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Autore: Tatystories    09/08/2019    0 recensioni
Due piccole amanti della civiltà greca e soprattutto delle loro divinità inaspettatamente hanno l'occasione di incontrare il Padre di tutti gli dei e di aiutarlo a risolvere un mistero.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C’era una volta in un paese lontano, lontano…

Ma no! Le favole dei fratelli Grimm e di Mr. Perrault hanno definito il significato stesso della parola fiaba e rimarranno per sempre le più romantiche e avventurose, ma è ora di cambiare!
C’è qui, ora e oggi una ragazzina di dieci anni di nome Maia. Vive a Valmadrera, frequenta la quinta elementare, è simpatica, allegra, gentile e adora la storia. Forse non proprio tutta, ma certamente ha una vera e propria ossessione per i Greci e i loro dei. Insieme alla sua amica del cuore Beatrice non parlano d’altro se non di Olimpo, miti, leggende e divinità. Le conoscono tutte quante, da Epafo, dio ben poco noto che troverà notorietà tra gli egizi con il nome di Iside, al grande e temuto Zeus. Insieme, le due ragazzine passano ore e ore a leggere racconti che riguardano vita, morte e passioni dei loro beniamini e sebbene sappiano con certezza che gli dei non esistono - perché è stata la mitica maestra Monica a dirlo - sognano di poterli incontrare e conoscere.
Un sabato pomeriggio Bea invita la sua migliore amica per una merenda e un po’ di sana lettura nella sua casa di Limonta. Per il suo compleanno Maia ha ricevuto “Il grande libro dei miti dei greci” che sua zia Eli, studiosa di storia, ha pensato bene di regalarle per assecondare la sua passione. Sdraiate nell’erba del giardino della grande villa d’epoca dove vive Bea, sfogliano il libro sugellando ogni pagina e immagine con un’esclamazione diversa, ma sempre convincente:

  • Ohohoh!
  • Ahahah!
  • Nooooo!
  • Siiiiiiiii!
E così via fino ad esaurire anche la pazienza dei tre gatti di Bea - Pilo, Ara e Tigra - che se ne vanno a prendere il sole da un’altra parte pur di non ascoltar le loro sciocchezze.
Passano le ore e Maia e Bea non se ne accorgono. È primavera inoltrata e il sole scalda abbastanza le due lettrici per invogliarle a continuare, ma non così tanto da infastidire la loro attenzione. Una fervida immaginazione e leggende d’altri tempi proteggono le fanciulle da una realtà fatta di compiti, doveri e di verifiche di matematica della dolcissima maestra Nicoletta, custodendole in un mondo tutto loro, ricco di strepitose imprese, grandiosi tradimenti e nefasti destini. Il giardino coccola le bambine con colori variopinti e profumi incantatori e il triste frastuono delle auto è attutito dalla siepe che materna circonda tutta la casa. Tanto sono assorte e concentrate che nessuna delle due si accorge del repentino cambio del tempo. Il sole, seppur riluttante, si nasconde dietro grandi nubi grigie imbronciate e in lontananza, ma nemmeno troppa, si scorgono lampi minacciosi e bagliori intimidatori.
Improvvisamente secondo le bambine, ma in realtà in seguito a numerosi palpabili segnali, le prime gocce di pioggia bagnano le pagine del nuovo libro di Maia. Senza perder tempo Bea prende l’amica per il braccio e la trascina nella casetta sull’albero dove saranno al riparo da quel brutto temporale e potranno continuare a sognare in santa pace.
Ad un certo punto l’attenzione delle ragazzine viene catturata da un chiarore intermittente che pare fuoriuscire proprio dal libro.
  • Bea hai visto anche tu quello che ho visto io?
Maia guarda l’amica in cerca di risposte, ma Bea è ancora più confusa di lei.
  • Credo proprio di aver visto il libro illuminarsi, ma forse mi sbaglio ed è tutta colpa dei bagliori che filtrano dalla finestra…
  • Hai ragione, sarà proprio andata in questo modo.
Nessuna delle due crede davvero a quelle parole, ma non avendo altra spiegazione fingono che nulla sia successo e tornano ad osservare il cielo che attimo dopo attimo diventa sempre più scuro e torvo. Poi di nuovo qualcosa le fa sussultare:
  • Maia hai visto anche tu quello che ho visto io?
Bea guarda l’amica in cerca di risposte, ma Maia è ancora più confusa di lei.
  • Credo proprio di aver visto il libro muoversi da solo, ma forse mi sbaglio ed è tutta colpa del temporale che ha fatto vibrare le assi del pavimento…
  • Hai ragione tu, sarà proprio andata in questo modo.
