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Autore: Doomsday_    07/08/2019    0 recensioni
- Future!fic -
Dopo cinque lunghi anni di pace, la fragile quiete di Beacon Hills viene nuovamente spezzata. Un nuovo nemico minaccerà di sottrarre al Branco quel che per loro conta più della vita stessa.
Dal testo:
"Il corvo la fissava silenzioso, gli occhietti intelligenti sembravano scrutarle l'anima.
Fu allora che le piume si tramutarono in gocce di sangue. Colarono lente e calde lungo il braccio di Lydia. Eppure lei continuò a carezzare quel grumo rappreso fatto di morte con un sorriso pacifico a rasserenarle il viso.
"
Genere: Angst, Fluff, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kira Yukimura, Lydia Martin, Malia Hale, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quindicesimo Capitolo










 

Avevano una consuetudine, Malia, Kira e Lydia. Un’abitudine importante, ben radicata nella loro amicizia e a cui nessuna delle due doveva venir meno, per nessuna ragione. 
La colazione che facevano una volta a settimana, pensata apposta per far sì che non passasse mai troppo tempo senza vedersi quando gli impegni giornalieri rubavano loro tutto il tempo – cosa che non era da sottovalutare per un’amicizia decennale – non era un gioco e neppure uno sfizio: i mariti lo sapevano bene. 
Malia non ebbe bisogno di organizzarsi con Lydia per presentarsi a casa sua quella mattina. E a Lydia non era servito sapere dell'arrivo di Malia per far trovare caffè caldo e croissant.
L'assenza di Kira si percepiva chiara, come era chiaro anche che la colazione di quella mattina aveva un significato differente dal solito, per le due amiche.
Sentivano di dover restare unite, farsi forza a vicenda.
E poi ci stava quella strana bambina che Malia doveva portarsi dietro. Non poteva lasciarla da sola a casa e neppure poteva restare tutto il giorno all’interno delle mura domestiche per controllarla.
Stiles aveva dovuto calmare Malia e spiegarle nel dettaglio cosa ci faceva lì con lui quella ragazzina, per convincerla a farla restare a casa con loro.
Non era stato facile. Malia era diffidente verso la piccola ospite, seppure si era dimostrata fin da subito silenziosa e calma.
Malia le aveva preparato un bagno, aiutata a lavarsi e le aveva fatto indossare una delle sue maglie più strette, finché Stiles non le aveva portato dei vestiti adatti.
«Vorrei poterla legare e rinchiudere da qualche parte. Quella bambina mi mette i brividi» fu la prima cosa che Malia disse non appena Jamie ed Allie furono ad una distanza sufficiente, assieme alla loro nuova compagna di giochi.
«è innocua, Mal» sospirò Lydia, sospettando che il senso materno di Malia si fermava all’amore per i suoi figli e non fosse riuscito mai ad andare oltre.
«Non mi piace» insistette Malia, «Il modo in cui  mi fissa mi mette i brividi»
«Guarda tutti in quel modo stralunato, Mal» Lydia alzò gli occhi al cielo «Spero che almeno tu non le abbia ringhiato contro».
Malia sembrò pensarci su, mentre sorseggiava il suo caffé nero e rigorosamente amaro «No...» disse, infine, con voce poco convinta, «forse solo quando ha messo piede nella camera di Jamie, la prima volta».
Lydia rise «Ti assicuro che è solo una creaturina spaventata ed ha bisogno delle nostre cure e del nostro aiuto».
La fronte liscia di Malia si increspò e così ribatté: «Non lo so, Lyds. Il suo odore è strano. L’ho già sentito prima, nella cripta degli Hale».
Lydia inarcò le sopracciglia «Che cosa? Sei stata nella Cripta degli Hale? Quando? E perché mai?» il volto di Lydia era un miscuglio di stupore, confusione, dubbi e di una rabbia crescente che minacciava di esplodere.
Malia sapeva bene quanto Lydia fosse diventata apprensiva dopo il rischio corso dentro Eichen House. Difatti la Banshee la guardava risentita, uno sguardo ferito ed incredulo.
Malia sapeva che avrebbe ottenuto una reazione simile. L’aveva delusa, come aveva deluso anche Stiles. Ma non poteva nascondere le scelte che aveva fatto. Aveva deciso di entrare dentro Eichen House da sola, per cercare Corinne e aveva rischiato di non uscirne viva e nonostante questo si era recata da sola anche nella cripta degli Hale senza chiedere aiuto a nessuno e, se non fosse stato per Peter Hale, anche in quell’occasione avrebbe potuto farsi male davvero.
«Te l’ha chiesto Peter Hale, non è vero? In cambio del funerale di Corinne ti ha chiesto di fare qualcosa per lui» comprese Lydia, livida in volto.
Malia sembrò imbarazzata ma non negò; come poteva mentire a Lydia?
Pensò al diario di Talia, ancora nella sua borsa. Doveva ancora trovare il coraggio per sfogliarlo. Aveva letto un nome, prima di consegnare il volume alle mani del suo padre biologico, un nome che l’aveva scombussolata.
