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Autore: Cara_Sconosciuta    27/07/2009    7 recensioni
Per tutti quelli che hanno desiderato un sequel della mia long e non me l'hanno mai chiesto e anche per quelli che hanno amato la long senza volerne un seguito. Ma soprattutto per Karin.
Vent'anni dopo la fine della storia, la scuola per cui Kevin lavorava organizza una rimpatriata... sulle note dei Pooh, un incontro a lungo desiderato per tre uomini che ancora una volta, sono esattamente come fratelli.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Solo un pensierino per la mia 3 preferita che NON mi ha chiesto un sequel di “As if we were brothers” e che, perciò, se lo ritrova qui con un finale speciale tutto per lei.

Non chiedete, e vi sarà dato!!!

I Jonas Brothers non mi appartengono e la storia non è scritta a fini di lucro.

Temperance

 

Ancora una notte

Insieme

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Sapete, a volte il tempo quassù passa senza che uno nemmeno se ne accorga e ci sono dei giorni in cui desideriamo solo che ai nostri parenti e amici laggiù sia dato qualche anno in più, perché la vita non è come la morte e anche lo scorrere dei minuti si percepisce con sconcertante chiarezza.

Sono convinto che nessuno laggiù direbbe che sono morto da venticinque anni... e nemmeno io lo direi, ad essere del tutto sincero.

È che qui è diverso, appunto... e quando uno rimane un ventenne per tutta l’eternità gli risulta davvero difficile tenere il conto degli anni.

Se non fosse per i miei fratelli, credo l’avrei già perso da un pezzo... e invece io ho tre teste calde, lì sulla Terra, da tenere d’occhio.

Due fratelli naturali e uno, per così dire, adottivo le cui vite occupano tutte le mie giornate... e a cui qualcosa di davvero speciale sta per succedere perché, più difficile è dire addio ad una persone e più bello, infinite volte più bello è ritrovarla quando si pensava di non vederla mai più.

 

Devo andare via e porterò con me solo l’essenziale

Perché il mio progetto costruisce tutto sotto un altro sole

Se uno parte è perché non può più stare qui

Ma c’è ancora una notte insieme

Per poter dare ai fatti un nome che non sia fine

 

Joe si sedette sul letto di Nicholas, raccogliendo in una mano il morbido orsetto di peluche azzurro con cui suo figlio aveva giocato così tante volte e che altrettanto spesso lo aveva aiutato ad addormentarsi.

Davanti all’armadio vuoto giacevano, perfettamente chiuse e già pronte per essere gettate nella stiva dell’aereo, due grosse valigie rosse su cui spiccavano i cartellini bianchi con la scritta Nicholas Jerry Jonas II e il nuovo indirizzo a cui sarebbe andato ad abitare il mio primo nipote.

Quando Nick aveva annunciato a Joe e Liz, il giorno del suo ventesimo compleanno, di volersi arruolare in marina, i suoi genitori quasi non ci avevano creduto.

Poi era stata la volta delle domande, dei perché, dei per come e dei sei sicuro e il ragazzo aveva risposto a tutte egregiamente, spiegando ogni risvolto della sua decisione.

Voleva andare via per fare qualcosa al mondo, il mio nipotino, perché rimanere a Princeton e lavorare in un negozio o recitare per qualche regista famoso non gli sembrava abbastanza.

Voleva fare qualcosa, sì, qualcosa di concreto e per questo aveva deciso di partire, portando con sé solo quelle due valigie colore dell’amore e del sangue, nonostante tutti avessero fatto di tutto per fargli cambiare idea.

“Parto perché qui non c’è posto per me, perché voglio essere grande ed esserlo lontano da qui.” Aveva spiegato a Kevin, ravviandosi i capelli ricci e nemmeno lui lo aveva capito, in quel primo momento, ma non aveva ribattuto, perché la vita gli aveva insegnato fin troppo bene che capire tutto è impossibile e a volte bisogna semplicemente lasciarsi trasportare, senza farsi troppe domande, perché, prima o poi, le risposte arrivano anche da sole. “Papà e mamma non capiscono... non capiscono che io qui non posso fare niente di buono e che c’è un mare là che mi aspetta e dove sarò davvero in grado di combinare qualcosa. Ma lo vedranno, un giorno. Lo vedranno e saranno fieri di me.”

E forse Joe ed Eliza davvero non vedevano che loro figlio aveva deciso di cambiare il mondo e di farlo un passo alla volta, ma io credo che anche Nick non vedesse ciò che la sua decisione comportava.

