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Autore: Corydona    07/08/2019    0 recensioni
Come in una partita a scacchi, due fazioni si ritrovano schierate l'una contro l'altra, pronte a dichiararsi una guerra che entrambe non vorrebbero. Da un lato gli Autunno, la cui potenza sembra inarrestabile, dall'altra i Primavera-Inverno, che possono contare su un'influenza senza eguali.
Una situazione di apparente stasi: apparente, perché nell'ombra i sovrani cadono e le successioni al trono sembrano più complicate del previsto. La guerra sarà dichiarata? Termineranno i regicidi? Quale delle due parti avrà la meglio?
Un'antica profezia annuncia la disfatta degli Autunno: si realizzerà? O rimarranno solo vaneggiamenti di un passato caduto nell'oblio?
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Selenia '
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L’antico salone in cui i Lupfo-Evoco si riunivano era gremito di dignitari, reali e nobili giunti da ogni angolo di Selenia. Le pareti di pietra erano spoglie, sintomo del disuso di quel palazzo, un tempo dimora dei sovrani di Cmune. Secoli prima risiedevano lì, in una costruzione austera e solida, che sembrava quasi dimostrare la rigida inflessibilità della corona, già in mano della casata Lotnevi. E ora che il regno di Nicola vacillava, riunirsi lì sembrava un oltraggio all’ultimo erede di quella nobile famiglia.

Il contrasto con l’allegro chiacchiericcio dei presenti turbava Giampiero che, seduto al posto occupato diversi minuti prima, faceva tamburellare le dita sulla propria coscia. Cercava con ogni sforzo di non lasciar trapelare il nervosismo che lo aveva colto alla vista dei nobili che si scambiavano complimenti e facezie come se fossero seduti attorno a un banchetto di festa, e non radunati per discutere di un argomento che poteva valere la vita o la morte di un principe. Lui e Roberto De Ghiacci erano tra i pochi ad avere un’aria grave.

Lo sguardo del marchese si soffermò su una donna che sedeva all’altro capo della sala. Lavinia Lugupe osservava il vuoto inerte, ignorata dal resto della turba, che la salutava appena con un cenno del capo o con un inchino.

- Ieri hai parlato con la regina Lugupe - sussurrò a Roberto.

- Sì - annuì lui. - Non mi sembra che stia tanto bene. Anche se si è fatta forza per venire qui, sembra che abbia la febbre… guarda che faccia pallida!

Giampiero sospirò, pensieroso. Pur da lontano, la regina di Dzsaco appariva malandata, come in uno stato avanzato di un misterioso male. Sentiva il dovere di conferire con lei non appena gli si sarebbe presentata l’occasione: se Alcina avesse mandato Luciana, avrebbe almeno potuto avere la figlia al suo fianco.

- Secondo te ha la febbre? - chiese, atono. Non voleva mostrare un reale interesse per la donna, ma non poteva fare a meno di essere preoccupato; non si trattava solo di politica: c’era qualcos’altro che occupava lo stesso posto nel suo cuore.

- Credo di sì - rispose secco Roberto. - Altrimenti non si spiegherebbe quel colorito.

Gli occhi scavati della donna si sollevarono, incrociando per un istante quelli del marchese, che si fece pietoso. Comprendeva le paure dei sovrani di Dzsaco, se Raissa Autunno si fosse decisa ad attaccarli: le loro difese potevano rimanere scoperte se si fossero aperti più fronti. E la disfatta sarebbe stata solo una questione di tempo.

- Gentiluomini, gentildonne, vi richiamo all’ordine - esclamò un funzionario con voce profonda e tonante. - Sta per avere inizio la sessantasettesima conferenza dei Lupfo-Evoco.

Giampiero sospirò, osservando la folla riprendere il proprio posto nel salone semicircolare, ai banchi di pietra.

- Speriamo che i nostri sforzi di ieri non siano stati vani - mormorò all’indirizzo dell’altro.

- Non saprei dirti - commentò Roberto, incupendosi. - Qui sembra che a nessuno importi davvero di Nicola. Guardali: sembrano tutti ospiti di una di quelle ridicole feste dei Dal Mare!

- Non tutti, però - precisò il marchesino. La sua attenzione era appena stata attirata da Oreste Dei Prati che parlottava con la figlia Aria: conosceva della delicata situazione tra il loro legno e il limitrofo Foglie Cadute, così come sapeva che i sovrani Delle Foglie erano stati uccisi.

E se dietro la morte di Cinzia e Mercuzio Delle Foglie ci fosse stata la stessa mano che aveva eliminato Guglielmo Lotnevi?

- L’unico inconveniente dello sposare Aria Dei Prati sarebbe avere a che fare con il suo popolo - bisbigliò Roberto, che si era accorto dello sguardo di Giampiero, traendone una conclusione sbagliata. - Piuttosto che sopportare degli stupidi contadini che non sanno stare al loro posto, vado a fare il minatore nel Nutixa. Loro hanno più dignità.

Il marchese trattenne un sorriso, che in una diversa situazione non avrebbe esitato a mostrare di fronte alle parole del De Ghiacci.

