Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Azaliv87    06/08/2019    2 recensioni
E se Jon avesse la possibilità di riportare in vita una persona importante? E scoprisse di non essere ciò che era? E se anche Dany avesse questa possibilità? Questa è la domanda che mi sono posta, e da quest'idea mi è venuta in mente la storia che vi narrerò. Parto a raccontare le vicende dalla fine della sesta serie televisiva, grosso modo, quindi (avviso chi non ha visto questa stagione) potete trovare degli spoiler. Per il resto è tutta una mia invenzione. Dopo essermi immersa nel mondo di Martin ed essermi affezionata ai suoi personaggi con Tales of Wolf and Dragon, ho deciso di cimentarmi in questo What if e vedere fino a che punto può spingersi la mia fantasia.
Per chi avesse già letto l'altra mia ff, ritroverà conseguenze, personaggi e riferimenti alla prima storia.
Buona lettura e non vi preoccupate se ogni tanto rallento la pubblicazione, non sono mai bloccata, ma ho periodi in cui devo riordinare le idee e correggere ciò che ho già scritto prima di aggiornare!!
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daenerys Targaryen, Jon Snow, Lyanna Stark, Rhaegar Targaryen
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Lyanna Stark aveva frugato in quell’angusto locale adibito occasionalmente come una dispensa. Erano stati riposti viveri e provviste per alcuni giorni, troppo pochi per sfamare tutti, ecco la ragione per cui Jon aveva ordinato agli uomini di cacciare e pescare, sempre che lo strato di ghiaccio dei fiumi e dei laghetti, lo permetteva ovviamente. Era stato tutto raccolto in cinque grandi ceste e tre casse di legna. Per scaldarsi avrebbero usato la legna degli alberi, se fosse stata troppo umida avrebbero provveduto a farla asciugare dal respiro dei draghi. Lyanna dubitava che questa idea fosse venuta alla regina, semmai era più una speranza che aveva suo figlio, ma dopotutto gli uomini del nord avrebbero comunque trovato un modo per scaldarsi; quelli meno attrezzati erano i loro alleati, ma certamente i Targaryen avrebbero trovato un modo per dar loro un valido aiuto.
Si concentrò su quello che si era oramai prefissata di fare. I suoi occhi abituati alla penombra di quella stanza e asciutti di tutte le lacrime, vagavano cauti alla ricerca di ciò che le serviva. Non vi era nulla appeso, se non qualche ramoscello di spezie secche, che alcune cuoche avevano legato tra loro e messo lì in attesa di dar loro uno scopo. Il resto dei materiali erano tenuti però sul pavimento. Le mensole erano inutilizzabili poiché la cattiva conservazione aveva reso il legno marcio e la calce tra la roccia delle pareti era friabile. Dovevano quindi fare attenzione ai topi o a qualsiasi altro roditore che poteva sopraggiungere dal bosco, ecco perché avevano portato con loro anche un gatto. Furor era il suo nome. Una creatura enorme dal pelo grigio striato. Sulle orecchie aveva dei peletti più lunghi di colore nero. I suoi occhi erano gialli. A Winterfell era conosciuto come il più letale tra i felini presenti. Lyanna lo aveva visto in azione qualche volta, quando arrampicata tra le balaustre superiori delle mura assieme ad Arya perlustravano il perimetro del castello. Ora invece stava gironzolando pigramente tra le casse con la coda di un roditore tra le fauci. Evidentemente aveva appena soddisfatto la sua sete di predatore.
Le era poi passato di fianco guardandola con sfida e soffiandole, quasi la temesse come un rivale nel suo harem. La lady lo aveva fissato con disinteresse, senza nemmeno calcolarlo, superandolo veloce ed evitando con un piccolo balzo, la sua zampata micidiale, che mirava alla sua gamba.
-Non osare provarci di nuovo, se non vuoi che ti faccia tagliare le unghie delle zampe! – esplose con ira la donna, tirandogli contro un sacco, ma lo mancò mentre la creatura spariva beffarda dietro un baule in fondo alla stanza.
Libera da ogni altro intralcio, passò quindi in rassegna i vari recipienti per avere qualcosa su cui impegnare la giornata che sarebbe venuta in maniera del tutto diversa. La sua speranza era quella di coinvolgere anche altre persone a lei vicine.
Si accucciò su una gerla e vi guardò dentro. Vi trovò alcuni vasetti, li sollevò e li voltò per cercare di capire cosa contenessero. Ne ripose uno e ne tenne in mano gli altri due.
-Jon mi passi quella sacca? – gli disse senza levare la propria concentrazione dalla cesta di vimine sotto di sé. Il ragazzo eseguì quanto gli era stato richiesto senza porre ulteriori domande.
Lyanna la prese allungando una mano e vi ripose i vari ingredienti che le servivano. Suo figlio, che era rimasto in disparte fino a quel momento, lasciandola fare indisturbata, preso l’audacia di affiancarla e guardare meglio quanto stava per fare.
-A cosa ti serve questa roba, mamma? – le domandò buttando un occhio sul contenuto della sacca e del cesto.
 
Quando Lyanna gli aveva spiegato quali erano i suoi intenti, era rimasta meravigliata del suo scetticismo, ma non si era demoralizzata, anzi, questo l’aveva incentivata a continuare sulla sua idea. Era tornata poi, seguita diligentemente da suo figlio, nella grande sala presidenziale, dove stavano anche gli altri, che assaporavano pigri e taciturni un caldo e banale latte di capra, inzuppando di tanto in tanto dell’insipido pane raffermo.
-Ragazzi, perché questo silenzio tombale? – chiese lei euforica. Sembrava aver ritrovato la carica di un tempo. Lei per prima si domandava da dove le scaturisse tutta quell’allegria e voleva considerare di averla assimilata dall’abbraccio affettuoso scambiatosi con suo figlio, piuttosto che da altro – Un tempo i cortili di Winterfell era silenziosi solamente quando io e vostro zio Benjen sgattaiolavamo fuori dalle mura, all’oscuro da nostro padre. – raccontò, ricordando quelle loro briose scappatelle. I giovani alzarono i loro volti e la fissarono incuriositi.
-Anche noi ne abbiamo combinate di marachelle! – affermò orgogliosa Arya tirando una gomitata a Bran, il quale non parve non volersi scomporre dal suo torpore. Sansa reagì in maniera più composta sorseggiando la sua tazza con schiena dritta e preferendo non dire la sua. Daenerys accese i suoi occhi viola, puntandoli sui giovani Stark e passandoli in rassegna uno ad uno, tenendo per ultimo Jon. Lo sguardo che gli lanciò fu del tutto indecifrabile, Lyanna si chiese cosa stesse cercando in suo figlio, ma ogni sua aspettativa venne delusa, poiché la regina non si azzardò ad aprire bocca e Jon non voltò mai la sua attenzione alla madre dei draghi, tenendosi invece ombroso e riflessivo come al suo solito. La Stark per un attimo si domandò come avesse fatto a relazionarsi così bene coi figli di suo fratello dato che non sembrava avere quella selvaggia curiosità di avventura che invece aveva sua nipote Arya.
-Cosa sono tutte queste cose? – chiese Sansa interessata dalle cibarie che stava esponendo sul tavolo di fronte a loro, svuotando man mano la sacca – Quali sono le tue intenzioni, zia? –
-Che domande sono, Sansa? Questa notte è stata la più lunga dell’anno, la cerimonia del Sole Bianco. – vedendo la nipote completamente in panne aggiunse – Non fate mai la veglia dal tramonto all’alba successiva per il ritorno del sole? –
-La mia amica Jeyne Pool la faceva, ricordo. – mormorò con tono dapprima lieve, prima di trovare la sicurezza nella voce – Ma noi no, mai da che ne ho memoria. –
-Io ricordo di aver visto i falò dalla finestra della mia stanza. – Jon prese parola – Qualche volta vi ho anche partecipato con Robb, prima che Theon facesse la spia. –
-Ricordo che la vecchia Nan diceva che eravamo bambini del nord e dovevamo festeggiare gli alberi… – Arya rievocò alla mente qualche vecchia memoria.
-La vecchia Nan era forse la donna più saggia che avevate affianco. – disse dolcemente la lady – Anche ai nostri tempi amava terrorizzarci coi suoi racconti. In questo periodo ci diceva sempre se che non onoravamo questa festività, il sole non sarebbe sorto l’indomani e le tenebre sarebbero quindi venute a prenderci coi loro artigli di ghiaccio. Maestro Walys insisteva nel dire che erano solamente delle stupide credenze del popolino, screditava di fronte a nostro padre le parole della balia, ma a quei tempi l’influenza delle tradizioni del nord era forte. – soffiò forte dal naso mostrando risentimento per come poi tutto ciò fosse andato a rotoli quando suo fratello aveva preso le redini di Winterfell – Ad ogni modo, visto che a quanto pare non avete nemmeno idea di cosa rappresenti questo giorno, ve lo narrerò io. Le sue origini sono andate perdute, ma possiamo andare a ricercare qualche analoga verità tra le storie che si tramanda una casata a noi legata per vincoli antichi di sangue, più precisamente i Karstark. – udì Sansa sussurrare il nome di Alys, la lady sposata ad un bruto per volere di Jon, quando ancora era il Lord Comandante dei Guardiani della Notte.
-Nella loro famiglia si conserva una leggenda non del tutto dissimile da ciò che la Vecchia Nan amava raccontarci. Penso che sappiate che il fondatore di Karhold era uno Stark di nome Karlon, figlio cadetto di un antico re del nord, ma non penso sappiate il motivo per cui abbandonò il simbolo del lupo per prendere quello del sole dell’inverno. – i quattro ragazzi si fece attenti, anche se Bran apparve per un attimo smarrito tra i suoi pensieri – Quando era ancora un aitante giovane lord che vagava nella foresta del lupo, si diresse oltre Lago Lungo con alcuni suoi amici, per perlustrare quelle terre. Durante una battuta di caccia incontrò una strana donna tra i boschi. Il suo nome era Soraya che nell’antica lingua significa… –
-Luminosa come la luce del sole e della luna. – finì per lei Bran. Lyanna lo guardò per alcuni istanti incerta se prendersela per essere stata interrotta o fiera di avere almeno uno spettatore preparato. Il ragazzo le fece un cenno col capo per invitarla a proseguire.
-Si dice che fosse una strega dei boschi, alcuni pensano addirittura una figlia della foresta, altri che fosse solo una pazza, ma su una cosa tutti concordano: lei diceva di discendere direttamente dagli antichi re degli alberi. Karlon la portò con sé al suo ritorno e la fece diventare la sua sposa. Fu infatti lei a far conoscere questa tradizione alla nostra famiglia e da quel giorno divenne uso comune festeggiare quando il sole è nel suo declino la morte del vecchio re Agrifoglio per mano del suo successore Re Quercia che invece simboleggia l’anno nuovo ed il sole che inizia la sua ascesa. Quando poi Karlon venne onorato del titolo di lord e di terre, prese anche la donna dei boschi come sua sposa. I festeggiamenti della loro unione si dice siano avvenuti la notte che precedeva il solstizio d’inverno, e che lei fosse vestita di bianco come vuole la tradizione. Ecco quindi che Karlon scelse questi colori e il simbolo del sole dell’inverno come stemma. Il banchetto che si celebrò la mattina successiva ebbe però qualcosa di particolare. Fu Soraya a preparare il cibo che il suo sposo doveva mangiare, ecco perché noi donne, di qualunque rango apparteniamo, la mattina successiva alla notte più lunga prepariamo la colazione. – affermò con convinzione la donna, prima di scrutare nei volti dei suoi nipoti una certa perplessità. Anche la regina la osservò allibita prima di voltarsi verso suo fratello che stava in fondo alla stanza in completa solitudine – Non avete mai cucinato prima d’ora? – a Lyanna sembrava molto strana come cosa, così cercò con lo sguardo aiuto da suo fratello.
-Mi spiace deluderti, Lya, ma Ned non ha continuato le nostre vecchie abitudini. – affermò serafico.
-Per quale assurdo motivo? – si voltò ancora verso i giovani ragazzi delusa e amareggiata – Volete dirmi quindi che non siete mai scesi nelle cucine con vostra madre e i vostri fratelli a preparare i biscotti? – i giovani si guardarono con facce stranite, ma non espressero alcun pensiero.
-Diciamo che Lady Catelyn non era consona a certe attività, né propensa a inserirsi completamente nelle usanze del nord. – intervenne ancora il ranger con un leggero sorriso sulle labbra. Lyanna aprì la bocca stupefatta.
-Nostra madre era una seccatura sotto questo profilo. – assicurò Arya – Non ci faceva fare nulla di divertente, solo attività noiose e statiche. –
-Non dire assurdità, Arya. – protestò Sansa – Se nostra madre non ha mai continuato le tradizioni degli Stark, può essere anche dipeso dal fatto che nostro padre glielo potesse aver impedito. D’altronde come afferma nostra zia, se era una cosa che faceva con i suoi fratelli, magari non voleva rivangare passate sofferenze. – la ragazza cercò di trarre una deduzione logica ed effettivamente nessuno ebbe da protestare.
-Può anche essere come dici. – concluse Lyanna – Effettivamente noi scendevamo con nostra madre nelle cucine e passavamo l’intera giornata a ridere, prenderci in giro e lanciarci farina. Alla fine era più il macello che combinavamo sul pavimento che quello che riuscivamo davvero a preparare. –
-E qui si spiega perché quando Brandon fu mandato dai Dustin e Ned nella Valle, e restammo solo io e te, le cuoche ci hanno espressamente vietato di toccare le farine nelle dispense. – concluse Ben.
-Ma cucinavamo lo stesso. – rispose ostinata.
-Anche nostro padre? – chiese Sansa trasognata, già immaginandosi lo Stark con le mani tutte sporche.
-Prima che partisse per Nido dell’Aquila ricordo che mi aiutava ad impastare. Nostra madre diceva che era molto bravo, paziente e disciplinato. La pazienza fatta persona. –
-Cosa che a te è sempre mancata. – si espresse Ben, tirandole un’uvetta passita sulla guancia.
-Io non amavo perdere tempo, è diverso. –
-Ecco perché lavoravi il composto prima che ancora avesse lievitato del tutto. – spiegò lui. Lyanna lo guardò poco convinta, poi si rivolse ancora verso le sue nipoti che parevano essere molto interessate all’argomento.
-Quando tornava da Borrowtown, anche Brandon ci dava una mano. – disse snervata, scansando un secondo lancio di Ben e appoggiando un sacco di farina al centro del tavolo. Prese una tazza vuota e versò delle piccole montagnole di fronte ad ognuno di loro. Bran come c’era da aspettarselo declinò l’invito non appena lei gli si avvicinò.
-Era anche bravo sotto certi aspetti, ma si distraeva… E poi preferiva infornare altri tipi di pagnotte. – alla battuta di Benjen risero sia Jon che Arya. Lyanna gli lanciò addosso una manciata di farina, per farlo stare zitto. Sansa divenne rossa per l’imbarazzo per ciò che aveva appena sentito. Il guardiano della notte continuò ad esprimersi, scuotendosi la polvere bianca di dosso – Invece vostra zia realizzava pietanze dalle forme più bizzarre e finivi per rischiare la vita se ti capitava di assaggiarle. –
-Tu invece non eri di grande aiuto, dato che scambiavi i barattoli o mi passavi gli ingredienti sbagliati! – lo rimproverò giocosa.
-E, spiegami, dove stava il divertimento altrimenti? – scherzò lui facendo scorrere un uovo sul tavolo che lei prontamente prese prima che ruzzolasse dalla parte opposta. Fu obbligata a stendere mezzo busto sul legno, appoggiando i seni sulla montagnola di farina che aveva preparato precedentemente di fronte a sé. Ovviamente questa compressa dal suo soffice peso esplose attorno alla donna facendo alzare la polvere su di lei come fosse una nuvola che l’avvolgeva. I ragazzi attorno a lei scoppiarono a ridere.
-Oh, sorellina, come ti dona il bianco! – lei alzò il capo e lo guardò indispettita. Un po’ di farina le era entrata anche nel naso, facendola starnutire con fastidio. Questo produsse un’altra nuvola di pulviscolo. Quando si rialzò era piena di polvere candida ovunque: sull’abito, sulle guance, sul naso e sui capelli.
-Sei più fastidioso di quanto ricordassi, fratellino. – lanciò uno sguardo furioso verso di lui, che si stava sbellicando dalle risate. Anche le sue nipoti ridevano per quella scenetta comica e Jon prese le sue difese.
-Zio, abbi pietà. Non infierire così, non è onorevole schernire una donna in questa maniera. – si era accorta che gli occhi di suo figlio involontariamente avevano puntato sul suo corpetto, che ora era imbiancato e gran parte della farina le si era anche appoggiata sulla pelle del petto. Si era sentita le guance infuocarsi e aveva prontamente cercato di rimediare, battendoci le mani sopra. Il ragazzo aveva subito spostato il volto in un’altra direzione. Non seppe spiegarsi il motivo, ma pareva come in cerca di qualcuno. Lo vide poi puntare gli occhi in un’unica direzione e fermarsi ad esaminare una figura alle sue spalle. Questo la incuriosì e la convinse a voltarsi, portando anche lei la sua attenzione verso quella stessa direzione, scoprendo che quello che stava guardando suo figlio altri non era che il principe drago.
Le sue guance si arrossarono ripensando ai precedenti momenti trascorsi con lui e finse di non averlo visto. Viserys stava seduto di fronte al camino ed era tutto intento a ravvivare il fuoco. Una scheggia fastidiosa le si piantò nel cuore conscia che mai si sarebbe avvicinato a lei per quella giornata. Era certa che non le avrebbe rivolto la parola facilmente, magari l’avrebbe evitata di nuovo per giorni interi, dopo quanto era successo poche ore prima ed il modo in cui era scappata via, senza nemmeno dargli una valida motivazione.
In automatico i suoi occhi individuarono anche l’altra chioma biondo argento in quella stanza. La regina era abbastanza vicina alla tavola dove stavano loro e sembrava notevolmente incuriosita da quell’atmosfera calorosa che si era creata tra i lupi. La vide alzarsi e raggiungere suo fratello, mettendogli una mano sulla schiena con fare affettuoso e notando la consueta reazione di lui, che arcuando il collo verso l’alto, non troppo, perché anche da seduto non era poi tanto inferiore all’altezza di lei. Lo vide accettare docile il bacio sulla guancia che sua sorella gli offriva. Quell’istante soave e affettuoso tra di loro, le fece risvegliare conosciute emozioni di estrema dolcezza… Poi Daenerys gli prese una mano e gliela strinse, portandosela al viso e con essa si fece una carezza, riaprendo gli occhi. Viserys le dedicò uno dei suoi sorrisi seri ed enigmistici, dato che i suoi occhi restavano celati dietro alla maschera, era difficile capire quale sentimento stesse provando, eppure dai suoi gesti Lyanna comprese che era sinceramente attaccato alla giovane regina. Lo vide cingerle la vita con l’altro braccio e stringersela addosso. Il bacio casto che le diede ad una mano fu per lei l’inevitabile concretezza di quanto già aveva immaginato. E senza che se ne rendesse conto, fu catapultata nel passato.
Rivide Rhaegar, seduto nella medesima posizione di Viserys… ah, dei quanto si somigliano… compiere quello stesso abbraccio con lei, mentre le poggiava l’intero lato del volto al suo ventre, l’orecchio aperto ad ogni minimo sentore, tenendo gli occhi chiusi, intonando una melodia, o semplicemente parlando col loro bambino dei progetti e del futuro… Il suo cuore mancò un colpo quando il suo sguardo vacillò pieno di lacrime e ritornò al presente. Non ebbe più il coraggio di affrontare quella visione e, spostando l’attenzione su Jon, lo vide mostrare una denota sofferenza e abbassare gli occhi. Pativa quasi anche lei quella stessa realtà, ma di certo non poteva ricordare… né nessuno poteva avergli raccontato di quei magici momenti trascorsi alla torre.
Capì che per suo figlio doveva esserci altro. Qualcos’altro lo turbava, qualcosa che non doveva per forza essere lo stesso che faceva male anche a lei. Era per Lyanna un sentimento nuovo, ma le piacque avvertire quel legame con suo figlio. Era sinonimo di empatia, una madre sapeva sempre quando suo figlio stava male. Non lo aveva potuto tenere tra le braccia quando era un bambino, ma ora che era adulto non significava che non avesse più bisogno delle cure di una madre.
Non sapeva dire con esattezza cosa lo preoccupasse, una parte di lei le fece dubitare di essere in grado di scoprirlo… e fu proprio riflettendo su questo pensiero che l’orgoglio si risvegliò, caparbio e ostinato: se anche non lo sapeva, doveva comunque cercare di scoprirlo.
E ancora una volta sentì la paura farsi breccia tra le sue membra per qualcosa che riguardava suo figlio. Ma stavolta non era paura di lasciarlo, no, mai più. Lo aveva promesso, inginocchiata di fronte all’albero cuore nel parco degli dei di Winterfell. Non avrebbe più permesso che nessuno la allontanasse mai da Jon. Tuttavia ciò che la rendeva inquieta era vederlo soffrire internamente, esattamente come lei… Sente la mancanza della bruta dai capelli rossi. E comprese che quello sguardo era quello di un uomo innamorato che aveva perduto l’amore. Jon pativa una sofferenza molto simile a quella che anche lei sentiva.
Ricercò quindi la forza che in quell’ultimo periodo le era mancata; doveva trovare il modo per superare le sue debolezze. Doveva farlo per Jon. Lui non avrebbe mai dovuto essere neanche lontanamente toccato da quella stessa logora sensazione di solitudine che aveva vissuto Rhaegar, lui non lo avrebbe permesso. Quello stato di abbandono che lo aveva accompagnato nella gioventù doveva essere qualcosa che non avrebbe mai dovuto nemmeno conoscere, eppure… Certo, Jon non era più un ragazzo, ormai era un uomo, un re; ciononostante quell’aria malinconica che gli si era cucita addosso, era un forte marcatura che suo padre gli aveva lasciato in dono, volente o nolente. Era parte del suo stesso sangue, ma purtroppo era anche parte di ciò che gli dei lo avevano obbligato ad essere, rendendolo assuefatto di quell’amara e nefanda realtà fin dal primo giorno in cui aveva emesso il suo primo vagito.
 
