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Autore: Soul Mancini    06/08/2019    5 recensioni
[Joeminic - JoexDom]
«Eravamo così, era il nostro destino: anime dannate di due specie rivali, che non si sarebbero mai potute conciliare, portate per natura a respingersi ma attratte da un desiderio insaziabile.»
Un piccolo esperimento di AU sovrannaturale intriso di passione, spero vi piaccia!
Il titolo è tratto dal testo di "Forever & Ever More", che in un certo senso ha dato un contributo importante per la nascita di questa storia ^^
Dedicata a Sabriel_Little Storm, lei sa perché ♥
- TERZA CLASSIFICATA al contest "This is Halloween!" indetto da MaryLondon sul forum di EFP.
Genere: Erotico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dominic Craik, Joe Langridge-Brown
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Me ne stavo là, con la schiena contro il possente fusto di una quercia e il groviglio di rami a nascondere la luna sopra di me; nelle mie narici penetrava l’ormai familiare odore di muschio e umidità, mentre ascoltavo il piccolo ruscello torbido gorgogliare a qualche passo da me. Le sterpaglie pungevano e ferivano i miei piedi nudi, ma non importava.
Non era da me staccarmi dal branco e trascorrere intere ore da solo, soprattutto non era quello l’atteggiamento giusto per diventare il futuro maschio alfa; in altre circostanze ci avrei fatto più caso, ero nato per dominare e nel corso degli anni precedenti avevo lottato per ottenere il rispetto di tutti, ma in quel momento avevo ben altro per la testa.
Lo aspettavo.
Lo attendevo al buio, dove sapevo che prima o poi sarebbe giunto, contro ogni legge e ogni morale che regolava il nostro mondo.
E infatti il suo odore fresco e pungente lo precedette, ancor prima del sottile fruscio delle foglie alle mie spalle; lo conoscevo abbastanza bene da sapere che si stava districando abilmente tra le fronde fitte, di ramo in ramo. Alla sola idea di rivederlo e averlo così vicino, il mio corpo reagì immediatamente: un’ondata di calore diffusa dal mio basso ventre mi travolse, mentre il mio stomaco si contorceva e mi costringeva a reprimere un forte conato. Erano sensazioni dolorose e bellissime allo stesso tempo, con cui ormai avevo imparato a convivere.
Mi voltai appena e scorsi subito nella penombra una chioma dorata e luminosa, unico punto di luce in quella figura slanciata totalmente abbigliata di nero. Qualche istante dopo misi a fuoco anche il suo viso pallido e constatai che i suoi enormi occhi dalle iridi viola mi stavano già scrutando, divorando, esplorando.
“Ciao, lupacchiotto” mormorò suadente, prendendo posto su un sottile ramo – che tuttavia non si spezzò e non si flesse – ad appena un metro sopra di me.
Ricambiai il suo sguardo con malizia. “Ciao, Joe.”
Lui sorrise e i suoi canini appuntiti, di un bianco cangiante, brillarono sotto la debole luce della luna. A quella vista non potei fare a meno di rabbrividire; la mia natura da licantropo mi suggeriva che mi trovavo in pericolo e dovevo fuggire, ma mi imposi di stare fermo e mantenere la calma.
Sapevo che anche Joe stava provando le stesse sensazioni, infatti mi lanciò un’occhiata di disprezzo prima di tornare a concentrarsi con avidità sui lineamenti del mio viso e sui miei muscoli tesi e guizzanti.
Eravamo così, era il nostro destino: anime dannate di due specie rivali, che non si sarebbero mai potute conciliare, portate per natura a respingersi ma attratte da un desiderio insaziabile.
“Anche oggi mi aspettavi” insinuò il biondo in tono basso.
“E tu anche oggi sei venuto da me” ribattei, sedendomi con noncuranza sull’erba intrisa di rametti e ciottoli.
“Mah, ero di passaggio da queste parti…”
Non ne potevo più di stargli lontano, stavo impazzendo, volevo sentirmelo addosso. “Ci metti molto a scendere da lì, draculove?” incalzai con impazienza.
Lo osservai mentre temporeggiava e si stiracchiava con movimenti lenti e studiatamente provocanti, poi fece oscillare le gambe penzoloni un paio di volte, mi rivolse un’occhiata ardente e balzò giù, atterrando con grazia a circa un metro da me; era semplicemente stupendo, con le mani bianche e dalle dita affusolate premute sul terreno e qualche foglia scura incastrata tra i capelli lunghi e ondulati.
Tuttavia mi venne spontaneo scattare indietro di qualche centimetro e mettermi all’erta, mentre la mia natura di lupo mi imponeva di attaccarlo.
Oh, sì, l’avrei fatto… ma in maniera totalmente diversa.
Preso da un’eccitazione incontrollabile, mi fiondai su di lui e lo spinsi in modo che atterrasse supino, poi presi a mordicchiargli voracemente il collo candido e gelido.
Joe era così, era freddo, tanto leggero da sembrare inconsistente, eppure sprigionava una forza e un ardore che mai avevo visto in un altro vampiro.