A questo punto la paura per quello che sta accadendo prende il sopravvento e pur di non ammettere che realmente quel libro ha qualcosa di magico e vagamente diabolico, le bambine sono disposte a mentire, ma non per questo tornano a guardare fuori dalla finestra. Al contrario non perdono più di vista, nemmeno per un secondo, quel suggestivo e misterioso libro ed ecco che qualcos’altro succede. Il libro si solleva dal pavimento, come se fosse sospeso nel vuoto e le pagine cominciano a muoversi da sole creando un piccolo vortice d’aria fino a quando decidono di fermarsi per lasciar ben visibili pagina trenta e trentuno.
Le bambine si sporgono e scoprono che in quelle pagine si narra il mito di Deucalione e Pirra che altro non è se non la versione greca e pertanto originale - dal momento che è antecedente - del Diluvio Universale. Maia e bea la conoscono grazie Lucia, la loro maestra di religione. Racconta di Zeus che deluso dal comportamento degli uomini decide di eliminarli con un diluvio e di Prometeo che riesce a convincerlo a salvare la coppia più meritevole, per l’appunto Deucalione e Pirra, principi della Tessaglia. La coppia riuscì poi a procreare una nuova stirpe gettando dietro le loro spalle pietre magiche che si trasformavano via via in uomini e donne. Mentre Maia e Bea scorrono avidamente le due pagine con lo sguardo notano chiaramente che alcune parole sparse qua e là si illuminano formando una scritta di senso compiuto:
UN - DIO - È - DI – NUOVO - ARRABBIATO!
  • Maia hai letto anche tu quello che ho letto io? Hai visto che le parole illuminate hanno formato una frase? Chi sarà mai il dio arrabbiato? Si tratterà certamente di Zeus! È lui il dio della leggenda ed è sempre Zeus che ha la folgore e il potere di comandare il cielo!
Esclama Bea incredula e così velocemente da rimanere senza fiato.
  • Credo proprio che tu abbia ragione, ma Bea ti rendi conto che Zeus non esiste e non è mai esistito. Gli dei sono un’invenzione dei greci, ce l’ha detto Monica!
Risponde Maia un po’ più pragmatica, ma comunque dubbiosa. Giusto un attimo dopo aver pronunciato quelle tre paroline – Zeus non esiste – un tuono romba nelle orecchie delle ragazzine e un fulmine abbagliante si scaglia con tutta la sua potenza spezzando in due il tronco dell’albero vicino al loro già mezzo rinsecchito.
  • Bea! Ti rendo conto che se quel fulmine ci avesse colpito ora saremmo carne abbrustolita? Qualcuno è davvero molto arrabbiato…
Le bambine cominciano a tremare e si abbracciano per farsi coraggio. Sebbene nella loro testa la frase “Zeus non esiste” riecheggia come un eco in una valle desolata, non riescono a non ascoltare il cuore che da sempre suggerisce loro che gli dei sono reali e lo sono sempre stati.
  • Follow your harts!
Direbbe maestra Cristina!
Intanto la pioggia si è trasformata in tempesta e il cielo si è tanto imbrunito da parer notte…. non una notte qualunque, ma una in cui tutto può succedere!
La diffidenza di Bea sparisce e come se l’esistenza degli dei fosse ormai un dato di fatto indiscutibile, esclama:
  • Maia dobbiamo fare qualcosa, se è vero quello che abbiamo letto nel libro questa pioggia ci sommergerà.
A Maia è sufficiente la sicurezza di Bea per seguirla a ruota e senza perder tempo comincia a organizzare un piano d’azione.
  • Hai ragione. Dobbiamo parlare con Zeus proprio come fece Prometeo e convincerlo a risparmiarci. Ma dove lo troviamo?
Lo sguardo di entrambe punta dritto sul libro e non sapendo bene che altro fare cominciano a sfogliarlo sperando che com’era successo poco prima qualcosa attirasse la loro attenzione, ma questa volta non succede proprio nulla. Maia esasperata lascia cadere il pesante libro a terra che si apre sull’ultima pagine dove la figura di Zeus troneggia sola, forte e potente. Poi, come se nulla fosse, un occhio di quell’immagine così piatta e senza vita si muove, una strizzatina veloce ma inequivocabile. Poi anche l’altro occhio batte il tempo, il naso si arriccia e infine è il turno delle labbra che tirate in una smorfia offesa, esclamano:
  • Chi osa disturbare il grande Zeus?
Tale fu il balzo che per poco le ragazzine non volano fuori dalla casetta. Occhi azzurrissimi spalancati e bocche chiacchierone serrate, Maia e Bea fissano quel disegno che prende vita e si trasforma nella divinità greca più famoso della storia: il grande e potente Zeus.