«Non è questo il punto» insistette Malia.
Lydia indurì la mascella «Io e Jordan sospettiamo che sia stata catturata dal Darach. Forse ti riferisci a quell’odore».
A Malia non convinceva quell’ipotesi, c’era qualcosa che non andava e sembravano sempre troppo distanti dal capire la verità.
Malia preferì far cadere il discorso e, con sguardo innocente, disse: «Jamie l’ha chiamata Mòn. Non ho idea di dove abbia sentito questo nome».
Lydia – con sollievo di Malia – sorrise «Sembra molto carino».
Malia annuì «Sì, a lei pare che piaccia».
«Stiles ha deciso di portarla a casa vostra ma posso parlarci… convincerlo a portare da noi Mòn. Potrebbe sentirsi più a suo agio potendo parlare con me».
Malia provò a sviare. Stiles le aveva spiegato il motivo per cui aveva deciso di portarla a casa loro e non lasciarla dai Parrish. Sia Lydia che Jordan avevano preso quella situazione troppo a cuore. Stiles temeva che, in una situazione di pericolo, non sarebbero riusciti a compiere la scelta giusta. Così aveva detto, anche se Malia non capiva di quale scelta stesse parlando, eppure si trovava d’accordo a mantenere la giusta distanza da una bimba che non conoscevano affatto e che, con ogni probabilità, possedeva anche lei capacità da mannaro.
Malia scrollò le spalle «In realtà sono qui per parlarti di un’altra cosa, Lyds».
La preoccupazione sul volto di Lydia lasciò spazio ad una curiosità attenta. Malia non aveva l’aria tranquilla e ciò non era un buon segno. Lydia aveva imparato che, quando una come Malia era in pensiero, si doveva trattare per forza di qualcosa di davvero grave.
«Ieri sera ho trovato questi in camera di Jamie» e così dicendo rovesciò il contenuto della borsa sul tavolo da pranzo di Lydia.
Una spessa risma di fogli da disegno si sparpagliò sulla superficie lucida.
«I disegni di Allie?» chiese Lydia, senza capire dove Malia volesse arrivare o quale problema dovesse esserci dietro ai disegni che aveva fatto sua figlia.
«Guarda» disse controllando una ventina di fogli prima di disporli sulla superficie, apparentemente a caso, fino a che anche Lydia cambiò espressione mentre l’immagine prese vita sotto agli occhi delle due donne.
I fogli creavano un unico grande disegno e già questo, di per sé, era inspiegabile per una bambina di soli tre anni. Ma questa non era l’unica cosa strana, perché il disegno che si andava a creare era perfetto, curato come poteva essere il dipinto creato da un adulto e – quel che era peggio – raffigurava l’esatta rappresentazione della maschera di legno del Darach che Lydia aveva raffigurato secondo le descrizioni di Malia e Stiles.
Lydia restò in silenzio, tremava colta da brividi, ma non ebbe la forza di dire alcunché.
«Non è il solo» continuò Malia in un fil di voce, attenta alle reazioni dell’amica.
Dispose altri fogli, un po’ sul tavolo, altri direttamente per terra.
Da una parte c’era un corvo rosso, dall’altra il volto di Adam, poi il Nemeton e – infine – il volto di Mòn, della bambina misteriosa.
«Non capisco» balbettò Lydia, «Come è possibile tutto questo? Non può essere stata Allie a disegnare queste cose».
Malia poggiò la mano su quella di Lydia, cercando i suoi occhi persi.
«Lyds… è tua figlia. Tua e di Jordan. Allie ha una Banshee e un Mastino Infernale come genitori, non penso che questo sia un caso»
«è solo una bambina» disse Lydia con voce rotta, «Non può essere».
«L’hai detto tu che è cambiata dalla comparsa del Darach. Forse questo ha innescato i suoi poteri. Allie potrebbe avere visioni di quello che sta per succedere» insistette Malia, lanciando un’occhiata ovvia ai disegni che componeva il volto di Mòn, «e le da una consistenza nell’unico modo con cui ha una sintonia: il disegno».
Lydia nascose il volto dietro le mani «Vorrei davvero che tu ti sbagliassi, Mal» disse con voce rotta.
Si asciugò gli occhi umidi e si ripulì dal trucco colato, poi sembrò pensarci su e disse: «Il Darach ha ucciso l’anziana Banshee per far sì che la Profezia morisse con lei e per usarla come sacrificio e bloccare i miei poteri insieme a quelli delle altre Banshee. Perché allora – se Allie avesse davvero questi poteri – può vedere tutto quello che a me è stato tolto?».
Malia ascoltò in silenzio il ragionamento dell’amica e annuì come a dire che anche lei era giunta a quella domanda.
«In lei scorrono anche i poteri del Mastino Infernale. Allie è diversa da te. È diversa da qualsiasi altro essere soprannaturale sia mai esistito».
Lydia abbozzò un sorriso «La genetica non funziona in questo modo, Mal»,
«La genetica forse no, ma qui stiamo parlando di Soprannaturale».

