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Autore: Irene Leg    09/08/2019    0 recensioni
Di ritorno da un'esperienza che ha rimesso in discussione la sua lunga storia d'amore, lo youtuber ed esperto di tecnologia Davide dovrà affrontare un improvviso cambio di identità, e il processo di costruzione di un nuovo sé indipendente dalle influenze degli altri.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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Dopo il sesso Davide va a lavarsi. Rimane immobile sotto l’acqua tiepida e stringe i pugni sentendosi le unghie contro il palmo della mano. Ha pensato per tutto il tempo a come vuole picchiare la donna. È una sensazione che non ha mai provato prima. Asia si impone su di lui, senza nemmeno chiederlo: decide improvvisamente di prendere il controllo, e Davide non può farci niente. Sta parlando e Asia dice stai zitto e comincia a parlare lei. Sempre più le sue lezioni sono basate su una critica sistematica dell’uomo. Asia dice: tu hai sviluppato una carriera sulla commercializzazione della tua immagine, ma è una celebrità minima, provinciale. Vuoi sentirti visto e piaciuto e la tecnologia è una pallida scusa per soddisfare il tuo ego. Ma non è nell’ego che si rifugge il provincialismo. L’ego è lo strumento per diventare artefici della realtà, non è il fine. Tu sei solo fine. Un fine misero.
Davide sente un impulso profondo e primordiale di colpirla. Pensa che ci vorrebbe così poco. Basterebbe stendere il braccio in avanti, torcere i fianchi e colpirla. Asia è seduta a gambe incrociate e sta pregando quando Davide entra in casa. È di nuovo entrata a casa sua, senza averlo avvisato. Asia dice: sei in ritardo; tipico. La tua ricerca verso parti più alte è part-time. È quando ti viene comodo, se quel giorno non hai di meglio da fare. In una parola: è provinciale. Tu sei provinciale.
Davide è in piedi affianco alla donna. Asia ha una t-shirt nera e pantaloni grigi da yoga. Ha i capelli sciolti e che le penzolano sospesi in avanti. “Asia” la chiama Davide. La donna spalanca gli occhi. Davide si è seduto affianco a lei. “Sì?” chiede la donna, ma non riesce a finire la domanda che Davide la schiaffeggia. La mano impatta con uno schiocco goffo, come l’avesse colpita con un palloncino pieno d’acqua. Asia si alza. Non dice niente. Cammina fino alla porta e si ferma. Guarda Davide negli occhi. La sua mano ha lasciato un segno rosso che sta iniziando a diventare più evidente. “Devi ancora imparare molto” dice Asia, ed esce. Davide va a sedersi sul divano della propria sala. Lo fissa la targa con il pulsante argentato che YouTube invia a tutti i canali che superano i centomila iscritti. È in casa da molto, solo recentemente ha deciso di appenderla.
Davide respira aritmicamente e fissa il vuoto davanti a sé. “E ora?” si chiede. Immagina la sua faccia in copertina di servizi televisivi. Celebrità che picchia la compagna, l’ennesimo caso. Ma Asia rientra in quel momento. Davida la guarda girandosi di scatto, con occhi arrossati e timorosi da animale ferito. “Forza, cosa fai fermo sul divano, è il momento di pregare” dice la donna. Il viso è ancora rosso, e la guancia sinistra si è un po’ gonfiata. Davide la guarda con aria sbigottita. “Avevo dimenticato il tappetino a casa” dice la donna. Si avvicina a lui e spiega il tappetino. Comincia a pregare. Davide si va a sedere affianco a lei e la imita, come ha fatto nei mesi precedenti. Asia dice: la violenza è un primo passo verso la risoluzione. Non è la risoluzione, ma ci si avvicina. La violenza è l’espressione di chi è giunto al confronto con un’intollerabilità. Con qualcosa di sufficientemente impellente da rifuggire la soluzione verbale. Questa necessità ha l’urgenza che deve avere la fuga del provincialismo. Buono. La soluzione verbale non è quasi mai la soluzione.
Davide è tentato dal far notare l’ironia dell’affermazione, ma preferisce non parlare, lasciare che faccia tutto Asia.
 
