Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: StarFighter    06/08/2019    3 recensioni
Dal testo: "Quando l’aveva vista per la prima volta aveva già quasi duecento anni sulle spalle, duecento anni di solitudine e freddo, due o tre vite condensate in una.
Lei ne aveva a malapena sette o otto.
Aveva chiesto al vento di portarlo a casa, come faceva sempre, quasi senza accorgersene, sussurrando quelle parole tra sé.
E il vento l’aveva condotto da lei, oppure il destino, più capriccioso e imprevedibile di ogni altra forza esistente. Nemmeno lui, essere immortale ed eterno, poteva sfuggirgli."
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Breve Jelsa recuperata nei meandri del mio pc. Spero vi piaccia :)
Genere: Angst, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Elsa
Note: Cross-over, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Everything the snow touches is yours

 -I-

 

Quando l’aveva vista per la prima volta aveva già quasi duecento anni sulle spalle, duecento anni di solitudine e freddo, due o tre vite condensate in una.

Lei ne aveva a malapena sette o otto.

Aveva chiesto al vento di portarlo a casa, come faceva sempre, quasi senza accorgersene, sussurrando quelle parole tra sé: tanto nessuno le avrebbe sentite ugualmente. Ma dov’era casa? Non lo sapeva, o meglio, non lo ricordava. Il vento lo conduceva ogni volta in un posto diverso, un posto che rispecchiasse il suo stato d’animo o che lo distogliesse almeno per un po’ da quella monotona solitudine. Lo faceva librare su città dormienti che si estendevano a perdita d’occhio, volteggiare su pascoli notturni incastrati tra picchi scoscesi, dove si fermava ad ascoltare le quiete canzoni dei pastori, o sulle onde del mare in tempesta e lui si aggrappava alle sartie e saltava da un ramo all’altro delle navi.

E il vento l’aveva condotto da lei, oppure il destino, più capriccioso e imprevedibile di ogni altra forza esistente. Nemmeno lui, essere immortale ed eterno, poteva sfuggirgli.

I vetri della sua finestra erano gli unici del regno ad essere ghiacciati. Quello non era ghiaccio del suo sacco e non era riuscito a scioglierlo per vedere all’interno. La sua parte più intraprendente lo aveva convinto a bussare alla finestra, sperando che qualcuno gli aprisse per poter sbirciare dentro. La sua gioia iniziale, quando aveva visto le imposte aprirsi, si era tramutata ben presto in sconcerto, poi in sbalordimento ed in seguito in panico.

La bambina affacciata al davanzale lo aveva fissato, ma non come se stesse guardando nel vuoto. Lei aveva guardato proprio lui, essere invisibile ai più, con i suoi penetranti occhi azzurri. Lei era riuscito a vederlo!

Poi la bambina aveva aperto la bocca, come per urlare e lui le era volato vicino, tappandogliela celermente. Ci era riuscito, non le era passato attraverso e lei non aveva rabbrividito. Anzi, una sensazione strana gli aveva formicolato nella mano, quando gliel’aveva posata sulle labbra.

Non ti farò del male, tranquilla. Ora ti lascio andare ma non urlare.

Quegli occhi l’avevano fissato ancora e la testolina bionda aveva annuito.  Appena l’aveva lasciata andare, un muro di ghiaccio si era frapposto tra loro e stavolta era stato lui ad urlare per la sorpresa. Aveva balbettato qualcosa di incomprensibile, troppo sconvolto per articolare una frase di senso compiuto, mentre mille domande gli si affollavano in mente.

Un occhio chiaro lo aveva sbirciato dal ghiaccio trasparente e tutto d’un tratto la bambina era riapparsa, sciogliendo con un gesto della mano la parete che li divideva.

Chi sei?, gli aveva chiesto con una vocina striminzita.

Jack Frost, aveva sussurrato senza fiato, sbalordito da quello che aveva appena visto, Tu puoi vedermi? Come è possibile?

Perché non dovrei?, un piccolo e arcuato sopracciglio si era alzato interrogativo.

Nessuno può vedermi, io sono invisibile come il vento e freddo come la neve…io sono lo spirito dell’inverno, le aveva detto recitando i versi di una ballata che qualcuno gli aveva dedicato.  Poi battendo il bastone in terra aveva dato vita ad un campo di fiori ghiacciati sul pavimento.