 
 
 
 
Raccolse da terra quella carota smilza e floscia che era stata scartata da una delle cuoche. Keitha era il suo nome, se non ricordava male. Keitha, la senza collo, l’avevano sopranominata alcuni uomini del castello. Era talmente grossa che il suo collo spariva tra il mento e le grosse tette, infossandole la cervice in un numero infinito di pieghe di grasso. Aveva le guance paffute e perennemente arrossate; se Elanon non avesse conosciuto le sue mansioni, avrebbe pensato che fosse dovuto dall’alcool più che dal freddo, ma forse molto dipendeva dalla fatica che era costretta a fare nel muovere tutti quei chili di lardo tra le cucine e la sala grande.
Data la sua approfondita conoscenza nell’arte culinaria, Keitha aveva scartato quella carota dal cesto che un garzone le aveva consegnato quella mattina stessa trovandola inadatta alla sua cucina. Al giovano ragazzo erano pure state tirare le orecchie e questo se l’era svignata, non appena era riuscito a liberarsi dalla sua presa. Nessuno avrebbe mai accusato la donna per averlo schiaffeggiato o tormentato un po', ma di certo sarebbe stato diverso se l’avessero vista lanciare quell’ortaggio, o se la notizia fosse giunta alle orecchie di lady Sansa. La lupa fulva avrebbe decretato il suo licenziamento immediato, tuttavia, se Jon fosse intervenuto con la sua clemenza, molto probabilmente la sua sorte sarebbe stata meno nefasta, subendo solo un declassamento di mansioni. Certo era che in entrambi i casi si sarebbe presto ritrovata ben lontana dalle cucine o da qualunque altro ambiente riscaldato dai forni.
Pur tuttavia poteva comprendere, da un lato, la scelta di quella donna. Mettere sui piatti dei suoi signori un ortaggio di scarsa qualità, avrebbe compromesso il gusto delle pietanze e tutte le sue fatiche avrebbero ottenuto un cattivo esito. Nondimeno, coi tempi che correvano, nulla doveva essere buttato. Una carota di così brutto aspetto, piuttosto che essere scartata via così, avrebbe potuto essere usata per sfamare i cavalli da traino o gli asini da soma.
Ma Keitha non ci aveva pensato. Non era sua mansione. Lei doveva provvedere alle cucine, ai pasti del re del nord e della sua famiglia, dei principi e di tutte le persone più influenti loro ospiti. Con lei lavoravano anche altre donne, ma erano tutte ai suoi ordini. Un solo alimento marcio poteva contagiare e compromettere tutto il cesto. Questo compito era stato affidato direttamente a coloro che accettavano le consegne e quel giorno era toccato a lei. Di solito se ne occupava un vecchio, ma era scivolato nel ghiaccio, rompendosi una gamba e non sapevano se avrebbe superato la notte.
Keitha non era decisamente abituata a fare la cernita nella maniera più corretta, o meglio a lei interessava unicamente la sua mansione, per cui portava nelle cucine tutto ciò che avrebbe potuto diventare alimento adatto a sfamare palati sopraffini. Al resto non dava proprio alcuna importanza. Si poteva dire che la sua intelligenza fosse limitata solo all’arte culinaria, ma c’era anche da darle credito dato che, da quando lei aveva preso possesso delle cucine, non si erano più verificati casi di cibo avariato o piatti poco salutari. Non avevano più dovuto buttare un cesto di verdura andato a male, e non avevano nemmeno mai mangiato un piatto poco saporito o nutriente. Gli uomini del sud si lamentavano per l’eccessivo sapore di cipolla o aglio, quelli dell’estremo sud per la mancanza di spezie, ma c’era anche da dire che ultimamente era calato di molto il tasso di infiammazioni respiratorie, polmoniti e malnutrizione tra i soldati del castello.
Elanon si rese conto che analizzare gli eventi guardando in maniera oggettiva ogni fattore, ogni situazione e ogni risultato, era diventato per lei abitudinario. Provvedere alla salute dei loro padroni le rendeva in qualche modo simili, lei e Keitha, poiché la vita di una serva era tutto ciò che conoscevano. Le nostre funzioni sono votate alla felicità dei nostri lord e lady, esattamente come i cavalieri lo sono di quegli dei che venerano tanto a sud. Pensò cupa. Lasciamo che alla guerra ci pensino i comandanti degli eserciti… e continuiamo a vivere nel nostro nord dove nessuno ci disturberà. Spesso aveva sentito i nordici lavarsi le mani dei problemi del reame, per poi lamentarsi di essere lasciati soli durante le incursioni dei kraken o dei bruti. Come il lupo che si morde la coda, quando ha già la pancia piena e non è più interessato ad attaccare altre prede succulente.
Considerò se fosse stato o meno idoneo dar voce alla propria opinione quel giorno, ma aveva seguito la sua natura di sottoposta, anche se continuava a pensarci e ripensarci. E non poteva che pensare che avessero sottovalutato il loro nemico. Gli Estranei non sono come la gente delle Isole di ferro, e non sono nemmeno disorganizzati come i bruti che attraversano la Barriera. Lei aveva visto in azione quei demoni di ghiaccio e non era certa che i provvedimenti scelti dai capitani degli eserciti alleati avrebbero fatto la differenza.
Prima di prendere in mano quella carota, si era incantata ad osservarla nella sua posizione di taglio, per metà infossata nella neve con la punta all’infuori minacciosa. Questo le aveva fatto ripensare alla fortificazione che circondava il castello. Una sorta di palizzata con gli spuntoni, le cui punte aguzze uscivano dalla neve, pronte ad infilarsi nelle carni delle prede che avanzavano. Animali, uomini o qualunque altra cosa che avesse provato ad avvicinarsi al castello. Si sarebbero fermati per evitare di essere infilzati come pollo allo spiedo… Avrebbero però fermato un esercito di esseri morti che non provavano dolore, fame o fatica?
Era stato rinforzato tutto il perimetro delle mura esterne in questa maniera. Seppur Winterfell fosse già provvista di ben due cinte murarie di pietra, quella interna più alta di quella esterna, Jon aveva ordinato che venissero aggiunte delle ulteriori sicurezze. Era stato scavato un secondo fossato a cento piedi dalla palizzata di legno. Da quello che aveva sentito dire dagli scavatori, era stato svuotato più a fondo questa volta, rendendolo molto più profondo del primo. Le sue sponde però erano irregolari. Avevano adoperato poi la conoscenza dei maestri e del sacerdote rosso arrivato con la Fratellanza di lord Dondarion per creare una formula alchemica e metterla sul fondo. Dopo di che era stato tutto ricoperto di fogliame e resti di legna inutilizzabile per i fuochi all’aperto e per i camini all’interno. Quella legna un tempo che aveva rivestito le stalle, bruciate qualche mese addietro, e anche quelle travi ritrovate qua e là dopo le incursioni dei Greyjoy e dei Bolton. Ma ora, a causa delle incessanti nevicate ogni avvallamento scavato era stato interamente colmato da una coltre bianca e successivamente, a causa delle rigide temperature, si era impaccata, rendendo così ogni sforzo inutile, facendo risultare ogni cosa allo stesso livello. Un fossato coperto di neve… dei pali di legno esterni… un’altra buca piena di fango ghiacciato… e due muri di pietra… Se la Grande Barriera non è riuscita a contenere gli Estranei, come possiamo sperare di aver la meglio con delle banalità simili? Si era domandata un giorno, ma non aveva mai osato porre quella domanda a voce alta. Lei era una donna, per di più una serva. Nessuno l’avrebbe ascoltata. Si morse la lingua per questo. Se fossi nata maschio molto probabilmente la mia vita sarebbe stata differente… e ora almeno avrebbero una ragione in più per ascoltarmi! Un pensiero dolce però la scoraggiò. Ma lui non mi avrebbe nemmeno degnata di uno sguardo. Invece un altro pensiero la fece sorridere: Lya invece sa come farsi sentire, anche se è solo una donna. Ed era certa che la lady si farebbe ascoltare anche se il suo retaggio non le avesse permesso di partecipare alle riunioni. Lyanna, se anche non fosse stata la madre del re, non avrebbe avuto remore alcuna ad aprir bocca di fronte ad una qualsiasi faccenda che non avrebbe considerato corretta. Che questo avesse compromesso la decisione del consiglio del re del nord o meno. Le era giunta voce che la lady avesse davvero sollevato obbiezioni proprio a tal proposito, ma era stata costretta a lasciare la sala quando si era scaraventata contro un uomo dothraky che l’aveva definita “cagna ruspante” non sapendo come tradurre nella lingua comune un concetto molto più simile a lupa feroce.
La Stark non era una donna che s’intendeva di tattiche da guerra, ma aveva delle buone idee e sapeva analizzare concretamente ogni situazione, soprattutto quelle in campo bellico… anche se poi perdeva la pazienza nell’ascoltare tutti i pareri discordanti e agiva d’impulso.
Teneva ancora in mano quella carota. Era rigida per via del freddo composto che l’aveva conservata e congelata, però se premeva abbastanza, poteva sentire sotto ai suoi polpastrelli la mollezza di quell’ortaggio maturano male. Osservò il compimento della sua opera. Una punta acuminata… era proprio ciò che le serviva. Beh, in realtà era leggermente storta e non stava nemmeno bene impiantata, ma d’altro canto lei non aveva intenzioni belliche, anzi… i suoi intenti in quel momento erano tutt’altro.
Attendere. Osservare. Raccogliere informazioni. A dir la verità era pressoché inutile ora come ora dato che la maggior parte delle persone che doveva sorvegliare erano partiti al fianco di milady o dei signori dei draghi, ma il compito che lui le aveva assegnato era proprio questo.
C’erano altri che potevano cercare informazioni, approfittando proprio dell’assenza dei più influenti e lei doveva fare attenzione e captare proprio questo genere di piccoli informatori che si potevano nascondere dietro al volto di un ingenuo bambino, o di uno storpio, oppure di un mendicante che fingeva di esserlo. I suoi occhi dovevano analizzare ogni persona che entrava ed usciva.
Ogni persona che entrava ed usciva da quel portale di legno avrebbe dovuto essere perquisita fin nelle mutande, ma gli ordini di Jon differivano notevolmente dai consigli che il principe gli aveva suggerito. Elanon non poteva biasimare il suo re. Lui stava facendo ciò che ogni signore di Winterfell aveva sempre fatto durante l’inverno: aprire le porte per ospitare chi aveva bisogno di un riparo e quello pareva essere un inverno che non avrebbe avuto un epilogo a breve.
 