***

Affrontare quel genere di situazioni delicate, a Stiles, non era mai piaciuto.
Era nella stanza d’ospedale riservata ad Adam, Scott era seduto nella poltroncina accanto al letto e aveva tutta l’aria di qualcuno che avesse passato lì l’intera notte.
Stiles era agitato, non sapeva cosa dire né come tirare su di morale il suo migliore amico. Sapeva che doveva distrarlo eppure il solo pensiero di parlare a vanvera senza sapere se fosse davvero quello di cui Scott avesse bisogno, lo spaventava.
Era la prima volta che si trovava in una situazione simile, con lui. Era Scott quello che gli stava accanto. Era Scott che non lo aveva mai lasciato solo quando il Nogitsune si era impossessato di lui e non capiva cosa gli stava succedendo o quando suo padre aveva rischiato la vita.
Pensò a Jamie, a come si sarebbe sentito se su quel letto ci fosse stato suo figlio al posto di Adam.
Stiles pose una mano sulla spalla di Scott.
«Sono qui, amico».
Scott si voltò a guardarlo, con aria sorpresa e gli rivolse un sorriso tiepido.
Non si era reso conto del suo ingresso, si rese conto Stiles, ma non era difficile da notare che Scott fosse tutt’altro che presente.
«Stiamo interrogando quella bambina» disse Stiles per tenere aggiornato l’amico, «Sai, quella trovata nel bosco, quando...»,
«Sì» lo interruppe Scott, «mi ricordo di lei molto bene».
«Già… ehm… non è poi così facile, Lydia prova a comunicare con lei, ma risponde solo a quello che vuole».
Scott annuì, anche se non sembrava prestare molta attenzione a quello che stava dicendo l’amico.
«Stiles, tu sei il mio migliore amico» disse Scott, d’improvviso, facendo congelare Stiles sul posto, «Tu me lo puoi dire»
«Che cosa, Scott? Farei qualsiasi cosa per te, lo sai»
Scott annuì «Sono un pessimo padre?»
Stiles aggrottò la fronte «Ma che dici?»
«Stavo pensando a questo, quando sei arrivato. Tu me lo puoi dire, no? Mi conosci da una vita, puoi dirmelo cosa pensi davvero»,
«Non sei un pessimo padre, Scott. Non lo sei affatto»
«Ah no? Io sento di esserlo. Un pessimo padre e un marito orribile» ribadì, la voce spenta, priva di alcuna emozione. «Non avrei mai creduto che potesse accadere qualcosa del genere a uno dei miei figli… e non avere Kira al mio fianco».
«No, no, no» iniziò a ripetere Stiles, «Abbiamo quasi un mese, Scott. Prima che torni la luna piena. Abbiamo esattamente ventitre giorni per fermare il Darach. Non sono pochi, non sono pochi per niente. Possiamo farcela».
«Ho parlato con Brett. Lui è venuto da me. Penso sia soggiogato. Si è scontrato con il Darach ed è venuto a dirmi che lascia Beacon Hills. Lui e il suo branco se ne vanno. Non so se per paura o perché è stato il Darach ad ordinarglielo, fatto sta che siamo soli, Stiles. Siamo rimasti solo noi. E persino il nostro branco si sta sfaldando...».
«Ti riferisci a Kira? Pensi che se ne sia soltanto andata, ma può essere che non è così. Magari si sta nascondendo per tenere al sicuro Caleb. Senti, se il Darach ha davvero bisogno dei tuoi figli per compiere il rituale del Controllo della Luna, forse è un bene che Caleb si trovi lontano da qui».
«O forse sarà più facile per il Darach uccidere mia moglie e rapire mio figlio» replicò Scott, monotone.
Stiles sbuffò: «Kira non è una sciocca, okay? So che le cose fra voi due ultimamente non stavano andando bene, ma nonostante questo sono sicuro che non ti avrebbe lasciato a meno che non ne fosse stata costretta».
Stiles e Scott si guardarono negli occhi e alla fine Scott annuì, convinto delle parole dell’amico.
«Quella donna ti ama, ti ha sempre amato fin dal primo momento in cui ti ha visto. Non è qualcosa che finisce così, amico».
Gli occhi di Scott si arrossarono «Mi continuo a chiedere se sia stata colpa mia. Se io abbia sbagliato, compromesso la sicurezza della mia famiglia. Se mi fossi comportato in modo differente...»,
«Non esiste un manuale d’istruzioni. Va bene sbagliare, non te ne puoi fare una colpa se non sai sempre qual è il modo migliore di agire. Il matrimonio è difficile, essere genitori ancora peggio. Facciamo del nostro meglio e, se proprio vogliamo stilare una classifica di peggior padre di famiglia a Beacon Hills, mi dispiace ma detengo il primato assoluto».
«Eppure Malia non ti lascerebbe mai».
Quella frase sicura, pronunciata come un mero dato di fatto, colpì Stiles al petto. Scott invidiava il matrimonio che aveva con Malia ma, se solo sapesse…
Si vergognò all’istante di un pensiero simile. Malia sapeva essere testarda e fin troppo temeraria, ma Scott aveva ragione: non permetterebbe a niente e a nessuno di dividerli.
«Smettila, Scott. Non concludi niente facendo questi discorsi, peggiori solo le cose. Guardami, okay? Non è una sconfitta, questa. Lotteremo. Te lo prometto».

