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Autore: Lost In Donbass    08/08/2019    1 recensioni
Spaccone, arrogante, attaccabrighe, Denis non ha niente che non sia la sua voce meravigliosa e l'ottima prospettiva di capitanare la sua band nel mondo del metalcore. Peccato che per adesso sia solo un bullo di periferia qualunque vittima dell'alcol, delle sigarette e del sesso facile.
Sasha, al contrario, pensa troppo. Depressa, anoressica, inquietante, desidera follemente la storia d'amore che nessuno sembra in grado di darle.
Però poi si incontrano, ed è subito amore.
Ma come possono due ragazzi così persi ritrovarsi nella periferia violenta di Omsk, quando tutto sembra lottare per separarli? E soprattutto, quando ormai hanno superato il punto di non ritorno?
Genere: Angst, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Universitario
Capitoli:
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CAPITOLO SEI: KISS ME COSSACK

All the things that you are, beautifully broken,
Alive in my heart, and know that you are everything
Let your heart sing and tonight
We'll light up the stars

[Goo Goo Dolls – All That You Are]
 
Denis era felice. Anzi, no, felice era troppo poco: era esaltato. Il concerto che la sua band aveva appena tenuto in apertura dei Louna era stato, a suo parere, un successo. Non avrebbe mai creduto possibile che sarebbe stato lì, a capitanare i My Girlfriend’s Depressed di fronte a uno stadio pieno che applaudiva e saltava quando lui abbaiava “jump” nel microfono. Il suo sogno, finalmente sembrava essere sul punto di avverarsi. Un concerto. Uno vero, nello stadio di Omsk, a cantare le sue canzoni, a urlare l’anima, a saltare, a strillare, a vedere la gente reagire entusiasta alle sue parole. Non riusciva ancora totalmente a crederci. Lui, Denis Shostakovich, il ragazzo ucraino con problemi di contenimento della rabbia, lui, aveva attizzato la folla in delirio. Lui. Un buono a nulla totale che forse allora così buono a nulla non lo era. Lui. Il nuovo eroe generazionale.
Era finito anche il concerto dei Louna e loro erano usciti, sudati marci ed esaltati come non mai ma Denis, in quel momento, aveva occhi solamente per Sasha. Sasha che li aspettava pacificamente in un angolo, i capelli un po’ spettinati, segno che l’headbang non l’aveva lasciata indifferente, e un sorriso pallido dipinto sul visino smunto.
Lui le corse incontro e l’abbracciò stretta
-Hai visto, Sashen’ka?
-Siete stati eccezionali, Denisoch’ka! Tu sei stato meraviglioso. E il concerto … siete stupendi.
Lei ricambiò l’abbraccio e nascose il viso nella spalla di lui. Era sudato e puzzava, ma a lei non importava poi molto. Gli bastava averlo vicino, sentirlo accanto a sé, e averlo visto lì su quell’enorme palco le aveva scaldato il cuore. Le era sembrato così felice, così a posto con sé stesso, così convinto mentre cantava a pieni polmoni le sue canzoni che parlavano di depressione e anoressia. Aveva pianto un pochino quando lui aveva cantato quel pezzo “girl, are you really sure that not eat is the answer?” perché ci aveva messo una tale dolcezza in mezzo a tutto quel metalcore folle e scatenato da far commuovere. E adesso lui era lì, da lei. Da Sasha, la sfigata, anoressica, depressa, Sasha.
-Hai voglia di fare un giro, dolcezza?- le disse lui, allontanandola da sé ma senza lasciarle andare le spalle gracili.
-Dove vuoi andare?
-Non lo so. Hai presente “E’ nata una stella”? Facciamo come loro, andiamo a prenderci da mangiare in un 7-11 e poi giriamo sino al mattino.
Lei sorrise e lui anche.
Lei lo abbracciò di nuovo e lui ricambiò.
