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Autore: atsogaovlas    06/08/2019    1 recensioni
Mi sono sempre chiesto come ci si sente quando si ama qualcuno, specie se quella persona e anche noi stessi abbiamo un vuoto dentro da riempire, forse io e la mia ex, "Anna" eravamo la risposta ai vuoti reciproci o forse no. Gabbiano non è altro che la mia storia e la sua, la storia di un ragazzo che vorrebbe planare sulle cose dall'alto, senza esserne troppo coinvolto, ma che si trova a dover fare i conti con la tempesta e la burrasca di una rottura dolorosa, dettata da premesse peggiori.
E' quasi tutto uno sfogo, sulla quale vorrei costruire una storia e imparare a scrivere cimentandomi direttamente con un pubblico online, tutto qua.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Oltre alle domande che albergavano nella mia testa e ai colloqui per tentare di dissipare la mia ansia, probabilmente, una parte di me, continuava a porsi interrogativi anche nei sogni.

Dopo che Anna mi lasciò continuai a dormire poco e niente, spesso in preda a sogni malinconici o per lo più, incubi. A questi ultimi ero in realtà abituato, forgiato da anni di ansie lasciatemi graziosamente in regalo dai miei e dal loro comportamento irresponsabile – per carità non che fosse tutta colpa loro, ma probabilmente contribuirono tanto quanto contribuì tutto il resto delle mie esperienze personali passate – erano gli altri a causarmi qualche problema.

Anna appariva spesso nei miei sogni, a volte come una figura anonima e distante, intenta ad osservarmi mentre attorno a me si svolgevano incendi, mentre si rompevano i ghiacci e collassavano nell'oceano artico, mentre accadeva qualcosa di tremendamente irreparabile; in quei momenti, mi dava la sensazione che ciò che stesse accadendo, fosse colpa mia. Nel suo silenzio totale, ella sapeva come distruggermi, forse l'aveva sempre saputo, forse glielo avevo insengato io? I suoi occhi erano quasi vitrei e per quanto scuri fossero alle volte, in quella visione onirica diventavano incredibilmente oscuri e cupi. Sebbene dal suo volto non trasparisse nessuna emozione particolare, era proprio quell'apparente indiffrenza che trasmetteva al mio Io un potente senso di colpa, pesante come un macigno. Di tanto in tanto, correvo verso di lei intenzionato a salvarla, a dover fare il possibile per toglierla dalla momentanea apocalisse che stava accadendo intorno a me, ma il pavimento sotto i miei piedi cedeva, gli alberi in fiamme mi cadevano addosso come colonne di un tempio distrutto, i ghiacci mi seppellivano in una tremenda e fredda tomba.

 

Altre volte, invece, appariva la Anna di sempre, quella che avevo amato all'inverosimile e per la quale avevo sacrificato tempo e stima in me stesso, nel vano tentativo di salvare il nostro rapporto. In quei sogni, lei era diversa, era perpetua e vicina, emanava quasi calore, quel calore che solo certe cose e persone che sono familiari e intime possono dare. Anche in quei casi restava in silenzio, eppure mi sembrava di sentirla parlare e al tempo stesso paradossalmente volevo che restasse ferma lì, a fissarmi, muta, con lo sguardo addolcito di chi ha capito finalmente tutto, di chi ha capito che in amore non si vince e si perde da soli, ma sempre in due, e che per quanto tutti gli sforzi che facciamo ci sembrino inutili, alla fine, se si è insieme si può risolvere ogni cosa. Mi crogiolavo così nel forte desiderio di sentirle dire quello che volevo, ma al tempo stesso di non dire nulla per non spezzare l'incantesimo che avveniva solamente lì, negli istanti fuggevoli di quel momento esatto, di quel sogno, nel suo sguardo.

 

Purtroppo, dovevo svegliarmi prima o poi e a quel punto, era chiaro che la realtà era pronta a prendermi a schiaffi. Passai tra la disperazione circa Dicembre, Gennaio ed inizi di Febbraio. Quando non riuscivo a dormire, inghiottivo xanax e questo mi faceva dormire, ma un sonno sedato e quasi forzato.Tuttavia, non contento di come andavano le cose, ad ogni colloquio andava tutto bene e non avevo nessun tipo di problema. Ero pronto per una guarigione immediata. Nulla di più distante dalla realtà.

