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Autore: moira78    06/08/2019    3 recensioni
Questa storia è il sequel di "Dove volano i miei desideri".
Le coppie sono formate ormai, gli anni passano e le cose cambiano per tutti, nel bene e nel male. La nuova generazione di artisti marziali di Nerima si è appena affacciata al mondo e già dovrà affrontare nuove sfide.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le ombre del destino.'
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CAP. 15: INCUBI

Quando Nabiki gli aprì la porta, si pentì di avergli risposto al telefono: con la sua famiglia alle terme sperava di rilassarsi un po', complici le provviste che Kasumi le aveva procurato per non obbligarla a cucinare, invece aveva dovuto fare i conti prima con una cuoca di okonomiyaki che si sentiva tradita e ora con il padre del marmocchio che le pesava in grembo.

Decisamente era stata una giornata storta.

"Come state, innanzitutto?", le chiese lui educatamente, facendole inarcare un sopracciglio. Neanche era nato e già parlava al plurale.

"Oh, stai tranquillo, il tuo marmocchio è sano come un pesce, sta molto meglio di me che ho la schiena perennemente a pezzi", rispose cercando di essere più acida possibile.

Sorprendentemente, il suo ex fidanzato parve invece sorpreso ed emozionato al contempo, e disse: "Vuoi... vuoi dire che è un maschio?".

Nabiki lo fissò. Ricordava bene quando l'ecografista le aveva chiesto se volesse sapere il sesso, durante l'ultima visita: lei l'aveva liquidata con un gesto, sottolineando che aveva poca importanza perché l'avrebbe dato in adozione, ma non aveva potuto ignorare la strana sensazione avvertita alla bocca dello stomaco. Come se il cuore avesse accelerato di un paio di battiti e le fosse salito in gola. Era furiosa per questa reazione non prevista, ma lo era stata ancora di più quando la donna, con un chiaro intento provocatorio, le aveva comunicato che, comunque, era un maschietto sano.

Quel ricordo le rovesciò addosso, ancora più pesantemente, lo sfinimento della giornata. Eppure, c'era qualcos'altro che la disturbava. Sicuramente si trattava della presenza di Tatewaki a casa sua.

"Sì, è maschio, contento? Ma non credo che t'interessi, visto che sei qui per parlarmi della famiglia che lo vuole adottare, ti pare?".

Lui sorrise, enigmatico, poi si sedette senza essere stato invitato. Aveva una borsa con sé e ne tirò fuori dei fogli: "Ho deciso che era inutile continuare a farci la guerra", proseguì fornendole una spiegazione che non aveva richiesto, ma che lei ascoltò lo stesso avidamente, "e quindi ho perlomeno cercato qualcuno che mi ispirasse fiducia. Si tratta di una famiglia facoltosa, che...".

"Non m'interessa chi siano! Sono disposti a prenderselo? Bene, dimmi solo dove devo firmare e dove sta la fregatura, perché non me la bevo". Nabiki si stava spazientendo: la stanchezza, gli ormoni di quella gravidanza indesiderata che le confondevano le idee e ora quell'idiota che le raccontava un mucchio di balle. Provava un senso di agitazione crescente e sperò che fosse tutto vero. Una volta dato il via alle pratiche di adozione si sarebbe sentita molto più leggera, almeno mentalmente.

Kuno fece una smorfia: "Sapevo che i particolari non ti sarebbero interessati, ma per rispondere alla tua seconda domanda: no, nessun inghippo, Nabiki. Ho solo riflettuto, ancora una volta, sul mio passato e sugli errori che ha fatto la mia famiglia. Vorrei ancora che abbia i suoi genitori naturali al fianco, ma non desidero che viva nell'infelicità, tra avvocati e liti. Quindi ho deciso che dovrà avere una famiglia, qualunque essa sia, ma una vera famiglia, che lo ami e che lo cresca come un bambino desiderato. Tutto qui". Tacque per un istante e per fortuna non la guardò, perché Nabiki gli credette. Che fosse dannata se ne sapesse il motivo, ma capiva quel suo strambo desiderio di dargli un futuro stabile dopo aver conosciuto il preside. "Per rispondere alla tua prima domanda, invece, devi solo firmare in questi spazi. Ecco".