Come l’insicurezza e la paura, perché la marina è sempre un corpo militare ed è estremamente facile rimanere feriti o peggio.

Oppure, più semplicemente, come la malinconia di vedere il proprio figlio, una parte della propria vita, una parte di se stessi, lasciare il nido e volare via verso posti e persone che nessuno conoscerà fino a che non saranno entrati a far parte della sua vita in modo completo e definitivo.

Facendolo sorridere e soffrire, come sempre avviene e come è giusto che sia.

E poi era cieco anche di fronte ad un’altra cosa, il giovane Nick.

Qualcosa che forse non si sarebbe mai aspettato, dai suoi genitori.

Eppure c’era, io lo so, perché nessuno conosce il vecchio Danger meglio di me e quello che leggevo nei suoi occhi ogni volta che spiegava a qualcuno la strada che il suo bambino aveva deciso di intraprendere non era altro che puro e semplice orgoglio.

Per questo Joe era seduto sul suo letto, quella sera, alla vigilia della sua partenza, con un orsacchiotto di peluche in mano e un grande sorriso in volto, per dirglielo, per fargli sapere quanto incredibilmente fiero fosse di lui e quanto quella notte, la loro notte, fosse importante per lui.

E anche un po’per dirgli che gli sarebbe mancato.

Beh... forse anche più di un po’.

 

Devo andare via senza avere niente da dimenticare

Perché nei ricordi abitano amori ed amicizie vere

Questa vita si arrotola e il tempo ci dà il potere di non sbagliare

Perché il tempo ci insegna quando

E da chi tornare

 

Christian scattò un’altra foto -forse la quinta, quella sera- al battello che, placidamente, accompagnava turisti di ogni nazionalità lungo tutto il corso di quella Senna costellata di luci colorate.

Amava l’estate parigina e, dopo vent’anni trascorsi lì, gli sembrava quasi innaturale pensare che il giugno successivo non sarebbe più stato sulla sponda a guardare quel barcone bianco che, oramai, faceva parte delle sue giornate quasi quanto la scuola e la sua famiglia.

“Hai già riempito quasi un Giga di memoria con quelle immagini... quante ancora ne vuoi scattare, prima di partire?” Domandò una Monique dai capelli insolitamente corti, stretta in uno scialle leggero a causa della temperatura insolitamente fresca di quei mesi.

Chris si strinse nelle spalle, raddrizzandosi gli occhiali sul naso.

“Non voglio  rischiare che Parigi sbiadisca nei miei ricordi. Questa è sempre casa mia, dopotutto.”

“Hai talmente tante case sparse per il mondo che io, al tuo posto, avrei già perso il conto.”

Dove attacco i miei vestiti quella è casa mia...*” Canticchiò l’uomo in italiano, ravviandosi i capelli che, ormai, iniziavano a virare verso il bianco.

Christian con i capelli bianchi...  se me lo raccontassero, forse non ci crederei, considerato che è mille volte più giovane di tante, tante persone che hanno meno anni di lui.

È strano il mondo...

“Che cosa vuol dire?” Chiese lei, appoggiando il mento alla sua spalla e stringendogli una mano tra le proprie.

“Vuol dire che casa mia non è dove vivo, ma dove ci sono le cose a cui tengo di più e Luciane resterà qui e il piccolo Maurice con lei, quindi Parigi avrà sempre un posto speciale nel mio cuore ed è casa mia più di qualsiasi altro posto.”

“Ma vuoi tornare a Princeton.”

Chris annuì con un sorriso a metà.

“Ma voglio tornare a Princeton.” Pausa. “Anche se non ne sono sicuro.” Ammise, spostando lo sguardo dalla Senna agli occhi scuri di quella che ormai da vent’anni era la sua compagna e la sua migliore amica.

“Perché mi sembra che ne abbiamo già parlato?”

Christian ridacchiò, voltandosi e stringendola a sé.

“Perché è così. Non sono certo di voler lasciare qui mia figlia.”

“Lulù ha George e Maurice e loro sono la sua famiglia molto più di quanto non lo siamo noi, ora. E poi Jonathan è così esaltato all’idea di andare in America.”

Christian inclinò leggermente il capo, guardandola al di sopra degli occhiali.

Tuo figlio vuole andare in America solo perché ha ereditato quella tua ridicola passione per le macchine e pensa che lì potrà averne una più potente.”

