più
chiusa in se stessa e scostante. La paura di far male a qualcuno la
teneva
rilegata in quella stanza, lasciando che la vita le scivolasse accanto.
Non
sopportava di vederla così.
Devi
uscire da queste
quattro mura, non ti fa bene stare sempre al chiuso! Prendi un
po’ d’aria, sta’
al sole! Sei così pallida, aveva
cercato di persuaderla lui durante uno dei loro incontri.
Ci
sono nata così, è il mio
colore naturale, aveva
controbattuto lei tenendo gli occhi fissi fuori dalla finestra, e in
quello
sguardo perso chissà dove lui c’aveva letto la
voglia di uscire e di andare
via, ma anche il terrore di farlo.
E
poi non accetto consigli
da uno smunto come te,
un accenno di sorriso le aveva increspato le labbra rosa, hai sangue che ti scorre nelle vene?
Non aveva mai pensato a quella cosa, e le parole di Elsa lo avevano fatto riflettere. Così quella sera, pungendosi con l’ago del cucito della principessa, aveva riscoperto il colore del suo sangue, rispondendo alla domanda retorica della sua piccola amica.
********
Affezionarsi
agli esseri umani e preoccuparsi per il loro benessere, non era una
cosa che di
solito faceva. Tuttavia durante i suoi vagabondaggi, durante il resto
dell’anno
in cui portava l’inverno ad altre latitudini lontane da
Arendelle, la sua mente
correva spesso a Elsa. Bastava il cielo di una particolare sfumatura a
ricordargliela o il viso pallido di una bambola stretta tra le braccia
di una
bambina perché pensasse a lei, chiusa nella sua stanza,
isolata da tutti per
sua scelta, incapace di avere un contatto umano, pronta a precludersi
la
felicità pur di vedere quelli a cui voleva bene al sicuro,
piegata in un angolo
cercando di farsi forza.
Le
voleva bene. Era un dato di fatto e quando quella consapevolezza
bussò alle
porte della sua coscienza si sentì perso. Non sapeva come
reagire a un tale
sentimento né come gestirlo. Si chiese se Elsa provasse lo
stesso affetto per lui.
Quando
nel dicembre di quell’inverno tornò da lei la
trovò intenta in qualcosa che lo
fece tremare, e non per il freddo. Non ricordava d’aver avuto
mai tanta paura
come in quel momento, quando si era ritrovato quella scena davanti:
Elsa in
piedi davanti allo specchio con una scheggia affilatissima di ghiaccio
premuta
al petto. Se fosse arrivato qualche minuto dopo di certo avrebbe
incolpato se
stesso per il resto dei suoi giorni.
Era
corso subito da lei, strappandole con un gesto furioso la scheggia
dalle mani e
con uno strattone l’aveva voltata verso di lui.
All’inizio non si era accorto
delle lacrime che copiose le cadevano dagli occhi.
Si
era ritrovato davanti una ragazzina, quasi donna, tremante ed
impaurita,
sconvolta dall’esistenza che il fato le aveva destinato.
L’aveva stretta in un
abbraccio che gli era sembrato durare un’eternità.
Smettila di piangere, Elsa. Te ne prego. Non gli aveva
risposto, aveva continuato a
nascondere il viso nel suo petto. Perché
Elsa? Perché volevi farlo? Io tengo a te, come pensi mi
sarei sentito quando
non avrei trovato la tua finestra aperta?
Riusciva
a percepire il dolore e i pensieri nefasti che le si agitavano dentro,
eppure non
riusciva a trovare parole con cui confortarla. Lei non parlò
quella volta, né
si ribellò alla sua presa: rimase stratta a lui in cerca di
quel conforto che a
voce non riusciva a darle.
Ci
aveva comunque provato. Non poteva lasciarla a macerare
nell’odio verso se
stessa.
Perché
non riesci a vedere
quanto tu sia forte? Quanto tu sia potente! Elsa, ascolta: ogni cosa
che la
neve tocca è tua. Nessuno oltre te ha questo potere, tu sei
unica. Un miracolo
brillante nel grigiore del mondo.
Cercava di farle capire come lui la vedesse, non come
un’anomalia ma come un
essere straordinario. L’aveva allontanata da sé
stringendole le mani e in quel
momento si era reso conto di quanto fosse cresciuta in quei mesi di
lontananza:
gli zigomi si erano alzati prendendo il posto delle gote paffute, le
labbra si
erano riempite e le ciglia si erano allungate ad incorniciare quegli
occhi puri
e antichi. Quanti anni aveva a quel tempo? Quattordici, Quindici?
Perché
non riesci a vedere
quanto tu sia…bella?,
si era lasciato sfuggire mentre le accarezzava una guancia.
L’aveva vista
sobbalzare, incrociare il suo sguardo e poi distoglierlo nel tempo di
un
respiro. Era davvero bellissima. Negli anni a venire non avrebbe saputo
spiegare cosa lo avesse attirato così vicino a lei, come
avesse fatto a
ritrovarsi a sfiorare il naso perfetto di Elsa e a premere le sue
labbra fredde
contro quelle morbide di lei.
Stava
di fatto che quello era stato il suo primo bacio e, a giudicare dalla
reazione
della ragazza, anche quello di Elsa.
Dopo
pochi secondi di immobile stupore lei l’aveva spinto via e si
era nascosta il
viso tra le mani. Perdonami, le
aveva
detto con un filo di voce. Si era avvicinato alla finestra, pronto per
andarsene al suo minimo cenno ma lei l’aveva tirato per un
braccio.
Resta,
lo aveva supplicato e lui
non era stato mai così felice di accettare.