Si sentì soddisfatta e batté i palmi delle mani tra loro per scacciare via i cristalli di ghiaccio incastrati tra le pieghe dei guanti. Piegò appena le labbra in un sorriso e si mostrò compiaciuta. Posso dirmi soddisfatta per quest’oggi. Aveva ottenuto il risultato sperato e poteva tornare dentro a scaldarsi di fronte al fuoco di un caminetto. Quel pupazzo di neve era stato un ottimo passatempo. Con i pezzi di corteccia aveva creato gli occhi e la bocca; con sassolini e muschio, i bottoni del farsetto. Gli aveva messo in testa dei pezzi di cuoio, scartati dal fabbro per le armature, cercando di ricreare un cappuccio e aveva modellato le braccia e le mani affinché sembrasse impugnare un bastone come una forca. Sorrise triste al pensiero che dopo tutti quegli anni lei era rimasta ancora quella bambina nell’animo che il destino aveva deciso di far crescere in fretta. La stessa fanciulla che anni addietro venne scelta dal figlio cadetto del lord di Winterfell per farla entrare tra la servitù della corte di del più grande castello del nord. Mai nella vita aveva sperato di lavorare presso gli Stark, ed il suo sogno non finiva qui… Avrebbe potuto diventare anche una lady un giorno… una vera lady questa volta, senza se e senza ma. Involontariamente addolcì i tratti del viso ed il suo cuore si sciolse al pensiero che avrebbe potuto essere la sua lady. Scosse velocemente il capo, scacciando via ogni immagine che le era tornata alla mente. Quelli erano stati solo sogni onirici di un giovane fantasioso e di una giovinetta innamorata. La realtà era stata loro sbattuta in faccia con crudeltà; i loro destini li avevano separati.
Elanon non lo aveva mai incolpato, né aveva incolpato sé stessa. Dopotutto avevano solo creduto che l’amore potesse vincere ogni cosa, ma erano giovani, impacciati e inesperti. Ed il mondo stava cambiando di fronte ai loro occhi. Eppure ricordare quanto erano stati belli quei momenti, era pure piacevole. L’amore era un sentimento che poteva modificare la vita di ogni singola persona; bastava prendere una decisione. Una volta soltanto. Bastava che uno di loro scegliesse di fare la mossa giusta… E c’era stata una persona che aveva mosso i piedi in una direzione. Avuto il coraggio di fare la cosa giusta, anche se pochi erano di questa opinione. Ai loro tempi seguire il proprio cuore poteva voler dire sbagliare… non che ora le cose fossero diverse.
Lyanna però era stata più scaltra di loro, ma ne aveva anche pagato il prezzo. E loro con lei. Eppure ancora adesso Elanon, non riusciva a condannarla. Al contrario, la riteneva temeraria esattamente come il primo giorno in cui l’aveva conosciuta. Lei aveva avuto la forza per cambiare la sua vita, cosa che né Elanon, né nessun’altra donna vissuta ai loro tempi aveva mai fatto. L’amore ci dona una forza incredibile Ele, il cuore ci indica la strada, bisogna solo avere orecchie per ascoltarlo. L’amore… negli anni, Elanon aveva appurato che quel sentimento non bastava per far sì che due persone potessero vivere il resto dei loro giorni assieme. E questa certezza ancora adesso non era riuscita a frantumarla.
 
