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Autore: Will P    10/08/2019    2 recensioni
“Per quanto ne avrai con quell’inventario, angelo?”
“Grazie, una tazza di tè sarebbe perfetta,” mormora Aziraphale, immerso fino alla fronte in un libro più antico del villaggio in cui sono finiti, poi sembra riscuotersi - o percepire la frequenza a cui Crowley ha iniziato a digrignare i denti - e tira fuori il naso dalle pagine. “Scusami, hai detto qualcosa?”
[post-canon; ~cottage in the South Downs]
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: Lo sapete che Terry e Gaiman hanno detto che dopo l'Apocalisse Aziraphale e Crowley vanno a vivere insieme in un cottage nei South Downs? Sapevatelo! su Rieducational Channel Titolo @ Nine In The Afternoon - Panic at the Disco.



picking up things we shouldn't read (it looks like the end of history)

Tre giorni, pensa Crowley, devono essere più che abbastanza.

“Per quanto ne avrai con quell’inventario, angelo?” dice, appoggiandosi a un lato della porta. Abbassa appena gli occhiali per scrutare nella penombra del nuovo studio, perché Aziraphale non si è ancora ricordato di aprire le tapparelle, e scatole ancora intonse lo fissano sprezzanti da ogni angolo. Le sue piante avevano trovato posto in mezza giornata, pensa, non senza un filo di isteria; quanto ci può volere per degli oggetti inanimati?

“Grazie, una tazza di tè sarebbe perfetta,” mormora Aziraphale, immerso fino alla fronte in un libro più antico del villaggio in cui sono finiti, poi sembra riscuotersi - o percepire la frequenza a cui Crowley ha iniziato a digrignare i denti - e tira fuori il naso dalle pagine. “Scusami, hai detto qualcosa?”

“Sono tre giorni.”

“Di già?”

Crowley vorrebbe urlare, o allentare tutte le viti di tutte le mensole della stanza. Il problema è che è stato lui a stringerle quando sono arrivati e che Aziraphale ci metterebbe qualche anno ad accorgersene, di questo passo, e soprattutto non vuole sentire le storie che ne scaturirebbero. O sorbirsi le occhiate deluse.

“Non c’è modo di… andare più veloce?” dice invece.

“Temo di no,” risponde Aziraphale, e dai meandri di uno scatolone materializza un vero inventario, con le pagine gialle e righe e colonne disegnate ordinatamente a mano. “I volumi del basso medioevo sono i più delicati, vedi, perciò…”

Smette di ascoltare per qualche minuto. Sono tutte ciance che ha già sentito, su rilegature e pergamene e temperature migliori per conservare l’inchiostro, ed è molto più gratificante pensare alla cena.

“Potresti trovarti qualcosa da fare, intanto.”

“Cosa?”

“Un hobby, vecchio mio,” dice Aziraphale, rimettendo il naso nel suo libro, con il tono compiaciuto di chi ha appena usato correttamente una parola all’ultima moda appena scoperta, e Crowley vorrebbe ridere, per più di un motivo, ma…

Non è questo che fa la gente in pensione, dopotutto?



Cerca rifugio nella libreria del paese, che in realtà è un’edicola mascherata da negozio di souvenir mascherato da libreria, e che vanta l’ultimo libro di Dan Brown come titolo più impegnato del proprio catalogo. Hanno un’offerta tre per due sui libri e c’è una collezione di calamite di cattivo gusto piantata fieramente al centro del bancone, ed è soltanto appropriato cercare un hobby lì, pensa Crolwey, scivolando tra gli espositori di cartoline con sadica soddisfazione; così Aziraphale imparerà a ignorarlo.

C’è un libro di ricette, incastrato tra un calendario dell’anno passato e una mappa della regione illustrata da un artista del luogo che non ha mai imparato bene a tenere in mano una matita. È vecchio, impolverato, a occhio e croce fermo agli anni Novanta, e Crowley lo compra senza cercare un secondo in più.

Vuole soltanto vedere la faccia che farà Aziraphale.

Non ha davvero intenzione di usarlo.



La cucina sa di lievito e appena un pochino di bruciato.