***

Malia era stufa di dover restare sempre a casa.
Lo aveva fatto presente a Stiles ma dubitava che a suo marito importasse dove lei volesse trovarsi se il luogo in questione non si trovasse lontano da ogni possibile pericolo.
«Bisognerebbe segnare i contorni della casa con del sorbo selvatico» le aveva detto quella mattina prima di uscire, «Non voglio che il Darach possa prenderci alla sprovvista».
A Malia non interessava essere protetta dal sorbo selvatico quando quella debole sicurezza costituiva anche la sua prigionia.
Eppure, dopo aver lasciato la casa dei Parrish si diresse nel vecchio ambulatorio veterinario che un tempo era appartenuto a Deaton e che ora – per volere di Scott – era rimasto abbandonato.
Malia era cosciente di quanto stesse mandando Stiles fuori di testa in quell’ultimo periodo, insistendo per fare sempre di testa sua e cacciandosi in guai spesso pericolosi. Per questo si era arresa all’idea che poteva sopportare le richieste di Stiles se questo l’avrebbe reso meno nevrotico.
Doveva combattere la stanchezza, si disse. Non avrebbe permesso permesso ad una semplice gravidanza di renderla tanto debole.
Decise di andare a piedi, Jamie nel passeggino e Mòn, dietro di lei, la seguiva mantenendo una distanza di un paio di passi.
Malia avrebbe potuto tenerla per mano – d’altronde, se le fosse sfuggita, avrebbe messo Stiles in seria difficoltà – ma c’era qualcosa in quella bambina che la ripugnava.
Dopo averle dato una ripulita, Stiles e Malia, avevano scoperto che sotto tutto quel sudiciume c’era una piccola bimba graziosa, dai capelli biondicci e le gote rosee.
Mòn, guardandosi allo specchio, pulita e profumata, aveva ridacchiato e fatto una giravolta su se stessa.
Per un attimo il cuore di Malia si era sciolto, nel guardarla. Eppure il suo istinto restava fermo: l’odore della bambina la metteva in allerta e non riusciva a far altro che trattarla con distacco. Non senza avvertire un gran senso di colpa.
Arrivati all’ambulatorio veterinario, Malia forzò la porta sul retro ed entrarono. Mòn guardò la scena, stralunata.
Erano passati anni, eppure l’assenza di Deaton si percepiva ancora all’interno del branco.
Malia prese un barattolo di polvere di sorbo, emettendo un lungo sospiro malinconico.
Si guardò attorno: il lettino al centro della stanza, gli scaffali colmi di roba e gli armadietti in acciaio con gli strumenti della professione. Ogni cosa appariva ferma, congelata in una bolla di tempo ormai andato. Lì, più di ogni altro luogo, si respirava la mancanza di un amico perduto per sempre.
Malia si riprese dai propri ricordi e portò i bambini fuori dal locale. Mòn appariva più pensierosa del solito, ma non provò a dire nulla, neppure con lo sguardo.
Forse perché, in quel momento, sentiva Deaton tanto presente o forse perché era troppo che ormai non visitava più i suoi cari, Malia decise di dirigersi verso il cimitero di Beacon Hills.
Quella, con ogni probabilità, era una delle scelte istintive che Stiles non avrebbe approvato. Ricordava alla perfezione quel che era accaduto l’ultima volta che si era ritrovata da sola nel cimitero, davanti alla tomba di Claudia Stilinski.
Con un brivido riportò alla mente la voce di Deaton che le parlava come se si trovasse proprio all’interno della sua testa e la certezza, inossidabile, di aver visto la sua figura in lontananza, come un monito su ciò che presto sarebbe avvenuto.
“Non lo guardare, il corvo rosso. Sorridi alla Grande Regina”.
Avevano capito chi fosse la Grande Regina, considerò Malia, eppure non si erano mai posti la domanda su quale mistero si celasse dietro al corvo rosso. Era solo un simbolo che si ricollegava alla Dea o c’era qualcosa di più?
L’avvertimento restava emblematico.
Malia accelerò il passo: doveva tornare a casa prima di Stiles.
Jamie era tranquillo nel passeggino, ogni tanto si girava a guardare Mòn e le mostrava un sorriso sdentato.
Mòn, accanto a loro, camminava a capo chino restando però più vicina al passeggino.
Se c’era qualcosa che piaceva a Malia di quella bambina era proprio questo: silenziosa, mai un capriccio o un lamento, la seguiva ovunque senza mai replicare.
Malia frugò nella borsa e tirò fuori due pezzi di pizza rossa, una la diede a Jamie e l’altra a Mòn. La piccola prese il cibo mostrando un largo sorriso.
Per la prima volta Malia, guardando quella bambina, pensò a come sarebbe stato avere tra le braccia la sua.
Si accarezzò la base alta del ventre. Claudia si muoveva di meno in quegli ultimi giorni e, nonostante la stanchezza, Malia ne risentiva un po’.
Andava meglio, pensò instillandosi coraggio. C’erano giorni in cui le sembrava impossibile anche solo muovere un passo e altri in cui passeggiare la invitava. Perciò si permise di partire con la fantasia, immaginare Claudia e Jamie giocare assieme o loro quattro a trascorrere pomeriggi oziosi. Jamie sarebbe stato un fratello maggiore geloso e protettivo, Malia non ne aveva dubbio.
Sorrise tra sé, trasognata, lasciando una veloce carezza sulla testa di Mòn. Non le sarebbe dispiaciuto avere una bambina buona come lei.
Senza neppure rendersene conto, arrivarono davanti alla tomba di Deaton, dove dinnanzi vi era una larga panca in marmo. Vi si sedettero mentre i bambini finivano la merenda.
Malia guardava davanti a sé, sulla lapide “D’fhear cogaidh comhalltar siochain”.
Scott le aveva spiegato il significato di quella frase La pace è garantita, ad un uomo preparato per la guerra. Era un detto celtico ed era stato Deaton stesso a pronunciarlo quando una sfida, durante l’ultima battaglia che avevano dovuto affrontare, sembrava sempre troppo grande da poter essere affrontata. Così era stato per ogni nuovo pericolo, pensò Malia, finché non andavano avanti e allora si presentava qualcosa di ancora peggiore, qualcosa che minacciava di strappargli via ancora di più. Come allora, anche adesso sarebbe servita la voce ferma e rassicurante di Deaton a guidarlo. Scott era perso, come lo erano tutti loro.
Malia prese coraggio e tirò fuori dalla borsa il diario di Talia Hale. Dapprima lo sfogliò, posando lo sguardo qua e là tra le pagine.
Talia – si rese conto Malia – non descriveva giorno per giorno ogni avvenimento, ma annotava solo i fatti più rilevanti, accompagnandoli ai suoi pensieri. Era una donna molto arguta e diligente, di questo Malia non aveva mai dubitato ma leggere le sue riflessioni più intime l’aveva messa di fronte alla certezza di quale grande donna e alpha fosse stata.
Poi Malia aprì alla prima pagina.
Il diario di Talia Hale del 1997 iniziava così “Ricordo ancora, come se fossero passati solo che pochi attimi, la frase che mi disse mia madre quando non ero che una bambina”.
Malia proseguì, con interesse crescente, cercando di ignorare l’imbarazzo per violare un qualcosa di tanto intimo di una persona che non avrebbe gradito una tale intrusione tra i suoi pensieri.
Come la prima volta che aveva dato una sbirciata tra quelle pagine di una memoria passata, ritrovò ancora una volta quel nome che, fin da subito, aveva catturato la sua attenzione.
Alcune volta nascosto da nervosi segni di penna, altre volte sottolineato o cerchiano, il nome di Claudia tornava a presentarsi più volte nei ricordi di Talia Hale.
Malia si sfiorò il ventre con la punta delle dita, la fronte corrucciata.
Che ruolo poteva mai avere avuto la madre di Stiles nella vita di una Hale?