Non aveva alcun ricordo dei suoi genitori, non ricordava il volto di sua madre, né la sua voce, tuttavia aveva avuto modo di rincontrare suo padre. Ma se avesse saputo l’esito finale, avrebbe preferito non averlo mai fatto.
Aveva appreso la storia delle sue origini un po' qua e un po' là, e alla fine aveva collegato le varie parti ottenendo pressappoco una realista versione dei fatti. Negli anni della sua infanzia aveva assorbito l’influenza di svariate persone: la donna che l’aveva adottata non le aveva mai tenuto segreto nulla, i suoi fratellastri l’avevano messa al corrente dell’aspetto ruvido del loro genitore in comune, e la loro madre non si era mai risparmiata di dimostrare un forte sdegno sia per lei che per la donna che l’aveva partorita.
Elery. Questo era il nome di sua madre. Era una semplice popolana proveniente da uno dei villaggi limitrofi al castello di Torrhen’s Square. All’età di dodici anni, venne assunta assieme ad altre ragazze per servire presso le cucine del forte. Lì ebbe modo di fare la conoscenza del giovane lord Benford, il primogenito della famiglia Tallhart, più grande di lei di quasi dieci anni. Essendo quindi l’erede diretto era stato promesso a Adelle Slate, una sua coetanea, figlia del lord di Blackpool. Elery nel tempo era poi divenuta la serva personale della lady. Metteva tutto il suo impegno nelle faccende che le venivano commissionate e girovagando per i corridoi presto si imbatté in lord Benford, che cominciò a notarla, anche se in un primo periodo rimase discreto nei suoi riguardi. Lady Adelle venne costretta a letto ad ogni gravidanza e Benford cercò appagamento verso altre strade. Nei cinque anni a seguire, frustrato per il lungo tempo di distacco da un corpo caldo nel suo letto, Benford cercò infine anche le attenzioni di Elery già fortemente invaghita del suo signore, e presto si convinse che i suoi sentimenti erano ricambiati. E non fu quindi una sorpresa, quando mise al mondo una bambina di nome Elanon. Ella venne alla luce nell’ora più buia della notte, l’ora chiamata del lupo… probabilmente il mio destino era segnato fin dal primo giorno in cui emisi il primo vagito, ma all’epoca ancora non lo potevo sapere.
Tutti sapevano chi fosse il padre. La bambina crebbe nelle cucine del palazzo e spesso i suoi fratelli maggiori, Helman e Leopold giocavano con lei, con forte ripugnanza di lady Adelle. Nessuno seppe la ragione per cui Benford però non sentì mai il bisogno di riconoscere quella bambina quale sua figlia. Per cui Elanon non ebbe mai modo di sfoggiare il cognome dei bastardi del nord.
Lord Harman, il padre di Benford non usò mai interferire nelle scelte di suo figlio, troppo occupato a piangere la tragica e prematura morte della moglie, lady Ilyria Stark, caduta malamente da cavallo qualche anno prima.
Lady Adelle però non poteva tollerare questa situazione ed escogitò un modo per liberarsi sia di lei che della piccola bastarda. Ingannò Elery dicendole che Benford voleva riconoscere Elanon durante un sontuoso banchetto in onore del giorno del nome di lord Harman. Le disse inoltre che non poteva presentarsi con gli abiti strappati e logori di una comune serva, altrimenti avrebbe fatto sfigurare tutti loro. Così la portò nelle stanze di lady Ilyria, dopotutto Elery aveva la stessa taglia della precedente lady, essendo di costituzione minuta, e “nessun capo d’abbigliamento serve ad una morta.” Fece vestire Elery con l’abito più bello, le mise addosso anche i gioielli, la fece pettinare e la convinse che Benford sarebbe venuto a prenderla e avrebbe molto apprezzato questo suo nuovo aspetto, tanto da farle sempre indossare abiti simili. L’ingenua serva quindi rimase in quelle stanze in attesa che egli arrivasse, ma si presentò invece lord Harman che vedendola disonorare così la memoria della moglie, ordinò che venisse immediatamente cacciata dal castello.
Lord Benford arrivato di lì a poco coi suoi figli non mosse un dito per difenderla, rimase inerme perfino quando suo padre prese per un orecchio la piccola Elanon e la strappasse dall’affetto dei suoi fratelli. Che spariscano entrambe dalla mia vista! Ordinò. Gli unici a compiangere la sua partenza furono i suoi due fratelli maggiori che all’età di 8 e 6 anni si erano ormai già fortemente legati alla sorellastra.
Elery fu costretta a tornare al villaggio dov’era nata, ma la sua famiglia non la riaccolse a braccia aperte; altre due bocche da sfamare erano troppe e l’idea di avere un bastardo in casa non li rese più tolleranti. Elery privata di un lavoro e di una casa, e con una bambina di tre anni da accudire, fu costretta a mendicare per un pezzo di pane. Trovò un tetto e delle cure presso una casa del piacere; una prostituta dal buon cuore ebbe pietà di lei e la nascose per qualche mese, ma il proprietario di quella residenza scoprì l’accaduto e la ricattò: le avrebbe permesso di restare, solo se gli avesse ripagato in denaro tutto ciò che gli aveva rubato. La giovane donna, senza altra possibilità, dovette accettare quando lui le offrì un lavoro in quello stabile.
Ebbe però notevoli difficoltà ad ambientarsi in quel nuovo posto di lavoro, pativa la situazione e questo comprometteva i suoi guadagni perché gli uomini si rifiutano di pagare quando il servizio non è dei migliori. Inoltre l’inverno cominciò a mietere le sue vittime coi suoi pericolosi artigli e con esso portò anche forti sciagure. Vi fu una brutta epidemia di vaiolo ed Elanon contrasse la malattia. Sua madre fu obbligata a impegnarsi con più convinzione per racimolare maggior denaro per le sue cure. Non potendo più tenere la bambina con sé, Elery la affidò alle cure di Leara, una guaritrice di sua conoscenza. La donna si prese cura di Elanon e dopo numerosi giorni la bambina finalmente guarì. Fece quindi chiamare sua madre per riportarla a casa, ma colei che bussò alla porta fu una donna irriconoscibile. Elery era piena di brutti lividi sul collo e sulle braccia. Il volto era talmente gonfio e tumefatto che Leara la riconobbe solo per il colore degli occhi. Scoprì che il proprietario del bordello non era intervenuto per difenderla, quando un mercenario di passaggio l’aveva aggredita. Elery morì tra le braccia di Leara. Sei giunta a toccare la mano di tua madre, ma era troppo tardi per lei. Le aveva raccontato quando Elanon aveva ormai dieci anni.
Leara si prese cura di lei ed Elanon crebbe al fianco di Ulliam, il figlio della donna. Imparò presto ad occuparsi di una casa, a cucinare, a rammendare gli abiti, ma anche a destreggiarsi nelle cure mediche e a pulire gli attrezzi delle fucine dei maniscalchi, dove il ragazzo faceva da garzone. A volte, quando gli adulti dormivano, lei e Ulliam, erano soliti scendere nella fucina e impugnare arpioni o spade ancora da bilanciare, fingendosi dei veri cavalieri e inscenando epici duelli. Ully, fin da ragazzo, era sempre stato forte fisicamente, coraggioso e intrepido, tanto che nel tempo divenne uno dei soldati della guardia cittadini di Torrhen’s Square. Quando Leara morì, Ully prese residenza fissa presso la guarnigione di Talltree, la torre dei Tallhart, ed Elanon decise di seguirlo. Ully la presentò inizialmente come sua sorella, ma quando gli occhi di Helman Tallhart si posarono su di lei disse queste parole: Potrà anche essere cresciuta con te, ma riconosco chi ha il mio stesso sangue nelle vene. Helman era divenuto un ragazzo saggio, comprensibile e ragionevole. Vivere a Seagard lo aveva non solo reso un cavaliere, ma anche gli aveva permesso di capire quanto rilevante fosse l’importanza di tenersi stretti i membri della propria famiglia. Aveva sempre avuto buona memoria del passato e non si era mai dimenticato di quella sorella che suo nonno fece cacciare dal castello. E per questa ragione la condusse immediatamente nella sala grande. Fratello, lei è la sorella che nostro nonno allontanò. Elanon ricordava ancora gli occhi blu pallido di Leobald fissarla incuriosito, era chiaro che la sua memoria non fosse buona come quella di Helman, ma non per questo le voleva meno bene. I due fratelli l’accolsero con gioia e le diedero una stanza tutta sua. Elanon ebbe quindi modo di vivere tra le mura di quell’alta torre, prendendo a compiere le mansioni da serva per non restare con le mani in mano, anche se i suoi fratelli le ripetevano sempre che non era necessario che lo facesse. Imparò ad andare a cavallo grazie a loro e si allenò col tiro dell’arco, dimostrandosi una vera Tallhart.
Lord Benford però non si dimostrò altrettanto entusiasta di averla sotto lo stesso tetto. Avrà anche il mio aspetto, ma gli occhi li ha ereditati da quella serva. Affermò con tono sprezzante. Helman prese le difese della sorella. Esattamente come io ho i ricci di mia madre e mio fratello ha l’altezza degli Slate. Siamo pur sempre i vostri figli però, non è così padre? Il ragazzo lo zittì, d’altronde era facile ora per lui avere la meglio, dato che il vecchio lord era costretto a letto. Durante un’incursione di bruti nelle terre del Nord, il vecchio lord si era messo a cavallo e fosse stato però disarcionato. Tuttavia era sopravvissuto alla caduta, anche una delle sue gambe era rimasta per troppo tempo sotto al pesante cadavere del suo stallone. Era stato ritrovato in quelle condizioni, molte ore dopo. I maestri avevano fatto quanto era in loro potere, ma avevano dovuto amputargli una gamba ormai già in fase di forte cancrena. I lunghi mesi successivi lo avevano ulteriormente indebolito, tanto che non era nemmeno più riuscito a sorreggersi da solo col bastone. Ogni mansione del palazzo era così caduta nelle mani di Helman, che si era rivelato essere un ottimo lord.
La freddezza di lord Benford però non fu l’unica difficoltà che Elanon incontrò. La madre di Helman e Leobald, lady Adelle, non si mostrò per nulla accondiscendente. Non appena la vide ordinò il suo allontanamento immediato. Gli anni l’avevano resa ancora più acida, arrogante e scontrosa, e vedere il seme del tradimento di suo marito ridere e scherzare coi suoi figli era qualcosa che non tollerava. Non voglio che questa sudicia servetta viva qui sotto il nostro stesso tetto. Parla come una volgare popolana ed è senza alcuna educazione. Ci metterà in imbarazzo con la nostra corte! Helman ancora una volta si oppose caparbio. È mia sorella. Già una volta siamo stati privati di averla qui. Fu però suo fratello Leobald, a proporre una soluzione alternativa. Se il problema è davvero la sua educazione, fratello, allora diamole la possibilità di imparare. La prossima settimana andrò a Hornwood. Chiederò a lord Rogar se una delle sue figlie può prenderla come sua damigella.
Elanon partì quindi col più giovane dei suoi fratellastri, e gli Hornwood l’accolsero senza alcuna apparente protesta; la trattarono sempre con gentilezza. Sei arrivata giusto in tempo. Ci è appena giunta notizia di un grande torneo nelle terre dei fiumi. Accompagnerai mia figlia Berena!
E fu così che divenne coppiera presso quella famiglia, mentre la giovane lady Hornwood la considerò come la sorella che mai aveva avuto. Elanon ci mise poco ad ambientarsi, scoprendo quanto le piacesse la vita del castello. Non era mai stata ambiziosa, non si era mai illusa di diventare qualcosa di più di quello che era. Per quanto Helman sottoponesse costantemente suo padre alla solita domanda, lord Benford si rifiutava di riconoscere la sorella come sua figlia naturale. Per cui lei non adottò mai il cognome dei bastardi del nord. Ciò che ora aveva le bastava e non osava chiedere di più. Berena invece era una ragazza che amava fantasticare senza freni.
Durante il torneo di Harrenhal affermò che il giovane Lannister appena investito della nomina di guardia reale l’avesse notata e volesse rinunciare ai suoi voti. Per due giorni continuò a dire di aver ricevuto le attenzioni di un dorniano e addirittura sostenne che il principe drago ebbe un tentennamento su chi scegliere da incoronare e per diversi secondi si fermò di fronte a lei, prima di preferire Lyanna Stark.
Elanon sapeva che nessuna di quelle cose fosse vera, ma conosceva la giovane Hornwood e sapeva di quanta fantasia era dotata. Fantasie che lei invece non aveva mai avuto; non aveva mai fantasticato ad occhi aperti, ecco perché quando Benjen Stark era letteralmente piombato nella sua vita aveva faticato a credere alle sue parole. Ma non ci aveva messo molto a convincersi del fatto che finalmente fosse giunto per lei il suo riscatto. L’amore forse questa volta avrebbe vinto sopra ogni altra cosa e non avrebbe avuto importanza se lei era di un rango ancora inferiore ad una Snow, o se Ben era il quarto figlio del Lord di Winterfell: loro si sarebbero amati sempre e avrebbero trovato il modo perché la vita non li dividesse. Purtroppo però il primo giorno in cui mise piede in questo grande castello, prese coscienza per la seconda volta che l’alto lignaggio, il sangue nobile e la ricchezza non facevano la felicità del lord che li possedeva.
Lord Rickard era un uomo molto freddo che dimostrava affetto solo in rari momenti della giornata. Doveva aver amato molto sua moglie, perché dal giorno in cui l’aveva persa non aveva più pensato a sposarsi, crescendo da solo i suoi quattro figli, senza dar loro nessun’altra figura materna. Ma per quanto avesse amato sua moglie in passato, era palese che non avesse mai smesso di ambire alla sua vendetta personale. Dal momento in cui l’aveva perduta, si era prefissato come unico scopo della vita il soddisfare quelle che lui chiamava le ultime volontà della sua amata madre. Dogmi che aveva succhiato assieme al latte, quando lei lo teneva al seno.
Da quello che Elanon aveva potuto capire dalle logorroiche chiacchiere di Marlene, e dagli sporadici discorsi di Brandon, i fatti non erano proprio come il lord li enunciava. Benjen poi le aveva narrato ciò che aveva appreso. Essendo quasi coetaneo di Lyanna, non aveva molti ricordi di sua madre, o del suo rapporto col lord loro padre, e i loro fratelli maggiori avevano in qualche modo cercato di evitare l’argomento, preferendo preservare la memoria della donna, quasi cercando di convincerli che non vi fossero mai stati problemi a tormentarla. Ma Elanon aveva avvertito un chiaro cerchio di segretezza che avrebbe trovato riposta altrove. La Vecchia Nan e gli altri servi più anziani avevano aggiunto altre notizie, che l’avevano aiutata a comprendere meglio tutta la situazione.
Lord Rickard non era un uomo cattivo, ma esattamente come il lord suo padre, avrebbe potuto essere un genitore migliore.
Nel presente che adesso si presentava ai suoi occhi, Elanon aveva potuto constatare i pessimi risultati del suo operato. Brandon Stark era morto e non da eroe: tutto il suo coraggio, il suo ardore, la sua brama, erano stati strozzati da un folle tentativo di presunzione e vendetta, mentre suo padre era arso vivo nella sua stessa armatura, credendosi probabilmente invincibile con essa. Ned Stark aveva valorosamente mantenuto il seggio con rispettabilità e devozione, sedendosi su una sedia più grande di lui, sposando una donna che non amava e tacendo al suo stesso migliore amico un segreto scomodo per quasi due decenni. Benjen infine aveva scelto la segregazione in una confraternita che lo avrebbe allontanato per sempre dalla sua famiglia… e da lei.
Ne valeva davvero la pena Lord Stark? Sacrificare la vita di ognuno dei tuoi figli per la tua personale vendetta? Aveva chiesto di fronte alla sua statua quella medesima mattina. La fredda rigidità di quel volto scolpito nella pietra ed il silenzio tombale delle cripte erano stati l’unica risposta che aveva ricevuto. Sapeva che la cappella sotterranea non era un luogo accessibile a chiunque, ma ci era stata talmente tante volte con Benjen e Lyanna che in qualche modo si sentiva di appartenere a quella famiglia… se solo si fosse impegnato di più ad ascoltare le parole dei suoi figli, non li avrebbe mai persi. Non sono certa che Lyanna sia stata l’unica a cercare di fuggire… Brandon non era molto distante dal fare una scelta simile e Ned… beh, non pareva amare la sua vita qui a Winterfell. Benjen poi cercava l’avventura e il modo per andarsene lontano da queste mura. Lyanna perché non ci hai portato con te quel giorno?
Già… Lyanna aveva preso molto dell’ostinazione di suo padre. Dopo averla vista in atteggiamenti equivocabili con Viserys, la sua amica le aveva tolto ogni cosa: il saluto, il lavoro, la rispettabilità e la libertà. Non poteva affatto biasimarla, il comportamento e le bugie del principe Targaryen la stavano confondendo ed esasperando. Proprio per questo motivo si era sentita di prendere le sue difese quel giorno, ma era accaduto l’impensabile. Per quanto Elanon avesse provato a convincerlo a mostrare il suo vero volto, lui pareva non sentirne il bisogno, ma inevitabilmente, lo aveva capito, ne soffriva. Dentro di lei qualcosa era scattato quando il principe le aveva chiesto l’ennesimo favore. Non ci aveva più visto; aveva scorto nella vita troppe persone amarsi e allontanarsi, era stata vittima di questi eventi fin da quando era nata e non poteva sopportare di vedere ancora patimenti d’amore. Con Lyanna poi, proprio non ce la faceva. L’aveva sempre stimata per la forza di ribellarsi ed il coraggio di non mollare mai. L’aveva appoggiata, quando aveva scoperto del suo segreto e l’aveva coperta durante la sua fuga col figlio del re. E non si era mai pentita di averlo fatto. E ora toccava a lei combattere per far sì che i due riuscissero ad avere un posto sereno a cui tornare. Doveva trovare il modo per sedare ogni malumore creatosi. Doveva dar loro un ambiente pacifico che facesse da sfondo alle difficoltà di un chiarimento di quella portata.
 