Nabiki deglutì. Aveva la gola secca e l'agitazione si trasformò in panico: i moduli erano gli stessi che era riuscita a trovare anche lei, solo che in questi c'era il nome di coloro che avrebbero adottato il bambino e i vari timbri degli avvocati. Si avvicinò al foglio che gli porgeva Kuno col cuore in gola: "Voglio crederti, Tatewaki, ma sappi che ti terrò d'occhio. Ho i miei contatti e basterà una sola mossa sbagliata da parte tua e io...".

"Tu cosa? Quale mossa potrei fare? Tornare all'attacco per chiederti di sposarmi e allevare insieme nostro figlio? Legalmente non posso obbligarti a nulla di tutto ciò, mi sorprende che proprio tu, così ragionevole, ti preoccupi di questo. Ma, se ne hai bisogno, ti dirò anche un'altra cosa. Non darò mai mio figlio a una donna che non ha il minimo senso materno, anche se l'ha generato, e tutto l'odio e il risentimento che ho sentito trasudare da te in questi mesi hanno raggiunto il culmine quando mi confessasti di volertene liberare. A differenza tua io amo già questa creatura, fin da quando so che esiste e farò di tutto per renderla felice. Costi quel che costi".

Nabiki si sentì in trappola. Tutto filava, tutto era coerente. Kuno rinunciava a suo figlio pur di renderlo felice e di allontanarlo da una madre che lo avrebbe odiato ogni giorno della sua vita. Ma allora perché rimaneva col braccio a mezz'aria? Perché scrutava quel foglio con finta nonchalance cercando febbrilmente il nome della famiglia adottiva?

"Il cognome della sua famiglia è qui", annunciò lui cogliendola in fallo, sventolando un secondo foglio che teneva stretto in mano, "ma visto che non t'interessa ti ho fornito solo quello delle firme".

"Bene, vedo che mi conosci alla perfezione", riuscì solo a rispondere in maniera sconclusionata, mentre le orecchie le ronzavano e la vista le si annebbiava. Stava forse per perdere i sensi proprio ora, a un passo dalla vittoria? E perché continuava a pensare al foglio con il nome della famiglia che lo avrebbe adottato? Non aveva certo intenzione di andarselo a riprendere dopo qualche anno, o di ripensarci!

La mano le tremò tanto che strinse la penna con tutte le sue forze per non mostrarlo a Tatewaki, ma lui se ne accorse comunque: "Cosa c'è, Nabiki? Non dirmi che ci stai ripensando", accennò con una nota quasi divertita nella voce.

"Non dire idiozie! Sono abituata a leggere prima di firmare", rispose con voce più stridula di quanto volesse. Spinta da quell'insinuazione mise la prima firma. Spense il cervello, maledicendo se stessa per quegli attimi di debolezza, e mise anche la seconda e la terza. Libera, finalmente era libera. O, perlomeno, lo sarebbe stata di lì a pochi mesi.

"Devo firmare altro?", chiese sentendosi come se la sua coscienza si fosse appena distaccata dal corpo e lei fosse diventata una semplice osservatrice della scena.

"No", ribatté lui, asciutto, rimettendo metodicamente a posto il tutto. Il silenzio che seguì rischiò di travolgerla e Nabiki sperò ardentemente che si sbrigasse ad andarsene, perché non si fidava delle proprie reazioni. Per un attimo si vide nell'atto di saltargli addosso, strappargli i fogli dalle mani e farli in mille pezzi, gridandogli che nessuno poteva prendersi il suo marmocchio senza permesso, ma si rese conto dell'assurdità della cosa. Era stata lei, proprio lei a volere tutto ciò. Perché ora si sentiva così perduta?