Poi, silenziosi come dei gatti, si presero a braccetto e scivolarono nell’oscurità. Denis, ancora, non riusciva a crederci. Perché per la prima volta in vita sua sembrava andare tutto bene. Aveva trovato un’amica vera, si era esibito in concerto come nei suoi sogni e adesso … adesso sembrava che la sua rabbia storica si stesse placando gentilmente sotto gli influssi di lei. Lei. La sua salvezza. La sua redenzione. La sua amica.
Per Sasha, invece, sembrava ancora tutto un sogno meraviglioso. Essere lì, con lui, essere amata, cercata, coccolata da un ragazzo caduto dal cielo, era tutto troppo bello per essere vero. Era tutto come nei suoi romanzi d’appendice. Era tutto come nei suoi sogni.
-Com’è essere lì sul palco, Den?
-Eccezionale. Io … non ci posso ancora credere. Ho suonato nello stadio. E quella gente saltava sentendo le mie canzoni. E io ero lì e … dio.
Lui le passò un braccio attorno alle spalle e lei rise, abbracciandolo con forza. Anche la luna sopra di loro sembrava sorridere a quei due ragazzi che stavano trovando loro stessi negli occhi dell’altro.
Cominciarono ad avviarsi per le strade bagnate dalla luna, in silenzio, stretti uno all’altra per non lasciarsi andare perché potevano essere i ragazzi più soli del mondo ma adesso che erano insieme erano tornati forti. Lui trovava in lei la calma che gli era sempre mancata, lei trovava in lui il sorriso che aveva perso anni e anni prima. Così continuarono per la loro strada, senza guardare veramente bene dove andavano, tenendosi a braccetto, gli occhi persi nel cielo stellato di Omsk, sigarette tra le dita e la voglia di rivalsa a luccicare nei loro visi pallidi. Per la prima volta in vita loro, stavano bene. Anche se erano stanchi, persi, talmente diversi, standosene vicini ad attraversare il ponte sul fiume sapevano di essere a posto con loro stessi. Bellissimi nelle loro imperfezioni, perfettamente giusti nei loro errori, non avrebbero lasciato che la maledetta Siberia li divorasse – adesso, adesso erano pronti a combattere fianco a fianco, schiena contro schiena, lui contro l’anoressia di lei, lei contro i demoni di lui.
Guardarono il fiume Irtys che lento scorreva sotto di loro, con la luna e le stelle riflesse dentro, e Denis pensò che un giorno avrebbe insegnato a Sasha a nuotare. L’avrebbe tenuta stretta per la vita e avrebbero sguazzato nel Mar Nero, poi lui si sarebbe messo a nuotare e lei gli si sarebbe ancorata alle spalle, lasciandosi trascinare. Poi lui l’avrebbe presa per mano e pian pianino anche lei avrebbe imparato a stare a galla da sola, come un silfide, come una nereide ferita. Era così bella, pensava il ragazzo, guardandola di sottecchi, con quei capelli biondissimi, quel viso smunto, quegli occhi così dannatamente verdi da fare male, quella pelle pulita e appena spolverata da un velo di lentiggini.
-Cosa vuoi fare, dolcezza?- chiese, spezzando quel silenzio quasi sacro che era calato tra loro. Ma lui era un profano, era quello che bestemmiava al cielo, era il bastardo che non aveva religione e nemmeno dei.
-Camminiamo, Denisoch’ka. Camminiamo fino alla fine del mondo.- disse lei.
Poi si voltò e lo prese per mano, intrecciando le loro lunghe dita. – Oppure fammi ballare.
-Non so ballare, Sashen’ka.
-Allora stringimi come se non dovessi più lasciarmi andare e poi andiamo a piedi fino alla fine della Siberia.
Lui obbedì, e la strinse forte a sé, lasciando che lei si aggrappasse alle sue spalle e rimasero così, stretti, col vento gelido della notte a scompigliare loro i capelli.
Erano entrambi così stanchi, così stanchi, ma lui aumentò la presa su di lei e la sollevò quasi da terra, per sentirla più vicina, per sentire il suo profumo di vaniglia.