Si era alzata da terra, aveva mosso la gonna per scacciare la polvere di cristallo che le si era appiccicata addosso e aveva percorso il Grande Cortile dell’Inverno, dopotutto non era ancora il momento del suo appuntamento e non essendoci nemmeno uno Stark presente a Winterfell era libera di muoversi senza problemi. Un tempo non sarebbe mai accaduta una cosa del genere. “Uno Stark deve sempre stare a Winterfell…” Era stata proprio questa la frase di saluto di Lord Rickard Stark quando era sceso alla capitale, vestendo la sua grigia armatura per andare a liberare il suo primogenito e obbligando quindi Benjen a rimanere a presiedere il seggio della loro casata; impreparato, pieno di rimorsi, impaurito e solo. Stava con la mente rivolta al passato, quando si sentì strattonare per un braccio e portare in disparte sotto le arcate del corridoio riparato.
-Perdonami, Elanon, ma ultimamente è diventato molto difficile riuscire a comunicare con te, se prima non si chiede udienza al principe Targaryen. – la voce di lady Brienne era tesa e minacciosa – Abbiamo forse pochi istanti di libertà e voglio usarli alla meglio! – la fissò negli occhi con quel volto enorme e squadrato – Dimmi, hai portato la tua fedeltà interamente a quell’uomo perfido e senza scrupolo? –
-Oh, Brienne, quanto sei lontana dalla verità. – le disse sbuffando stancamente.
-Se è così allora illuminami. Avanti! – le strinse il tessuto dell’abito all’altezza del petto e la schiacciò contro il muro – Quale aggettivo per descriverlo avrei sbagliato? –
-Nessuno. O forse tutti… non posso saperlo con esattezza. – affermò ostinata – Ma mi fido del mio sesto senso. E mi dice che non è la persona che tu credi possa essere. – si mosse con decisione – E levami le mani di dosso. Non sei la lady a cui devo dare spiegazioni! – si scansò da lei con fare irritante. Le si mise di spalle e si aggiustò l’abito tutto stropicciato, constatando se aveva o meno strappato parte del tessuto.
-Ho giurato di proteggere le giovani figlie di Catelyn Stark. Ho diritto di sapere se qualcuno sta voltando loro le spalle. E mi sento obbligata anche nei confronti di lady Lyanna. Ha la mia stima dato che mi ha sempre trattato con cortesia e rispetto. – Brienne rispose risoluta con quella voce gracchiante e fastidiosamente grossa.
-E non verrai meno dei tuoi impegni, se non ti impicci dei miei affari. – continuò Elanon guardandola in tralice.
-Ti chiedo scusa, se le mie parole ti hanno forse offesa, ma devi un tantino comprendere che il tuo atteggiamento lascia poca fantasia al riguardo. Ho fatto ricerche su di te e non è stato difficile scoprire il tuo passato. – fece una pausa ad effetto. Elanon serrò le labbra infastidita, ancora prima che lei continuasse – Cosa ti ha offerto? – la vergine di Tarth incrociò le braccia al petto, la pettorina di pelle e acciaio scricchiolò a quel gesto – Denaro? Un titolo, magari? O più semplicemente il suo letto? –
-Per chi mi hai preso? – Elanon si era voltata di scatto e le si era parata di fronte. A ridosso dell’imponenza di quella donna si sentiva una bambina, ma non le avrebbe mai permesso di additarla come una poco di buono – Credi che basti così poco per comprarmi? O credi che una donna del Nord sia così facile da mettere in ginocchio? Forse sarai anche venuta a scoprire ciò che ho passato nella mia vita, ma non pensare minimamente di conoscermi! Io non mi abbasso a tanto, solo per una manciata di soldi, il nome di un lignaggio, o per aprire le gambe ad un uomo! –
-E allora fammi capire per quale motivo saresti ora al suo servizio dato che ha attentato la vita della tua lady! – Elanon la sentì digrignare i denti inferocita. Era chiaramente convinta di ciò che stava dicendo, al contrario di lei che si stava domandando di cosa stesse parlando. Probabilmente Brienne se ne accorse perché pensò di metterla subito al corrente – Non te lo ha detto, vero? – sembrò stupita, ma tutta la sua meraviglia svanì in un istante – È stato lui ad avvelenare lady Stark, quando invece ci aveva fatto credere che fosse tutta opera di ser Dayne. È stato fin troppo facile per noi pensarlo; il dorniano ha fatto di tutto per averla, quasi fosse il premio in palio di una sfida… eppure era innocente. Il vero mostro lo abbiamo sempre avuto affianco! – sbottò alzando di un tono la voce.
Elanon rimase a fissarla per qualche secondo, pensando che fosse meglio non cambiare la sua opinione senza il permesso del principe. Che credesse pure che era stato lui l’artefice di quel veleno, in parte era davvero così, da quello che aveva carpito nei suoi discorsi con Tyene durante il loro soggiorno a Deepwood Motte, ma certamente non aveva previsto quell’esito per Lyanna, altrimenti mai avrebbe messo a repentaglio in quel modo la sua vita.
-È una cosa alquanto discutibile. Tu puoi avere questo parere, io ne posso avere un altro… non sappiamo dove sta la realtà, ma io penso stia nel mezzo. –
-La visione della mia realtà è basata da ciò che esce dalla bocca di Lyanna Stark. E dovrebbe essere anche la tua. – la bionda tornò astiosa e accusatoria – Ed è stata lei a dirmelo, poco dopo che il tuo bel principe le aveva svelato l’artefice di tutto quell’imbroglio. Quindi Elanon, dimmi, quale sarebbe il “mezzo” di cui tanto parli? – Elanon decise di darle un piccolo aiuto, sperando che lei in qualche modo si calmasse.
-Viserys ha dei… piani riguardanti il Nord, Re Jon e Lyanna stessa. Non vuole far loro alcun male. Ti basta sapere questo. Non osare interferire nella sua condotta: tutto ciò che fa, è per il loro bene! –
-Per il loro bene? Ma ti senti quando parli? – sbottò incredula – Ti ho sempre reputata una donna intelligente, come puoi credere che sia stato un bene attentare alla vita di Lady Stark in quella maniera? – proprio non voleva comprendere, ma Elanon aveva già detto troppo, non poteva svelare altro.
La donnona la fissò attentamente rimuginando sulle parole che lei le aveva appena detto.
-Dei piani hai detto? Cosa ha in mente quel pazzo? – invece che esserle in qualche modo d’aiuto, sembrò che quell’ammissione l’avesse solo che messa in allerta – E tu hai intenzione di appoggiare una follia simile? –
-Lui non è folle. – esclamò secca. Elanon però stava perdendo la pazienza. E stava perdendo tempo con lei.
-Dimmi, Elanon… - Brienne la guardò selettiva e spazientita – Credi davvero nella sua sincera bontà? Sei consapevole del vero animo che cela quell’uomo? – quella domanda la mise in trambusto. Elanon non aveva mai compreso davvero chi fosse Rhaegar Targaryen, ma ne aveva avuto un’ampia descrizione da Lyanna quando l’aveva servita a Winterfell nella loro giovinezza. Non era un visionario paranoico, né un uomo malvagio e non aveva scatti impulsivi come suo padre. Era un principe nell’animo, buono, gentile, empatico, dolce e romantico… Aveva fantasticato molto coi racconti di Lyanna… per gli antichi dèi, se l’aveva invidiata benevolmente! Ma di certo non era l’uomo spietato che Brienne continuava a voler vedere.
-Credo in lui, sì. E continuerò a farlo, perché so che è nel giusto e quando Lyanna se ne accorgerà, torneremo ad essere amiche come un tempo. – detto questo si voltò e fece per andarsene, ma la donna guerriera le prese ancora un braccio e la strattonò contro una colonna.
-Non ho finito con te! – le disse avvicinandosi e mosse il braccio destro per estrarre l’arma che portava al fianco – Queste erano solo parole, ora cominciano le vere minacce… -
-Non credo proprio, milady! – una voce dura e marcata maschile la interruppe. Elanon fu costretta ad alzare lo sguardo per incontrare il volto feroce del suo salvatore. Individuò il suo viso squadrato da soldato: era il suo appuntamento.
-E voi chi siete? Il suo protettore per caso? – Brienne si girò a fissare il nuovo arrivato assottigliando lo sguardo.
-A dire il vero è stata questa donna a darmi un appuntamento… io mi sono limitato ad accettare il suo invito. Quali siano davvero le sue intenzioni ancora non ne sono certo, ma sarei ben onorato a prendere tutto ciò che ha da offrire. – affermò con voce rauca e profonda. Elanon si domandò se avesse fatto bene a cominciare proprio da lui.
Brienne si voltò a guardarla negli occhi con un’espressione di ironico quesito.
-A quanto pare non sono l’unica che oggi ti da della sgualdrina. –
-A quanto pare siete in due ad aver sbagliato. – rispose a tono.
-Sono in anticipo, lo so, ma vi prego non litigate. – l’uomo alzò entrambe le mani di fronte a sé – Però dato che tu sei stata la prima a chiedere la mia presenza, penso che ti concederò la priorità. – le fece l’occhiolino – Perdonateci quindi, milady, ma la signora qui ha qualcosa da dirmi in privato. Vi prego, quindi, lasciatela e fatela conferire con me e solo dopo che ve l’avrò riconsegnata deciderete le sue sorti. – seppur il suo tono fosse duro, le sue parole erano gentili, ma in qualche modo autoritarie. Anche se sottilmente le stava dando della puttana, la sua astuzia le permetteva di comprendere che era una tattica per sviare Brienne e calmare i suoi intenti bellici.
-Chi siete voi, Ser? – la guerriera lo apostrofò poco convinta.
-Solo Lem, mia signora. O se preferite, Lem, mantello di limone. – fece un riverente inchino – Al vostro servizio. – Elanon però ebbe il sentore che volesse nascondere la sua vera identità dietro a quel semplice nomignolo. La donna scrutò la sua folta barba castana e i suoi denti marroni. La muscolatura del petto e delle spalle era mastodontica, gli abiti che indossava erano di fattura molto ricercata e l’ampio mantello giallo con cappuccio risaltava in quella penombra quasi fosse l’unica fonte di illuminazione. Allungò un braccio e convinse Brienne a lasciarla. Elanon vide la donna guerriera arrendersi controvoglia e permetterle di allontanarsi, non prima di averle lanciato uno sguardo relativamente ambiguo.
-E anche al vostro servizio, milady. – l’uomo le si inchinò di fronte, Elanon rimase interdetta e spostò al sua attenzione su di lui.
-Non sono una lady… - provò a contestare.
-In un'altra vita un uomo mi insegnò che ogni donna è una lady, di dovunque fossero le sue origini. – continuò la sua riverenza, prima di rialzare il busto e porgerle il braccio – Vogliamo andare in un posto più appartato per parlare? Sono curioso di sapere quali argomentazioni avete da pormi. –
Elanon accettò la sua proposta lanciando un’ultima occhiata a Brienne che la fissava appoggiando un braccio alla colonna alla sua destra, mentre lei seguiva Lem nel cortile esterno. Lo sguardo cristallino della lady di Tarth lasciava poco ad intendere i suoi veri pensieri. Sei libera di credere che vendo il mio corpo agli uomini… ma ti ricrederai, quando scoprirai il segreto del principe e quanto ha a cuore le sorti della sua famiglia!
 
 
 
 
 