  • Voi là! Chi siete mai? Come osate disturbarmi piccole ninfette dispettose? Pensate di poter richiamare con trucchetti insulsi il più potente degli dei greci senza subire terribili conseguenze?
È chiaro alle ragazzine che Zeus è alquanto irato, ma sono così meravigliate e forse anche un pochino spaventate da non riuscire nemmeno a credere ai loro occhi, tanto meno è per loro possibile proferir parola. Poi un tuono più rumoroso degli altri attira l’attenzione del dio che incuriosito si sporge fuori dalla finestrella, non senza fatica data la mole del suo corpo, e osserva il cielo.
  • Com’è possibile tutto ciò? Chi mai sta giocando con la mia folgore? Chi osa prendersi gioco dei miei poteri? Chi sfida il grande Zeus?
Con voce possente e il tono imperioso si volta di scatto in tutta la sua altezza e fierezza e fissando le bambine negli occhi inveisce con prepotenza:
  • Siete state voi?
Maia e Bea si fanno piccole piccole, ma più i secondi passano più l’ira di Zeus aumenta manifestandosi in sbuffi fumanti che fuoriescono dalle orecchie ad intermittenza e piccoli lampi iridescenti che giocano tra le dita delle sue enormi manone.
  • Tranquille, va tutto bene!
Nella loro testa la voce di Francesca, la loro maestra di sostegno che tante volte le ha aiutate quando non stavano bene a scuola.
Per questo motivo trovano un briciolo di coraggio e a turno, con voce tremante, cercano di spiegargli la situazione. Partono dall’inizio quindi dalla loro passione per la mitologia greca, gli chiariscono che non sono in Grecia e non è l’anno 500 a. C. ma bensì sono in Italia, più precisamente a Limonta ed è il 2019 d.C. e gli raccontano del libro dove è comparsa la scritta. Zeus le ascolta senza interrompere, è incredulo, ma molto curioso. Il tempo sull’Olimpo trascorre diversamente rispetto alla Terra e non immaginava proprio fossero passati tutti quel secoli e soprattutto non immaginava di essere diventato solo una leggenda disegnata su un libro per ragazzine insulse. Nonostante ciò comprende che le ninfette chiacchierone sono sincere. Tutto sommato è il padre di tutti gli dei e sa riconoscere i bugiardi, ma per testare le conoscenze delle ragazzine decide di metterle alla prova. Tra le tante informazioni che alternativamente hanno fornito, una l’ha colpito. I loro compagni di scuola non amano gli dei come loro che al contrario sono delle vere fanatiche.
  • Bene, bene, ho capito tutto… ma sono un po’ preoccupato per mia moglie. Sono scomparso senza spiegazioni… mi farò perdonare regalandole… un pomo d’oro proprio come fece Paride quando la decretò la più bella tra le dee…
Non aveva ancora finito di parlare che Bea lo incalza inorridita.
  • Signor Zeus, non vorrei contraddirvi, ma Paride scelse il dono dell’amore, quindi donò la mela ad Afrodite…
  • Certo, certo… che sbadato. Anche mio cugino Poseidone, dio degli inferi, sarà preoccupato…
A questo punto è Maia ad indignarsi.
  • Ma no! Poseidone è vostro fratello ed è il dio di tutti i mari!
Zeus decide di chiudere l’interrogatorio che è stato superato a pieni voti e pensa che può fidarsi di quelle due strane creaturine che tra l’altro trova simpatiche e divertenti, almeno fintanto non lo irriteranno. Il fatto poi che in una società così diversa da quella greca dei tempi d’oro trovino interessanti le vicende degli dei dell’Olimpo le rende speciali agli occhi di Zeus. Ai suoi tempi, quando i greci li veneravano, non c’era essere umano, giovane o vecchio, che non li pregasse per ottenere una qualche indulgenza o semplicemente per rendergli onore. Da quello che ha capito dai racconti di Maia e Bea ormai da moltissimo tempo gli dei si sono trasformati in immagini su libri e vengono menzionati solo come miti inventati dalla fantasia di un popolo dall’immensa immaginazione nelle scuole o tutt’al più in qualche università. Queste bambine invece dimostrano interesse, conoscenza e percepisce nelle loro parole vera passione verso gli dei e la loro storia. La domanda sorge spontanea:
  • Quindi chi ha la mia folgore e perché?
