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Autore: MadLucy    12/08/2019    1 recensioni
«Lascia che me ne occupi io» sorrise Alec. «Gestione delle risorse umane. Più il mio ambito che il tuo.»
Jane non negò. Oltre che soave e melodioso, lui riusciva a suonare persino sincero. «Finalmente possiamo chiudere questo sgradevole capitolo una volta per tutte» sospirò compiaciuta.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alec, Jane, Renesmee Cullen
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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Il treno era puntuale. Alec osservava educatamente fuori dal finestrino, come se dimostrare interesse per lo scialbo panorama fosse un'occupazione attiva e doverosa. Le gambe accavallate, il polpaccio dondolava dolcemente facendo ricadere un po' più in basso l'orlo della calza in cashmere. Jane invece teneva la schiena diritta e accostata al sedile, compita, una borsetta di cuoio a tracolla in grembo, i capelli trattenuti a lato da una molletta. In realtà aveva sotto controllo tutti quelli che li stavano osservando. Era uno spettacolo non da tutti i giorni, una coppia di gemelli vestiti con quella che sembrava l'uniforme blu di qualche prestigioso college inglese, in prima classe, senza nessun accompagnatore. Erano graziosi e sofisticati, come i figli di due moderni monarchi. 
«Non è velenosa. Ha sangue e battito cardiaco. È fragile e scotta, più degli umani. Non è nè veloce nè forte come noi» riepilogò Jane, tra le labbra, abbastanza in fretta e sottovoce da far a malapena intuire a chi avevani intorno che stesse parlando.
«Un suggestivo fenomeno da baraccone» ridacchiò Alec, senza malizia, come un compagno di classe che prende in giro un altro. «Perchè l'hanno lasciata proprio lì?»
«Non ne ho idea, ma non ce ne saranno tanti altri. Saremo costretti a chiamare un taxi per non dare nell'occhio» mormorò Jane, tediata. 
Il bigliettaio si soffermò vicino ai loro sedili. «Tutto a posto, ragazzi? Non c'è qualcuno con voi?» Apparivano così vulnerabili, con le minute ginocchia uguali vicine. 
«Nostra madre ci aspetta alla banchina» rispose Jane. Il suo sorriso aveva un potere non inferiore a quello di un reale dono vampiresco di persuasione: la faceva apparire più piccola e raggiante, come se scoppiasse di felicità. 
«Bene, allora» confermò infatti l'uomo, senza riuscire a trattanersi dal darle una carezza rapida sui capelli prima di proseguire. Jane strinse i denti dietro alle labbra, investita dalla zaffata dell'odore di sangue. 
«Buona, Jane, buona» la ammansì intenerito il gemello, come se parlasse con un gattino vivace, più per stuzzicarla che per sgridarla davvero. Lei si distrasse scrollando il capo. «Sarà difficile non danneggiarla. Soprattutto se opporrà resistenza.» La sua voce era di nuovo apatica. 
«Lascia che me ne occupi io» sorrise Alec. «Gestione delle risorse umane. Più il mio ambito che il tuo.»
Jane non negò. Oltre che soave e melodioso, lui riusciva a suonare persino sincero. «Finalmente possiamo chiudere questo sgradevole capitolo una volta per tutte» sospirò compiaciuta. Un pigro ghigno sfiorò le labbra carnose mentre ricordava la carneficina dei Cullen. Aveva trotterellato molto più leggera del solito, una volta che l'unica persona che poteva resistere al suo potere era morta. Eppure persisteva qualcosa di puro e beato nella sua felicità, e chiunque avrebbe confermato che era incontestabilmente legittimata ad esserlo. 
«E se Aro decidesse di tenerla?» ribattè Alec, sardonico. 
Jane lo fissò freddamente. «Ti tengo in alta considerazione nel mio cuore, fratello, ma a volte non capisci nulla.»
Alec invece capiva benissimo. Trovava che la sua gelosia nei confronti di Aro fosse adorabile quanto il suo viso. «L'esca?»
Jane gli offrì un sacchetto di stoffa chiuso. La fragranza che emanava era dolciastra, fresca e cremosa, come la glassa di un cupcake troppo zuccherata. Stucchevole. «Tutta tua. Mi auguro che ci metterai poco, Alec. Odio già questa città.»