“Ma Jonathan sarà tuo figlio quando bisognerà dirgli che non l’avrà affatto.”

“Sempre io il cattivo, eh?”

“Sempre, mon tresor, sempre.”

Monique sorrise, affondando una mano tra i capelli di lui ed alzandosi in punta di piedi per baciarlo, non prima di aver biascicato qualcosa riguardante il fatto che la sua passione non era affatto ridicola.

A volte penso che quei due non invecchieranno mai... d’altronde, com’è che era quella frase, quella che Kev aveva segnato sul suo diario l’ultimo anno di liceo?

Ah, sì.... chi mantiene la capacità di vedere la bellezza non invecchia mai. Potrà morire di vecchiaia, forse, ma morirà comunque giovane.

Beh, più o meno... non ho mai avuto una gran memoria per queste cose.

“E tu sei felice di partire, Christiàn?”

“Li rivedrò...”

“Lo so.”

“Li rivedrò e dovrò spiegare a Kevin il perché di vent’anni di silenzio, un perché che forse nemmeno esiste.” Silenzio.

Le note di una tradizionale canzone d’amore francese si alzarono dal battello.

“E sì, ne sono immensamente felice.

 

Devo andare via perché il mio cuore sta battendo lentamente

E se cerco Dio dentro la libertà ci trovo poco o niente

E non fa solo male ma molto di più ma c’è ancora una notte insieme

Per poter dare ai fatti un nome che non sia fine

 

“Che cosa stai facendo?” Domandò Jaqueline, avvicinandosi al divano sul quale, circa un mese prima, sua figlia si era accampata senza nemmeno darle la possibilità di capire bene il perché e, tanto meno, di rispedirla a casa da quel marito che, a detta sua, non voleva più vedere.

Martha alzò appena gli occhi dal borsone che stava riempiendo alla rinfusa con i suoi vestiti e rivolse alla madre un sorriso radioso.

“Torno a casa... certo, sempre che Kevin mi voglia ancora.”

La donna più anziana si avvicinò alla figlia, iniziando a togliere gli abiti dalla valigia e a ripiegarli prima di rimetterli dentro.

“Beh?” Domandò Martha, dopo un po’.

“Beh che cosa, tesoro?”

Martha inarcò un sopracciglio.

“Allora, arrivo a casa tua, occupo il tuo salotto per un mese rifiutandomi di vedere Kevin, non ti spiego quello che è successo e ora decido di tornare dalla mia famiglia e tu non dici niente? Niente di niente?”

Jaqueline si strinse nelle spalle, riponendo nella borsa un paio di shorts.

“Non ricordavo che li avessi tu, questi.”

“Mamma...”

“Tesoro, io non dico niente perché sapevo che sarebbe andata così. Tu e Kevin avete lottato come leoni per stare insieme e una lite non vi può separare. Senza contare che senza di lui e senza le ragazze tu non sai vivere. Diciamo che hai avuto...beh, una crisi di mezza età leggermente anticipata, ma nessuno ne farà un dramma, credimi. Ti sei fidanzata a diciotto anni e sentivi la mancanza di un po’di libertà. Ora l’hai provata e...”

“...e so che non fa per me, sì. Pensavo di essere triste perché con Kevin non funzionava più, pensavo che stando lontana da casa per un po’avrei trovato... oh, non so nemmeno io che cosa. Invece da quando non sono con lui è un po’come se il mio cuore avesse deciso di non battere più.”

“Martha, queste cose non le devi dire a me.”

La donna annuì, ravviandosi i ricci chiari.

“Dici che rischio di essere sbattuta fuori se mi ripresento a casa?”

Jaqueline ridacchiò, chiudendo la lampo del borsone.

“Io dico che sarà meglio che le tue figlie non siano in casa.”

“Perché ho idea che il tuo Kevin non solo non ti sbatterà fuori, ma vorrà passare una bella notte insieme per darti il bentornata!”

***

 

L’istituto T.A. Edison di Princeton

Invita tutti gli alunni e gli insegnanti della classe di diplomati

2012

Al raduno che si terrà a scuola

Sabato 23 giugno

Alle ore 20.30

Per festeggiare i vent’anni dal diploma

***

E si vincerà e si perderà,

siamo e restiamo sempre noi

come fiumi ed affluenti al mare!

“Dovevamo restare a casa...” Mormorò Martha, scivolando sulle note di uno dei primi lenti della serata, appoggiata alla spalla di Kevin. “Voglio dire, tua moglie che ti aveva lasciato torna da te e tu che fai? Vai alla festa della scuola?”