Bea e Maia si guardano, sollevano le spalle, strabuzzano le labbra e spalancano gli occhietti vivaci perché proprio non ne hanno idea. Avevano pensato che il Dio arrabbiato suggerito della frase comparsa sul libro fosse Zeus, unico dio che controlla fulmini e saette e quindi responsabile di quel violento temporale.
  • Grande Zeus dovete sapere che sul libro dal quale siete uscito è comparsa una scritta…
  • Quale scritta?
Maia sussurra:
  • UN DIO È DI NUOVO ARRABBIATO!
  • Per gli dei dell’Olimpo! Chi mai crede di poter usare la mia folgore senza il mio permesso?
  • Grande Zeus…
Maia non vuole certo far la parte della sapientona, ma forse ha intuito cosa sta succedendo e cercando di essere più delicata possibile prova a spiegarlo:
  • Credo che qualcuno abbia organizzato tutto questo per portarvi qui da noi per qualche motivo, forse quel qualcuno voleva attirare la vostra attenzione e ha usato la vostra folgore e questo libro per farlo.
  • Nessuna osa sfidarmi sull’Olimpo!
  • Forse allora non è sull’Olimpo…
Zeus pensieroso è un’immagine davvero divertente. Grandi e forte braccia incrociate sul petto e una manona dalle dimensioni spropositate che spunta furtiva per accarezzarsi la lunga barba grigia e bianca come se da quel groviglio potesse volar fuori una qualche idea. Il sopracciglio destro è sollevato e l’occhio leggermente chiuso, la bocca è atteggiata in una smorfia simpatica e il capo leggermente tendente a destra. Maia e Bea avevano sempre immaginato Zeus molto più serio e spaventoso, tutto sommato quel vecchietto per quanto certamente potente, non ha l’aria minacciosa.
Di nuovo qualcosa distoglie l’attenzione delle bambine dalla figura del padre degli dei, perché il libro riprende a vorticare per fermarsi questa volta su una delle prime pagine, una delle più tragiche. Si tratta della storia di Crono, padre di Zeus e di un destino che li separerà per sempre.
Tutti in quella casetta sanno che quello è un tasto dolente nella vita di Zeus, nessuno si augura d’avere un padre che divora i propri figli e tanto meno nessuno si augura di dover distruggere il proprio padre per fermare quel figlicidio.
  • Per tutti i fulmini del cielo! Perché quel dannato libro si è fermato proprio su quella storia?
Lo sguardo truce e il tono irato non lasciano dubbi sulle sue intenzioni. La sua domanda è esclusivamente retorica perché non ha nessuna intenzione di affrontare quell’argomento con due bambine che nulla possono sapere del dolore che si prova a non essere amati dal proprio padre. Zeus e Crono non si erano più incontrati da quando Crono era stato liberato dal Tartaro ed esiliato nelle isole del Beati ai confini del mondo e da quel momento Zeus non aveva più voluto sue notizie. Ogni tanto ci pensava, avrebbe voluto chiedere ad Eolo, dio del vento di spiarlo e di riferirgli come si comportava con il suo popolo, ma l’orgoglio non glielo aveva permesso. Lui è Zeus, il padre degli dei, il più potente tra i potenti e non ha bisogno di un padre o di chiunque altro.
Maia si avvicina a Zeus e conoscendo la storia della sua famiglia ed intuendo i suoi pensieri gli pone timidamente una mano sul braccio in segno di conforto. Quel gesto genera una luce potente che colpisce l’immagine di Crono che divora uno dei suoi figli e proprio come poco prima dal nulla era comparso Zeus, così appare un altro essere, simile a Zeus per fattezze, ma molto più giovane e del tutto sconosciuto ai presenti della casetta.
  • Chi sei?
Esclamano in coro Zeus, Maia e Bea.
Il giovane è avvolto in un lungo mantello viola che lo copre da capo a piedi a tal punto che nessuno si è accorto che in realtà si tratta di una fanciulla. Solo quando scosta il cappuccio liberando i lunghi capelli color del grano i tre curiosi scoprono la verità.
  • Sono Syncorea, la dea del perdono.
Zeus scoppia a ridere, mentre Bea e Maia si guardano dubbiose. Non hanno mai sentito parlare di questa dea, quel nome così dolce – Syncorea – è del tutto sconosciuto alle loro orecchie e sebbene son certe di non conoscere proprio tutte le divinità, sono però sicure di non aver mai sentito parlare della dea del perdono, anche perché il perdono non rientra tra le qualità degli dei.
La risata di Zeus si blocca di colpo quando Syncorea estrae dal mantello la sua folgore e gliela porge con gentilezza e un caldo sorriso.
  • Bene, bene, oltre ad essere una bugiarda sei anche una piccola ladra. Sarai punita.