Nelle settimane successive la soddisfazione di Asia sembra svanire. Si siedono e la preghiera riprende il tema caldo della mediocrità di Davide. Asia dice: mentre crei può apparirti di stare concludendo qualcosa. Che aggiungere un video all’elenco dei video che esistono sia fare qualcosa. Ma in verità non si può fare qualcosa. Non parlo di te. Almeno non nello specifico. Quello che noi chiamiamo il progresso è la somma delle circostanze in cui veniamo a trovarci. Che ci avvolge e ci sommerge, come il liquido amniotico. L’uomo provinciale non sente il vicolo che il liquido esercita su di lui, e di conseguenza è libero, e quando crea crede di avere creato lui – proprio lui – e di essere artefice del suo destino. Ma non è così. Non è né più né meno che il prodotto delle sue circostanze. Preghiamo anche per questo. Per liberarci nella consapevolezza.
“E le tue performance?” domanda Davide. “Quelle sono un prodotto delle circostanze o meno?” È stanco e arrabbiato. Asia si avvicina. Accarezza il viso di Davide. Ha il respiro pesante. Sente come soffiargli contro, e poi il bacio. La lingua di Asia preme contro la sua. Passa una mano fra i suoi capelli, stringendogli la nuca e premendolo a forza contro di lei. Davide cerca di allontanarsi ma Asia lo tiene incollato mentre scava nella sua bocca. Quando è soddisfatta lo lascia andare e dice: non è l’atto della creazione a essere impossibile in sé. Lo è il creare. Quello che ci distingue sono le motivazioni. Le modalità. La prospettiva. Preghiamo anche per questo.
Davide si asciuga le labbra. “Tu sei fuori dal mondo” le soffia contro. Asia si alza con calma. Raccoglie il tappetino e lo piega in quattro. “Mi aspettavo di meglio” dice, ed esce.
 
Davide è appoggiato alla ringhiera interna della casa a fumare piano. È una bella giornata, con tante piccole nuvole che non bloccano la luce ma occupano porzioni disorganizzate di cielo. Da un paio di settimane un uomo va a trovare Asia. Davide non lo vede praticamente mai, ma lo sente spesso. Le poche volte che l’ha incrociato sul ballatoio gli ha ricordato terribilmente suo padre. L’uomo deve avere una decina di anni più di lui, e ha folti baffi dalla punta grigio scura. Durante il sesso la chiama continuamente per nome, e Davide pensa fra sé e sé che se lui se la ritrovava di continuo in casa, con questo tizio deve evidentemente sparire di continuo. È divertito. Ha ripreso a lavorare più spesso, vuole accumulare materiale perché si assenterà quattro giorni per una grande convention di tecnologia in Germania. Scorre pigramente le previsioni meteo e vede una barriera compatta di pioggia per tutta la durata, ritorno incluso. Per qualche motivo la cosa lo infastidisce, anche se il tutto è al chiuso e ci passerà le giornate intere, e se non sarà lì sarà probabilmente in birreria, di nuovo al chiuso.
 
L’aereo per Aachen ha mezz’ora di ritardo. Davide indossa una catenella con il pass per la stampa. Ha con sé una go pro e un treppiede portatile, e ogni tanto si ferma e registra quello che gli è appena successo. È entrato nel taxi della persona sbagliata, racconta appena arrivato in albergo, mimando l’espressione di sorpresa e perplessità dell’autista ai muri bianchi della stanza vuota. È ancora presto per andare a dormire, e comincia a sfogliare le home dei diversi social. Sta evitando di rispondere a una chiamata di Federica di precisamente quindici giorni prima. Non ha più parlato con la donna; di fatto non si sono più sentiti in alcun modo. Ma una sera tarda, il suo telefono aveva preso a squillare all’improvviso, per quattro squilli precisi, e vedendo il numero di Federica comparire Davide non si era sentito di rispondere. Si era ripromesso di richiamarla il giorno dopo, ma non l’aveva fatto. E nemmeno i successivi. Ora però era completamente solo, all’estero, con il prospetto di almeno altre tre o quattro ore senza niente da fare, e la mente aveva preso a rivivere i momenti di quei mesi di relazione con Asia, e si era reso conto di quanto poco avesse pensato a Federica in tutto quel tempo. Così che nel rigirarsi il cellulare fra le mani, provava più vergogna di sé che una vera mancanza per la donna. Si era chiesto se sarebbe servito a qualcosa richiamarla. Se non voleva semplicemente sentirsi meglio con se stesso – e ma nel caso il farlo costituiva un nuovo atto egoistico, e come tale non assolveva ai peccati precedenti ma anzi ne aggiungeva di nuovi – e così il richiamarla era anche peggio che continuare a ignorarla. Eppure era stata lei a chiamarlo, qualche giorno prima. Non le doveva almeno di rispondere? Davide prende svogliatamente in mano il telefono e apre il suo contatto. Federica ha cambiato fotografia ed è lei in un vestito di stoffa panna, tiene in mano un long island e guarda ridendo qualcuno o qualcosa fuori dall’inquadratura alla sua destra. Mostra gli incisivi, che sono dritti e puliti. Davide si sente sempre insicuro quando vede i denti della donna, e anche ora non riesce a scappare al pensiero che i suoi sono peggiori.
 
