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Autore: teeni    11/08/2019    0 recensioni
Non avrei mai pensato di dirlo.
Io, Emily Adams, ho paura, e voglio tornare a casa.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non avrei mai pensato di dirlo.

Io, Emily Adams, ho paura, e voglio tornare a casa.

 

Non ho mai pensato che mi sarei messa a scrivere in un momento così assurdo.

Non ci credo che la prima cosa che mi è venuta in mente è il quadernetto stupido con i cuori che ho buttato nello zaino completamente a caso.

Potrei, che ne so, impegnarmi a nascondermi, disperarmi su come farò a sopravvivere, ma no, sono qui a scrivere.

Sarà il trauma.

 

Il mio nome è Emily Adams (ma l’ho già detto), e oggi sono nella merda fin sopra i capelli.

Tutto è cominciato una cosa come dieci anni fa: i miei genitori hanno iniziato a litigare, anche se molto poco.

Io ci stavo male ovviamente. Col tempo, però, i litigi erano diventati all’ordine del giorno, e io, che ero ormai una teenager arrabbiata, ero sempre tipo “ma fatemi il piacere e divorziate”.

Ma mia madre era troppo insicura per prendere una decisione del genere, e mio padre, nonostante fosse quello che urlasse di più e minacciasse costantemente di lasciarla, sapeva di non essere in grado di vivere da solo.

 

I loro capricci (perché lo erano davvero), erano diventati un sottofondo alla mia vita e quella dei miei fratelli. Mia sorella, che si lamenta sempre per qualunque cosa, in confronto era praticamente Ghandi.

 

Mio fratello, appena fatti 18 anni, si è trasferito.

Io cercavo di passare più tempo possibile da lui, ma a casa dovevo sempre e comunque tornare, con litigi e capricci ad aspettarmi.

 

Mia sorella Hailey, la più piccola, non aveva ricordi di mamma e papà che si volevano bene.

Essendo l’ultima, si addossò tutta la colpa.

Io stavo uscendo dalla fase “perennemente incazzata con l’universo”, e proprio per questo ero entrata nella fase “perennemente incazzata con i miei genitori (per buoni motivi)”.

Hailey era depressa e non socializzava. Grace non parlava più con nessuno. Will viveva dall’altra parte della città, e si faceva sentire sempre meno.

 

Io ero sempre più rabbiosa. Non vedevo l’ora di fare 18 anni, per andarmene da quella maledetta casa.

Io e Will c’eravamo già messi d’accordo, mi avrebbe ospitato finché avrei avuto bisogno.

 

Feci 18 anni, ma andarmene da casa era fuori discussione.

I miei genitori sembravano sull’orlo di divorziare davvero, dovevo rimanere a casa per le mie sorelle: una piangeva tutti i giorni, l’altra si rifiutava di parlare.

 

Più di un anno dopo, mamma e papà si minacciavano l’un l’altro di divorziare. Ancora.

Ero stufa. Stavo uscendo di testa.

Avevo perso interesse nel bene delle mie sorelle. Immaginavo sempre la morte dei miei genitori e come sarebbe stata facile la vita senza di loro.

Dovevo andarmene.

Chiamai Will e ci mettemmo d’accordo: entro la fine della settimana successiva, mi sarei trasferita da lui.

 

Solo due giorni prima del mio trasloco completo, ricevemmo una chiamata: “Suo figlio si è suicidato, signora”.

 

Ecco il motivo per cui mi trovo qui.

 

Mentre i miei genitori litigavano su chi dei due fosse stata la causa del suo suicidio, io riempii il mio zaino e uscii di casa, senza dire niente a nessuno e senza nemmeno essere badata.

 

Camminai molto; sembravo senza meta, ma sapevo esattamente dove dovevo andare.

 

La hall dell’ospedale psichiatrico sembrava molto più accogliente di quella di un ospedale… ospedale.

Non ero pazza, ma mi sembrava la cosa più giusta da fare.

 

Mi trovavo bene i primi giorni: nessuno urlava, nessuno litigava. C’era qualche momento di confusione, ma non mi dava fastidio.

 

Poi però ho iniziato ad avere paura.

All’ospedale arrivarono queste figure malvagie, che non mi lasciavano più sola.

La mattina mi ronzavano intorno non appena mi alzavo, ma ancora prima vegliavano su di me con occhi sbarrati.

Arrivata la sera le avevo intorno, mi accerchiavano e io perdevo conoscenza, per poi risvegliarmi nel mio letto, sotto il loro controllo.

 

Ho perso la concezione del tempo e della realtà, e sta mattina ho detto basta.

E non appena hanno cercato di accerchiarmi, sono corsa via.

 

Con i loro versi raccapriccianti alle spalle, corsi velocemente per i corridoi.

Entrai e uscii da diverse stanze, per tentare di confonderli, passai anche per la mia stanza e presi con fuga lo zaino, per poi nascondermi in bagno.

 

E ora, rannicchiata vicino al water, con le voci in lontananza che cercano di capire dove sono, vorrei non essere mai andata via di casa.

Vorrei essere stata vicina ai miei genitori.

Vorrei aver amato di più le mie sorelle.

Vorrei non avergli fatto male.

 

Voglio tornare a casa.

Voglio tornare a casa

Voglio torn

 

«Emily! Eccoti qua. Che ti è successo? Perché sei scappata? Su, devi prendere le medicine.»

  
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