E mentre pronuncia questa sentenza solleva la folgore per colpire la giovane con un fulmine. Maia e Bea sono più veloci di lui e con un salto si aggrappano al bicipite scolpito di Zeus. Il fulmine così cambia direzione ed esce dalla finestrella colpendo il tronco dell’albero che poco prima era stato abbrustolito proprio da un altro fulmine.
Syncorea senza perdere la sua compostezza si rivolge a Zeus sempre molto dolcemente, ma anche con decisione e sicurezza.
  • Forse ti ho rubato la folgore, ma di certo non sono una bugiarda.
Ma Zeus è ancora furioso e scrollando il braccio come per scacciare una mosca, lancia le ragazzine a terra e le fulmina con un’occhiataccia. Poi torna a dedicarsi all’impostora.
  • Certo che sei una bugiarda. Conosco personalmente ogni dio e ogni dea che vivono sull’Olimpo o nell’Ade, ma anche quelle che si nascondono tra gli uomini, tra gli animali, nel folto dei boschi o tra i coralli del mare e tu non sei una di loro. Non ti ho mai vista e nemmeno ho mai sentito parlare di te. Tutt’al più sarai una ninfetta arrogante, proprio come queste altre due pulci fastidiose.
E dicendo queste ultime parole cerca con lo sguardo le bambine, quasi volesse assicurarsi di non aver fatto loro del male.
Intanto la giovane lascia cadere il mantello e si mostra in tutta la sua bellezza e divinità. Non vi sono dubbi sulle sue origini regali e se il suo aspetto non garantisce abbastanza, lo fanno i suoi gesti. Syncorea unisce le mani in una sorta di preghiera e abbassando così tanto il capo da connettere le punte delle dita alla punta dal naso produce energia sotto forma di onde concentriche che si sprigionano dal suo corpo allargandosi in tutta la casetta e molto oltre. Raggiungono il prato, gli alberi, il lago, nientemeno le onde energetiche salgono fino al cielo, liberandolo dalle nubi e dalla tempesta così velocemente da stordire lo stesso Zeus che rimasto senza parole fissa la fanciulla cercando di capire chi sia davvero quell’essere misterioso.
  • Ora mi credi grande Zeus? Ora sei convinto che sono una dea esattamente quanto lo sei tu?
  • Sebbene non possa negare il tuo potere e la sua origine divina non osare mai più metterti al mio pari. Io sono Zeus, figlio di Crono e Rea, colui che ha salvato la discendenza di Crono dal loro stesso padre e ha nutrito i Centimani con nettare e ambrosia per sconfiggere Crono e i Titani.
  • Certo fratello, so perfettamente chi sei.
Un silenzio agghiacciante cade nella stanza.
Bea e Maia sono completamente incantate dallo scambio di battute tra queste due divinità. Fino a poco tempo prima pensavano che gli dei, per quanto affascinanti, fossero un’invenzione dei greci per giustificare eventi naturali quali i temporali o i maremoti o similari, esattamente come aveva spiegato maestra Monica. Scoprire che invece sono reali, che esistono davvero e che interagiscono con gli esseri umani, rende la loro passione qualcosa di molto più speciale.
Zeus sembra sul punto di esplodere. Le narici sono dilatate e sbuffano esattamente come quelle di un toro appena prima della carica, le iridi degli occhi, ridotti a fessure, si muovono convulsamente da destra a sinistra e viceversa e il collo si è gonfiato come quello del maschio della fregata, enorme e rosso non certo per attirare l’attenzione di una qualche femmina - per quello Zeus usava altre armi -  ma solo per contenere tutta la rabbia per l’insulto di essere trattato da stupido.
Il grande Zeus non può cedere, pertanto continua imperterrito a sottolineare la differenza tra di loro. Da sempre dio benevolo, aveva spesso interceduto tra gli altri dei per evitare guerre o stragi, ma non può permettere che qualcuno manchi di rispetto alla sua autorità e alla sua posizione di padre degli dei andando in giro a raccontare si essere non solo una dea, ma addirittura sua sorella.
  • Non osare chiamarmi fratello, TU figlia di nessuno.
  • Grande Zeus, stesso padre e stessa madre mi generarono, come dovrei chiamarti? Come ti chiamano Poseidone, Ade, Demetra, Estia e tua moglie Era? Forse non fratello?
  • Per tutti i tuoni e i fulmini della mia folgore sei forse sotto l’effetto dei fumi dell’oppio o della mandragola o ti sei ubriacata con il kikeon per dire tali scempiaggini? Io sono l’ultimo erede di Crono e Rea, io solo.