Gli occhi azzurri si erano spalancati oltre l’inverosimile e le piccole manine si erano strette l’una all’altra, tormentandosi.

Tu sei come me, l’aveva sentita balbettare tra le lacrime. I fiori di ghiaccio ai suoi piedi si erano crepati, lasciando spazio a frattali geometrici.

Non credo. L’aveva osservata bene e, nonostante gli fosse sembrata qualcosa di più che una semplice bambina, non aveva scorto i segni del ghiaccio sulla sua pelle diafana, né le falci di luna nei suoi occhi. L’uomo nella luna ti ha mai parlato?

Non c’è nessuno nella luna.

Allora tu non sei come me.

Ma tu hai fatto questo!, aveva protestato indicando il pavimento, Devi essere come me, altrimenti come sarebbe possibile.

Sono stato scelto, non l’ho chiesto io di essere così.

Oh, mi dispiace.

Perché? Non è mica una malattia.

Ma è una maledizione, aveva controbattuto con una scintilla di disappunto negli occhi.

Be', non è sempre facile come sembra adempire ai miei compiti, ma non la chiamerei maledizione. Perché dici questo?

Il freddo uccide tutto quello su cui allunga le sue spire, come le mie mani, aveva abbassato lo sguardo sulle mani fasciate da guanti scuri.

Le parole Anna, mia sorella e quasi uccisa, erano uscite diverse volte dalla bocca della bambina quella notte, mentre cercava di farle capire che no, non era una maledizione la sua e che sì, poteva esserci del bello laddove lei vedeva solo freddo e morte. I suoi coniglietti di neve avevano saltellato per la stanza suscitando la delizia della bambina. I suoi enormi occhi chiari si erano spalancati per la sorpresa.

Elsa. Questo era il suo nome.

Tornerai a trovarmi?, gli aveva chiesto poco prima che lui si rigettasse di nuovo nel flusso del vento per farsi condurre in un altro luogo.

Ogni volta che mi sarà possibile, te lo prometto. Le aveva lanciato un fiocco di neve sul naso e una risatina lieve le era uscita dalle labbra dischiuse. Poi era uscito dalla finestra aggrappato al suo bastone.

Osservando il piccolo regno incastonato tra i fiordi diventare sempre più piccolo, si era chiesto quando avrebbe rivisto quella singolare bambina dai penetranti occhi azzurri.

********

 

Di solito manteneva le sue promesse. Non che ne facesse molte dato che nessuno poteva vederlo, ma quando ne aveva occasione, cercava sempre di tener fede alla parola data. E di certo non si era dimenticato di Elsa e del giuramento che le aveva fatto.

Però per due lunghi inverni, far visita alla bambina era passato in secondo piano sulla sua lista di cose da fare. Al primo posto era scalata la questione cercare di non gelare i raccolti per sbaglio…di nuovo.

Alla fine, una notte di due anni dopo il loro primo incontro, sul finire della stagione fredda, poco prima che la neve si sciogliesse definitivamente e l’inverno lasciasse il posto alla primavera, aveva esplicitamente chiesto al vento di riportarlo da Elsa.

Sono tornato, visto?, l’aveva salutata saltando nella sua stanza.

Sono passati due anni, l’aveva ripreso lei, scalciando via le coperte. Era cresciuta in altezza e i capelli si erano allungati, ricadendole sulle piccole spalle come una cascata d’oro bianco.

Sono stato molto impegnato. Ho un lavoro a tempo pieno io, non scorrazzo tutto il giorno in un enorme castello, aveva cercato di risponderle a tono, ma la sua espressione si era rattristata ancora di più. Cosa ho detto?

È diventato più forte, gli aveva risposto semplicemente, come se quelle parole spiegassero tutto, ora se posso evito di lasciare la mia stanza.

Non era riuscito a dire molto, tranne un semplice e banale oh che sembrava la cosa più stupida da dire in quel momento, ma la faccia triste di Elsa e i suoi denti bianchi che tormentavano il suo labbro inferiore, lo avevano lasciato senza parole. Le aveva tenuto compagnia in silenzio, cercando di farla sorridere con piccoli indovinelli e magie con la neve, ma lei era rimasta impassibile, quasi come se ogni traccia di gioia le fosse stata strappata via in maniera brusca e violenta e lei non se ne fosse nemmeno accorta. Guardarla era stato uno spettacolo straziante per il suo cuore. Non aveva potuto fare altro che stringerla timidamente in un abbraccio consolatore, come se con quel semplice contatto lui potesse scacciare ogni demone assiepato nella giovane anima della ragazzina. Un brivido aveva scosso la principessa da capo a piedi quando l’aveva toccata.