Lo sentii mugolare al contatto con le mie labbra e i miei denti e spingere con forza il bacino contro il mio, ma io sapevo che in quel suono gutturale c’era anche una punta di dolore. Io gli facevo male, così come lui faceva male a me.
Feci scorrere una delle mie mani lungo il suo fianco e sul suo bacino, fino ad arrivare all’inguine; ma a quel punto, sollevando il busto in maniera decisa, Joe si liberò dal peso del mio corpo e mi spinse via con foga. Col fiato corto e gli stomaci in subbuglio, rotolammo per terra avvinghiati fino a giungere a pochi centimetri dal ruscello, con le schegge di legno che si infilzavano nei nostri vestiti. Era una sorta di lotta, la nostra: lo respingevo con disgusto e l’attimo dopo lo stringevo convulsamente a me, e lui faceva altrettanto.
Fu il suo turno di dominare: mi immobilizzò con la schiena a terra e si mise a cavalcioni su di me, premendo la sua eccitazione pulsante contro la mia. Per un istante la vista mi si appannò e strinsi i pugni con forza, mentre espiravo profondamente; volevo solo liberarmi dagli indumenti che ci separavano.
“Oh Dom, che triste destino ci è toccato” sospirò con fare affranto, prima di fiondarsi sulle mie labbra e baciarle con passione e desiderio. Fece scivolare la sua lingua contro la mia e io dovetti strizzare gli occhi, quell’intrusione era così sbagliata e innaturale! Preso da un moto di repulsione, gli morsi la lingua con forza, ringhiando appena e irrigidendo i muscoli del corpo; lui si lasciò sfuggire un gemito e scattò all’indietro, ma poco dopo le sue labbra sottili erano increspate in un sorrisetto beffardo.
“Qui sono io che mordo, intesi?” Detto questo, affondò il viso nell’incavo del mio collo e prese a marchiare la mia pelle rovente con le sue labbra gelide, provocandomi brividi in tutto il corpo.
Ma fu quando sentii la pressione dei suoi denti aguzzi che mi liberai in un grido e lo spinsi via con forza, in maniera tanto violenta che per poco non si schiantò contro il tronco della quercia dalla quale era sceso poco prima. I suoi canini, per il mio lato ferino, erano veleno puro, mentre la parte umana non attendeva altro: mi sarebbe bastato solo qualche altro morso per raggiungere l’apice del piacere senza che Joe facesse nient’altro.
Era frustrante doversi interrompere sul più bello.
Mentre ancora lo fissavo in cagnesco e il mio petto si gonfiava e sgonfiava con foga, Joe si rimise seduto come se niente fosse, incrociò le gambe e sbatté le ciglia un paio di volte nella mia direzione.
“Sarei voluto nascere umano per poter essere morso da te” ammisi, mentre i miei muscoli cominciavano a rilassarsi e sciogliersi nuovamente, complice la sua momentanea lontananza. Ero distrutto, quella lotta interiore mi prosciugava ogni volta.
“Se tu fossi un umano, saresti già morto” constatò in tono piatto.
“Mi sarei volentieri lasciato uccidere da uno come te.”
Lo osservai con attenzione mentre stirava le braccia verso l’alto, per poi lasciar ricadere le mani sul grembo – due graziose gemme chiare sulla sua maglia nera.
Ancora una volta l’attrazione fatale ebbe la meglio e mi avventai su di lui, costringendolo a sdraiarsi al mio fianco. Sentivo chiaramente il suo odore di vampiro, sapeva di umidità e d’inverno, e quell’odore mi disgustava e mandava sottosopra il mio stomaco, ancora e ancora. Ma resistetti e non cedetti al forte impulso di allontanarmi, nemmeno quando insinuai le mani sotto la sua maglia ed entrai in contatto con la sua pelle fredda, tanto da scottare sui miei polpastrelli. Lasciai correre questi ultimi sulla sua schiena e sui suoi fianchi, fino ad arrivare al bordo dei suoi pantaloni.
Joe intanto non perdeva quell’accenno di sorriso malizioso, anche se i suoi occhi trasudavano dolore e sofferenza. Quando strinsi le mani attorno ai suoi glutei, si morse il labbro e roteò gli occhi. “Okay Dom, sono queste le regole del gioco?” ansimò, poi mi posò una mano sul petto e la fece scorrere lentamente verso il basso, fino alla zip dei miei jeans. La aprì e, senza neanche darmi il tempo di prendere fiato, prese a giocare con la mia eccitazione.
A quel punto mi lasciai sfuggire qualcosa simile a un ululato, un suono che – lo sapevo – alle orecchie di Joe era fastidioso e stridente; infatti notai che digrignava i denti e rafforzava la stretta sul mio membro, come reazione spontanea al mio latrato.
Non c’erano parole per descrivere il piacere inebriante e totale che stavo provando, che mi faceva tremare e fremere senza ritegno, ma anche quella volta il mio istinto da licantropo voleva dire la sua: presi a divincolarmi e a contorcermi, conficcando le unghie nelle braccia di Joe e tentando di respingerlo, ma lui mi teneva fermo con una presa salda e ferrea, manifestando tutta la forza che quel suo corpo aggraziato poteva sprigionare.