Ormai non controllava più il proprio corpo, così si accasciò sul tatami, alludendo a una stanchezza estrema. Kuno si avviò alla porta e le diede il colpo di grazia, quando disse: "Spero che non dovrai pentirtene mai, Nabiki Tendo. Per me è stata una decisione molto dolorosa e sono consapevole delle conseguenze. Ma tu, tu hai questo figlio dentro di te e lo vedrai non appena nascerà. Cercherà il tuo seno e troverà solo due braccia che lo porteranno lontano dalla sua madre naturale. Ti auguro di non spezzarti in due, quando accadrà. Buona notte".

Quando la porta si chiuse, a Nabiki parve quella dell'inferno che si richiuse su di lei.

***

Dopo aver pianto tutte le sue lacrime, Ukyo credette che non sarebbe mai riuscita a dormire. Invece, lo sfinimento fisico e mentale ebbe la meglio su di lei e crollò in un sonno pesante e senza sogni. Si svegliò la mattina dopo udendo il rumore di qualcosa che cadeva e s'infrangeva in mille pezzi.

"Oh, no, che imbranata!", esclamò la voce di Akane.

La cuoca fu per un attimo sconvolta, non ricordando assolutamente nulla della sera prima: non era ancora in Italia? O al suo negozio di okonomiyaki? Era tornata? Si portò una mano alla fronte, stravolta, sentendosi come un'ubriaca con i postumi di una sbronza che non si era mai procurata. O forse sì: la sua sbronza si chiamava Ryoga e aveva un retrogusto amaro di nome Akari. Fu colta da una rabbia cieca e si chiese quanto fosse stanca la sera prima per non aver picchiato a sangue l'una e l'altro.

"Mi dispiace, ti ho svegliata!", si scusò Akane, costernata.

"Oh, non preoccuparti, il sole è già alto e io ho delle cose da fare", disse con un'aria così minacciosa che l'amica si scostò come se temesse di scottarsi.

"Hai, ehm... dormito bene? Vuoi la colazione? Stavo proprio cercando di prepararla, ma...".

Ukyo la guardò e vide che aveva una scopa in mano e la paletta nell'altra. Dopo essersi imposta come ospite, doveva perlomeno mostrarsi riconoscente. "Facciamo così, tu raccogli i cocci di quello che ti è caduto e io improvviso un okonomyaki per colazione per ringraziarvi dell'ospitalità. Ranma è già andato via?".

"Sì, mezz'ora fa. Ha mangiato il riso che è avanzato da ieri, deve essermi proprio riuscito bene!", si compiacque lei.

Ukyo le sorrise, grata che la chiacchierata leggera le stesse facendo sbollire un po' la rabbia: "Sono certa che diventerai bravissima. Comunque non voglio approfittare troppo della tua ospitalità, preparo la colazione e vado via. Devo comunque risolverla, questa faccenda, ti pare?".

Akane annuì: "Va bene, tanto più che fra poco devo andare anche io per allenare i bambini", poi si morse le labbra come se si stesse impedendo di dirle qualcosa, quindi la invitò a seguirla in cucina. Lavorarono in silenzio, ognuna immersa nel proprio compito. Mentre mangiavano gli okonomiyaki improvvisati, finalmente le parlò: "Ukyo, ti ricordi quando io e Ranma eravamo fidanzati?".

Ukyo alzò gli occhi dalla sua colazione, spiluccata senza convinzione, e la guardò, sorpresa. Non si aspettava una domanda simile e non capì dove volesse andare a parare: "Certo che me lo ricordo. Litigavate sempre, beh... il più delle volte a causa mia e delle altre fidanzate di Ranma".

"Esatto. E ti ricordi quante volte mi sono dovuta sentir dire da Ranma: 'non è come pensi!', prima di spedirlo in orbita?". Finalmente, Ukyo capì e qualcosa si aprì nel proprio cuore. Non troppo, appena uno spiraglio, eppure...

Akane la guardò in silenzio e sorrise, evidentemente leggendole sul volto la comprensione: "Non voglio impicciarmi degli affari tuoi, Ukyo, ma prima di condannare Ryoga, senti cos'ha da dire. Ti potrebbe anche sorprendere".

La cuoca sospirò, segretamente felice di non essere partita in quarta poco prima: "Va bene, gli concederò un minuto quasi intero prima di tirargli un pugno, ma dovrà spiegarmi per filo e per segno perché non mi ha avvisata che Akari era da noi", concesse.