Hai freddo?,  le aveva chiesto, preoccupato che la sua temperatura corporea potesse infastidirla.

Il freddo non mi ha mai dato fastidio, gli aveva risposto semplicemente, stringendosi ancora di più a lui.

E allora Elsa era scoppiata a piangere: prima piano, con lacrime silenziose che si facevano strada sul suo visino pallido, poi sempre più forte, con singhiozzi strozzati e gemiti dolorosi.

Quella notte si era addormentata così, piangendo tra le sue braccia e, come non gli capitava da decenni, si era lasciato rapire anche lui dal richiamo del sonno, cullato dal respiro dolce e ritmico di Elsa poggiata sul suo petto.

All’alba era stato svegliato dal canto di un tordo, quando ancora il mondo fuori dalla finestra della stanza del castello era immerso nel buio. Elsa ancora stretta a lui, come se da quel contatto dipendesse la sua stessa vita. Si era districato dolcemente dalla sua presa, cercando di non svegliarla, poi le aveva rimboccato le coperte e prima di lasciarla di nuovo le aveva posato un bacio tra i capelli.

Mentre volava lontano da Arendelle per la seconda volta, si era ripromesso che non avrebbe più fatto passare tanto tempo prima di tornare da lei.

********

Come suo solito aveva disatteso per l’ennesima volta una promessa fatta a se stesso. Aveva lasciato passare un altro anno prima di rivederla e poi un altro ancora, e quel piccolo viaggio verso il nord del mondo era diventato routine per lui: una volta al mese, durante la stagione invernale, andava a trovarla.

Lui cercava di portarle gioia, ma lei con il passare del tempo diventava sempre più chiusa in se stessa e scostante. La paura di far male a qualcuno la teneva rilegata in quella stanza, lasciando che la vita le scivolasse accanto. Non sopportava di vederla così.

Devi uscire da queste quattro mura, non ti fa bene stare sempre al chiuso! Prendi un po’ d’aria, sta’ al sole! Sei così pallida, aveva cercato di persuaderla lui durante uno dei loro incontri.

Ci sono nata così, è il mio colore naturale, aveva controbattuto lei tenendo gli occhi fissi fuori dalla finestra, e in quello sguardo perso chissà dove lui c’aveva letto la voglia di uscire e di andare via, ma anche il terrore di farlo.

E poi non accetto consigli da uno smunto come te, un accenno di sorriso le aveva increspato le labbra rosa, hai sangue che ti scorre nelle vene?

Non aveva mai pensato a quella cosa, e le parole di Elsa lo avevano fatto riflettere. Così quella sera, pungendosi con l’ago del cucito della principessa, aveva riscoperto il colore del suo sangue, rispondendo alla domanda retorica della sua piccola amica.

********

Affezionarsi agli esseri umani e preoccuparsi per il loro benessere, non era una cosa che di solito faceva. Tuttavia durante i suoi vagabondaggi, durante il resto dell’anno in cui portava l’inverno ad altre latitudini lontane da Arendelle, la sua mente correva spesso a Elsa. Bastava il cielo di una particolare sfumatura a ricordargliela o il viso pallido di una bambola stretta tra le braccia di una bambina perché pensasse a lei, chiusa nella sua stanza, isolata da tutti per sua scelta, incapace di avere un contatto umano, pronta a precludersi la felicità pur di vedere quelli a cui voleva bene al sicuro, piegata in un angolo cercando di farsi forza.

Le voleva bene. Era un dato di fatto e quando quella consapevolezza bussò alle porte della sua coscienza si sentì perso. Non sapeva come reagire a un tale sentimento né come gestirlo. Si chiese se Elsa provasse lo stesso affetto per lui.

Quando nel dicembre di quell’inverno tornò da lei la trovò intenta in qualcosa che lo fece tremare, e non per il freddo. Non ricordava d’aver avuto mai tanta paura come in quel momento, quando si era ritrovato quella scena davanti: Elsa in piedi davanti allo specchio con una scheggia affilatissima di ghiaccio premuta al petto. Se fosse arrivato qualche minuto dopo di certo avrebbe incolpato se stesso per il resto dei suoi giorni.