“Mia moglie che mi aveva lasciato dovrebbe solo essere contenta di aver trovato la porta ancora aperta, non trovi?” Ribatté lui, sorridendo appena ed assaporando il profumo dei capelli chiari e morbidi di lei.

“Trovo che sembriamo due adolescenti al ballo del diploma.”

“Io non ero esattamente un adolescente al tuo ballo del diploma....”

 

“Bene bene, coppiette, guardate un po’qui cosa ho in mano? Esatto, ragazzi, sono loro: le corone di re e reginetta del ballo di quest’anno! Volete sapere a chi andranno questi gioiellini?”

In risposta alla domanda del dj, si levò un coro di assensi che avrebbe probabilmente fatto una figura di tutto rispetto anche allo stadio.

“Perfetto e allora tutti fermi e vediamo per chi avete votato! Professoressa Blanchett, mi porta le buste per favore?”

E c’era tensione e voglia di primeggiare un’ultima volta... o una prima, in quel liceo che per alcuni era stato una reggia e per altri una giungla.

Una competizione sciocca ed importante, quella dell’ultima notte di scuola superiore.

Una competizione dai vincitori totalmente inaspettati.

“Uo-hoo!” Esclamò il dj, strabuzzando gli occhi di fronte agli inaspettati verdetti. “Ma prof, è possibile un risultato del genere?”

La donna si strinse nelle spalle, mormorando qualche cosa che suonava molto come “Li avete votati voi.”

“Benissimo, allora! Signore e signori, stanotte si fa la storia! Per la prima volta il re del ballo di fine anno è un professore! Kevin Jonas, vieni a prenderti la corona, insieme alla tua bella regina, Martha Shepherd! A voi il primo ballo della serata... ma prima un bel bacio!”

Ed era stato un po’come un anticipo del loro matrimonio, quel trovarsi lì, in piedi insieme di fronte a tutti con una piccola folla unita al grido di “bacio, bacio, bacio!”

Accontentarli, dopotutto, non era stato poi tanto difficile.

 

Martha si separò lentamente dalle labbra di Kevin, deponendovi prima un ultimo, minuscolo bacio, e voltandosi infastidita, verso chi aveva richiamato la sua attenzione.

“Joe...” Mormorò, confusa. “Ma non avevo lasciato da te tre delle mie figlie?”

Joe sorrise, stringendosi nelle spalle e rivolgendo un gesto di saluto al fratello.

“Liz è con loro. Io ho ricevuto questo...” Spiegò, mostrando l’invito al ballo. “Anche se non so perché, considerato che non sono né alunno né insegnante. Ne sapete qualcosa?”

Kevin prese tra le mani il foglio, leggermente spiegazzato e gli gettò un’occhiata veloce, prima di restituirlo al fratello.

“Ti è arrivato per posta?”

“Sì, in una busta senza mittente. E insieme c’era questo.”

Il biglietto era stato ottenuto strappando un foglio di carta da lettera rosa, da bambina e la calligrafia in cui erano scarabocchiate le poche parole “Spero con tutto il cuore di potervi vedere. Vi aspetto all’ingresso.” era elegante e perfettamente regolare, nonché fin troppo nota a Kevin.

 

“Ma come fanno a leggere?”

Kevin si voltò, leggermente scocciato, infilandosi la penna rossa dietro all’orecchio.

“No, la domanda giusta è come faccio io leggere la loro calligrafia.”

Christian si strinse nelle spalle, sedendosi sul tavolo e sulle verifiche che il suo collega stava correggendo.

“Tu sei il professore: è la tua fatica quotidiana. Ma loro i tuoi commenti dovrebbero capirli al volo, non decifrarli con un dizionario di geroglifici. Sai com’è, i ragazzi tendono a perdere interessi se non colgono al volo il concetto.”

“Vediamo, signor esimio professore, vediamo i suoi commenti scritti a regola d...”

Non fece in tempo a terminare la frase che si trovò un foglio a quadretti appiccicato al naso.

Sotto ad una quantità esorbitante di termini informatici che nemmeno si sforzava di capire, faceva bella mostra di sé una riga vergata in inchiostro arancione e in una calligrafia a dir poco perfetta.

“Va bene, ho capito, Mr Prato è una stampante d’alta precisione. E dimmi, avevi finito l’inchiostro rosso oppure c’è qualche motivo che mi sfugge per cui scrivi in arancione e non come tutti gli insegnanti di tutto questo bellissimo pazzo mondo?”