-Andiamo in Ucraina, Sasha. Prendiamo il primo aereo e torniamo in Crimea.
-Sì, Denis, sì, andiamo.
-Laggiù è diverso. Saremo in Europa. Saremo più vicini a Parigi. Ti insegnerò a nuotare. Ad andare in bicicletta. A mangiare.
-Fallo, allora. Facciamolo. Andiamo.
Nessuno dei due, però, fece nulla, troppo disperati, troppo spaventati da quello che stava loro succedendo, troppo sconvolti dalla piega precipitosa degli eventi. Lui voleva portarsela via, altroche e lei voleva scappare con lui ma era ancora presto, dannazione, ancora così tanto presto, erano ancora bambini e già volevano scappare, erano due anime perse che sapevano di non poter fuggire ma che sognavano, sognavano così tanto di potersi salvare da quell’incubo che era la loro vita. Ma, di nuovo, nessuno dei due fece nulla.
-Sono stanca, Den.
-Anche io, dolcezza.
Denis le sollevò il viso con un dito e le sorrise, con uno di quei suoi sorrisi meravigliosi che avrebbe fermato un uragano.
-Hey, ragazza. Guardami. Va tutto bene. Un giorno ce ne andremo. Un giorno tornerai a mangiare come si deve.
-E tu un giorno imparerai a vedere le cose con calma.- chinò il capo – Andiamo fino alla fine del mondo a piedi, allora?
-Magari fino alla fine del mondo no, ma fino a quel 7-11 laggiù sì.
Lui rise e lei rise più forte.
 
-Den, sei ubriaco.
-No …
-Den …
-Un pochino. Ma non troppo. Non …
-Andiamo a dormire, io sono stravolta e tu non ti reggi in piedi.
Lei scoppiò a ridere, mentre lui barcollava visibilmente, la bottiglia di vodka vuota ancora in mano e un sorriso ebete stampato sul viso. Avevano passato la sera a bere e a bighellonare sul lungo fiume, cantando a squarciagola qualche vecchia canzone degli Sleeping With Sirens, bevendo e ridendo al cielo notturno e Sasha si era sentita così leggera, così contenta di essere lì a braccetto con Denis, così libera dalle sue catene. Si stava forse innamorando di lui? Non lo sapeva, ma decise che se quello era amore, allora era la cosa più bella del mondo. Non profumava di fiori d’arancio, non era stucchevole, non era arrabbiato, non era nulla di quello che leggeva nei suoi romanzi: era qualcosa di melancolico, che sapeva di sale, di mare anche se non l’avevano mai visto, che profumava di vodka e aveva in sottofondo dei breakdown distruttivi. Era amore metalcore, quello, che la gente comune non poteva capire.
-Andiamo in quel motel, Den, non ci arriviamo a casa così.
-Hic.- fu la risposta, seguita da un rumoroso rigurgito e da un paio di occhi annebbiati dall’alcol.
Lei scosse la testa e lo spinse delicatamente verso la porta di quel vecchio motel cadente.
-Sono … sono sobrio … possiamo … tornare a … casa … - biascicò Denis, cercando di bagnarsi le labbra con le ultime gocce di Stolychnaya.
-Sobrio, sì, certo. Attento!- lo afferrò prima che si spalmasse sulla porta a vetri del motel – Sei penoso, ragazzo ucraino.
Lui fece per ribattere ma in compenso cominciò a tossire.
-Vi serve una stanza?- la vecchietta incartapecorita nascosta dietro il bancone era emersa, squadrandoli da dietro gli occhialini a pincenez.
-Sì, grazie.
Sasha afferrò la chiave e spinse Denis verso il corridoio lurido, sporco di chiazze di vomito e di unto. Storse il nasino appena lentigginoso. Era un posto francamente penoso ma cosa ti potevi aspettare dalla più triste periferia di Omsk?