***

Stiles odiava il lavoro da scribacchino. Purtroppo essere il Vicesceriffo comprendeva anche questo. Si trovava nell’ufficio dello Sceriffo Parrish per compilare i fascicoli sulla strage dei Rollers Beacon che, per la cronaca nera, erano diventati i The gutted Rollers (ndt. I Roller sbudellati). Eppure Stiles non aveva nessuna intenzione di perder tempo con simili affari burocratici quando aveva affari più importanti da sbrigare.
Insieme a lui, l’agente Jonas, dall’altra parte della scrivania dello Sceriffo faceva il grosso del lavoro compilando al computer i fascicoli a nome del Vicesceriffo Stilinski.
Dal canto suo, Stiles era occupato più a raccogliere informazioni sulle sparizioni di bambine da lì a dieci anni prima, comprendendo Beacon Hills e tutte le altre città nel raggio di trenta chilometri. Stiles era cosciente del fatto che così si sarebbe trasformata in una ricerca infinita, un lavoro enorme per una sola persona, eppure doveva tentare. Doveva sapere da dove proveniva quella bambina; chi lei fosse, se avesse genitori a cui restituirla alla fine di tutta quella storia. Se fosse riuscito a risalire almeno alla data della sua scomparsa forse sarebbe riuscito a snodare alcuni fili di quell’intricato mistero.
Martha Jonas lanciava occhiate curiose alla ricerca che aveva intrapreso il Vicesceriffo già da qualche ora.
«Dobbiamo finire il lavoro entro sta sera» la redarguì Stiles con un sospiro, massaggiando le palpebre stanche, «Il prima possibile, possibilmente».
Non era la prima volta che l’agente Jonas si occupava di redigere documenti che spettavano al Vicesceriffo, ma era brava e portata per questo genere di cose, Stiles era certo che avrebbe fatto un ottimo lavoro, come sempre.
Sorseggiò il caffé che la sua sottoposta gli aveva portato, mentre la guardava sorridere con quella sua solita aria da ragazza ingenua.
«Ha impegni questa sera, Vicesceriffo?» gli chiese.
Stiles inarcò le sopracciglia e rispose: «No. Ho il solo desiderio di tornare a casa da mia moglie e da mio figlio quanto prima».
«Ha davvero una bella famiglia» commentò l’agente Jonas.
Stiles le mostrò un’espressione ovvia, «Sì, ne sono al corrente. Ora finiamo il lavoro».
Martha arricciò il naso «Ha l’aria stanca, Vicesceriffo. Vuole un altro caffé?».
«No, grazie. Voglio solo...», ma Martha lo interruppe ancora.
«Oppure qualcosa per rilassare i nervi» ridacchiò la giovane facendo un veloce occhiolino, «Se ne ha bisogno lo sa, io rimarrò muta come un pesce».
Stiles strinse le labbra intuendo dove volesse andare a parare l’agente Jonas: «Se ti riferisci alla scorsa mattina, quando mi hai visto bere sul posto di lavoro - sì, lo ammetto ho bevuto in servizio, non mi nascondo - sei stata testimone della conclusione di un mese davvero pesante. Lo Sceriffo Parrish è al corrente dei miei errori, perciò gradirei che tenessi per te le tue insinuazioni».
«Ricevuto» sorrise la ragazza, mentre il gelo calava nell’ufficio dello Sceriffo. Stiles era a disagio, non solo per quello che lei le aveva appena detto, ma in particolare per l’atteggiamento vizioso che aveva assunto. L’agente Jonas non si era mai comportata così, prima. Si era sempre mostrata come una ragazza timida e rispettosa e quel repentino mutamento nei modi di fare mise Stiles in allarme.
Era chiaro come il sole che qualcosa non andava e Stiles si sentì d’un tratto confuso, assonnato persino e la realtà perse i suoi contorni definiti. Aveva una sensazione strana ma non riusciva a ragionare lucidamente.
Fissava Martha con cipiglio duro sentendosi, d’improvviso, il protagonista di un terribile incubo.
«Mi racconti di lei, Vicesceriffo» chiese Martha con voce suadente, sporgendosi un poco sulla scrivania.
Sembrava che volesse provocarlo, ma Stiles non ne capiva il motivo.
«Finiamo il lavoro, agente Jonas» disse e ancora quella sensazione di irreale lo colse e si sentì stordito.
Tutto attorno a lui si fece sfocato, il volto di Martha compreso.
«Mi parli della sua vita, Vicesceriffo. Come è arrivato fin qui?» mormorò l’agente, piano, in modo quasi sensuale.
L’unica cosa che riusciva a vedere con chiarezza erano le labbra della donna, piene e rosse e Stiles si chiese da quando la sua sottoposta avesse delle labbra del genere.
Faceva fatica a mantenere l’attenzione, i suoi occhi minacciavano di chiudersi, ma le labbra della donna continuavano a parlargli, perciò iniziò a rispondere.
«Come sono arrivato qui?» ripeté Stiles, smarrito.
«Doveva diventare un grande detective. Entrare nell’F.B.I., persino. E invece è finito qui, dove tutto il suo talento è buttato alle ortiche».
Stiles ridacchio «Il mio talento? L’F.B.I.?» un sorriso sornione si allargò sul volto dell’uomo.
«Storia vecchia» masticò, la voce impastata.
«Ma era il suo sogno. Sua moglie lo ha infranto?» chiese Martha, gli occhi luccicanti come a voler insinuare chissà che cosa.
Stiles rise, «Malia? Oh, no. Non direi.
«Sono riuscito a resistere solo due anni senza di lei, all’università. Al secondo anno ho iniziato a lavorare in un fast food e a mettere i soldi da parte per prendere un appartamento e lasciare gli alloggi studenteschi. Ho mangiato carne in scatola e sardine per tre mesi ma ci sono riuscito. Quando ho chiesto a Malia di raggiungermi lei è arrivata il giorno dopo, con uno zainetto in spalla e un solo paio di scarpe. Pensava che fosse temporaneo, invece la sera stessa le chiesi di venire a vivere con me. Quell’appartamento era una topaia, un buco in mezzo alla città, ma noi ci stavamo bene. Il mio piano era di finire gli studi, sposarla e andare a vivere insieme a San Francisco dove avrei iniziato la mia carriera nell’F.B.I. Era il mio sogno, come lo era anche Malia. Ma lei aveva sempre avuto il primato su tutto questo, anche quando ancora non me ne rendevo conto. Per questo non funzionò. Malia non sarebbe stata felice in una città come San Francisco. Lei aveva bisogno di Beacon Hills, delle sue foreste, dell’aria frizzante e dell’odore di terra umida e del verde che si respirava per le strade. Non era felice neppure nell’appartamento che condividevamo, seppure non lo fece mai dare a vedere. Lo aveva arredato con piante e fiori, ma non era sufficiente. Niente lo sarebbe stato.
Poi c’era il resto del branco. Eravamo tutti distanti, divisi. Scott aveva un futuro a Seattle, Parrish si sarebbe fatto trasferire in qualsiasi dipartimento di polizia della città in cui Lydia avesse voluto andare a concludere la specializzazione. Ma alla fine siamo rimasti tutti qua. Nessuno di noi ha rincorso i propri sogni. Malia aveva ragione: c’è qualcosa di più importante; il branco è più importante.
E questo va bene perché vuol dire che mia moglie mi conosce. Perché sa che, nonostante tutto, ho sempre voluto questo dalla vita. Non lasciare nessuno indietro. Neppure me stesso».
L’agente Jonas sogghignò come se non stesse aspettando altro che Stiles sciogliesse la lingua a quel modo.
«Quindi pensa di avere una moglie felice, Vicesceriffo?».