Akane fece spallucce: "Magari non voleva farti preoccupare senza motivo".

Lei non rispose, ma si sentì di nuovo stanca all'idea di affrontarlo. Avrebbe dato via il suo stesso negozio per tornare indietro nel tempo a una settimana prima, quando viveva ancora nella beata ignoranza. Ma amava quel testone di Ryoga e, attualmente, lo odiava anche a sufficienza per alzarsi senza finire la propria colazione: "Dai a Ranma la mia, non ho più fame. E... Akane? Grazie. Di tutto, a te e a Ranma. Vado a riprendermi la mia vita".

Forse era stata troppo plateale, ma era proprio quello che aveva intenzione di fare. Akane la seguì sulla soglia e colse il suo sguardo pieno di apprensione. S'incollò sulla faccia un'espressione fiduciosa e alzò il pollice, comunicandole senza parlare che sarebbe andato tutto bene. Quando girò l'angolo e si ritrovò da sola, perse completamente questa convinzione.

***

Ryoga si era svegliato da un sonno tormentato e pieno di incubi. Akari che correva via, Akari che moriva, Ukyo che lo pugnalava a morte, Ukyo che lo lasciava per sempre e altre varianti sul tema. Il futon era zuppo di sudore e s'immerse nella vasca da bagno dopo aver sbirciato silenziosamente Akari, rannicchiata e ancora dormiente.

Si sentiva svuotato. Rimanevano la rabbia e il dolore di essere arrivato a trattare così una delle sue migliori amiche, tra l'altro bisognosa di aiuto. Ma non riusciva a perdonarla, non del tutto. Non era stata corretta con lui e la cosa peggiore era che nemmeno Ukyo lo era stata. Provava il desiderio impellente di partire, andarsene in un viaggio di allenamento e mollare tutto per un po', per depurarsi da tutto quel dolore.

"Forse lo farò", bisbigliò alle mattonelle del bagno, "non appena Akari sarà andata via". Chiuse gli occhi, concedendosi ancora qualche attimo di pace e chiedendosi se la sua fidanzata sarebbe tornata a casa pronta a fargli guerra. In tal caso, lo avrebbe trovato pronto ad affrontarla.

Quando scese giù, trovò Akari, su Katsunishiki, intenta a preparare la colazione e il peso sul petto si allentò un po' all'idea che fosse abbastanza rilassata da mettersi a cucinare, piuttosto che fuggire. Quando si voltò e incrociò il suo sguardo, dissero la stessa frase nel medesimo istante: "Mi dispiace".

La sua rabbia scemò del tutto e rimase solo l'amarezza. Ryoga scosse la testa: "Nonostante i tuoi errori, non avevo il diritto di trattarti così male. Ma sono così stanco di tutta questa situazione che ho riversato la mia frustrazione su di te".

La ragazza fece cenno al suo maiale di spostarsi e sedette sul bancone vicino a lui: "Ne avevi tutto il diritto. Sono venuta qui con la speranza di riaverti, visto che Ukyo era lontana", confessò lei e a Ryoga parve sentir defluire il sangue dal proprio volto, mentre avvertiva il dolore pulsare all'altezza del petto. Aprì la bocca per dirle qualcosa, anche se non sapeva bene cosa, ma lei lo mise a tacere con un gesto: "Fammi finire, per favore. Dopo aver rinunciato a te, ho cominciato a sentire il peso dei giorni passati senza poter camminare, senza un futuro e soprattutto... ero ancora innamorata di te".

"Ma tu sapevi benissimo che il mio cuore appartiene a Ukyo, perché hai voluto farti... farci del male?", chiese alla fine.

"Volevo davvero che mi allenassi, ma quando ho capito che lei ti aveva abbandonato per i suoi studi, dopo che le avevo detto di starti sempre accanto, non ci ho visto più! L'ho odiata e volevo dimostrarti che io, pur con il mio difetto fisico, ci sarei sempre stata per te. Così... ho osato più del dovuto e, nonostante i tuoi ammonimenti, ogni volta che ti sentivo parlare al telefono con Ukyo e lei rimandava il suo ritorno, vedevo la delusione dipinta sul tuo viso. Mi sono ripromessa che avrei camminato di nuovo e sarei finalmente stata alla pari con lei, lottando per il tuo amore".