Infilò la chiave nella toppa e Denis barcollò pesantemente dentro la stanza, cadendo come un sacco di patate sul letto.
-Sono … sobrio …
-Den, smettila. Dovevi proprio berti una bottiglia di vodka da solo?- sbuffò Sasha, chiudendosi la porta alle spalle e trattenendo un conato a vedere la stanzetta lurida dove erano finiti. Era tutto così sporco, e così poco romantico. Romantico … come se lei sapesse il significato di quella parola. Come se lei avesse una vaga idea di cosa sia il romanticismo.
-Scusa … - Denis starnutì, e lei rise un pochino, a vederlo con quegli occhioni annebbiati. – Sasha … ti voglio bene …
-Anche io, stupido.- lei si chinò su di lui e gli tolse le scarpe e la maglietta sudata.
Arrossì a vederlo così, a torso nudo, ma lo spinse delicatamente sul letto.
-Dormi, adesso.
-Ma non ho sonno.
-Dormi, Denis, e smaltisci la sbornia.
Denis grugnì qualcosa ma si sistemò sul letto, rotolandosi un po’ prima di trovare la posizione. Sasha lo guardò, si tolse le scarpe a sua volta e si mise a letto con lui, nell’angolino. Aveva mai dormito con un ragazzo? No, mai, ma non le faceva effetto. Era Denis, dopotutto, il suo nuovo migliore amico. Veramente, Aleksandra Dmijtrievna Bazarova? Solo il tuo migliore amico?, le disse una vocina in testa che lei scacciò con un grugnito. Sì, al diavolo, per ora Denis era solo suo amico.
Il letto puzzava di muffa, e Denis sapeva di alcol e sudore, ma assurdamente Sasha si sentiva a posto con sé stessa. Anche quando sentì lui così terribilmente vicino, così caldo e affettuoso. Si voltò lentamente e incontrò quei grandi occhi ambrati che la fissavano, leggermente instupiditi dalla vodka.
-Sasha …
-Sì, Den?
-Ho freddo.
Lei sbuffò e gli aggiustò addosso la coperta un po’ sdrucita. E poi, lui la abbracciò, stringendola forte a sé. Lei rimase un secondo interdetta prima di ricambiare timidamente l’abbraccio. Rimasero qualche minuto in silenzio, stretti in quel letto lurido, i respiri che si fondevano, le fronti poggiate l’una contro l’altra finché lui non le mise una ciocca di capelli dietro l’orecchio e non sussurrò
-Sasha …
-Sì, Den?
-Ti amo.
Poi, con tutta la delicatezza del mondo, come se maneggiasse una bambola di cristallo, la baciò. Lei ci mise un attimo a realizzare, a capire di avere veramente quelle belle labbra sulle sue. Qualcuno la stava baciando. Qualcuno la voleva. E quel qualcuno era Denis, il cantante con problemi di contenimento della rabbia. Lui, che avrebbe potuto avere chiunque, aveva scelto lei, l’universitaria depressa e anoressica con i capelli troppo chiari. Si baciarono così, come due bambini spaventati dal temporale, stretti per non morire, si baciarono perché si erano riconosciuti nella devastazione, tra una canzone rock passata per radio e una bottiglia di vodka, eccoli lì, Denis e Sasha, che avevano cominciato ad amarsi di un amore metalcore, fondato sulla musica, sulla depressione, sulla voglia di fuga e sul bisogno di vedere il mare.
Si baciarono come fosse l’ultimo giorno delle loro vite, ma fu un bacio dolce, silenzioso, appena accennato, il bacio di due fantasmi soffocati dal cemento e dalla periferia, il bacio assurdo di due eroi generazionali che stanno tornando a casa.
-Denis … - sussurrò lei, quando si staccarono.
Ma ormai lui si era già addormentato, le braccia strette attorno alla vita di lei e un sorriso vago e infantile dipinto sul viso improvvisamente rilassato, come quello di un bambino.
  
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