***

«Allie?» chiamò a gran voce Lydia dalla sala da pranzo per farsi udire da sua figlia. Mise via il libro di cultura celtica e guardò l’orologio da polso per rendersi conto se poteva continuare le sue ricerche o doveva iniziare a preparare la cena.
Da quando avevano ritrovato Adam, Lydia aveva compreso che continuare a tradurre la Profezia era divenuto oramai inutile. Al contrario, riteneva di importanza rilevante capire cosa avrebbe comportato il Controllo della Luna se il Darach fosse riuscito a raggiungere il suo obiettivo.
Da quel che Lydia aveva estrapolato dalla Profezia, aveva compreso che sarebbe servito il sacrificio di tre Chiavi per dare inizio al Controllo della Luna e che esso avrebbe portato distruzione, avrebbe reso il loro mondo diverso da quello che conoscevano ora.
Tutto sarebbe cambiato e Lydia non faticava a credere che lo avrebbe fatto in peggio.
«Allison?» la chiamò ancora Lydia, spostando la sua attenzione su un altro volume e percorrendo velocemente con gli occhi l’intero indice in cerca di qualcosa che le potesse tornare utile.
Stava diventando difficile staccare Allie dai suoi disegni, pensò Lydia. Aveva cercato di non interrompere mai il suo flusso creativo, di non riscuoterla mai come se fosse una sonnambula persa in uno dei suoi sogni. Aveva ragione Malia, quei disegni provenivano da un potere che spingeva per venir fuori, di fluire oltre gli argini come il fiume straripa oltre le proprie sponde.
Lydia si lasciò andare a un lungo sospiro, quando in cucina entrò Jordan con un largo sorriso rassicurante. Forse era sciocco ma si sentiva più tranquilla quando anche lui era a casa , al suo fianco.
«Prepariamo la cena, tesoro» chiese Jordan, arrotolandosi le maniche della camicia.
Lydia annuì distrattamente, concentrando l’attenzione sul titolo di un capitolo del libro: “La Luna nel mondo Celtico”.
Sfogliò le pagine, fino a raggiungere il paragrafo che la interessava.
«Potrei preparare i miei fantastici maccheroni al formaggio. Allie impazzirà, è da tanto che non li mangia», disse soddisfatto, per poi guardarsi attorno con aria smarrita, «ma dov’è Allie?».
«Di là», rispose Lydia, vaga, per poi fargli gesto con la mano di avvicinarsi: aveva trovato qualcosa.
«Leggi qui» mormorò in un soffio.
Jordan si sporse oltre la spalla della moglie per leggere e Lydia gli indicò il punto in questione, il quale riportava che erano tre le fasi lunari che i Druidi veneravano: la luna piena, la luna calante o crescente e la luna nuova.
«Tre fasi di luna» mormorò Lydia, la fronte aggrottata, prese a cercare tra i libri e i fogli sparsi per il tavolo.
«Ho bisogno di un calendario lunare», disse con voce trafelata.
«Cosa succede, Lyds?» chiese Jordan, senza comprendere cosa stesse mettendo tanta agitazione a sua moglie.
«Il Darach ha preso Adam quando c’era la luna piena» disse la Banshee.
Jordan annuì, senza però capire dove volesse andare a parare.
«Nella Profezia c’è scritto che le Tre Chiavi apriranno ognuna una parte di luna. Così abbiamo pensato che il Darach...»
«Avrebbe attaccato ad ogni luna piena» concluse Jordan per lei, mentre nei suoi occhi si faceva strada un senso di comprensione.
«Una parte di luna» ripeté insistentemente Lydia, portando davanti a sé un foglio di giornale su cui erano riportate le fasi lunari del mese «Devono essere queste le parti nominate nella Profezia, Jordan, quelle venerate dai Druidi: la luna piena, l’ultimo quarto di luna e la luna nuova. Le tre Chiavi aprono rispettivamente queste fasi lunari».
«Lydia» mormorò Jordan, portando il dito dove c’era l’immagine dell’ultimo quarto di luna, «è questa notte».
Per Lydia fu istintivo guardare fuori dalla finestra, dove una luna tagliata di netto a metà le restituiva uno sguardo malinconico.
«Caleb potrebbe essere in pericolo» si agitò la donna, saltando sul posto, «Prendi Allie. Io chiamo Scott. Andiamo all’ospedale, saranno di certo lì».
«Dov’è Allie?»
«In camera sua» rispose scocciata, come se Jordan non comprendesse il pericolo che stavano correndo se l’intuizione di Lydia fosse stata corretta.
«No», ringhiò l’uomo, mentre il colore dei suoi occhi si fece di un arancio infuocato.
«Che vuol dire? Sta in camera sua, sta disegnando» boccheggiò Lydia, aggrappandosi all’avambraccio del marito, «Che hai? Ma cosa ti succede? Mi stai spaventando».
Come un lampo che squarcia il cielo plumbeo, tutti i tasselli del puzzle trovarono un senso nella testa di Lydia.
Le tre fasi di Luna, le tre chiavi che le aprivano.
“Allie ha una Banshee e un Mastino Infernale come genitori, non penso che questo sia un caso”, così aveva detto Malia, quella mattina.
Le Chiavi sono qualcosa di unico, aveva più volte cercato di spiegare al branco.
“In lei scorrono anche i poteri del Mastino Infernale. Allie è diversa da te. È diversa da qualsiasi altro essere soprannaturale sia mai esistito”.
Ecco che la sua visione, la prima e la più ricorrente, le fu chiara: lei e Jordan, Scott e Kira, Malia e… Peter Hale. Non Stiles. No, perché Stiles era umano.
Loro avevano permesso che le Chiavi venissero alla luce.
“Non c’entra la genetica. Qui stiamo parlando di Soprannaturale”.
Le gambe di Lydia tremarono e minacciarono di cederle mentre si precipitava nella cameretta di sua figlia, vuota.
La finestra aperta, le tende rosa che si muovevano gonfiate dalla brezza notturna. Un grido strozzato sfuggì dalle labbra di Lydia che riecheggiò, disperato, per l’intera casa: «Allison!»