Chris scosse il capo, facendogli l’occhiolino.

“Per essere insostituibili bisogna essere unici. È il mio motto.”

“E chi l’ha detto? Tu?”

“No, la cara zia Coco.” Esclamò il biondo, saltando giù dal tavolo.

“Coco?”

“Chanel, Mr Jonas.” Concluse, uscendo dalla sala professori e chiudendosi la porta alle spalle.

 

Kevin rimase ancora per un paio di secondi a fissare il biglietto con espressione incredula, poi le sue labbra si piegarono in un sorriso che ben presto contagiò anche gli occhi.

“Joe, io lo so chi te l’ha mandato!”

 

Il mondo è una città e anche se non vuoi

Ci ritroviamo prima o poi

 

Christian aspettava.

Monique, seduta su un muretto a pochi passi da lui, osservandolo come se lo vedesse in quel momento per la prima volta. In Francia, vent’anni prima, aveva conosciuto un uomo ironico e scanzonato che la vita aveva voluto prendere in giro e che a quelle prese in giro aveva risposto per le rime.

L’aveva fatta, arrabbiare e anche un po’piangere, ma così non lo aveva visto mai.

Sembrava impaurito, impaurito di non ritrovare in quel posto ciò che vi aveva lasciato.

Ci aveva provato mille volte, Monique, a farsi spiegare perché non avesse più voluto tenere i contatti con i suoi amici americani, ma non ci era...

“Avevo paura.” Giunse la spiegazione di Christian, nemmeno le avesse letto nel pensiero.

“Come?”

“Non ho più scritto a Kevin perché avevo paura che tutto... tutto il veleno che l’America aveva iniettato nella mia vita potesse infettare anche quel nostro piccolo paradiso in Francia. Non potevo permetterlo... lo capisci, Monique?”

No, non lo capiva.

Dubitava seriamente che qualcun altro avrebbe potuto capire quello che Chris pensava, ci era abituata, oramai, e questo lato di lui, ancora dopo vent’anni, non cessava di affascinarla.

“No, Chris... non capisco, ma...”

“Ma rispetti. Lo so. Rispetti sempre ciò che penso. Per questo ti amo.”

La donna sorrise e fece per rispondere, ma proprio in quel momento tre figure sgusciarono fuori dall’edificio della scuola, e lei capì che erano loro anche senza averli mai visti.

Capì che era il momento.

“Christian!” Esclamò Kevin, dando all’amico a malapena il tempo di voltarsi, prima di gettargli le braccia al collo.

Joe si unì all’abbraccio di slancio, facendoli capitombolare a terra tutti e tre in un coro di risate gioiose.

“Big, accidenti a te, non ho più vent’anni!” Esclamò Christian, senza smettere di ridere, guardando negli occhi scuri dell’uomo accanto a lui. Finché era stato lontano, non si era reso conto di quanto gli fossero mancati, così come anche quelli verdissimi di quell’altro, che si stava mettendo in ginocchio di fronte a loro.

“No, ma è da vent’anni che non ti vediamo! Dove eri finito, brutto deficiente di un italiano?” Domandò Kevin, mentre anche Chris riguadagnava la posizione seduta.

“È una storia lunga, ma prometto che ve la racconterò.” Rispose, ravviandosi i capelli, mentre le risate di tutti si spegnevano in semplici sorrisi accompagnati da un po’ di fiato corto.

Joe gli si avvicinò un po’di più, scrutando con attenzione i suoi capelli, fino a farlo scostare leggermente, incuriosito.

“Che c’è, ho i pidocchi?”

“No ma... sono bianchi.”

Chris si strinse nelle spalle.

“Sì... ho cinquantatré anni e i capelli bianchi. La cosa strana è che tu e tuo fratello non ne abbiate nemmeno uno.”

“Fortuna e buoni geni.” Rispose semplicemente Kevin. “Mi sei mancato, sai?”

Christian annuì, sorridendo.

“Anche tu...anche voi. Tutti voi.” Sottolineò, facendo un cenno in direzione di Martha, che si era tenuta in disparte. “Ho tante di quelle cose da raccontarvi... come sta il piccolo Nicholas?”

Joe abbassò lo sguardo, rabbuiandosi un poco, ma con una piccola scintilla d’orgoglio ben visibile negli occhi color caramello.

“Ha ventun’anni, il piccolo Nicholas... ed è partito ieri sera. Marine.”