Vedere i lupi ridere e scherzare allegramente tra di loro, le aveva in grossa parte scaldato il cuore al pensiero che esistessero ancora famiglie così unite, sinceramente affettuose e pronte a condividere ogni momento, cercando il lato positivo di tutto. Ma un’altra parte della sua anima, quella simpatica scenetta, non aveva potuto che risvegliare anche un senso di inadeguatezza verso il passato che lei aveva avuto ed il legame che si era via via incrinato nel tempo col vero Viserys. Una lacrima amara le graffiò il cuore a quel pensiero. L’unica persona che le era rimasta della sua famiglia, si era trasformata in un demone violento e tiranno, privandola di quella calda sensazione di protezione di cui una bambina orfana aveva bisogno. Ma da quando Rhaegar era entrato nella sua vita, una lieve fiammella aveva ripreso a scaldare e riempire quella mancanza… c’era solo un problema: purtroppo suo fratello non riusciva a sciogliersi completamente con lei, da quanto erano saliti a nord. A dire il vero nemmeno prima le era sembrato tanto a suo agio con le dimostrazioni d’affetto; non era uno che tendesse a cercare, al contrario di lei, che non appena scorgeva la sua chioma argentata e la sua alta figura, gli piombava addosso come la marea su uno scoglio richiamata dalla luna.
Certo, almeno le era apparso leggermente più sereno a Dorne; taciturno e solitario, come sempre, ma conscio probabilmente di essere solo e di dover cercare in altro una roccia salda a cui aggrapparsi, per rifarsi una vita senza gli affetti che un tempo aveva avuto. Ci aveva impiegato giorni per accettare quell’idea… lei lo aveva riempito di aneddoti della sua vita, alcuni tristi, altri però divertenti e simpatici, o meglio, così glieli aveva voluti raffigurare. Una volta a King’s Landing si era incupito maggiormente e la sua anima sembrava come essere rapita da un passato ancora più angoscioso, eppure la presenza di Aegon lo aveva aiutato a restare sano e intatto nella mente. Sapeva che anche Tyrion e Ser Barristan ci avevano messo del loro per attenuare leggermente ciò che gli occhi di suo fratello continuavano meschini a rammentargli memorie orribili tra i corridoi e le stanze del Fortino di Maegor. Si era sempre chiesta dove avesse trovato la forza per andare avanti; e ora che erano ospiti di Winterfell già da qualche mese, poteva dire di comprendere i suoi tormenti appieno.
Per quanto l’amore fosse ancora forte tra lui e la sua lady, era un sentimento così intenso e profondo da far addirittura provare un male fisico, sia a lui che a lei. Come se quel impulso fosse in qualche modo nocivo per entrambi, ma allo stesso tempo essenziale. In un primo periodo si era rifiutata di volerlo riconoscere, vedendo solo la negatività che da esso scaturiva, ma ormai, ne aveva anche cominciato ad apprezzare la bellezza interiore che stava alla base. Era talmente forte e sincero che la lady di Winterfell nel suo piccolo aveva cercato di nasconderlo e segregarlo il più lontano possibile, quando finalmente aveva compreso di provare dei sentimenti per quell’uomo dal volto celato, ignara che si trattasse della stessa persona che un tempo amava.
Agli occhi di Daenerys tutto questo pareva quasi un paradosso: quella donna per la seconda volta si era innamorata del compagno già scelto in passato, seppur Rhaegar avesse avuto un atteggiamento con lei scostante e ambiguo. Ciò nonostante lady Lyanna si era ritrovata, contro la sua volontà, nuovamente attratta verso di lui. Se non è destino questo, cosa lo è allora? Solo che poi le bastava guardare gli atteggiamenti di suo fratello per capire che quell’ultima barriera non sarebbe stata molto facile da abbattere. Per lui essere così vicino alla donna che amava e al figlio creduto morto, era una grande sofferenza. Era ad un passo da loro, ma anche allungando la mano per sfiorare i loro volti, non poteva raggiungerli. Lyanna lo evitava e lo cercava senza una reale logica, combattuta tra ragione e sentimento e senza sapere se ascoltare il cuore e la mente; Jon negli ultimi tempi pareva addirittura essere diventato geloso di lui per le ovvie attenzioni che mostrava verso sua madre, ma che chiaramente aveva frainteso non conoscendo tutti i fatti…
-Potremmo essere lì con loro in questo momento. – Dany aveva sussurrato all’orecchio di suo fratello quei bisbigli, prima di scoccargli un dolce bacio sul collo. Viserys, che teneva il capo abbassato lo alzò per guardarla. Si prese del tempo prima di parlare.
-Puoi unirti a loro, se lo desideri… – la voce era carica di tediosa sofferenza. Cominciava ad essere stanca di vederlo patire a quel modo, ed era chiaramente successo qualcosa quella mattina alle prime luci dell’alba. Si sentì stringere una mano e lo vide, portarsela alle labbra – Non sei obbligata a stare qui a compatire il tuo misero fratello. –
-Seppur ti abbia reputato nell’ultimo periodo alquanto triste, preferisco restare qui con te. Non c’è posto lì per me. – i suoi occhi si rabbuiarono – Io non sono un lupo, non appartengo a quella famiglia e non sono ben voluta tra loro. Tu sei l’unica persona che ho al mondo. – in risposta Viserys le appoggiò la fronte ad un braccio e strusciò la maschera contro la stoffa della manica, quasi come a farle intendere che erano gli stessi sentimenti che provava anche lui, anche se nella realtà doveva essere il contrario. Avvertì la sua ricerca del confortevole calore del proprio petto, come fosse un bambino bisognoso di un abbraccio. Dany non glielo negò e lo strinse tra le sue braccia. Rimasero lì per qualche istante, lei sovrappose il mento sul capo di lui e cominciò ad accarezzargli alcune punte di capelli, ben sapendo che avrebbe provato a scansarsi, dopo qualche minuto. Nel cuore provò la speranza che non lo facesse, ma le sue aspettative purtroppo si avverarono. Non aveva ancora raggiunto il fondo e una leggera forza di volontà lo portò a spostarsi inesorabilmente da lei al primo tocco. C’era stato un tempo in cui ti facevi toccare da me… quando credevi che tutto fosse perduto, quando credevi che il tuo cuore non appartenesse a nessuno più.
-Sei una regina e puoi sedere dove meglio ti aggrada. – le accarezzò una guancia dolcemente – Puoi scegliere di restare qui con me, come anche chiedere una sedia affianco al loro re. – la sua voce era fredda e distante. Lei però tornò a guardarlo con fare malizioso.
-Dove mi aggrada, dici? – la sua dentatura impeccabile illuminò la stanza – Penso tu sappia che sempre mi diletta sedergli affianco… - sorrise smaliziata – Purtroppo, dato l’evolversi dei fatti, mi è stato negato il privilegio di posare i miei regali glutei sulle forti gambe del tuo aitante erede. Inoltre rischio di venir sbranata viva sia dalle sue adorabili cuginette, che dalla tua dolce metà. E a dirla tutta vorrei evitare di trovarmi a fronteggiare quella donna: quando si arrabbia mette i brividi. L’hai mai fatta arrabbiare davvero? – sorrise, istigandolo con una leggera spallata.
-Io stavo argomentando discussioni serie… - cercò di dire lui, mostrandosi infastidito. Dany sentì un caldo piacere di esultazione, notando che sulle sue labbra era apparso un sorriso tirato – Hai assorbito forse troppo dell’ironia dorniana, mi domando se sia stato un bene permettere a Doran di lasciare che le sue nipoti ti gironzolassero attorno così tanto! – scosse il capo combattuto, Dany mostrò un sorriso vispo – Ad ogni modo dubito che i lupi ti cacceranno via. Sia Lyanna che Jon apprezzano la tua presenza, anche se ti appaiono freddi e distaccati, non ti avversano in alcun modo, e questo significa solamente… -
-Che mi temono? – propose lei.
-Che ti stimano. – precisò, ma lei puntò gli occhi in direzione della tavola, dove la lady dai capelli scuri cercava di darsi una ripulita per la farina che ancora la ricopriva. Dany si ritrovò ad ammirarla in quella bellezza genuina e selvaggia che forse nemmeno era conscia di avere. Tutto ciò che la lady faceva, era fine a sé stesso, non come la maggior parte delle donne che l’avevano circondata durante tutto il suo esilio e la riconquista di Westeros. Nella maggior parte dei casi ogni femmina mirava ad uno scopo: conquistare le sue grazie, servirla, emularla, avere la sua approvazione… ma Lyanna Stark sotto quel punto di vista era diversa. I suoi movimenti non erano finalizzati ad attirare l’attenzione di un superiore. Né chiedeva favoreggiamenti. Non cercava di assoggettare gli uomini ai suoi voleri, anche se inevitabilmente molti sguardi maschili si incollavano al suo fascino. O come in quel caso non potevano che venir attirati dalla pelle liscia e gonfia dei suoi seni che sporgeva dall’abito, sulle lunghissime ciocche brune ondulate che le scendevano oltre la schiena, oppure restavano incantati dai suoi occhi chiari come i cristalli di ghiaccio.
Non le servì molto per entrare nei pensieri di suo fratello e comprendere ciò che lui aveva scorto molto tempo addietro.
-Uhm… dimmi che ora non vorresti andare a pulire personalmente il corpetto della tua lei? – ammiccò sensuale, accostandosi maggiormente a lui.
-Non ritengo di doverti dare simili delucidazioni, Haedar. – Viserys si limitò a muovere un bastoncino per dare maggiore aria al fuoco.
-Non mi servono, difatti, per leggere ciò che ti passa nella mente. È sufficiente sentire il tuo respiro farsi grosso. E immagino che non sia differente quanto accade al momento sotto la tua cintura, bānior Lekia / caldo fratellone. – lo vide spostare lo sguardo di lato agitato, quando pronunciò quell’epiteto. Spesso le era capitato di accorgersi che diveniva freddo e rigido quando lei lo chiamava con quel termine valyriano. Doveva trattarsi di qualcosa riguardante il suo passato, qualcosa che evidentemente lo faceva soffrire. Provò a tornare indietro nella sua memoria, a qualcosa che magari Viserys le aveva accennato a tal proposito, ma nulla le sovvenne d’aiuto. L’apprendimento delle lingue straniere era uso comune per tutti i principi del continente occidentale e non solo; anche molti figli di lord, soprattutto quelli che frequentavano la corte reale apprendevano tali materie, ma c’erano anche altre famiglie che impartivano tale dottrina ai loro eredi soprattutto se pensavano potrebbe essere utile per il loro futuro o per i commerci con le terre oltre il mare stretto. Per cui non era stato una sorpresa scoprire che anche Rhaegar, esattamente come lei e Viserys conosceva e parlava fluidamente la lingua dell’Antica Valyria. Lekia significava fratello maggiore, ma Rhaegar era stato il primogenito e la regina Rhaella non aveva mai avuto altri figli prima di lui. Lo aveva partorito all’età di 14 anni, a nemmeno un anno dal suo matrimonio con Aerys. Perciò quale ragione suo fratello provava sofferenza nel sentire quel termine? Proprio non riusciva a capirlo. Aveva provato ad avere qualche delucidazione da Ser Nonno. Da quello che aveva appreso, doveva aveva a che fare la Spada dell’Alba. Ser Arthur Dayne, il più grande amico di Rhaegar. Danerys forse aveva dato una valutazione fin troppo quando aveva espresso il suo punto di vista. Era pur sempre un membro della guardia reale, non c’era alcun vero legame di sangue tra mio fratello e quell’uomo. Lui stesso me lo disse a Dorne. Barristan non aveva obbiettato, anzi le aveva dato ragione, ma Dany aveva scorto un’ombra passare sui suoi occhi azzurri.
Tuttavia ancora non capiva la ragione per cui suo fratello si irrigidisse in quella maniera.
-Perché lo fai? – gli domandò allora, arcuando le sopracciglia e accarezzandogli una guancia.
-Sai bene che non posso ancora rivelarmi… - disse quelle parole con tono freddo e distaccato, lo stesso fu la sua reazione per la sua carezza. Apparentemente non parve aver compreso davvero quale fosse la vera questione a cui lei lo stava sottoponendo, o probabilmente, se lo aveva capito, non lo voleva dar a vedere. Dany scosse la testa, chiedendosi se aveva frainteso la sua domanda, o se aveva preferito evitarla. Ma era giunto per il momento di sapere.
-Non intendevo quello… - la sua voce si fece bassa e irresoluta – Sembra… come se ti infastidisce il termine Lekia. – lo vide accentuare la sua attenzione sulle fiamme del camino, dietro a quella maschera sicuramente la sua fronte si era aggrottata e gli si era formata quella consueta ruga tra le sopracciglia che lo rendeva ancora più sexy nello sguardo serio che faceva. Dany notò che la sua concentrazione seriosa e zelante lo facevano tanto assomigliare all’espressione che Melisandre faceva quando osservava le fiamme. Seguì quindi lo sguardo di suo fratello e vide che i suoi occhi erano fissi sul fuoco del camino e si domandò se mai ci vedesse delle immagini come era consueto tra i sacerdoti rossi. Dovette attendere un po’ perché lui si aprisse.
-È nato tutto per banale caso. Da principio fu un gioco, sciocco e infantile. Ero affascinato dal titolo che aveva appena ottenuto, ammiravo la sua compostezza… che scoprii essere una sorta di maschera. Ma continuai a vederlo come un modello da seguire, un idolo che mai avrei potuto raggiungere e invece lui mi dimostrò che altri non era che un semplice uomo. Il suo atteggiamento, il suo aspetto, la sua solarità, il suo sorriso… furono come il bagliore di un lampo in una notte buia. Il resto venne spontaneo, come un’abitudine diffusa col tempo. – posò l’attenzione sulla curiosità che traspariva dal suo volto – Non voglio che tu fraintenda le mie parole: tra noi non c’è mai stato nulla di più che una forte amicizia. Entrambi non abbiamo mai cercato attenzioni particolari nell’altro. – Dany annuì, così lui continuò – Lui era il mio Lekia e il suo Valonqar, tutto qui. Arrivò a me come un dono di compleanno inaspettato. Ero vissuto solo per troppo tempo, patendo quella mia avversa condizione, mentre osservavo nostra madre uccidersi di dolore ogniqualvolta le speranze le si scioglievano con le lacrime… e inevitabilmente perdevo un fratello o una sorella. – Dany aveva saputo degli insuccessi di sua madre nel generare un altro erede, ma era la prima volta che comprendeva anche ciò che questo poteva aver comportato per suo fratello. Diciassette anni continuando a restare solo dovevano essere stati lunghi. Troppo lunghi.
-Per quanto quell’epiteto mi rammenti gai momenti del mio passato, tuttavia non posso che pensare che ora quella persona non ci sia più. E la sua morte indirettamente è stata causata dalla mia inadeguatezza. – ammise tetro con voce appena percettibile.
-La Spada dell’Alba. – fu ciò che sfuggì dalle labbra di Daenerys. Rhaegar ebbe appena un sussulto nelle spalle e si voltò a fissarla. Non se l’aspettava. Era chiaro che si domandasse come lei facesse a saperlo, così lo aiutò a capire – Ser Barristan mi ha detto quanto gli eri legato... ma sciocca io a non aver compreso quando fosse forte la vostra amicizia. –
-Ero legato a diverse persone un tempo… – affermò triste – La maggior parte di loro vive solo nelle memorie nella mente. –
-Hai me. E hai loro. – gli accarezzò una guancia, non ce la faceva proprio a vederlo abbattersi così – Anche se probabilmente ti sembra contenuto, trova la forza in questo. – lui la guardò e le donò un sorriso amaro, prima di prenderle il capo e portandoselo sul petto.
-È proprio in voi che trovo il vigore per restare in piedi. – le rivelò dandole un bacio affettuoso sulla fronte – E prego i Sette affinché un giorno, il prima possibile, anche il nostro buon Aegon possa congiungersi con noi. Come doveva essere. –
E fu in quel momento che un armonico suono raggiunse le loro orecchie e si diffuse nell’intera sala.
 
 
 
 
 
Le dita dell’uomo stavano pizzicando le corde dell’arpa, ricercando nella mente le parole d’inizio della canzone pensata apposta per l’occasione, quando fu costretto ad interrompersi. Non aveva nemmeno fatto in tempo ad aprire bocca per intonare la prima strofa che si ritrovò inzuppato d’acqua dalla testa ai piedi. Lyanna stava di fronte a lui con una caraffa ormai vuota tra le mani.
-Ti sfido a non muovere più un dito su quello strumento. Sono stanca di sentir disonorare così la bella melodia che potrebbe uscirne! – aveva gonfiato le guance e mostrato un’espressione minacciosa. Tutta la sala si era ammutolita di fronte a quella scena comica – Ti impedirò di comporre un’altra delle tue pietose canzoni su mio figlio, fosse l’ultima cosa che faccio! – Mance Rayder la stava osservando stuzzicato e accettò la sfida.
-Volevo infatti decantare la maestria delle vostre mani, milady – lei lo fulminò con espressione torva, ma il bruto non si fece intimidire – Potrei dedicarvi una ballata intera sui movimenti delicati delle vostre splendide dita, mentre impastano la pagnotta… – le dedicò un bacio da lontano, soffiandoselo dal palmo della mano con fare provocatorio. Gli occhi della donna si fecero di ghiaccio e serrò le labbra indignata.
-Ti conviene cominciare allora, perché dal momento in cui assaggerai la sua focaccia, te ne pentirai amaramente di aver composto versi in suo onore. – Benjen intervenne, e si ritrovò ad evitare un canovaccio che lei gli aveva appena lanciato – Comunque mi devi spiegare dove li vedi delicati i suoi movimenti. – continuò il ranger ridendo.
-Più di uno considerò le movenze di quel misterioso cavaliere incredibili per essere compiute da una persona di così bassa statura. Uomini che si facevano chiamare cavalieri, furono sconfitti dal suo braccio impavido. Temuti spadaccini, ne apprezzarono le gesta. Il popolino esultò declamando a gran voce il nome con cui venne ricordato. Ma tutto fu vano, dato che sparì lasciando solo il suo scudo appeso ad un ramo. Ed un nobile figlio dell’estate capì che avrebbe anche potuto rinunciare a tutti i suoi privilegi pur di ottenere la sua mano. – a sorpresa aveva parlato Bran, con la voce ed il tono che usava il Corvo con Tre Occhi. Lyanna si voltò a fissarlo ben sapendo a cosa si stava riferendo e dentro di lei maledì quel ragazzo per avere sempre la parola sbagliata al momento sbagliato. Ci aveva impiegato ore per ritrovare un certo contegno, eppure bastava una sua frase per far crollare quella fortezza di ghiaccio come semplice neve al sole. Si scambiò un’occhiata con suo fratello, che le donò un sorriso dolce, intuendo le sue angosce. L’unico ad aver inteso cosa davvero significavano le parole di Bran. Probabilmente anche altri avevano capito, ma nessuno lo diede a vedere.
Quando si voltò per tornare al tavolo dove aveva lasciato le sue nipoti e suo figlio, i suoi occhi incrociarono la traiettoria della maschera del principe Viserys. Si stava alzando in piedi e, prendendo sua sorella per una mano, stava uscendo fuori dalla stanza. Disinteressato apparentemente ai loro passatempi. Una fitta al cuore l’attraversò provocandole un dolore che nemmeno lei si spiegava.
-Pure i draghi scappano a gambe levate… - Mance notò quella loro strana fuga – Mi volete far credere che anche nella loro famiglia è ben risaputo che le vostre focacce sono così pessime? – scoppiò a ridere.
-Penso sia più istinto di sopravvivenza. – Benjen nascose la bocca con una mano quando si accorse di avere sua sorella di fronte a sé con uno sguardo omicida.
-La Barriera ha ancora numerosi castelli vuoti. Se non volete che vi spedisca in uno di essi a morire congelati, vi consiglio caldamente di non cercare la mia ira. E ora fuori tutti e due! – urlò acida – Vedete di approfittare di questa libera uscita andando a procacciare qualcosa da mettere sotto i denti per stasera, perché non vi farò entrare se prima non avrete trovato uno scopo migliore nella giornata! –
 
 
 
 
 
Le mani di Sam erano piccole e paffute, ma sapevano come muoversi tra i composti di farina e acqua. Lyanna passando tra loro con una ciotola che continuava a mescolare, si era complimentata con lui.
-Bravo Sam, hai una dote. – il ragazzo arrossì e si scambiò uno sguardo con Jon che rise abbassando gli occhi sul suo lavoro. Il giovane Tarly si era unito a loro aiutandoli a preparare focacce e biscotti. Gilly invece aveva messo sul fuoco del camino un paiolo e lo aveva riempito di verdura tagliata a tocchetti per preparare uno stufato, mentre il piccolo Sam stava dormendo su una cesta di vimini non lontano da Spettro che ogni tanto alzava un orecchio o muoveva il naso annusando i profumi che giungevano da quella parte.
Sua madre tornò al suo posto per impastato la farina con le uova appena sbattute. Aggiunse del sale, qualche goccio d’acqua, unì poi olive, semi di zucca e sesamo. Non aveva un bell’aspetto ma dall’odore prometteva bene ed il suo stomaco già stava emettendo i brontolii per la voglia di assaggiarlo. Avevano anche provato a fare una variante dolce con l’uvetta passita, quando sua madre aveva scoperto scioccata che lui non aveva mai assaggiato quel tipo di pane. “Ho sempre pensato che ci fosse qualcosa di sbagliato; un pane deve avere un gusto salato. Non potrei mai mangiare dello stufato zuccherato.” “Oh, invece io ho assaggiato il cervo cucinato con cioccolato fondente e servito con glassa al mirtillo rosso. E ti posso assicurare che è delizioso!” Jon si era domandato se nell’entusiasmo nel decantare tanto quel piatto non ci fosse anche nascosta una piccola soddisfazione sua personale come se sotto sotto sua madre volesse dire: quella è la giusta fine per un cervo. L’avversione che sua madre provava per i Baratheon era ancora molto accesa. Si domandò cosa avesse mai potuto pensare di Stannis, ma non ebbe il coraggio di domandarglielo.
 