***

«Malia non ha mai voluto figli. Io sì. Io ho insistito così tanto...».
Stiles aveva la voce affaticata, si stropicciò gli occhi con aria assonnata.
«Perché ti sto dicendo tutto questo?» mormorò, socchiudendo le palpebre.
Faticava a mantenere l’attenzione, un forte mal di testa pulsava contro le sue tempie. Cercava di fissare lo sguardo sull’agente Jonas ma lei appariva sempre più distante e sfocata.
In un attimo di lucidità Stiles si rese conto di essere stato drogato.
«Cosa diavolo ci hai messo in questo caffé?» sbottò, digrignando i denti, seppur mantenendo gli occhi semichiusi.
«Nulla, Stiles» mormorò Martha, «Non c’è niente in quel caffé. è la mia voce che ti sta guidando»
«Mi trovo dentro ad incubo, per caso?»
Martha sorrise, maliziosa «Lei è davvero un grande detective». Non vi era sarcasmo nel tono della donna, anzi sembrava essere piuttosto soddisfatta.
«Quand’è che mi sono addormentato?» farfugliò Stiles, guardandosi attorno sulla scrivania.
Cercò il cellulare: voleva chiamare Malia, avvisare il branco. Si sentiva in pericolo. Ma non vedeva con chiarezza e seppure la sua mano vagava sulla superficie alla rinfusa, tastando fogli e penne, non riuscì a trovare quello che cercava.
«Sua moglie» Martha Jonas parlò ancora e l’attenzione di Stiles fu catturata un’altra volta dalle sue labbra piene e rosse.
Stiles annuì «Sì, mia moglie… Malia non voleva figli. Temeva di non essere in grado ad essere una mamma, che le mancasse quell’istinto necessario per amare incondizionatamente, come così era stato per sua madre. Non le ho mai detto nulla, ma ho sempre pensato che volersi privare di qualcosa di tanto importante come un figlio, per paura di non riuscire ad esserne all’altezza, sia già una grande dimostrazione d’amore. E, infatti, quando arrivò Jamie Malia, primi mesi, lo tenne sempre stretto al suo petto, giorno e notte in braccio. Lo guardava meravigliata come se non riuscisse a credere che lei avesse davvero compiuto un miracolo simile. E me lo chiedeva quasi ogni sera "Lo abbiamo fatto noi? è davvero nostro?"
E solo io potevo prenderlo in braccio, oltre lei. Non faceva avvicinare nessun altro».
«Tu sei il suo punto debole» disse l’agente.
Stiles annuì, in trance.
«Quel bambino è il punto debole della donna coyote».
La testa di Stiles si mosse ancora una volta e Martha Jonas sorrise ferina.
Allora si sporse oltre la scrivania, i suoi occhi verdi come veleno ad annebbiare la mente dell’’uomo.
«E lei, Vicesceriffo? Lei è felice accanto ad una donna del genere? Ad una donna che non le ha mai permesso di essere un eroe. L’ha resa una donzella in difficoltà, un uomo inutile senza sua moglie accanto per difenderlo».
Stiles sbatté le palpebre con una smorfia di rabbia sul viso.
«Sei tu… Il Darach sei tu...», mormorò, la voce sofferente per la fatica di restare lucido. Ma ragionare per lui non era mai stato così difficile, mentre cadere nei tranelli psichici della donna era semplice come respirare.
Martha gli rivolse un’espressione delusa.
«Il tuo Alpha. Parlami di Scott».
Le labbra di Martha erano rosee, piene e provocanti. Arrossate, proprio come diventavano quelle di Malia dopo che lui le aggrediva con lunghi baci appassionati.
Ed erano anche morbide come quelle di Malia.
Stiles non se ne era accorto, ma tra lui e l’agente Jonas non vi era più la scrivania a dividerli. Lei stava davanti a lui e le sue labbra erano poggiate sulle sue.
Eppure doveva per forza trattarsi di un incubo, perché soltanto in un contesto irreale poteva baciare qualcuno che non fosse Malia. 
Stiles non riusciva a muoversi e neppure spingere via la donna come avrebbe voluto fare. 
Cercò di tirare via la testa ma niente, il suo corpo non rispondeva ai comandi. Con gli occhi vagò per l’ufficio in cerca di qualche appiglio per liberarsi e fu allora che si rese conto che la porta dell’ufficio si stava aprendo.
«Stiles...».
Lì impalata a guardarli c’era Malia. Il volto incredulo e ferito lasciò subito il posto ad una maschera imperscrutabile.
L’interruzione fu efficace, la malia si spezzò e Stiles riacquistò il controllo del proprio corpo, allontanando subito l’agente Jonas con impeto.
«Malia» boccheggiò Stiles, percependo l’intero corpo formicolare, «Malia, io...».
Lo sguardo di Malia si spostava dall’agente Jonas a Stiles, lentamente, come se cercasse in tutti i modi di controllarsi. Il suo volto era esangue.
«Lei… è il Darach. è lei» tossicchiò Stiles, puntando il dito contro l’agente.
Martha Jonas, in un sibilo, mutò davanti ai loro occhi, la sua pelle si fece scura e priva di consistenza. Come un’ombra si dileguò passando dalla finestra dell’ufficio.
Stiles boccheggiò: «L’hai visto anche tu, vero?».
Ma Malia non parlava, era rigida sul posto e Stiles per un momento temette che si stava sentendo poco bene.
Si alzò dalla scrivania per andarle in contro e sorreggerla, se necessario.
«Ha preso il controllo della mia mente, Mal. Davvero, io… Non avrei mai fatto una cosa del genere, lo sai, non è vero?» supplicava.
Stiles vide la fine scurire gli occhi di sua moglie. Non gli credeva, era evidente che stava pensando che le stesse mentendo. L’aveva delusa, tradita.
Poi socchiuse gli occhi e disse: «Ti stavo cercando. Allie...» si interruppe.
Stiles provò ad avvicinarsi ma Malia non glielo permise.
«Dobbiamo andare nella foresta» cercò di spiegare, «Allie...».
«Fammi spiegare. Per favore. So quello che stai pensando, ma non è così. Se solo mi fai parlare...» la pregò Stiles, cercando di toccarla, poggiare le mani sulle sue spalle.
Malia lo fermò, afferrandogli i polsi.
«Allie» ripeté, decisa.
Lo guardò e Stiles comprese.
«Allie?» ripeté, sconcertato.
Malia si limitò ad annuire, poi si voltò