"Ma... Akari...". Ryoga non aveva più parole, non si aspettava un cambiamento così drastico in Akari, così dolce e arrendevole. E così, disperatamente, innamorata di lui. Una parte del suo cuore tremò, ma non le permise di prendere il sopravvento.

"Ora capisco che non sarei mai stata sua pari, anche se avessi camminato. Perché il tuo cuore è solo suo e non sarà mai mio, qualunque cosa io faccia". Scorse le lacrime nei suoi occhi, ma non osò parlare. "Mi dispiace, Ryoga, sono una persona orribile, prometto che non vi disturberò più, se vuoi le parlerò e...".

Lui scosse la testa, commosso nonostante tutto dalla sua confessione sincera. "Tu mi sarai sempre molto cara, Akari, e voglio esserti amico. Sono felice di averti aiutato a fare quel kata e se tornerai a camminare sarò il primo a gioirne. Ma ho anche capito che devo essere più fermo se voglio che le persone che amo mi capiscano e non mi feriscano. Ti fa onore esserti resa conto del tuo errore. Ti prego, ritorna ad essere la dolce Akari che ho conosciuto e non l'opportunista che il dolore ti ha fatto diventare. Tu sei migliore di così". Mentre le diceva queste parole, le si avvicinò, le asciugò gli occhi e le posò un leggero bacio sulla fronte. Fu allora che, in una sorta di diabolico deja-vu, la porta si aprì.

***

Ukyo faceva passi lenti e calcolati, combattuta tra il desiderio di fuggire nuovamente in Europa e quello di correre a strozzare Akari e Ryoga. Nonostante la notte di sonno, si sentiva scombussolata e temeva di scoprire una verità che l'avrebbe dilaniata. E se Akane avesse avuto torto e avessero davvero avuto una storia? Non poteva pensarci, la sola idea le provocava una rabbia e un dolore incommensurabili.

Lei era partita per studiare e lui l'aveva tradita? Doveva immaginare che qualcosa non stesse andando bene, l'aveva pur avvertito nella sua voce. Mentre si arrovellava, con la testa china, urtò qualcuno e si scusò automaticamente. Quando alzò lo sguardo, si accorse che era un uomo anziano che le fu subito familiare.

"Mi scusi, signorina, saprebbe indicarmi l'Ucchan?", chiese e finalmente capì di avere davanti a sé il nonno di Akari. Essendosi incontrati velocemente in ben altra occasione, qualche anno prima, l'uomo non si ricordava certo il suo volto, ma dopo le opportune presentazioni fecero la strada insieme.

"Quindi... è venuto a prendere sua nipote?", tentò lei, con il cuore che le martellava nel petto.

"Sì, Ryoga mi ha chiamato ieri dicendomi che l'allenamento era terminato e che preferiva tornasse a casa in compagnia. Mi sono così preoccupato per lei, in questi ultimi anni, e non mi pare vero che abbia trovato degli amici fantastici come voi".

"Già, sì", rispose lei distrattamente. Quindi se, a sua detta, l'allenamento era terminato, voleva dire che Ryoga non la voleva più sotto al suo stesso tetto? O cercava solo di rimediare all'errore commesso per poi tornare, piangente e pentito, al suo cospetto?

"Signorina Ukyo, non è per caso questo, il suo locale?". Non si era accorta di essere già arrivata e per un attimo il cuore parve volerle scoppiare in petto. Ukyo ebbe l'impulso irrefrenabile di scappare a gambe levate, ma sospirò e si preparò ad affrontare la realtà. La porta si aprì su un Ryoga leggermente chinato su Akari, intento a darle un bacio sulla fronte.

Ukyo vide tanti puntini neri danzarle davanti agli occhi e si sentì sul punto di svenire.