- Non si tratta di questo - gli spiegò con un soffio di voce. - Sai che sono morti i Delle Foglie?

- Come non saperlo… una freccia scagliata da una balestra da una distanza ragguardevole, troppo distante per poter essere tanto precisa… e nessun colpevole.

- Già. Non trovi strano che anche Guglielmo sia stato ucciso?

- Non vorrai dire che…

- Non lo so, Roberto, ma tutto questo è sospetto.

Giampiero tacque per l’arrivo al suo fianco di Ivano Del Nord assieme al figlio Riccardo. Non era solo il Dei Prati ad aver portato con sé la propria erede: erano diversi i sovrani che avevano domandato un posto anche per i futuri re e regine di Selenia.

Il giovane De Ghiacci salutò con affabilità Riccardo Del Nord, mentre il Tirfusama si concentrò sull’ingresso della sala. Sotto l’arco in pietra che li aveva accolti si stava affacciando Clara Riutorci, colei che aveva l’incarico di presiedere i Lupfo-Evoco. Era accompagnata da un uomo molto più giovane di lei, che la salutò con un sorriso, rimanendo in piedi presso l’arcata, mentre la nobile avanzò verso l’antico scranno in pietra, un tempo trono dei Lotnevi, ora ridotto a luogo simbolico per chi dovesse moderare quella che si presentava come una riunione turbolenta.

La donna rimase in piedi davanti al semicerchio degli astanti, seduti in attesa di una sua parola. Gli occhi scuri si posarono dapprima su Lavinia Lugupe che, suo malgrado, attirava le attenzioni di tutti per il suo aspetto malandato; poi guardarono intorno, come controllando di avere in pugno l’uditorio.

La veste scura richiamava la gravità della situazione che li aveva richiamati lì, e le cadeva morbida sul corpo, come si addiceva a una donna di mezza età del suo statuto sociale. Le braccia erano lasciate nude dal gomito in giù, mostrandone il colorito abbronzato tipico del Tuilla, e lei intrecciò le dita tra loro, con un gesto che lasciava trapelare un nervosismo che in pochi colsero.

- Buongiorno, mie signore e miei signori - pronunciò solenne. - Le circostanze che ci vedono presenti in questo luogo non sono affatto felici: un re è stato brutalmente assassinato e i Lupfo-Evoco sono stati convocati perché sono giunte nelle mie mani delle prove che potrebbero confermare i sospetti di alcuni. Il compito di questa conferenza è quello di decidere se Nicola Lotnevi è o meno l’uccisore di suo padre, Guglielmo Lotnevi di Cmune.

La Riutorci tacque, e un brusio si sollevò tra i presenti.

- Prove? Ha parlato di prove? - sussurrò Roberto. - Come fa ad averne se Nicola è innocente?

Giampiero scosse appena il capo. - Non lo so.

- Do ora la parola ad Amelia Autunno - annunciò Clara Riutorci.

Alle spalle dei due giovani si udì un rumore di passi che attirò gli sguardi dell’intera sala. La donna si erse in piedi, maestosa, carica della stessa gravità che si respirava in presenza di Alcina Primavera. Sul capo portava la corona della sua casata, d'oro incastonata di rubini sanguigni; gli occhi verdi saettavano per la stanza, come ricercando chi potesse contraddirla ancora prima che lo facesse. La chioma scura era raccolta in un'elaborata acconciatura, che le faceva ricadere una ciocca sulla guancia sinistra. Un segno di studiata trascuratezza che Giampiero colse al primo sguardo.

Il marchesino comprese subito che la regina Autunno voleva mostrarsi trasandata, come se fosse sconvolta da quanto stava per dire; tuttavia gli era difficile credere che lo fosse davvero.

Avanzò tra i banchi in pietra dell’antica sala del trono, fino a raggiungere Clara Riutorci davanti a tutti. Nella mano sinistra teneva un foglio ripiegato, che scatenò in Giampiero una fortissima curiosità. Tuttavia non dovette attendere molto, perché subito la regina parlò con voce grave.

- È giunta in mio possesso una lettere scritta da Nicola Lotnevi - pronunciò solenne, scatenando un brusio nella sala.

Il marchesino rimase quasi pietrificato all’udire quelle parole: se in un primo momento non aveva creduto possibile che Nicola avesse ucciso suo padre, ancora meno ora poteva credere che ne avesse lasciato una testimonianza.

- La scrittura è stata confrontata con quella di altre missive del pugno del principe di Cmune - asserì la regina Autunno, richiamando il silenzio. - Ve ne leggo il contenuto.

- Questo cosa significa? - bisbigliò Roberto, incredulo.

- Che è vero che Raissa ha dei poteri magici - concluse Giampiero. - E se li ha, per Nicola non c’è speranza.

- Mia cara… è fatta. Mio padre è finalmente morto, e sono stato io: ora non c’è più alcuno ostacolo tra me e la corona. Presto salirò al trono e avrò il regno sotto il mio controllo. Finalmente, dopo tanto tempo, sono felice.