L’ira di Zeus ora si manifesta con bagliori e scosse che si generano dal suo corpo e colpiscono a caso le pareti della casetta. Le bambine saltellano a destra e sinistra per evitarle.
  • Fermo fratello, farai del male a queste bambine. Le ho scelte per avvicinarti, perché portatrici di fede negli dei e degne eredi della sacerdotessa Cassandra che con tanto ardore ci ha venerato per decenni.
  • Non tergiversare donna insolente. Potrei anche credere che queste fanciulle siano le discendenti di Cassandra, mai e poi mai crederei che tu sei mia sorella di sangue.
  • Sbagli fratello. Dopo che hai esiliato nostro padre sull’isola dei Beati egli ha finalmente trovato la pace e la serenità necessari per chiedere scusa a nostra madre. Desiderava ottenere il suo perdono per alleggerire il fardello che si portava da tempo, sperando così di riavvicinarsi a te con maggior facilità. Quel fardello era stata la sua condanna e la causa della guerra che vi ha portato l’uno contro l’altro. Dio contro dio. Figlio contro padre. Un giorno quindi Rea si presentò al cospetto di Crono che inginocchiato e pentito ottenne il suo perdono. Da quell’unione, dalla redenzione di Crono e il perdono di Rea nacqui io che non solo non fui divorata, ma crebbi felice con nostro padre sulla sua isola. È lì la mia casa ed è da lì che giungo oggi. Per dimostrartelo ti ho portato questo, me l’ha affidato nostro padre come segno delle sue buone intenzioni. Mi ha detto che avresti compreso solo vedendolo. Ti ama e vorrebbe potertelo dimostrare.
Senza il minimo sforzo, come se sotto quel mantello si potesse nascondere anche un ciclope, Syncorea afferra un oggetto e porge al fratello un’enorme falce. Maia e Bea ci mettono solo qualche secondo in più rispetto a Zeus per riconoscerla, ma infine anche loro comprendono che si tratta proprio della falce dentata creata da Gea – nonna di Zeus -  e usata da Crono per evirare il padre Urano colpevole di aver gettato tutti i figli nati dalla loro unione nel mondo sotterraneo per pura crudeltà. È con questa che Crono ha salvato i fratelli ed è diventato loro re. La storia poi assurdamente si è ripetuta e anche Zeus ha detronizzato il padre Crono salvando i fratelli dal ventre dello stesso Crono, atto compiuto dal dio per scongiurare la profezia che lo vedeva sconfitto da uno dei suoi figli. Infine Zeus ha gettato il padre nel Tartaro, lasciandolo al suo destino fino al momento in cui l’ha perdonato, gli ha reso la falce e lo ha esiliato sull’isola dei Beati sperando ritrovasse rettitudine e serenità.
“Mai madre Rea mi ha raccontato di aver rivisto mio padre e tanto meno di aver generato un’altra figlia, mia sorella. Potrebbe essere vero quello che racconta la giovane? Certamente la falce parla chiaro, parla di Crono che si fida di Syncorea e gli affida la sua falce oppure si tratta di un altro furto di questa impostora? “
Questi i pensieri di Zeus alla vista di quell’oggetto così simbolico per la sua complicata famiglia. Sapeva che per Crono quella falce era sempre stata molto importante e ancor di più lo era diventata da quando era il re dell’Isola dei Beati. Quel giorno, quando mise piede per la prima volta sulla spiaggia dell’atollo, Zeus gliel’aveva resa come simbolo del suo perdono, come segno di riconciliazione tra padre e figlio. Per Crono quindi la falce rappresentava la rinascita, una seconda chance con suo figlio così simile, ma così diverso da lui. Ma la verità è un'altra, Zeus lo aveva perdonato solo a parole perché da quello stesso giorno mai più l’aveva voluto rivedere. Crono aveva tentato più volte di parlarci spedendogli messaggi tramite suo nipote Ermes, dio messaggero. Ad ogni richiesta Zeus aveva trovato scuse più o meno plausibili e addotto impegni legati al suo ruolo di Dio del cielo e alla fine non era mai andato da suo padre. Crono lo aveva a lungo giustificato, d'altronde lui era il Padre di tutti gli dei e mandava avanti da solo tutto l’Olimpo, poi aveva compreso che il problema non erano gli impegni di suo figlio, ma il suo cuore che non lo aveva davvero perdonato, ma solo dimenticato.
Una manina tira leggermente la candida tunica di Zeus, è Maia che guardandolo dritto negli occhi lo distoglie dai suoi tristi pensieri e gli dice:
  • Zeus credo proprio che Syncorea dica la verità. Quella è la falce di tuo padre.