***

Nabiki aveva quasi quattro anni ma sua madre non sarebbe stata alla sua prossima festa di compleanno, perché era morta da poco e ora la stavano seppellendo. Si guardò attorno sconvolta e vide suo padre, Kasumi e Akane in un angolo, che piangevano in silenzio mentre la bara veniva calata nel terreno.

Anche lei avrebbe voluto piangere ma era bloccata. Qualcosa le si annodava in gola dolorosamente, ma lei lo teneva stretto e immobile perché, se lo avesse lasciato andare, sarebbe impazzita. L'autocontrollo era la sua unica arma e la piccola Nabiki sapeva che era indispensabile per poter andare avanti.

Gli altri stavano singhiozzando e sentiva che stava per soffocare: trattenere quel pianto era come stare in apnea e a breve sarebbe morta anche lei, perché le mancava l'aria. Annaspò, portandosi le mani al collo e si sentì trascinare giù, nella terra, a sua volta. Se fosse morta, almeno, avrebbe smesso di soffrire e pregò che accadesse presto.

Invece si svegliò nel suo letto con un urlo strozzato e il viso bagnato, ansimando nel tentativo di respirare più ossigeno possibile. Lo sguardo andò automaticamente al suo ventre e, d'istinto, vi posò le mani, mentre nuove lacrime vi cadevano sopra, sorprendendola oltre ogni dire.

Erano quasi vent'anni che non piangeva e ora ne ricordava anche il motivo ben preciso. In realtà lo aveva sempre saputo, custodito nel cuore come un segreto prezioso e innominabile. Nabiki si rifiutava di amare, e con gli anni aveva imparato a nascondere i propri sentimenti perché provarli significava soffrire, venire a patti con la parte debole di se stessa che impediva alla ragione di prevalere. Aveva tramutato l'affetto per la sua famiglia nel bisogno impellente di fare soldi, per il benessere proprio e degli altri, come se il denaro fosse la chiave di volta della felicità.

Ma, a forza di indossare quella maschera, era diventata arida e debole, invece che rafforzarsi, e non era stata neanche in grado di accettare l'esistenza di suo figlio. Così come non era stata in grado di accettare l'amore di Kuno. Teneva seppelliti nel suo cuore, proprio come dei cadaveri, sentimenti da cui rifuggiva e che temeva. Ma ora, a distanza di tempo, tutto era risalito in superficie e minacciava di soffocarla, anche se doveva ammettere che quelle lacrime appena versate le avevano recato un minimo sollievo.

Si alzò dal letto di scatto, ripetendosi ostinatamente che non era così, che erano gli ormoni di quella maledetta gravidanza a parlare per lei, ma sapendo già che stava ancora mentendo a se stessa. Mentre dentro di sé la lotta tra le due Nabiki imperversava furiosa, lei tentava di ricomporsi, cionondimeno arrivò ad alzare la cornetta del telefono e a comporre un numero. Quando Kasumi le rispose, fu con una voce ferma che non avrebbe mai creduto di avere che le comunicò: "Ho dato in adozione mio figlio".

***

Ryoga non pensava che fosse possibile sognare eventi accaduti di recente in maniera così nitida, ma era proprio quello che gli era appena accaduto. Uscì dal sacco a pelo e volse il viso al sole caldo di quel primo mattino lontano da casa, assaporandone i raggi come per scrollarsi di dosso le ultime ore. Ma ce le aveva incollate addosso come una melma appiccicosa e gli incubi della notte glielo avevano solo confermato.

Aveva rivissuto l'entrata di Ukyo e del nonno di Akari nell'esatto istante in cui posava un bacio fraterno sulla fronte della sua amica. Aveva visto, come al rallentatore, la fidanzata spingerla giù dal bancone, dove era seduta, facendola rovinare miseramente a terra e urlarle di lasciar stare il suo locale e il suo uomo.