Il punto debole di Crowley è sempre stato la noia. È per quello che si è trovato incastrato in tutta quella storia della Caduta, è per quello che è finito su nell’Eden a combinare guai, ed è per quello che dopo una settimana intera di inventario e di come caro? gli era sembrata una buona idea prendere in mano il libro di ricette e tentare qualcosa. Qualsiasi cosa, pur di far passare il tempo.

Aveva accettato di lasciare Londra per trovare un posto tranquillo, non per chiudersi in isolamento in un eremo in riva al mare.

Il problema è che all’inizio gli era sembrato buono anche l’odore del pane - la prima ricetta, perché cosa c’è di più semplice del pane? Gli umani sono riusciti a farlo per secoli con soltanto un fuoco vivo e una pietra per schiacciare il grano, non può essere così difficile - ma chiaramente doveva essere successo qualcosa mentre era in forno.

Non era solo il profumo - sapeva di lievito, e di bruciato, e l’interno, per qualche motivo, era bagnato.

E doveva essersi scordato il sale.

“Vecchio mio, cos’è questo odore?”

“Niente!” Crowley fulmina il pane con un’occhiataccia, e quando Aziraphale entra in cucina ogni superficie risplende e non c’è neanche una molecola di farina nell’aria. (Avrebbe potuto aggiustare la ricetta con un’alzata di sopracciglio, ma sarebbe stato come barare - e normalmente è un grandissimo fan, ma in questo caso sarebbe stata un’ammissione di sconfitta. Inconcepibile.)

“Ma come, sembra… pizza?”

“No, non so di che parli,” dice, un po’ troppo entusiasta, agguantando Aziraphale per un braccio e trascinandolo via dalla scena del crimine. “Basta dirlo se hai voglia di mangiare italiano.”

Aziraphale s’illumina, sufficientemente distratto, e Crowley riesce a tirare un sospiro di sollievo, ma la scoperta rimane.

Allora c’è qualcosa che può staccare l’angelo dai suoi libri.



Crowley continua a cucinare come se fosse la sua missione segreta.

Riprova col pane, per principio più che per altro, finché l’interno non è perfetto e la crosta croccante e Aziraphale non si lascia sfuggire versi indecenti mentre ne addenta una fetta a colazione. “Al forno di Mildred si sono superati,” dice, leccandosi le dita da ogni traccia di briciole e marmellata, e Crowley risponde con un verso vago prima di nascondere la faccia nella sua tazza di tè.

Incoraggiato dai risultati, torna in cucina con rinnovata determinazione. Decide di insistere con i dolci, perché è quello il punto debole di Aziraphale, e può sempre attribuire ogni esperimento fallito a qualche vicino troppo premuroso.

La pasta frolla è più complicata, ma riesce a domarla rapidamente, e una volta capito il trucco è così rilassante brandire il mattarello. A quel punto sembra tutto in discesa - i biscotti sono una sciocchezza, le crostate uno scherzo finché ha sotto mano delle conserve decenti - perciò decide di tentare qualcosa di più complicato.

La meringa è un fallimento su tutta la linea, di cui è meglio non parlare oltre.

Il problema sono le ricette troppo rigide, suppone; ha sempre avuto un brutto rapporto con le regole, e in cucina non è cambiato molto. I muffin sono più nel suo stile, qualcosa dove può buttare ogni volta quello che vuole senza preoccuparsi troppo di rovinare tutto, e anche i cupcakes, soprattutto per la glassa. Okay, soprattutto per quello che fa Aziraphale quando mangia la glassa.

È curioso di provare i pancake, ma - non è il caso. Vanno mangiati caldi, e non ha intenzione di avere Aziraphale intorno mentre cucina. Non ancora, non mentre sta imparando - è già abbastanza stressante vederlo mangiare i suoi dolci pensando che siano di Mildred o qualche vicina annoiata.

Per svelargli la verità dev’essere tutto perfetto.



Gli scones forse sono stati un tentativo troppo ottimista.