Il passaggio al tu è spontaneo e Zeus non se ne rammarica perché ancora una volta quella ragazzina apparentemente insulsa capisce di cosa ha bisogno il grande e forte dio del cielo. Una spintarella nella giusta direzione, una parola di incoraggiamento, qualcuno che gli dica che può fidarsi, ma Zeus non è pronto ad affrontare quella verità e decide di ignorare le parole della ninfetta e di mettere alla prova la sua presunta sorella.
  • Bene, se tu come dici sei figlia di Crono e Rea e quindi mia sorella e se quella è la falce di mio padre devi avere un grande potere, perché ognuno dei figli di Crono è dotato di capacità superiori a qualsiasi altro dio. Io controllo i fulmini e tutti gli eventi del cielo. Poseidone ha il dominio delle acque, Ade degli inferi, Era sorella e moglie mi è tanto simile per poteri mentre Demetra è la mia antitesi, dea della terra e dei sui frutti e infine Estia è la dea della famiglia ed è adorata quale pura vergine. Tu che potere hai per metterti al nostro pari?
Poi ridendo aggiunse:
  • O forse il tuo potere è fare un po’ di yoga e spazzare via le nuvole?
Il tono strafottente e canzonatorio di Zeus non infastidisce la dea che al contrario mostra la sua grandezza con modestia ed eleganza. Syncorea unisce le mani in preghiera, abbassa il viso e chiude gli occhi. È a tal punto assorta e concentrata da apparire in una realtà parallela, ma il suo petto sale e scende per rassicurare gli increduli spettatori che ha un cuore ed è grande e palpitante. Fuori il cielo si sta schiarendo, le nubi si diradano, la pioggia è sparita e al suo posto sta spuntando un timido sole. Nell’aria si spande un profumo frizzante e rinfrescante, è Kedros – cedro in greco - che entra nelle narici delle giovani Maia e Bea con delicatezza ma persistenza. Sono completamente catturate dalla bellezza e soavità di quella scena e di quella dea così diversa dalle altezzose Afrodite ed Era che tutt’al più avrebbero mostrato la loro bellezza, più che la loro dolcezza. Anche Zeus ha disteso i muscoli del viso e mostra un sorriso ebete. Maia si muove per prima, si avvicina a Bea e l’abbraccia sussurrandole all’orecchio che è la sua migliore amica, che le vuole bene e che non l’abbandonerà mai. Bea emozionata ricambia l’abbraccio e le promette di rispettarla e proteggerla per sempre. Poi parlandosi solo con lo sguardo le due bambine si dirigono verso Zeus. Senza pensarci troppo lo abbracciano avvolgendo i polpacci con tanto amore da riempire la casetta. Zeus imprigionato in quella mistica scena, si abbassa alla loro altezza e ricambia l’abbraccio certamente un po’ goffo, ma molto sincero.
  • Zeus hai compreso il potere di tua sorella?
Bea capisce che quel dio così potente ha bisogno di essere guidato una volta ancora, prova così tanto rancore nei confronti di suo padre e non vuole concedere a Syncorea una chance solo per questo motivo.
  • Cosa intendi piccola Bea?
  • È il perdono la sua forza, sa dissipare i rancori degli esseri viventi, ma anche delle forze dell’universo. Il cielo è terso e così le nostre anime. Non la senti una pace confortante invadere il tuo corpo e il tuo cuore?
Zeus non può non ammettere che in pochi istanti tutta la rabbia, il rancore e l’astio sono spariti e al loro posto si insinua pian piano solo un senso di pace e serenità. È stata lei? È merito di sua sorella? Quale potere immenso ha questa divinità? Superiore a qualsiasi altro… Con il suo potere è possibile domare le guerre, rincuorare i malati, addolcire i tiranni e chissà cos’altro. Lui però è Zeus, il Padre degli dei e può resistere a questo potere e tornare rigido e freddo come è giusto che sia. Non vuole un’altra sorella e tanto meno rivedere suo padre, lo ha perdonato tanto tempo prima quando lo ha liberato dal Tartaro ed esiliato sull’Isola dei Beati, ma non ha nessun desiderio di rinnovare il loro legame, un legame che non è mai esistito se non nei suoi sogni. Quante volte, scoperta la verità sui suoi veri genitori, ha sognato di poter abbracciare suo vero padre, il divino Crono? Per poi scoprire che aveva divorato ogni suo fratello e sorella. Quante volte ha pregato perché il suo destino non fosse quello di sconfiggere suo padre? Ma non ha mai avuto scelta e con il cuore pieno di tristezza ha soddisfatto le aspettative e combattuto contro sua padre.