“Pronto”
“Non pensavo mi avresti richiamata.”
“Non ho scuse.”
“Come stai?”
“Vuoi davvero parlarne?”
“Non proprio. Sai, qua in agenzia mi hanno chiesto se volessi passare a fare un salto; ti vogliono parlare.”
“Mi avevi chiamato per questo? Ti servo per fare carriera?”
“Davide… non sto dicendo che dopo quello che mi hai fatto tu mi debba un favore, o due… o dieci. E non sto nemmeno dicendo che ci vorrebbe molto poco a farti un metoo personale...”
“Ho capito il messaggio. Non era così che immaginavo sarebbe andata la conversazione.”
“Quindi mi stai dicendo che sei veramente pentito? Davvero davvero?”
“Non sto dicendo nemmeno questo.”
“Come stai?”
“Sono in Germania, Aachen. C’è la-”
“Lo so. Ci sono anche io.”
“Chiedo scusa?”
“Mi ci hanno mandata, ci stiamo espandendo negli e-sport. Ieri sera ho passato tre ore bloccata in un locale con questo tizio che cercava di spiegarmi perché il midlaner degli SKT è molto migliore di quello dei TSM e io non ho ancora la più pallida idea di che cosa abbia detto o se siano pesticidi o psicofarmaci. Ma tu come fai?”
“Non ho mai seguito veram-”
“E alla fine mi ha fatto anche pagare la mia metà, renditi conto. Dì quello che vuoi delle Marche ma queste cose non succedono.”
“Ma chi era questo scusa?”
“Non lo so, un giocatore. Dobbiamo fargli la campagna immagine ma… non lo so, mi ci hanno trasferita da poco. Ma tu ci credi che questi sono delle specie di piccole celebrità?”
“Eri stupita così anche per me, all’inizio.”
“Mi sento vecchia, Davide. Mi sembra che il mondo abbia fatto un corso di aggiornamento senza avvisarmi, e ora mi trovo qua a cercare di decifrare simboli senza senso, o senza didascalia.”
“Come siamo melodrammatici.”
“Capita quando si viene sputtanati in televisione.”
“Ahia.”
“Davvero non hai ancora trovato almeno una scusa?”
“Be’… in realtà sì. Io… Mh. c’era qualcosa che non andava fra noi. Mi sembrava di essermi come paralizzato, non so se mi spiego.”
“Come se la relazione fosse stata un menù, o un vassoio, e noi avessimo già preso tutto quello che c’era da prendere?”
“Forse ti sembrerà stupido, o assurdo, ma da sempre faccio questa cosa: mi immagino come di dover presentare gli aspetti di me, della mia vita, a una specie di gigantesco giudice alieno: una figura statuaria di marmo, con barba e occhi rossi e una tonica piena di intarsi, e questa figura deve giudicare i diversi aspetti, vedere se sono degni di lui… degni dell’Altro… e la nostra relazione…”
“Non lo era. Era mondana, era normale. Non c’era niente…”
“Da dire su di essa. Noi ci eravamo cristallizzati su chi siamo, come persone. E quindi quando gliela presentavo era già…”
“Cosa del passato. Cosa finita.”
“Federica?”
“Sì?”
“Dove ti trovi in questo momento?”
   
 
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