 

La mancanza di sonno e l'uso di xanax come fossero confetti mi fece sprofondare in una spirale autodistruttiva senza fine. Durante l'arco di Febbraio, andavo in giro per pub con gli amici, bevevo già sotto ansiolitici e contattavo la ragazza con cui mi vedevo prima di Anna per scopare: Teresa. Sapevo fosse ancora innamorata di me e dunque non solo non avrebbe mai detto di no, ma avrebbe accettato di vedermi proprio perchè ne aveva voglia, e questo era fondamentale.

 

Purtroppo non c'è un modo carino di dirlo, come spesso accade di tutti i comportamenti miserabili e crudeli di cui un essere umano è capace, è la cruda verità che rende i fatti chiari e ci spinge ad imparare ad accettarli e correggerli: mi comportavo come un coglione, un vero coglione. Ma la cosa mi faceva stare tremendamente bene. Se volevo una cosa e sapevo come ottenerla, la pretendevo, era già mia. E se qualcosa era di dubbio gusto o di una forte bassezza morale, non poteva fregarmene di meno: se mi andava, la facevo. Non c'era più spazio per i sentimenti, né i miei, né quelli degli altri. D'altro canto, chi si era curato di avere rispetto di ciò che provavo? Nessuno. E allora a me non doveva interessare di nessun altro. Quella piccola parte sensibile di me che aveva cercato tanto faticosamente di salvaguardare ciò che mi rendeva felice, venne condannata all'oblio, a stare ferma ed in silenzio, ad osservare mentre un enorme buco nero inghiottiva tutto ciò che incontrava sul suo cammino. Non importava che mi rendessi conto di essere spregevole o di ferire la povera Teresa, alla fine che importanza potevano avere i suoi sentimenti per me? Nessuna.

Proprio come i miei per Anna.

Tutto questo massacro di alcol, farmaci e bassezza andò avanti fino a che una sera Teresa non fece l'errore di chiedermi qualcosa in più che non fosse vederci a casa mia:

 

"Hey, ti andrebbe domani di andare a Modica?"

"A Modica?"

"Si, beh è da un pò che ci vediamo di nuovo, ho pensato che magari potremmo fare qualcosa per cambiare, mangiare un gelato insieme, passeggiare per il Corso, sai, qualcosa in giro, insieme"

"Io e te non stiamo insieme Tere"

"Oh...si lo so, era giusto per fare qualcosa di diverso anziché stare qua a.."

Certo che lo sai, ma non ti arrendi, perchè ci speri, ma perchè deve essere tutto così difficile? Perchè non capisici?

"Eh, quindi? Onestamente non ho voglia di uscire"

"Beh almeno potremmo andare a vedere un film non dobbiamo stare per forza a passeggiare"

Cristo, ma può essere che non capisce? Cazzo!

"Tere, non ho voglia di uscire con te"

 

La guardai e capì immediatamente cosa avevo fatto. Come io per Anna, Teresa aveva lottato molto tempo per mantenere una relazione con me, inutilmente. Dirle quelle parole fu come ficcarle un pugnale in petto. Ma dovevo assicurarmi che capisse, dovevo:

 

"Sai benissimo perchè ti chiamo, e accetti di venire qua ogni volta, perchè devi sempre mettermi con le spalle al muro? Perchè ogni volta che vieni devi sempre venirmi a dire se facciamo qualcosa? Non voglio, non ho alcun interesse nell'avere una relazione con te."

 

Ci fu un silenzio surreale, poi sentii le sue lacrime calde colare sul mio petto. Restò lì, immobile come una statua. La sua testa che dapprima fissava il mio volto, ora sprofondava sul mio sterno, la sua coscia copriva ancora il mio inguine e sentii le sue mani stringermi il torace ancora più forte, quasi aggrapparsi per resistere a quelle parole impetuose, a quella tempesta di rabbia cui io stavo dando sfogo. Mi strinse così forte, che sembrava quasi la sua tristezza trapassasse il suo corpo per entrare direttamente nel mio. Quasi ad imprimerla contro di me, così che io non potessi fare a meno di sentirla nell'animo.

Continuai a fissare il soffitto. Tutta quella situazione, tutto quello che stava accadendo. Il mio comportamento, lei, noi, quel letto, il sesso. Era tutto penoso e disgustoso oltre ogni limite. Disgustoso.