«Non ti deluderò» promise Alec, limpidamente. Per ringraziarlo, la gemella gli scoccò un bacio sulla guancia. 

***

Alec raggiunse la cameretta da cui proveniva il suo odore. Aveva un piccolo soppalco di legno, sul quale si stava nascondendo la sua preda. Lui però assunse un atteggiamento per nulla offensivo: entrò con discrezione e cautela, come se temesse di disturbare e chiedesse gentilmente un permesso invisibile, e si guardò intorno, fingendo di non averla individuata. 
«Dove sei, piccola Renesmee?» esclamò con voce distesa. Incredibile come i ricchi chiamino i loro figli, pensò con disprezzo. Il respiro dell'ibrido era accelerato, dopo aver sentito pronunciare il proprio nome, così come le pulsazioni del suo cuore abnorme. Era rumoroso come un pendolo. Alec fece scivolare dalla tasca della giacca della divisa scolastica il contenuto del sacchetto che Jane gli aveva dato: una catenina a cui era appeso un medaglione. Era l'unica prova che erano riusciti a reperire prima della sua ultima fuga. «Ho qualcosa che ti appartiene» informò la preda, più divertito che minatorio.
Renesmee sapeva già esattamente di cosa si trattava. Funzionò. Si sporse dal cumulo di vestiti vecchi dietro cui era nascosta, sbirciando con avida nostalgia l'ultimo regalo di sua madre. 
«Se scendi te lo restituisco» garantì Alec, serio. 
Renesmee non scese, bensì rimase sulle scale, a metà tra il soppalco e la stanza. Era bellissima, naturalmente, com'era anche la prima volta che Alec l'aveva vista, quando dimostrava un paio d'anni. Adesso sembrava una ragazzina proprio della sua età. I boccoli a cavatappo, lunghi fino alla vita, di bronzo ramato -castano lucente, biondo scuro, rosso tiziano e arancio ambra riuniti in una combinazione autunnale come un fascio di rami d'albero diversi- erano splendidi, ma trascurati, come se non li spazzolasse e sfoltisse da un po'. Il viso eburneo si era affilato, con l'adolescenza, e le guance avevano perso rotondità e colore. Il corpo era smilzo, non ancora sviluppato, di una nervosa magrezza slanciata, come se ancora non sapesse gestirlo. Solo una cosa era immutata: gli occhi color cioccolato, profondi e riflessivi, benevoli e solenni, gli occhi di Bella Swan. In quel momento, colmi di terrore e spennellati di occhiaie peste. 
Era raro che una bellezza non umana fosse irradiata dal palpito purpureo del sangue, riuscisse a custodirne il calore. Ma Alec non si lasciò commuovere troppo. Distruggere creature perfette era il suo lavoro. Fece oscillare il medaglione dall'indice, con negligenza.
«Perchè continui a fuggire, Renesmee? È la tua unica speranza» le rammentò Alec, con un'espressione contrita del tutto convincente. «Non hai nessun posto a cui tornare. Non hai più una famiglia. Sei sola» constatò con tranquillità, ignorando la sospesa angoscia sul suo viso, come se sentisse quella notizia per la prima volta. «Un vampiro senza clan non se la passa bene. Perchè non vieni con me?» La proposta uscì sgaia, a bruciapelo, come se gli fosse appena saltata in testa come una illuminante idea. 
Renesmee teneva una mano aggrappata al corrimano. «Perchè non mi fido di voi.» Nell'altra -tremante- aveva un coltello, un inutile coltello umano da cui Alec si finse comunque intimorito, e alzò appena le mani, per dimostrare quanto fosse inerme. 
«Noi chi? In questo momento siamo soli» le fece notare. Avrebbe potuto farla svenire con una rapida manovra e portarla via, ma ora aveva intenzione di vedere come sarebbe andata a finire. 
Renesmee s'incupì. «Tu non sei mai solo.» La scelta delle parole lo stupì. Si riferiva all'onniscienza di Aro o a Jane? Ad ogni modo, era vero. 