Era stata una mattinata diversa dal solito, Jon si era sentito per la seconda volta parte di qualcosa di eternamente potente e indissolubile. Stare con sua madre e i suoi cugini, trascorrere il tempo a cucinare assieme, ridere, scherzare, lanciarsi addosso la farina… gli aveva alleggerito il cuore. Lo aveva distratto da tutto il peso che sentiva sempre sulle spalle e nell’anima. Aveva ancora nella mente il sorriso di sua madre, di Sansa e di Arya. Gli occhi sereni di Bran, per una volta non si erano posizionati né sul passato, né sul futuro. Erano rimasti fissi sul presente per ore intere, come se anche lui sentisse la mancanza di momenti come quello.
Quando era stato messo tutto il loro lavoro in forno, Jon aveva scoccato un bacio sulla guancia a sua madre e aveva chiesto congedo. Aveva lasciato la fortezza e si era diretto verso la piana dove il giorno precedente era diventato tutt’uno col suo drago. Ancora non ci credeva… Ancora non gli sembrava vero di sentire ogni parte del suo essere finalmente bilanciata.
Il suo cuore già batteva all’impazzata quando sentì sopra la sua testa il tuono delle possenti ali di Drogon, il fischiettio aggraziato di Rhaegal e lo schioccare delle fauci di Viserion. Agognava il momento in cui avrebbe solcati i cieli nuovamente, superando la coltre di nubi perenni e raggiungendo il sole, ma un sole ancora più splendente era ora proprio di fronte a lui… Sole e luna assieme.
I suoi boccoli biondo-argentato erano sciolti e le ricadevano sulle spalle. Teneva la testa alzata e osservava i suoi draghi volteggiare sopra di loro, cullata da quell’atmosfera rilassante. Era appoggiata ad una roccia, nella medesima posizione che anche lui aveva tenuto quando sua madre, il giorno precedente, gli aveva dato una sistemata ai suoi capelli indisciplinati. Il principe Viserys prendeva una ciocca alla volta e la intrecciava alle altre, dando una forma composta e uniforme, ma per nulla banale. Aveva una dote straordinaria. Una maestria che denotava sicuramente un’istruzione di base. Jon si domandò se tra le mansioni di un principe ci fosse mai stata la professione di acconciatore e involontariamente si ritrovò a ridere pensando che quello non poteva certo essere credibile. Tuttavia ciò che aveva di fronte agli occhi smentiva quel suo pensiero. Probabilmente è una sua passione. Pensò, mentre continuava a guardarli di nascosto, da dietro il tronco di una quercia.
Essendo il principe di spalle, Jon ebbe la possibilità di constatare anche la sua capigliatura. Aveva provveduto ad intrecciare in maniera molto ricercata la sua chioma liscia, unendola in un’unica treccia che man mano diveniva sempre più sottile sulla punta, nella quale si inserivano a intervalli regolari altre piccole treccine così da darle più corpo e volume. Ai lati della fronte poi aveva legati i ciuffi ribelli unendoli dietro la nuca. Jon aveva sempre pensato che i capelli lunghi fossero una cosa da femmine, intrecciarseli o comunque averne cura in maniera simile non rendesse virile un uomo. Ma guardando il principe Viserys, non gli era mai passato per la mente un simile pensiero. Era un uomo maturo e responsabile, carismatico e elegante nei modi, per quanto avesse dubbi sulla sua onesta a volte, non poteva però non provare un senso di riverenza nei suoi riguardi. Capitava più spesso di quanto non lo volesse ammettere di sentirsi di molto inferiore a lui e questo lo metteva fortemente in crisi.
Un soave canto giunse alle sue orecchie. In un primo momento voltò il capo credendo arrivasse dalla fortezza. Mance ha di nuovo messo le mani sull’arpa? Ma la voce non era quella del re oltre la barriera. Era stranamente più tenue, cristallina, pura. Quasi provenisse da un’evanescente figura dei boschi. Le vennero alla mente tutte quelle creature che la Vecchia Nan raccontava loro. Si domandò se anche i due Targaryen l’avessero udita o fosse solamente frutto della sua fantasia. Non si erano nemmeno scomposti. Impossibile, per forza devono averlo sentito. Lo udì ancora. E questa volta le sue orecchie lo convinsero che la direzione era la stessa dove i suoi occhi stavano guardando. Non proviene dalla fortezza. Capì. Vedeva abbastanza bene il profilo di Daenerys per dedurre che la sua mandibola non stava facendo alcun movimento. Il principe diversamente gli dava le spalle, per cui il suo volto non gli era accessibile. È Viserys, quindi? Di nuovo quella cantilena. E questa volta lo vide chiaramente dal momento che spostò il torace seguendo la musica in una specie di danza, e gli occhi di Jon videro una parte del suo volto che gli permise di notare un piccolo spostamento delle sue labbra. Il principe le stava cantando qualcosa, usando parole in Antico Valyriano. Questa scoperta lo lasciò senza fiato. Anche lui come… ? Ma la sua mente continuava a giocargli quel brutto scherzo. Non riusciva a formulare alcuna frase che avesse Rhaegar Targaryen come soggetto. Tuttavia ciò che lo destabilizzò fu scoprire che anche Viserys fosse portato per la musica. La sua voce era leggera, delicata, ma arrivava all’anima, per chi riusciva a comprendere le sue parole. Jon non conosceva bene l’antico valyriano, ma riconobbe comunque qualche parola: gelenka hura, luna argentata; qeldlior vezos, sole dorato… poi lo sentì intonare il ritornello nella lingua comune.
 
You are sunlight                               Sei luce solare
And I moon                                       E io luna
Joined here                                      Siamo qui
Brightening the sky                          Illuminando il cielo
With the flame of love                      Con la fiamma dell'amore
Made of                                            Fatto di
Sunlight                                            Luce del sole
Moonlight                                         Al chiaro di luna
 