Incominciai a morire di caldo, improvvisamente sembrava quasi che i muri della stanza stessero stringendosi in una morsa. Il cuore mi martellava nelle orecchie, ero entrato oramai in uno stato di delirio totale e benché cercassi di non darlo a vedere, respiravo a fatica, soffocavo e sprofondavo nel mio letto quasi come mi stessero calando in una fossa. Una fortissima sensazione di nausea si fece largo tra tutto quel miscuglio insopportabile di emozioni.

Perchè è qui?! Perchè non è ancora andata via?!

Poi ruppe quel silenzio tombale:

"Va bene – fece con la voce ad un filo dal pianto – come vuoi. Possiamo anche stare qua."

Improvvisamente, la scostai e balzai in piedi, non ce la facevo più.

"Va bene!?" urlai "Non va bene un cazzo! Che significa come voglio? Non riesci a renderti conto di quanto sia patetico tutto questo? Di quanto tu sia patetica!?"

Lei prese immediatamente il lenzuolo per coprirsi, aveva gli occhi ancora bagnati, ma anziché essere incupiti e bassi da quella che prima era tristezza, adesso erano aperti e increduli, presi da sgomento.

 

"Che succede?" fece, quasi come quando ci si sveglia dal sonno
"Che succede?! Ti sembra normale tutto questo? Ti sembra quello che meriti?! Beh, a me no!"

 

Ero una furia. Incominciai a camminare su e giù per la stanza cercando qualcosa, non so cosa, ma avevo la sensazione che doveva trovarsi lì.

Il mio cuore stava per esplodere da un momento all'altro, me lo sentivo. Tutto cominciò a vorticare e io non sapevo dove voltarmi per cercare un pò d'aria, le veritgini mi assalirono al punto che dovetti appoggiarmi sulla scrivania.

 

"Và via! - ruggì- prendi la tua roba e vattene!" raccolsi da terra l'intimo che metteva appositamente quando dovevamo vederci – sapeva che adoravo la lingerie – e gliela gettai sul letto, poi la maglietta e i jeans.

 

"Ma sei impazzito...?"

"Togliti dai coglioni! ORA!"

"Ma fai sul serio? Non-"

"VAI VIA ADESSO!" le gettai le scarpe, non curandomi di dove le avessi lanciate.

 

Non riuscivo più a contenere la nausea, arrivò il conato.
Andai di corsa verso il bagno e aprì il gabinetto. Vomitai con così tanta forza da avere dolore alla gola e allo stomaco immediatamente. L'acidità dell'alcool mi bruciava le tonsille e adesso oltre alla fame d'aria, la puzza di tutto quello che avevo ingerito – o meglio bevuto – mi faceva stare anche peggio. Abbracciai la tavoletta come un marinaio abbraccia l'albero di una nave che affonda negli abissi.

 

Non appena riuscì a riprendermi, andai nella mia camera. Non c'era nessuno. Andai all'ingresso e la porta era aperta. Se n'era andata.
Chiusi la porta e tornai in camera mia. Silenzio.
Mi sedetti sul letto, coi gomiti appoggiati alle ginocchia, i palmi su volto. Mi ero ripreso, apparentemente e non solo fisicamente. Quasi come una rivelazione, era tutto chiaro davvero, dentro. Era finalmente chiaro che il problema non era solo l'assenza di Anna, quanto la mia stessa assenza nei miei riguardi. Se mi ero spinto ad essere infimo e meschino, se non davo rispetto ai sentimenti degli altri, era proprio perchè non riuscivo a rispettare i miei e mi comportavo così con me stesso.
Dovevo fare qualcosa, alla svelta.
Alzai per un attimo la testa e guardai tutto quanto nella stanza, tutto quello che vedevo, non era altro una copia di come mi sentivo. Tutto in quella stanza mi parlava e sembrava dirmi che non c'era speranza.

Caddi dal letto col culo per terra ma non mi rialzai – il pavimento era fresco. Mi stirai direttamente lì, per lungo, fissando il lampadario che compiva giravolte con lo sfondo del soffitto, come una ballerina su un palcoscenico.

Dovevo vomitare di nuovo.

 

 

 

(scritto e non riletto - causa lavoro)

   
 
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