Era corso subito da lei, strappandole con un gesto furioso la scheggia dalle mani e con uno strattone l’aveva voltata verso di lui. All’inizio non si era accorto delle lacrime che copiose le cadevano dagli occhi.

Si era ritrovato davanti una ragazzina, quasi donna, tremante ed impaurita, sconvolta dall’esistenza che il fato le aveva destinato. L’aveva stretta in un abbraccio che gli era sembrato durare un’eternità. Smettila di piangere, Elsa. Te ne prego.  Non gli aveva risposto, aveva continuato a nascondere il viso nel suo petto. Perché Elsa? Perché volevi farlo? Io tengo a te, come pensi mi sarei sentito quando non avrei trovato la tua finestra aperta?

Riusciva a percepire il dolore e i pensieri nefasti che le si agitavano dentro, eppure non riusciva a trovare parole con cui confortarla. Lei non parlò quella volta, né si ribellò alla sua presa: rimase stratta a lui in cerca di quel conforto che a voce non riusciva a darle.

Ci aveva comunque provato. Non poteva lasciarla a macerare nell’odio verso se stessa.

Perché non riesci a vedere quanto tu sia forte? Quanto tu sia potente! Elsa, ascolta: ogni cosa che la neve tocca è tua. Nessuno oltre te ha questo potere, tu sei unica. Un miracolo brillante nel grigiore del mondo. Cercava di farle capire come lui la vedesse, non come un’anomalia ma come un essere straordinario. L’aveva allontanata da sé stringendole le mani e in quel momento si era reso conto di quanto fosse cresciuta in quei mesi di lontananza: gli zigomi si erano alzati prendendo il posto delle gote paffute, le labbra si erano riempite e le ciglia si erano allungate ad incorniciare quegli occhi puri e antichi. Quanti anni aveva a quel tempo? Quattordici, Quindici?

Perché non riesci a vedere quanto tu sia…bella?, si era lasciato sfuggire mentre le accarezzava una guancia. L’aveva vista sobbalzare, incrociare il suo sguardo e poi distoglierlo nel tempo di un respiro. Era davvero bellissima. Negli anni a venire non avrebbe saputo spiegare cosa lo avesse attirato così vicino a lei, come avesse fatto a ritrovarsi a sfiorare il naso perfetto di Elsa e a premere le sue labbra fredde contro quelle morbide di lei.

Stava di fatto che quello era stato il suo primo bacio e, a giudicare dalla reazione della ragazza, anche quello di Elsa.

Dopo pochi secondi di immobile stupore lei l’aveva spinto via e si era nascosta il viso tra le mani. Perdonami, le aveva detto con un filo di voce. Si era avvicinato alla finestra, pronto per andarsene al suo minimo cenno ma lei l’aveva tirato per un braccio.

Resta, lo aveva supplicato e lui non era stato mai così felice di accettare.

 

********

Quei loro rendez vous avevano avuto luogo per un numero imprecisato di volte, finché una notte, in una delle notti più fredde che avesse mai ricordato, la finestra della stanza di Elsa era rimasta chiusa quando aveva bussato. Ghiaccio spesso ed impenetrabile a ricoprire il vetro, come la prima volta che l’aveva incontrata. Aveva continuato a bussare, con il presentimento che le fosse accaduto qualcosa di terribile, ma lei non aveva aperto. Aveva stazionato sopra Arendelle per due interi giorni, aspettando di vedere quelle imposte aprirsi, ed invece l’unica cosa che aveva visto spalancarsi erano state le porte del castello: un lungo corteo silenzioso ne era uscito all’alba del secondo giorno. Alla testa una ragazza vestita di nero con il capo coperto, accerchiata da un drappello di guardie e a seguire uno stuolo di persone, con il capo chino e le mani giunte.

Aveva seguito la processione su per un’altura, fino ad arrivare su un prato dove troneggiavano due steli di pietra con incisi i nomi dei sovrani. I genitori di Elsa.