“Joe…” ansimai, sapendo che ben presto il mio corpo avrebbe potuto reagire in due modi ben diversi, solo ancora non sapevo quale dei due sarebbe arrivato prima.
Lui continuava a stimolare il mio punto più sensibile, mentre teneva le labbra semiaperte e gli occhi chiusi nel tentativo di concentrarsi e non respingere la mia vicinanza. Sapevo quanto stesse soffrendo e si stesse sforzando.
Lottai e lottai contro il mio lato ferino, mentre ondate di piacere mi destabilizzavano con un’intensità crescente.
Ma alla fine non ce la feci, non resistetti: morsi con forza la spalla di Joe, così forte che lo sentii gridare, mentre le mie ossa prendevano a pizzicare e deformarsi.
Joe, colto alla sprovvista da un dolore lancinante, si allontanò di scatto, allentando subito la presa su di me.
Per un attimo mi scordai della sua presenza, dei graffi che la sterpaglia aveva lasciato sulla mia pelle, del luogo in cui mi trovavo: esistevamo solo io, il mio corpo che mutava e la luna appesa in cielo e nascosta dagli alberi.
Le mie ossa si scolpivano come sabbia, si irrobustivano e ingrandivano, mentre la mia pelle si ricopriva di pelo folto e nero; i miei vestiti si strapparono, incapaci di contenermi, ma io sentivo ugualmente caldo, mi sentivo come acciaio bollente che si liquefaceva. Presto mi sarei sfreddato e solidificato, proprio come l’acciaio, ma con un’altra forma.
Mentre i miei tratti da lupo si facevano sempre più evidenti, gettai uno sguardo a Joe: si era ripreso ed era saltato sul tronco di un albero là vicino, a distanza di sicurezza, perché ormai sapeva che in circostanze del genere non era il caso che mi ronzasse troppo attorno. Dopotutto ero felice che si mettesse al sicuro.
Una volta ultimata la mia trasformazione, levai il muso al cielo e la mia gola venne scossa da un lungo e profondo ululato, come di consueto.
Joe si tappò le orecchie con le mani e la scena mi divertì parecchio, se fossi stato nella mia forma umana avrei ridacchiato. Invece in quel momento non potevo che tenere lo sguardo fisso su di lui, puntarlo come fosse la preda più appetitosa al mondo. Per fortuna il mio lato umano mi permetteva di avere il controllo ed evitare di attaccarlo e farlo fuori.
“Sai, Dom, è davvero uno spettacolo,” ammise il biondo con fare pensoso, poggiando il mento sul palmo di una mano, “tu sei uno spettacolo, sei bellissimo in qualsiasi forma.” Detto questo, si mise in piedi sul tronco e mi sorrise appena, lasciando brillare ancora una volta i suoi canini appuntiti. “Ci vediamo nei prossimi giorni per terminare ciò che abbiamo lasciato in sospeso… si spera” concluse, per poi voltarsi e scomparire oltre i fitti rami.
Il mio olfatto, ancora più accentuato dopo la mutazione, mi permise di fiutare le sue tracce per metri e metri, finché anche quelle non scomparvero del tutto. Ormai era andato via, ero rimasto solo.
Scrollai il capo nel tentativo di sistemare il pelo arruffato, poi con un agile balzo saltai oltre il ruscello e presi a correre, lasciandomi quel rigagnolo d’acqua alle spalle. Ora ero pronto a ricongiungermi al mio branco, anche se quella notte non ero pienamente soddisfatto.
Ero sempre io: un’anima dannata e destinata a mischiare dolore e piacere, racchiusa in un corpo muscoloso, guizzante e possente, che saettava tra gli alberi e si confondeva con l’oscurità.




♠ ♠ ♠ ♠ ♠

Non so davvero da dove sia balzata fuori quest’idea bizzarra, ma mi andava di mettermi alla prova con qualcosa di diverso e ho optato per il sovrannaturale, chissà perché. Forse perché in questo periodo mi sto un pochino fissando con i licantropi e vorrei leggere qualche libro su di loro, anche se quelli a mia disposizione in casa li ho già tutti letti XD e forse perché quel “draculove” in Forever & Ever More mi ha sempre dato da pensare! E così ho avuto l’opportunità di tornare in questa categoria con una Joeminic, dato che era da tanto che lo volevo fare.
E a proposito di Forever & Ever More… il titolo della storia è tratto dal testo della canzone, ovviamente, e qui il “soffocamento” è inteso in maniera figurata – i due vogliono stare vicini, ma questa vicinanza li ‘soffoca’, o almeno la parte vampiresca e ferina di loro ^^
Spero di non avervi confuso le idee e aver spiegato abbastanza bene la situazione di attrazione/repulsione che intercorre tra questi personaggi, altrimenti sentitevi autorizzati a bacchettarmi e correggermi, per questo come per qualsiasi altra imprecisione nella storia!
Grazie a chiunque sia giunto fin qui e spero con tutto il cuore che questa categoria possa continuare a crescere – di certo questa non è l’ultima volta che mi vedrete da queste parti :3
Alla prossima!!! ♥


   
 
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