Alcuni sono perfetti, lievitati a puntino e con una doratura brillante da far piangere qualsiasi rivista di cucina; altri sono informi, piatti e bitorzoluti, con l’aria di chi ha bisogno di una buona dose d’incoraggiamento e un mezzo miracolo per sopravvivere fuori dal forno.

“Crowley?”

Forse è colpa del burro. È sempre colpa del burro, quando qualcosa non va.

“Crowley, stai cucinando?”

Una mano leggera su un fianco e Crowley sussulta come un gatto terrorizzato. Vorrebbe darsela a gambe - e trovare uno specchio, oh per l’amor di Chiunque, non avrà la farina nei capelli? - ma la mano di Aziraphale lo inchioda sul posto, il suo petto contro la schiena gli blocca ogni via di fuga, e quando gli appoggia il mento sulla spalla per sbirciare il bancone Crowley è definitivamente imprigionato.

“Li hai fatti tu?” mormora, la voce bassa e calda, e Crowley azzarda un’occhiata con la coda dell’occhio. La sua espressione è ammirata, più che incredula, e sta sorridendo in un modo che potrebbe illuminare la stanza.

Crowley ha la mezza tentazione di discorporarsi e sparire, o almeno dare fuoco a qualcosa. Tipo gli scones, che se ne stanno storti e spaiati nella loro teglia, come se questo non fosse anche un loro problema.

Avrebbe dovuto restarsene a fare biscotti, rimugina, incrociando le braccia al petto. Teglie su teglie di biscotti perfetti e l’angelo non si era accorto di nulla, ma per una volta che sbaglia le dosi…

“Dobbiamo provarli, mio caro,” dice Aziraphale, voltandosi verso di lui con un sorriso più ampio, e Crowley rimpiange gli occhiali da sole abbandonati sul comodino accanto al letto.



C’è una pianta di rose lungo tutta una parete del cottage che non vuole saperne di sbocciare. È frustrante, specie quando tutto il resto del giardino ha capito subito chi comanda.

Crowley non si è ancora abbassato alle minacce - Aziraphale si scandalizza quando lo sente sibilare contro le piante - ma le occhiatacce sono un’altra storia.

“Crowley, per favore.”

Crowley si morde la lingua e sposta la sua occhiataccia sul tavolo.

Il sole splende, l’aria sa di mare, le api ronzano felici tra i fiori e Crowley non ha del tutto abbandonato l’idea di dare fuoco a qualcosa. Le rose, possibilmente.

Sembrano un po’ troppo compiaciute, per i suoi gusti.

“Non avevo idea che sapessi cucinare,” dice Aziraphale, posando una tazza di tè ambrato e fumante di fronte a lui, e Crowley si riscuote stringendosi nelle spalle.

“Non so cucinare,” bofonchia, e poi si infila uno scones sano in bocca. È la tattica perfetta per non dire più nulla - ed è disposto a masticare per ore se ce ne fosse bisogno - ma ha pescato uno di quelli venuti peggio e sente grumi di burro sulla lingua, ugh, quindi manda giù con un sorso di tè e, perché sente lo sguardo di Aziraphale piantato addosso, aggiunge riluttante: “Mi annoiavo e basta.”

“Oh.”

Crowley alza gli occhi, perché non è l’oh di quando Aziraphale si trova in testa gli occhiali che credeva di aver perso, né l’oh di una pagina intonsa in un libro appena comprato; Crowley alza gli occhi e Aziraphale lo sta guardando, come non faceva da chissà quanto - settimane, una manciata di giorni, ma erano parsi secoli -, come se non ci fosse una pila di scones appena sfornati proprio fra di loro, e Crowley non sa bene come rispondere.

Poi Aziraphale gli prende una mano, la solleva per baciargli le nocche, e Crowley si scorda di saper parlare.

“Mi dispiace di averti ignorato,” mormora Aziraphale, scostandosi appena dalle sue dita. “Ma ho finito di sistemare tutto.”

“Oh,” dice Crowley, in un tono ancora diverso, prima di alzarsi e sporgersi sopra il tavolo.

Ci vuole un po’ prima che si ricordino del tè, ma gli scones restano caldi e fragranti per tutto il tempo.

(Non è barare, quello; solo buon senso.)

   
 
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