“Caspita...” Replicò il professore di informatica, sinceramente ammirato. “Scommetto che anche i tuoi figli sono ragazzi così speciali... e anche tanti, considerato che non ti sei mai risparmiato.” Kevin ridacchiò sommessamente, immaginando, a ragione, il rossore spuntare sulle guance di sua moglie. “Non come il mio... donne, macchine, discoteca e poco altro.”

“Ora dice così, ma in realtà lo adora, credetemi.” Si intromise Monique, passando tra Kevin e Joe e andando a sedersi sulle gambe di Chris, attirando tre paia d’occhi increduli e curiosi. “È un papà e un nonno meraviglioso.”

“E lei è solo un souvenir che hai portato da Parigi o hai qualcosa da spiegarci?” Domandò Kevin, tendendo la destra verso Monique, che la strinse, decisa.

“Sono Monique Lemoin, sua moglie... più o meno.”

“Kevin Jonas, suo migliore amico, appena tornato in servizio.”

“No, no, aspettate un secondo, tutti quanti!” Esclamò Joe, scattando in piedi ed alzando le mani come un direttore d’orchestra che richiama l’attenzione dei suoi musicisti. “Tu sei sposato? Con una donna?”

Christian ridacchiò.

“Si cambia, sai?”

Oui.” Asserì, convinta, Monique, sporgendosi a dargli un bacio sulla punta del naso. “E certi cambiamenti sono tutto guadagno.” Concluse, mordicchiando appena il punto appena baciato.

Christian rispose con una linguaccia.

“Ma dai, ragazzi, ditemi qualcosa di voi, racc...”

“Christiàn, hai tutto il tempo che vuoi...godetevi questa serata.”

“Vuol dire che resti... prof?” Domandò Martha, avvicinandosi al gruppo ed appoggiandosi alle spalle del cognato.

“Se Princeton ha ancora un po’di posto per un vecchio professore che ha ancora qualcosa da insegnare sì, resto.”

“Ci sarà sempre posto per te... vedrai quando lo saprà Morghana!”

Chris sgranò gli occhi dietro alle lenti trasparenti.

“È ancora preside?”

Kevin replicò con un lungo fischio.

“Ci seppellirà tutti, quella.”

“Eccoli che ripartono... mi aiuti tu, Martha?” Domandò Monique, facendo sorridere tutti i presenti con il suo dolce accento francese.

“Certo! Tutti a casa, bimbi! Telefono a Emma per chiederle di ordinare una pizza e dico a Liz di portare anche le gemelle e la piccola: questa notte si sta tutti insieme.”

“Le gemelle, la piccola ed Emma... Quattro? Hai quattro figlie, Kevin? Quattro femmine?” Chiese Christian, incredulo.

“Che con Martha fanno le cinque donne della mia vita.”

“Ti ammiro, amico mio.” Mormorò, passandogli un braccio intorno alle spalle ed avviandosi con lui verso la macchina. Puntuale, però, arrivò uno scappellotto di Monique a premurarsi di chiarire che lo aveva sentito benissimo.

Ridendo come dei matti, i due si allontanarono di corsa, mentre le rispettivi donne li seguivano, altrettanto allegre.

Solo Joe rimase un poco indietro, concedendosi di ammirare quel piccolo quadro di rinnovata amicizia in una notte nuova, una notte che, in fondo, lui, Kevin, Christian e anche io sognavamo da vent’anni e che qualcuno, quassù, alla fine aveva deciso di concederci.

Una notte... ancora una.

Ancora insieme.

 

E se il tempo è prepotente e ci spreme

Ci regala un orizzonte

E ancora una notte insieme

-i Pooh, Ancora una notte insieme-

 

E questa volta ci siamo, Karin, piccola mia.

Questa volta è davvero la fine.

Non so se ancora ti ricordi di me, dopo tanto tempo, ma io di te non ho dimenticato nulla e ancora ti amo, ancora come il primo giorno.

Vedo le vite dei miei fratelli e non riesco a non pensare che, se c’è qualcosa che rimpiango, è non averne avuta una simile con te accanto.

Come Liz.

Come Martha.

Come Monique.

Donne fortunate di uomini meravigliosi.

Non oso mettermi al loro livello... sono solo un ragazzo, dopotutto... ma mi sento di poter dedicare a te questo piccolo fotogramma di vita che ho voluto raccontare.

Perché questa sia anche la nostra notte insieme.

 

 

 

*da “Se nasco un’altra volta”, Pooh

   
 
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