Le sue labbra si strinsero in una smorfia di fastidio. Le sta dedicando una canzone solo per loro. Era chiaro. Lei rappresentava la luna e lui il sole. Jon si dannò per non aver mai avuto dimestichezza con nell’arte della poesia e del canto, altrimenti avrebbe potuto dedicarle anche lui alcuni versi… magari nelle sere che avevano trascorso assieme. Si colpì la fronte con un pugno. Non devo pensarci. Rimproverò sé stesso. Evidentemente aveva fatto troppo rumore con quel colpo perché si sentì chiamare.
-Jon, vieni fuori. Sappiamo che sei lì. – affermò Viserys, continuando a dargli le spalle. L’espressione però sul volto di Daenerys dava l’impressione di non aspettarsi affatto la presenza del ragazzo.
Jon uscì dal suo nascondiglio, sentendosi un completo imbranato. Avanzò nella neve, senza preoccuparsi di interrompere quel loro idillio, dopotutto gli era stato detto di farsi avanti e lui lo stava facendo. Una vocina dentro di lui, gli diceva che avrebbe dovuto allontanarsi, ma preferì assecondare le volontà del principe. E troncare quel momento era proprio ciò che voleva fare. Con passo deciso li raggiunse e si portò proprio di fronte al duo. Rimase in silenzio a fissarli attendendo un loro riscontro, osservandoli accigliato. Dany spostò lo sguardo su di lui con aria di sufficienza. Mai lo aveva guardato in quella maniera. Jon avvertì addosso le fiamme nei suoi occhi, ma altre fiamme si formarono dentro di lui. E si fecero ancora più spietate di quanto non lo fossero pochi istanti fa. Viserys non si degnò nemmeno di torcere il busto per guardarlo in faccia, si concentrò invece a finire in fretta il suo lavoro, restando in silenzio. Dannazione! Imprecò nella mente È talmente odiosa questa situazione. Una parte di lui avrebbe voluto un confronto con lui, ma un’altra non riusciva a provare alcun rancore. Era frustrante restare nel mezzo.
-Tornatevene pure a impiegare il vostro tempo nell’arte culinaria, Lupo Bianco. – affermò lei indifferente al suo cambio di espressione – Questa mattina non cavalcheremo i draghi. Più tardi vedremo se sarà possibile. –
-Per quale motivo? Li ho sentiti tornare… Abbiamo poco tempo. Gli Estranei potrebbero anche aver già valicato la Barriera ed essere sulla strada del re. Devo ricominciare il mio allenamento al più presto. – affermò con risoluzione.
-Non posso dire che abbiate torto. Avete da imparare ancora molto… - disse la regina, passando in rassegna su tutto il suo aspetto, stava criticando il suo vestiario – Ad esempio quel mantello è troppo spesso ed ingombrante. L’ultima volta avete perso l’equilibrio a causa di esso… oltre che ad una esigua conoscenza dell’atterraggio. –
-E questa dovrebbe essere la ragione per cui non posso più cavalcare un drago? – Jon si slacciò il mantello e lo lasciò cadere a terra. Il tessuto pensate fece un sonoro tonfo quando atterrò sulla neve, quasi fosse della stessa opinione della regina. Daenerys parve soddisfatta e guardò con sarcasmo il manto a terra, quasi stesse accrescendo la sua critica. Jon si sentì ferito, ma ingoiò la rabbia e la frustrazione – Ora non credo di avere altri impedimenti, vostra grazia. –
-A parte il tuo atteggiamento irriguardoso. – commentò lei ostinata a volersi scontrare con lui – Credi il mio sia solo un capriccio? –
-Re Jon, il consiglio di mia sorella voleva solo essere un suggerimento. Suvvia, cerchiamo di restare calmi e parlare in modo civile. – Viserys intervenne per calmare entrambi.
-Ad ogni modo potete pure rimetterlo addosso. Quest’oggi non useremo i draghi. –
-E cosa faremo allora? – continuava ostinata ad usare il modo informale e questo gli provocava una furia che lo devastava dentro. Viserys aprì la bocca per parlare, ma sua sorella lo anticipò.
-Un bel niente. –
-Un bel niente? È questo che pensate di fare quando verremo attaccati? Un bel niente? – ripeté esasperato – Pensavo aveste capito la gravità ed il pericolo in cui stiamo vivendo. Ogni arma, ogni creatura, ogni abilità… ogni cosa è indispensabile. –
-Se credi che salendo su un drago puoi batterli, ti sbagli di grosso. –
-Hai visto come sono organizzati? Fanno tutto ciò che gli viene comandato, senza un briciolo di tentennamento. I nostri uomini per quanto coraggiosi possano essere, saranno sempre tentati alla fuga. –
-Ciò che ho visto e mi ha preoccupato è la tua inesperienza! –
-Che non potrà certo migliorare se non mi viene concesso di allenarmi. – Jon ebbe l’ultima parola finalmente.
-Quest’oggi siamo tutti nervosi a quanto pare. Vogliate scusarci, vostra maestà, ma preferiremo evitare altre discussioni. – Viserys provò a placare i loro bollenti spiriti – I draghi non possono essere cavalcati al momento. Trovatevi altri da fare. –
Il volto della regina era una maschera di fastidio e irrequietudine. Il principe la prese per mano e, preoccupato, la convinse a seguirlo.
-Cosa è cambiato? Non faccio più parte della vostra famiglia adesso? – Jon era indispettito e non permise loro di allontanarsi ulteriormente – Mi state escludendo per qualcosa che ho fatto? Qualcosa che ho detto? – portò la sua attenzione direttamente alla maschera sul volto di Viserys che ora si era portato di fronte a lui.
-Posso parlarvi con franchezza? – la voce del principe si fece sottile e pungente. Jon annuì per dargli il permesso di continuare – Ebbene in questo momento mi sembrate un bambino viziato a cui sono stati tolti i suoi giocattoli preferiti e pesta i piedi per riottenerli. – disse risoluto il principe con una calma esemplare. Jon sentì il fuoco salirgli fino in gola. Se fosse stato lui stesso un drago avrebbe potuto sputare fiamme in quel momento.
-Come osat…? – provò a chiedere, ma il suo interlocutore lo interruppe.
-Mi avete concesso voi di parlare francamente. – gli ricordo pacato – E io mi sono attenuto a dire ciò che appare. – spiegò – C’è ancora tanto che voi dovete comprendere sull’addomesticare un drago. Avete già avuto una buona esperienza col vostro metalupo, ma dovete scindere le due creature. I draghi per quanto possano sembrare esseri maestosi, forti e resistenti, hanno comunque dei loro punti deboli. Possono essere feriti, uccisi, e possono non avere… voglia. Nei primi due casi il più delle volte reagiscono divenendo irritabili e insubordinati, nel terzo caso invece scelgono volutamente di non eseguire gli ordini. Avete pienamente ragione. Sono tornati dalla loro battuta di caccia, ma non sono dell’umore adatto per farsi cavalcare. Ora che abbiamo appurato che Rhaegal ha preso a considerarvi degno per essere il suo cavaliere, possiamo anche svelarvi cosa siamo riusciti a capire restando qui nelle vostre terre per così lungo tempo. –
-Ancora segreti? – Jon si lasciò sfuggire.
-Preferivamo non diffondere questa faccenda, poiché manifesta una grossa debolezza nella nostra forza bellica. – spiegò ancora, restando di una compostezza irreale – I draghi non sembrano a loro agio in questa regione. Probabilmente è solo colpa del clima, troppo rigido per delle creature di fuoco, ma stanno mangiando poco. La loro alimentazione è indispensabile perché siano sempre in perfetta forma. –
-Farò cacciare alci e orsi. Manderò uomini a stanare mammut oltre la Barriera se sarà necessario. – si propose Jon.
-Credi che da soli tre draghi non riescano a procacciarsi del cibo? – fu la domanda pacata che gli fece Viserys, ma non vi era alcuna critica, né avversione nella voce. Pareva più un maestro durante l’interrogazione dell’argomento spiegato nel mese – Non è la quantità di cibo che trovano ad essere scarsa; è proprio la loro voglia di mangiare che si è ridotta e questo è sinonimo di qualcosa che non va. – lo fissò per alcuni istanti – Ora capisci per quale motivo non lo potevamo dire? – Jon mandò giù un po’ di saliva.
-Questo indebolisce il vostro esercito, portandovi ad essere nient’altro che un'altra semplice famiglia al pari di tante altre. – Viserys annuì.
-È questa la ragione per cui mia sorella è così irritabile. – diede un’occhiata alla ragazza alle sue spalle – Se ne sente in parte responsabile perché la decisione di restare è stata data da lei, ma sono i suoi figli a star male. E ora che ha dato la sua parola non può rimangiarsela. –
-Non siete obbligati a… -
-Lo siamo invece. Se restassimo entro la linea dell’incollatura, dove l’inverno ancora non pare aver allungato le sue grinfie e vi lasciassimo soli in questa guerra, risulteremo insensibili di fronte ad un regno in difficoltà. Ma se restiamo, presto sarà facile individuare i nostri punti deboli e basterebbe un gruppo di estremisti che ancora rammenta i torti subiti da nostro padre, per assestare una lancia ben piantata nell’occhio di uno dei nostri draghi. Esattamente come avvenne con Meraxes a Hellholt. – Jon serrò un pugno.
-Se mai uno dei miei uomini dovesse fare una cosa simile, lo giustizierò. Ho già tagliato la testa a coloro che hanno… attentato alla mia vita. Non esiterò a fare ciò che va fatto. – Viserys gli mise una mano sulla spalla.
-Ma potrebbe essere troppo tardi e noi potremmo aver perso un drago nel frattempo. – spiegò – E non parlo sono dei vostri uomini, vostra grazia. La testa da tagliare potrebbe anche essere nostra. Sfortunatamente il re folle riuscì a inimicarsi anche molti dei suoi alleati che ora ci hanno dato la loro fedeltà, ma domani… - lasciò intendere alla sua fantasia il continuo della frase.
-Credo di non capire, però. Mi state dicendo che non posso cavalcare Rhaegal perché non è abbastanza forte, oppure perché credete che questo possa in qualche modo compromettere la vostra superiorità di comando nei vostri alleati. –
Viserys si limitò a scuotere il capo.
-Forse non mi sono spiegato sufficientemente. Voi siete parte della nostra famiglia ed è vostro dovere cavalcare uno dei nostri draghi, ma è anche vostro dovere imparare a conoscerli e averne cura quando non sono in forze. Per quanto invece riguarda eventuali minacce da parte dei nostri eserciti, questa è una questione che andremo a sottoporre nel prossimo consiglio che terremo. È mia premura che tutti comprendano che la nostra non è una semplice alleanza di due regni, ma sono due regni alleati per legami di sangue che finalmente si sono ricongiunti. –
Jon rimase a guardarlo sbigottito dell’ammissione che il principe gli aveva appena fatto. Non poteva credere alle sue orecchie. Ci provava, impiegava tutte la sua forza di volontà, ma ogni volta che credeva di arrivare al culmine Viserys lo sorprendeva facendolo ritornare al punto di partenza. Era maledettamente perfetto, difficile da odiare, sempre con la giusta parola da dire. Fastidiosamente apprezzabile. Si sentì in difetto per avergli parlato con sgarbo quella mattina. Jon sentiva una minaccia provenire dal su continuo avvicinamento con sua madre, eppure quando gli era di fronte poi bastava che gli dicesse una sola cosa e tutto l’astio prima provato spariva come per miracolo. Avrebbe voluto scusarsi per le parole che gli aveva detto, ma non voleva far sapere a Daenerys quanto era accaduto. Gli sarebbe nuovamente saltata contro, vomitandogli addosso altre calunnie. Dopotutto ne aveva tutti i diritti. L’aveva illusa, probabilmente sedotta e lei ora si comportava di conseguenza. A dire il vero era un atteggiamento molto ambiguo, passava dalla felicità alla rabbia in poco tempo… cosa che aveva in comune con suo padre forse, ma Jon aveva conosciuto anche il suo lato buono. Aveva visto in lei la donna che era nel profondo, e non era quella che voleva mostrare a vedere in pubblico.
Con un’espressione truce, capì che era meglio se ad andarsene fosse lui. Quindi annuì col capo, fissando intensamente il principe e poi voltò le spalle per tornare alla fortezza abbandonata, conscio che ancora una volta era impreparato a quello che stava vivendo. E ancora una volta non aveva scelta su che direzione posare i suoi piedi. Il Lord Comandante Mormont lo aveva scelto come suo attendente, obbligandolo a servirlo e poi gli aveva ordinare di seguire i voleri di Torin il Monco. Poi Sam aveva convinto i Guardiani della Notte a votare per lui, affinché divenisse il nuovo Lord Comandante. A Winterfell erano stati i lord a eleggerlo Re del Nord. E ora Rhaegal lo aveva scelto come suo cavaliere. Quando sarò libero di scegliere ciò che voglio davvero io? Pensò a Viserys e alle sue parole. Lui riusciva a metterlo sempre a suo agio, ma il più delle volte Jon usciva da un loro dialogo con l’amara sensazione che lo avesse in qualche modo plagiato a suo piacimento, facendogli però credere di aver preso lui la decisione definitiva. Possibile che fosse di indole così malvagia? Secondo molti suoi consiglieri poteva anche essere così, per questo rimaneva sempre vigile e attento. E fu con un’espressione che mostrava quella battaglia di sentimenti che varcò la porta della fortezza abbandonata.
-Cosa succede, Jon? – sua madre preoccupata gli era subito corsa incontro. Non l’aveva nemmeno sentita avvinarsi. Era difficile nasconderle qualcosa. La donna gli aveva preso entrambe le mani e gliele aveva strette per farlo distogliere dai suoi pensieri.
-Nulla. – mentì lui, ma era visibilmente scosso. Guardò l’intera sala. C’erano troppe persone presenti, non poteva dirle nulla. E poi sarebbe stato giusto metterla al corrente di tali segreti? Jon considerò l’idea che anche sua madre sapesse. Si preoccuperebbe ancora più di quanto già non fa. Non volle sobbarcarle anche quel peso sulle sue spalle. Decise quindi di non dirglielo mai. Per non dar a vedere i crucci che aveva in testa, provò a scuotere, come a scacciar via il freddo. Controllando il movimento per non farle male, staccò quindi le mani dalle sue.
-Vuoi dirmi perché sei così agitato? – Jon puntò gli occhi grigio scuro i quelli chiari di lei che non aveva smesso di fissarlo assillata. Emise un lungo sospiro per calmarsi.
-Nulla di che, madre. Devo prendere la mai spada. – alzò gli occhi in cerca di qualcuno con cui duellare – Zio Ben, ti va di fare due tiri di spada con me? – l’uomo lasciò il suo precedente lavoro, si alzò e si incamminò a prendere la spada del ragazzo posta poco distante dalla sua.
-Sempre pronto. –
-Non dovevi allenarti coi draghi stamattina? – a sua madre non sfuggiva nulla.
-Non sono ancora tornati dalla caccia. – gli mentì – Viserys mi ha detto che provveda quindi a impiegare il mio tempo in altro modo. – le voltò le spalle ed estrasse la spada dal fodero per guardare l’affilatura della spada. Era impeccabile come al solito. Il taglio netto del filo, le incanalature centrali e la sfumatura grigio scuro dell’acciaio di Valyria. Era di una bellezza indescrivibile quella spada. Beh, ce ne saranno state anche di più belle, ma per lui Lungo Artiglio era qualcosa di insostituibile.
SBANG!
Un rumore sinistro lo colse del tutto impreparato, tanto che la spada quasi gli cadde dalle mani. Si voltò per cercare di capire cosa era avvento. Forse qualcuno aveva fatto cadere qualcosa, ma nessuno parve in impasse. Notò però che molti volti, compresi quelli delle sue due cugine erano rivolti verso la porta, da dove lui un attimo prima era entrato. Non comprese in un primo istante cosa fosse davvero successo, pensò che un colpo di vento l’avesse chiusa, ma i suoi occhi individuarono un grembiule a terra sporco di farina. Un’illuminazione improvvisa gli fece comprendere a chi apparteneva. Mia madre. Doveva essersi spogliata dell’indumento in fretta e furia per uscire. Ma non gli pareva avesse urgente necessità di lasciare quella stanza. Poi un brivido lungo la schiena lo fece trasalire. Lasciò la spada sopra la cassapanca, ma nel tornare sui suoi passi si sentì tirare all’indietro.
-Jon… so cosa stai pensando di fare, ma ti consiglio di non seguirla. –
-Se sta andando dai Targaryen, devo fermarla! – affermò ostinato.
-Credi davvero che ti ascolterà? – Benjen Stark lo fissò scettico.
-Non so cosa abbia in testa, ma deve aver travisato le mie parole. –
-Ma di cosa stai parlando? – suo zio non poteva aver sentito di cosa avevano parlato. Era abbastanza distante e loro avevano usato un tono così basso che difficilmente avrebbe potuto arrivargli qualcosa all’orecchio.
-Non posso cavalcare il mio drago oggi, ma non per la ragione che lei crede. O penso che lei creda. – cercò di spiegargli.
-Nascondi qualche segreto a tua madre, Jon? – gli disse con tono di rimprovero.
-È qualcosa che riguarda i Targaryen. E ho promesso loro di non diffondere questa notizia. –
-Ascoltami, Jon. Capisco che per te sia difficile stare con due piedi in una scarpa. Sei Stark quanto sei Targaryen; tua madre lo sa, io lo so. I tuoi cugini lo sanno, e pure i signori dei draghi lo sanno. Ma ciò che mi domando è: tu sai cosa questo comporta? – Jon si ritrovò a non sapere cosa rispondergli. Certo che sapeva di essere parte di entrambe le famiglie, ma cosa significava davvero? – Devi imparare a trovare un tuo equilibrio. Non puoi oggi tenere i segreti degli Stark e domani quelli dei Targaryen. Prima o poi compirai qualcosa di stupido. Prima o poi ti troverai costretto a prendere una decisione che comporterà per forza di cosa a tradire uno dei due schieramenti. È questo che vuoi? –
-Assolutamente no. –
-Bene, allora impara a tenere unita questa famiglia. Porta i lupi e i draghi sullo stesso piano.
-Ci proverò. – promise – Ma ora, cosa facciamo con mia madre? –
-Beh… - sorrise – È stata da sola con un drago per quasi un anno… - gli ricordò – Sa come trattare con loro. Vedrai che non le faranno alcun male. –
-Posso sapere cosa ti rende tanto sicuro? – era bizzarro, ma ogni volta che c’erano di mezzo i Targaryen suo zio sembrava remissivo e fin troppo docile – Mi sembra di ricordare che i draghi abbiano mostrato ai lupi chi comanda durante la Ribellione. –
-Fu un solo drago a compiere scempi nei nostri confronti, non farne di tutta un’erba un fascio! – lo rimproverò. Viserys mi ha detto più o meno la stessa cosa pochi minuti fa – Vuoi davvero sapere ciò che mi rende così sicuro? – gli chiese pacifico – Il legame affettivo che unisce tutti voi a quell’unica persona che ebbe il coraggio di mettersi in gioco per rompere la catena che fa girare quella ruota corrotta e ingiusta. – gli strizzò l’occhio – E per farlo ha scelto tua madre come compagna. Non è facile fermare una donna come lei. Se ci fosse Howland Reed, il padre di Meera ti direbbe che è anche impossibile dirle di no. – sorrise.
Jon però non era del suo stesso avviso e non riteneva nemmeno che Rhaegar Targaryen, dovesse avere ancora seguaci che lo sostenevano. Se solo avessi la certezza che valeva anche solo la metà di suo fratello Viserys…
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice:
 
Ola! Tranquilli, non vi ho abbandonato! Né ho abbandonato questa storia, anzi, sto lavorando assiduamente alla sua realizzazione, quando mi è possibile prendere in mano il pc e dedicarmi un po' di tempo per me.
Sì, lo ammetto l’ottava stagione è stata quello che è stata, molti voi mi hanno chiesto un mio parere, ma ora non mi metterò di certo a dare le mie valutazioni, ma vi dirò che se in un primo momento mi ero fortemente scoraggiata per determinate situazioni, ora mi sento molto meno preoccupata.
Vero ci sono stati momenti, soprattutto nelle prime due puntate che mi avevano messa in forte crisi. Sansa e la sua trasformazione simile ad una crisalide che fa emergere la vera farfalla, mi era molto piaciuta e mi sono sentita molto in difetto per aver mantenuto in cronache una Sansa ancora troppo immatura (ma non è detto che non tirerà fuori gli artigli più avanti).
Poi c’era Jon che pur avendo appreso la notizia della reale identità di sua madre e di suo padre, e ovviamente quindi del suo retaggio, pareva avesse accettato la cosa senza alcuna conseguenza per la sua personalità… cosa che invece ben sapete io in cronache l’ho molto più elaborata come un trauma questa situazione.
Insomma queste e altre piccole cosucce mi avevano un attimo destabilizzata, ma non bloccata. Ormai la mia strada l’ho presa, ho deciso di percorrere delle vie magari più contorte e altre più semplici, ma non ho intenzione di tornare indietro o fermarmi per questo.
Lo faccio per me stessa, per darmi uno scopo, la possibilità di dire che posso terminare qualcosa. Ma lo faccio anche per coloro che continuano a dirmi che solo Cronache darà loro una vera soddisfazione, dato che la serie vi ha delusi in parecchi. E io vi sono grata per la fiducia e spero sempre di non scontentare nessuno, ma sappiate che comunque ciò che ho in mente si discosterà molto dall’idea che Martin potrà avere anche per i libri.
Innanzitutto, fermo restando che nella mia ff io continuo ad avere Rhaegar e Lyanna redivivi, quindi per forza di cose non la mia storia non potrà mai avere un finale simile alla trama dei libri, a meno che Martin non scelga di farli tornare dal regno dei morti pure lui, ma ne dubito fortemente. Ma anche togliendo loro due, la mia storia più andrà avanti (e vi assicuro che andrà ancora molto avanti; nel frattempo siamo ancora a Winterfell, ma ci sposteremo a Dragonstone, alla capitale e anche in alcune delle città di Dorne) più seguirà una strada che si basa su teorie esistenti del fandom inglese, però diciamo che è più una mia rivisitazione di tante cose assieme. In parte è stato anche grazie al Profeta che alcune idee mi sono venute, allacciandomi a fili di pensiero che già mi piacevano o sogni che avevo sempre avuto nel caso in cui Jon avesse avuto modo di conoscere molto più del passato che ignora.
 
Bene, detto tutto questo, spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che continuate a seguirmi!
Un forte abbraccio, mi farò viva di nuovo dopo le ferie, ma nel frattempo continueremo a sentirci nella chat e sul gruppo della Torre.
   
 
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