********
Quei
loro rendez vous avevano avuto luogo per un numero imprecisato di
volte, finché
una notte, in una delle notti più fredde che avesse mai
ricordato, la finestra
della stanza di Elsa era rimasta chiusa quando aveva bussato. Ghiaccio
spesso
ed impenetrabile a ricoprire il vetro, come la prima volta che
l’aveva
incontrata. Aveva continuato a bussare, con il presentimento che le
fosse
accaduto qualcosa di terribile, ma lei non aveva aperto. Aveva
stazionato sopra
Arendelle per due interi giorni, aspettando di vedere quelle imposte
aprirsi,
ed invece l’unica cosa che aveva visto spalancarsi erano
state le porte del
castello: un lungo corteo silenzioso ne era uscito all’alba
del secondo giorno.
Alla testa una ragazza vestita di nero con il capo coperto, accerchiata
da un
drappello di guardie e a seguire uno stuolo di persone, con il capo
chino e le
mani giunte.
Aveva
seguito la processione su per un’altura, fino ad arrivare su
un prato dove
troneggiavano due steli di pietra con incisi i nomi dei sovrani. I
genitori di
Elsa.
Si
era avvicinato alla ragazza vestita di nero, immobile tra le due enormi
lapidi
e le era stato accanto per tutta la durata della cerimonia. Anche se
non
l’aveva mai vista sapeva di chi si trattava: Anna. Elsa
gliel’aveva descritta nei
minimi particolari, sforzandosi in un esercizio di memoria:
l’ultima volta che
si erano incontrati gli aveva confessato di non aver visto la sorella
per due
anni di fila, e che aveva paura di dimenticare come fosse fatta.
I
capelli del colore del sole al tramonto, gli occhi blu come il cielo di
primavera e un sorriso che avrebbe potuto scaldare il più
gelido dei cuori.
Questo il ritratto che Elsa ne aveva fatto. Ma in
quell’occasione nessun
sorriso aveva brillato sulle labbra della ragazzina, che aveva
continuato a
piangere in silenzio con gli occhi bassi, le mani strette in grembo a
torturarsi e le labbra strette tra i denti.
Dov’era
Elsa in tutto quel dolore? Perché non stava accanto alla
sorella?
Qualcosa
gli aveva suggerito di seguire Anna per arrivare a lei, e
così aveva fatto. La
ragazza aveva percorso da sola gli infiniti corridoi bui del castello
per poi
fermarsi all’improvviso davanti ad una porta bianca, prendere
un profondo
respiro e bussare.
Tre
colpi secchi che avevano risuonato come cannonate nel silenzio di quel
giorno
infausto.
Elsa,
puoi lasciarmi entrare?, aveva pregato la sorella
con voce lieve. Nessun rumore, né alcuna risposta erano
arrivati dall’altra
parte della porta. So che sei lì
dentro,
la gente si chiede che fine tu abbia fatto, aveva continuato
imperterrita,
poggiando la fronte sul legno cesellato.
Mi
dicono di aver coraggio e
io ci sto provando, ma come faccio senza di te? Ti prego, apri la
porta!, le lacrime avevano
cominciato a cadere di nuovo e lei si era accasciata contro la porta,
lasciandosi scivolare in terra, Cosa
faremo ora che siamo rimaste sole?, si era portata le
ginocchia al petto e
aveva continuato a singhiozzare incessantemente per un tempo
indefinito, sperando
che Elsa le aprisse. Lui era rimasto inerme di fronte a tanto dolore,
incapace
di arrecarle alcun sollievo.
Elsa, sono io, apri la porta, aveva sussurrato nella serratura, non lasciarla qui fuori, ora ha solo te. Nemmeno la sua preghiera accorata aveva sortito effetto e allora sconfitto si era seduto accanto ad Anna, invisibile, ad aspettare assieme a lei.
********
Quell’anno
era rimasto ad Arendelle per l’intero inverno, un inverno che
negli annali era
risultato essere il più freddo degli ultimi cento anni
lì in quell’angolo
remoto del nord.
Elsa
non era mai uscita dalla sua camera, né per consolare la
sorella né per
attendere ai suoi nuovi obblighi di regnante. Nonostante tutto lui non
aveva
mai smesso di sussurrare a quella porta sprangata. Aveva sperato invano
di
avere una sua fugace visione, per controllare che stesse bene, per
assicurarsi
che non si fosse lasciata scivolare nel baratro della disperazione. Ma
tutto
era stato inutile.
Elsa
era diventata un fantasma nella sua stessa casa.
Quando
la primavera era giunta ad Arendelle e i primi germogli avevano bucato
la neve,
era stato costretto ad allontanarsi per adempiere ai suoi doveri di
spirito
dell’inverno dall’altra parte del mondo.
Aveva lasciato un fiore di ghiaccio sul davanzale della finestra di Anna e poi era volato via senza voltarsi indietro. Sapeva che avrebbe provato a dimenticare Elsa e quel piccolo regno, ma sapeva anche che sarebbe stato molto difficile.
nda: ho ritrovato questa ff ripulendo il pc e devo dire che rileggendola mi sono domandata "ma l'ho scritta io sta roba?" e niente, nonostante fossi indecisa se pubblicarla o meno (perchè non ho mai scritto/ pubblicato nulla su questa ship) alla fine ho deciso di farlo perchè mi sono ripromessa di pubblicare ogni progetto abbandonato, perchè a dimenticarli così, buttati in qualche sottocartella del pc mi piange il cuore. Quindi ecco, nonostante abbia abbandonato il fandom da parecchio, vi lascio quest'altro mio pargoletto...trattatelo bene :) e se vi è piaciuto questo primo capitolo fatemelo sapere!
nb: la storia è tutta scritta, pubblicherò il resto a giorni