***

Il Beacon Hills Memorial Hospital non le era mai sembrato tanto silenzioso. La notte era calata e con lei anche il silenzio. Nel cielo una luna tagliata di netto a metà.
Kira entrò all’interno dell’ospedale ma nulla sembrava essere cambiato. Le infermiere erano sedute alla reception, pronte ad affrontare il turno di notte e dottori giravano per l’atrio, chi andando verso gli ascensori e chi pronto a lasciarsi la giornata di lavoro alle spalle.
Nulla era cambiato, a parte Kira. Era lei ad essere diversa.
Si diresse verso le scale, una giovane infermiera provò a fermarla avvertendola che l’orario di visita si era concluso da tempo, ma Kira la ignorò. Molti colleghi di suo marito l’avevano già riconosciuta. Nessuno provò più a fermarla.
Aveva una mezza idea di come doveva apparire a occhi esterni: era sporca di terra rossa, sudore e sangue, arrancava con difficoltà sulle proprie gambe esauste e le sue braccia reggevano ancora per miracolo Matty, il quale piagnucolava con occhi spalancati e tristi. Assomigliava a una sopravvissuta a una catastrofe.
Notava i dottori e le infermiere fermarsi a guardarla al suo passaggio, bisbigliando tra di loro con la mano davanti alla bocca.
Raggiunse il reparto di terapia intensiva ma non ebbe bisogno di chiedere in quale stanza dovesse entrare, l’istinto la stava guidando da Adam.
La camera era in penombra, l’unica fonte di luce - una lampada al neon che sfarfallava in continuazione - era troppo distante dal letto perché Kira potesse vedere il volto del bambino da quella distanza.
Non era presente nessun altro. Adam era solo, coperto dalle leggere lenzuola color carta da zucchero.
Allora Kira pensò a Scott, chiedendosi perché non fosse lì con lui.
Si sedette sulla sedia accanto a letto e sentì le ossa dolere e i muscoli tirare.
Il profilo incosciente di suo figlio fu l’ultimo particolare che la fece crollare. Pianse, singhiozzando e stringendo a sé Matty.
Adam aveva l’espressione serena ma non sembrava stesse dormendo. No, Adam non era così quando dormiva, Kira lo sapeva bene: non stava fermo un momento, si girava e rigirava, faceva espressioni buffe arricciando il nasino e digrignando i denti; sbuffava nel sonno e trovava le posizioni più assurde.
Kira aveva il cuore spezzato ma sapeva che non aveva tempo per piangere il suo dolore.
Passi frenetici giunsero dal corridoio, poi una donna entrò con impeto nella stanza.
«Mi ha chiamato l’Ospedale e sono corsa qui all’istante. Non potevo crederci, pensavo si fossero sbagliati e invece sei tu e stai bene» boccheggiò Melissa abbracciando Kira.
«Al telefono mi hanno detto che avevi bisogno di aiuto, che non sembravi stare bene» soffiò, scrutandola «Cosa ti è successo? Ti hanno fatto del male? Il Darach...»
«No» la bloccò Kira sul nascere «Il Darach non c’entra, questa volta»
«E allora cosa ti è successo? Dove sei stata?»
«Devo andare a cercarlo. Devo trovare il Darach, riportare indietro Adam»
«Adam è qui»
«No» singhiozzò Kira «Lui non c’è più»
«Devo… devo almeno provare. Posso combatterlo» dichiarò
«Kira...» Melissa cercò di scegliere le parole più adatte «c’è un motivo per cui Scott non è qui».
Kira trattenne il respiro pensando che gli fosse capitato qualcosa di brutto.
«Allie è scomparsa. Sono tutti nel bosco, adesso. La stanno cercando».
Kira alzò lo sguardo e oltre le spalle di Melissa vide, fuori dalla stanza, che Noah attendeva nel corridoio tenendo Jamie e Caleb.
Melissa allungò le braccia verso di lei e Kira le lasciò Matty. Poi corse via, fuori dall’ospedale, verso la foresta.

***

Scott sudava freddo, mentre pestava l’erba umida del sottobosco. Sentiva il lupo lottare per venire alla luce ancora una volta. Cercò di reprimerlo, ma la sua furia era al limite.
Si controllava o, almeno, provava a farlo per Lydia, aggrappata a lui.
Camminavano in silenzio, Malia avanti a loro, Stiles poco dietro.
Scott si voltò a guardare l’amico. Aveva il capo chino ma spesso lo colse a guardare Malia di sottecchi. Il suo cuore batteva forte e irregolare. Era successo qualcos’altro, intuì Scott, ma quello non era il momento adatto per parlare.
Tutti loro sapevano dove dirigersi: il Nemeton li attendeva.
Jordan li aveva preceduti. Il Mastino Infernale aveva preso il sopravvento e segnato loro la strada: il fuoco aveva incenerito laddove Cerbero era passato.
Arrivarono nello spiazzo e lei fu la prima che Scott vide: Kira, il corpo e il viso ferito, i vestiti sporchi, la katana sguainata con la punta poggiata a terra presagiva già la loro nuova sconfitta.
Si bloccò, il tempo di un secondo, si concesse solo quello perché Kira non lo guardava, bensì era rivolta verso quel che non potevano più cambiare.
Il Mastino Infernale era seduto sul tronco mozzato del Nemeton, le fiamme ardevano alte dal suo corpo. Jordan piangeva, rannicchiato su se stesso.
Poi si alzò e a tutti fu visibile che tra le braccia stringeva dolore. Il corpo di Allie pendeva inerte e vuoto.
 





   
 
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