Si era avvicinato alla ragazza vestita di nero, immobile tra le due enormi lapidi e le era stato accanto per tutta la durata della cerimonia. Anche se non l’aveva mai vista sapeva di chi si trattava: Anna. Elsa gliel’aveva descritta nei minimi particolari, sforzandosi in un esercizio di memoria: l’ultima volta che si erano incontrati gli aveva confessato di non aver visto la sorella per due anni di fila, e che aveva paura di dimenticare come fosse fatta.

I capelli del colore del sole al tramonto, gli occhi blu come il cielo di primavera e un sorriso che avrebbe potuto scaldare il più gelido dei cuori. Questo il ritratto che Elsa ne aveva fatto. Ma in quell’occasione nessun sorriso aveva brillato sulle labbra della ragazzina, che aveva continuato a piangere in silenzio con gli occhi bassi, le mani strette in grembo a torturarsi e le labbra strette tra i denti.

Dov’era Elsa in tutto quel dolore? Perché non stava accanto alla sorella?

Qualcosa gli aveva suggerito di seguire Anna per arrivare a lei, e così aveva fatto. La ragazza aveva percorso da sola gli infiniti corridoi bui del castello per poi fermarsi all’improvviso davanti ad una porta bianca, prendere un profondo respiro e bussare.

Tre colpi secchi che avevano risuonato come cannonate nel silenzio di quel giorno infausto.

Elsa, puoi lasciarmi entrare?, aveva pregato la sorella con voce lieve. Nessun rumore, né alcuna risposta erano arrivati dall’altra parte della porta. So che sei lì dentro, la gente si chiede che fine tu abbia fatto, aveva continuato imperterrita, poggiando la fronte sul legno cesellato.

Mi dicono di aver coraggio e io ci sto provando, ma come faccio senza di te? Ti prego, apri la porta!, le lacrime avevano cominciato a cadere di nuovo e lei si era accasciata contro la porta, lasciandosi scivolare in terra, Cosa faremo ora che siamo rimaste sole?, si era portata le ginocchia al petto e aveva continuato a singhiozzare incessantemente per un tempo indefinito, sperando che Elsa le aprisse. Lui era rimasto inerme di fronte a tanto dolore, incapace di arrecarle alcun sollievo.

Elsa, sono io, apri la porta, aveva sussurrato nella serratura, non lasciarla qui fuori, ora ha solo te. Nemmeno la sua preghiera accorata aveva sortito effetto e allora sconfitto si era seduto accanto ad Anna, invisibile, ad aspettare assieme a lei.

********

Quell’anno era rimasto ad Arendelle per l’intero inverno, un inverno che negli annali era risultato essere il più freddo degli ultimi cento anni lì in quell’angolo remoto del nord.

Elsa non era mai uscita dalla sua camera, né per consolare la sorella né per attendere ai suoi nuovi obblighi di regnante. Nonostante tutto lui non aveva mai smesso di sussurrare a quella porta sprangata. Aveva sperato invano di avere una sua fugace visione, per controllare che stesse bene, per assicurarsi che non si fosse lasciata scivolare nel baratro della disperazione. Ma tutto era stato inutile.

Elsa era diventata un fantasma nella sua stessa casa.

Quando la primavera era giunta ad Arendelle e i primi germogli avevano bucato la neve, era stato costretto ad allontanarsi per adempiere ai suoi doveri di spirito dell’inverno dall’altra parte del mondo.

Aveva lasciato un fiore di ghiaccio sul davanzale della finestra di Anna e poi era volato via senza voltarsi indietro. Sapeva che avrebbe provato a dimenticare Elsa e quel piccolo regno, ma sapeva anche che sarebbe stato molto difficile.


nda: ho ritrovato questa ff ripulendo il pc e devo dire che rileggendola mi sono domandata "ma l'ho scritta io sta roba?" e niente, nonostante fossi indecisa se pubblicarla o meno (perchè non ho mai scritto/ pubblicato nulla su questa ship) alla fine ho deciso di farlo perchè mi sono ripromessa di pubblicare ogni progetto abbandonato, perchè a dimenticarli così, buttati in qualche sottocartella del pc mi piange il cuore. Quindi ecco, nonostante abbia abbandonato il fandom da parecchio, vi lascio quest'altro mio pargoletto...trattatelo bene :)  e se vi è piaciuto questo primo capitolo fatemelo sapere!

nb: la storia è tutta scritta, pubblicherò il resto a giorni
   
 
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