Amelia Autunno tacque, e i suoi occhi chiari serpeggiarono tra i presenti, come per spiarne le reazioni. In molti si alzarono in piedi, indignati dal tono usato nella lettera: come si era permesso quel ragazzino di uccidere uno dei migliori sovrani di Selenia? Altri, invece, iniziarono a lanciare parole di accusa contro l’erede Lotnevi, gridando che era un regicida, un assassino senza pietà e altri improperi che si persero nella giungla di voci che riempì la sala.

- Non ha letto a chi era indirizzata la lettera - sussurrò Giampiero. Se quel dettaglio era sfuggito a tutti gli altri, lui non aveva potuto non notarlo sin da subito.

Roberto annuì. - E non prevedo nulla di buono… se ha iniziato con “mia cara” potrebbe essere Flora!

- Non credo che Amelia e Raissa siano tanto stolte da inventare una bugia simile - realizzò il marchese con lucidità. - Se vogliono Flora, possono escogitare altri piani, non questo che le esporrebbe troppo davanti a tutti. Se dovessero arrestare Nicola, alla destinataria della lettera toccherà lo stesso destino. Credi che Alcina e i suoi alleati glielo permetterebbero?

Il De Ghiacci scosse la testa. - No, in effetti no. Ma se avesse letto qui il nome di Flora, nessuno voterebbe per la condanna di Nicola.

- Secondo me non si tratta di lei - affermò Giampiero, sicuro di sé. Incrociò lo sguardo con quello della regina del Ruxuna, che si soffermò a osservarlo, come se sapesse che il marchesino Tirfusama, tanto devoto ad Alcina Primavera, avesse compreso il suo inganno.

- C’è qualcosa che non va in tutta questa storia - bisbigliò Roberto. - Come si sono procurate quella lettera? Gliel’ha data la destinataria o l’hanno rubata?

- Nel primo caso si capirebbe perché non ha letto l’intestazione per intero - mormorò Giampiero, mentre attorno a loro il baccano saliva di volume sempre più alto. Mantenne gli occhi fissi in quelli freddi della regina che tanto aveva scombussolato la sala, come per sfidarla. Sapeva di aver fallito l’incarico che Alcina gli aveva assegnato, ma era altrettanto consapevole che la questione sulla colpevolezza di Nicola non si sarebbe chiusa lì. E lui avrebbe fatto di tutto per mandare all’aria i piani della famiglia Autunno.

- Clara Riutorci è qui con il figlio, giusto? - sussurrò all’indirizzo di Roberto, che ascoltava interessato le parole di alcuni delegati del Piconici alle loro spalle. Parlavano di come avrebbero torturato un figlio degenere come Nicola Lotnevi, se l’avessero avuto tra le mani. Giampiero si accorse di averlo distratto appena in tempo, prima che iniziasse una discussione con i due uomini.

- Sì, era entrato con lei - gli rispose.

Il Tirfusama annuì, ricordando del giovane che aveva accompagnato la Riutorci e che si era fermato all’ingresso della sala. Si voltò in quella direzione, e lo vide ancora lì, immobile a guardare esterrefatto la reazione di re, regine, cortigiani e ambasciatori. Osservandolo con maggiore attenzione, Giampiero si rese conto che non si trattava affatto di un ragazzo ancora imberbe, ma aveva nel suo portamento una severità quasi di adulto cresciuto in fretta e nutrito di consapevolezza del prestigio della propria famiglia. La calma con cui osservava il disordine imperante nella sala suggeriva la rigida educazione che gli era stata imposta. E certamente, di pari passo, gli era stato insegnato qualcosa sul funzionamento dei Lupfo-Evoco.

- Mie signore, miei signori - disse Clara Riutorci. - Vi richiamo all’ordine.

Non ebbe bisogno di alzare il tono, perché il solo suono della sua voce acquietò l’intero uditorio. Giampiero si stupì della celerità con cui tutti tacquero: c’era qualcosa che non andava, in quella sala; ne era certo, sebbene non sapesse affermare cosa fosse.

- Da questo momento avrete un’ora di tempo per scrivere sulle pergamene che vi verranno date se secondo voi Nicola Lotnevi è innocente o colpevole. Poi arrotolerete le pergamene e le infilerete nelle anfore che i servitori stanno portando qui. Successivamente verranno contati i pareri “colpevole”, “innocente” e “astenuto”; perché sì, potete astenervi dal giudicare. Questo conteggio avverrà qui alla vostra presenza, in modo che tutti voi possiate vedere che non ci sono inganni. A seconda del verdetto stabiliremo come procedere.
 

Molto astuta, pensò Giampiero. Non sapeva se lei avesse qualche a che fare con le accuse rivolte a Nicola, ma quello era un modo molto intelligente di coprirsi le spalle. L’occhiata che a Riutorci scambiò con Amelia Autunno, tuttavia, lo mise in allarme. Sbirciò con la coda dell’occhio il figlio della donna che presiedeva i Lupfo-Evoco e lo indicò a Roberto con un cenno del capo.

- Dobbiamo parlare con lui - stabilì il marchese. - Possiamo ancora salvare Nicola.

   
 
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