Mentre il vecchio aveva soccorso la nipote, Ryoga si era parato di fronte a Ukyo e le aveva dato uno schiaffo. Nel suo incubo, lo schiaffo era diventato un pugno ed era sprizzato il sangue. Il ragazzo si chiese se la parte sadica che pareva essersi risvegliata dentro di sé lo avrebbe annientato. Lo schiaffo, Ukyo, se lo era meritato, comunque, e probabilmente se lo sarebbe dato da sola se avesse saputo come stavano le cose e non fosse stata così accecata dalla gelosia.

Si era scusato personalmente con Akari e il nonno e li aveva visti andare via dopo aver promesso loro che sarebbe andato a trovarli al più presto. Poi si era voltato verso Ukyo, che era rimasta congelata con la mano sul viso e gli occhi spalancati: "Come... come ti permetti?! Non solo mi hai deliberatamente tradita mentre ero via, ma la difendi anche?".

"Adesso basta!", aveva tuonato con voce abbastanza alta da farla smettere di parlare all'istante. Lei sussultò come se l'avesse schiaffeggiata di nuovo. Ryoga aveva taciuto per qualche secondo, respirando profondamente per ritrovare un autocontrollo che pareva essergli stato strappato via dal bacio di Akari e dalla spatola della fidanzata il giorno prima. Quando si era sentito di nuovo in grado di parlare aveva piantato gli occhi nei suoi, grandi e belli come li ricordava e come li aveva sognati in ben altre notti.

"Sei partita per un viaggio-studio che si è protratto nei mesi più di quanto mi avessi detto. Ogni volta che telefonavi e rimandavi, io incassavo il colpo, anche se mi mancavi più dell'aria che respiravo. Mi dicevo che era per il tuo bene, e che se eri felice meritavi di fare quell'esperienza. Poi è arrivata Akari, disperata e bisognosa di aiuto e io volevo solo te, perché avevo capito che la mia migliore amica era cambiata e voleva riavermi al suo fianco. Le ho parlato, le ho detto che per me esistevi solo tu e più Akari mi guardava con amore, più io desideravo solo prenderti tra le mie braccia e non lasciarti andare mai più".

Vide le lacrime spuntare nelle sue iridi, insieme alla consapevolezza che le si dipingeva, evidente e implacabile, sul volto. Le labbra le tremarono ma Ryoga non smise.

"Ho fatto due lavori, occupandomi della mia palestra e del tuo locale, e nel frattempo dovevo aiutare Akari e impedirle di farsi illusioni su di me. Quando chiamavi tentavo di non farti capire il mio profondo disagio, ma evidentemente mi sono fatto carico di troppi impegni perché ieri sera, quando finalmente Akari si è rimessa in piedi per un istante e mi ha baciato per la gioia, tu sei arrivata e qualcosa mi si è spezzato dentro. Io, che mi ero tanto prodigato per non fare soffrire né te né lei, ero vittima di un tragico equivoco che mi condannava come se fossi colpevole. Ho urlato contro Akari, le ho detto parole che non sembravano uscire dalla mia bocca e l'ho cacciata. Stamattina ho tentato di farmi perdonare e di ristabilire la nostra amicizia e tu hai compiuto un'azione riprovevole, provocandone una altrettanto riprovevole in me. Non ho mai gridato contro una donna e non le ho mai alzato le mani, a meno che non fosse quell'idiota di Ranma-chan. Grazie a voi due e ai vostri comportamenti sbagliati sono diventato una specie di sconosciuto persino a me stesso. Ed è per questo che ora me ne vado".

Non aveva mai parlato così a lungo, ma finalmente la rabbia se n'era andata e si sentiva svuotato. Ukyo gli aveva solo chiesto, con un bisbiglio quasi indistinto, dove sarebbe andato e lui le aveva risposto che aveva bisogno di un lungo viaggio di allenamento. Doveva ritrovare se stesso, ed era la pura verità. Nonostante fossero stati lontani a lungo, aveva bisogno di disintossicarsi da tutta la negatività che, stanchezza ed equivoci tra loro tre, avevano contribuito a far crescere in lui come una nube tossica.

Si rese conto che Ukyo gli mancava, ma la libertà e la leggerezza di quel mattino lo stavano già rigenerando. Forse, tuttavia, non sarebbe ritornato troppo presto.
   
 
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