«Hai paura di Jane?» scelse Alec di chiedere, con un sorriso condiscendente. Era certo che si ricordasse di lei. Non è facile dimenticare chi stacca la testa a tua madre. 
«Solo uno stupido non ne avrebbe» rispose Renesmee, lentamente, ritraendo appena il viso sotto la massa di riccioli fluenti. «Perchè dovrei fidarmi di te? Non so nemmeno che cosa sai fare» aggiunse in tono d'accusa. 
Certo, eri troppo piccola ai tempi per essere coinvolta nei discorsi strategici, non hai dovuto studiare i tuoi nemici. Ti sarebbe stato utile. Alec evitò manifestamente la domanda sottintesa. «Mia sorella è così, esuberante. Io sono più sobrio» sorrise con complicità, come se fosse uno scherzo tra loro. 
Renesmee di solito prediligeva una comunicazione tramite contatto per velocizzare le cose e esprimere al meglio i propri pensieri ed emozioni, però non aveva alcun desiderio di toccare quel ragazzino efebico e inquietante. La sua voce cordiale le metteva i brividi. 
«Mi dispiace per quel tuo amico» disse Alec, in quel momento -la cosa più imprevedibile e sbagliata. Renesmee provò un feroce attacco di nausea. 
«Jacob» si sentì pronunciare. Grosso errore.
«Sì, Jacob» annuì Alec, costernato. «Noi non volevamo fare del male a Jacob, Renesmee. Volevamo solo metterti in salvo. Lui non avrebbe mai potuto proteggerti adeguatamente, ma non si sarebbe nemmeno fatto da parte.» E suonava così autentico. Come non credergli? Era il ritratto dell'afflizione, un cherubino lacrimoso di Botticelli. Ma ovviamente era una menzogna. I Volturi sapevano cogliere ogni buona occasione per uccidere licantropi. Renesmee la respinse con disgusto. 
«Sei piccolo. Perchè sei così piccolo?» cambiò argomento bruscamente. 
Alec non battè ciglio. «Aro aveva in mente di trasformarci in età adulta. Ma i cacciatori di streghe hanno fatto prima.» Inaspettatamente, scoppiò a ridere: Renesmee si paralizzò, senza sapere bene cosa fare. Sperava perlomeno di infastidirlo, in modo da smascherare le sue reali intenzioni intimidatorie. 
Alec aprì il medaglione che teneva in mano e lesse l'incisione all'interno. «Plus que ma propre vie. Conosco il francese, mi è capitato di essere spedito a Calais per una piccola ambasciata che si prolungò più del previsto, diversi anni fa. Parlez-vous francais?»
«Oui.» Renesmee rispose quasi automaticamente.
«Sei molto intelligente» la lodò Alec, mellifluo. Era seducente in modo subdolo, tutto sommato puerile, come se lei fosse una lattante da incantare con le caramelle. Poi guardò ancora la collana. «Quando tua madre ha comprato questo gioiello per te era sincera. Eri davvero più importante della sua stessa vita, eh?»
Renesmee percepì l'ira montare. Se intendeva convincerla a seguirlo, quella non era una buona strada. «Siete stati voi ad ucciderla! E volete uccidere anche me. Come mamma e papà e Jacob...»
«Shhh.» La voce di Alec diventò cullante, senza un solo motivo che lo giustificasse. «È tutto ok, è tutto ok. Sei al sicuro ora.»
L'ira scomparve. Renesmee si sentì debole, come se quel cambio di tono da solo l'avesse narcotizzata. Era possibile?
«Noi non siamo i cattivi, anche se la tua famiglia aveva questa impressione» sussurrò Alec. Le luci danzavano rapidamente intorno al suo volto perfetto. «Ti porterò a casa.»
«A casa...» Renesmee ricordò qualcosa di vago che aveva udito in passato riguardo una nebbia. Una nebbia...
«La casa della legge è anche la tua casa» scandì Alec, prima che l'udito le venisse a mancare, «Renesmee.» Le parve che il suo nome fosse stato proferito quell'ultima volta con sarcasmo. Nebbia di deprivazione sensoriale,arrivò alla sua memoria all'ultimo, inutilmente, prima che perdesse tutti gli altri sensi e finisse rinchiusa nell'oblio. 







 
  
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