  • Ho perdonato mia padre secoli or sono, non ho bisogno dei tuoi poteri.
  • Sei sicuro grande Zeus di averlo perdonato? O forse lo hai solo dimenticato e ti sei ripulito la coscienza esiliandolo su un’isola il più lontano possibile dall’Olimpo e da te.
Il tono di Syncorea è sempre dolce, ma le sue parole tagliano più della stessa falce che ha portato in dono.
  • Come osi parlare della mia coscienza? Come puoi capire quello che ho passato? Avevo un destino e l’ho compiuto!
Zeus perde il controllo e urla queste parola con rabbia e rancore e solo dopo questo terribile sfogo capisce che davvero non hai mai perdonato suo padre o forse non ha mai perdonato sé stesso per aver combattuto contro suo padre invece che contro una profezia.
Intanto Syncorea si accascia e le bambine accorrono in suo aiuto spaventate dal suo sguardo sofferente. La dea cerca di sorridere, ma la smorfia sul suo candido viso e le mani pallide ancorate allo stomaco rivelano un dolore lancinante.
  • Questo il mio dono e la mia condanna. Porto perdono, pace e compassione, ma per farlo mi faccio carico del fardello che appesantisce i cuori e sporca le anime. È doloroso e faticoso, ma questo è il mio compito per tutta la vita e ne sono felice e fiera.
Maia e Bea sono incredule, le parole di Syncorea non lasciano spazio a dubbi, una vita a soffrire per liberare gli altri dal peso delle loro colpe o dei torti subiti. È Bea la prima a manifestare questi pensieri.
  • Nonostante tu sapessi quanto ti sarebbe costato rivelarti a Zeus hai deciso di affrontarlo per riavvicinarlo a vostro padre? Ti fa onore grande Syncorea, mi inchino dinnanzi alla tua saggezza.
E la giovane si piega in una riverenza che nessuno mai le ha insegnato, ma che come ogni sacerdotessa conosce per eredità e discendenza.
Poi è Maia che pensa di rivolgersi a Zeus, senza peli sulla lingua e forse dimenticandosi per un attimo a chi sta dirigendo il suo rimprovero o forse rammendando nel profondo le sue origini sacerdotali e sacre.
  • Non vedi quanto è coraggiosa tua sorella? Non capisci che la sua è una dimostrazione d’affetto? Ama te e ama vostro padre e vuole che vi ritroviate e sono certa che anche tu lo vuoi. In fondo al cuore desideri riappacificarti con lui, altrimenti non lo avresti liberato dal Tartaro.
Anche Maia si inchina di fronte a Syncorea che pian piano riprende colore e forze.
Zeus incredulo guarda entrambe, prima Bea, poi Maia e poi di nuovo Bea e di nuovo Maia. Le aveva credute così piccole e impotenti, innocue e deboli, al contrario ora vede due degne discendenti della grande sacerdotessa Cassandra. Si sente piccolo piccolo difronte a quelle due orgogliose bambine che senza poteri e senza onori hanno centrato il bersaglio e compreso il suo animo molto prima di lui. Finalmente comprende tutto: ama suo padre e ha bisogno di lui. Si inginocchia proprio davanti a quei visini così delicati e puri, ormai si sente un loro pari e le abbraccia, non certo perché Syncorea ha usato il suo potere, ma perché lui, il grande e potente Zeus, Padre di tutti gli dei, lo ha deciso. Syncorea sorride e si unisce all’abbraccio. Il dolore è passato, il perdono è finalmente giunto, vero e sincero.
Così come sono apparsi, Zeus e Syncorea si dileguano nel nulla per lasciare le giovani ragazze di nuovo sole, ma più consapevoli del loro destino. Vicino a loro c’è il grande libro degli dei aperto all’ultima pagina, dove magicamente Zeus non è più potente e solo, ma è rappresentato con suo padre Crono e si abbracciano avvolti da tutt’altro tipo di potere: quello dell’amore. Sullo sfondo ci sono Rea e Syncorea che sorridono felici.
Maia sospira:
  • Che peccato che nessuno saprà mai che quella donna così bella e buona è una dea e non una qualunque, bensì la Dea del perdono!
  • Hai proprio ragione, varrebbe la pena che ogni nostro compagno conoscesse questa storia… forse potremmo parlarne con maestra Mariella, lei ha sempre una soluzione per tutto!

 
Ma… chissà… forse un giorno qualcuno racconterà questa storia… mai dire mai… soprattutto con gli DEI DELL’OLIMPO!

 
 
 

FINE…
 
Dalla fantasia di mamma Tatiana e Maia!


 

   
 
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