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Autore: Ser Cipollotto    13/08/2019    0 recensioni
Era perfettamente comprensibile perché la Signora Rossetti dell'appartamento di fronte non apprezzasse molto i miei amici: si presentavano agli orari più impensabili, urlavano come se non ci fosse un domani e avevano la fastidiosa abitudine di trascinarmi dove volevano, senza alcun ritegno per ciò che preferivo io. Quella sera non fu tanto diverso e quando mi "invitarono" nel mondo esterno, non potei fare altro che rassegnarmi all'idea.
Né io né loro, però, potevamo immaginare che quella semplice sera, avrebbe cambiato radicalmente le nostre vite...
Genere: Azione, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La campanella del forno a microonde suonò e attirò la mia attenzione. Tenendo il segno con un dito, chiusi il libro che stavo leggendo, e recuperai la tazza di latte caldo all'interno dell'apparecchio. Finalmente pronto, mi avviai verso la camera, verso il mio letto, per dedicare interamente la mia attenzione a quel libro. Riuscii a fare giusto tre passi, prima che qualcuno cominciò a bussare insistentemente alla porta d'ingresso. Lanciai un'occhiata all'orologio: erano le dieci e un quarto. Spostai lo sguardo verso la finestra: erano le dieci e un quarto, di sera. Chi mai poteva essere? Non mi aspettavo visite e quello non era l'orario più adatto per riceverle a sorpresa.
«Ehi! Lo so che ci sei! E' troppo presto per addormentarsi perfino per te! Forza, aprimi!»
Alla voce familiare seguirono altri colpi alla porta, più pesanti dei precedenti. Appoggiai la tazza sul ripiano della cucina, cercai rapidamente un foglietto da usare come segnalibro e mi rassegnai ad eseguire gli ordini. O, altrimenti, sapevo che avrei dovuto rinunciare a quell'uscio. Di nuovo.
«Aspetta un attimo! Non buttarla giù come l'altra volta!» temporeggiai preoccupato.
«Aprimi allora!» gridò la voce in risposta.
Era perfettamente comprensibile perché la Signora Rossetti dell'appartamento di fronte non apprezzasse molto i miei amici. "Un caro ragazzo quello, sai? - l'aveva sentita dire al marito una volta - Ma sono preoccupata per le compagnie che frequenta". E come darle torto? Si presentavano sempre agli orari più impensabili, gridavano come se non ci fosse un domani e mi costringevano ad uscire di casa quando l'unica cosa che desideravo erano le coperte del mio letto. Non avevo idea del perché continuassi a frequentarli, ma dubitavo che fosse una cosa su cui io avevo voce in capitolo: era da quando ci eravamo conosciuti che mi si erano appiccicati addosso; non importava quanto mi lamentassi, il giorno dopo tornavano sempre, sorridenti e pronti a tirare giù a manate l'ingresso di casa mia. A volte chiedevo se un giorno mi avrebbero mai lasciato in pace e mi rispondevo sempre che, probabilmente, l'unico modo per potermi davvero liberare di loro era di disdire l'affitto, cambiare nome e scappare all'estero. Purtroppo, ero troppo pigro per essere sociofobico: a parte qualche ora di sonno persa in quelle inutili feste e gli sproloqui della Signora Rossetti sul problema della delinquenza giovanile, non erano amici poi così fastidiosi da avere attorno...
«Allora? Ti sbrighi, cazzo!» urlò la voce dall'esterno. Ok, domani mi sarei informato a quanto ammontava il costo della vita in Argentina.
Aprii la porta con un sospiro e mi trovai davanti al naso Michela Iorio, una ragazza dalla corta chioma di un biondo paglierino, bassa e in apparenza piuttosto gracile. A mio parere poteva essere considerata una bella ragazza, anche se quando non si allenava aveva la mania di imbrattarsi la faccia con così tanto trucco intorno agli occhi, che a me sembrava di avere a che fare più con Ramses II che con la Venere di Botticelli. Non che mi sarei mai sognato di dirle una cosa del genere: avendo visto più di una volta di cosa fosse capace durante le sue competizioni, ero certo di non voler testare la sua pazienza più del necessario. Per quanto minuta, sapeva come assestare un pugno quando voleva.
«Finalmente! Ma che stavi aspettando?» mi domandò, con il suo solito tono brusco.
Mi scostai di lato per permetterle di entrare e le risposi con una semplice scrollata di spalle. La vidi abbassare lo sguardo e squadrarmi da capo a piedi. Si focalizzò sui vestiti che portavo.
«Ti sei già messo il pigiama?»
Feci cenno di no con la testa, chiudendo la porta d'ingresso alle sue spalle. Per esperienza era meglio non ammettere che a quell'ora preferivo rintanarmi sotto le coperte per leggere.
«Tecnicamente sono ancora in pigiama. Non sono uscito di casa oggi e non mi aspettavo visite. Quindi perché disturbarsi?»
Osservai il suo sopracciglio alzarsi. La immaginai trattenersi a fatica dal commentare la mia pigrizia cronica.
«Non ha importanza: - disse invece - hai mezz'ora di tempo per farti una doccia e vestirti!»
Ci fu un istante di silenzio.
«Perché dovrei?» chiesi infine, senza premurarmi di nascondere il mio scetticismo.
«C'è una festa qui vicino! E tu sei stato invitato!»
Ero abbastanza certo che se davvero fosse successa una simile evenienza, o avrei rifiutato a prescindere o mi sarei ricordato di aver accettato con una pistola puntata alla tempia.
Notai il sorriso smagliante nel volto dell'amica e seppi con certezza che quella era la prima volta che sentivo parlare di una storia del genere.
«No, non è vero.» esclamai.
Michela sbuffò.
«Ok, in realtà è stato invitato Marco, ma all'ultimo ha risposto picche... sicché, ti puoi infilare tu a suo nome! E' praticamente la stessa cosa di essere invitati.»
Per qualche strana ragione, dubitavo che il suo fosse un ragionamento sensato.
«Marco chi?» chiesi, nel tentativo di guadagnare abbastanza tempo per inventarmi una scusa credibile.
«Marco Ponti. Non lo conosci.»
Quindi non solo mi dovevo imbucare ad una festa su invito, ma non conoscevo nemmeno chi mi toccava sostituire?
«Michela, a me non interessano questo genere di...»
«Lo so, - mi interruppe, implacabile - ma ci vieni lo stesso.»
«Domani devo svegliarmi presto e...» obiettai di nuovo.
«La prossima volta che usi questa scusa informati su che giorno sia: domani è domenica e non ci sono lezioni di domenica.»
«Ma...»
«Niente ma, sbrigati piuttosto a farti la doccia. - esclamò, accomodante come sempre - Il tempo scorre: ora hai solo 25 minuti per prepararti.»
Sapevo che, se non l'avessi accontentata, Michela non mi avrebbe mai lasciato in pace. Anzi, era più probabile che avrebbe trasferito la festa nel mio appartamento, pur di rompermi le scatole e ottenere ciò che voleva. Per lo meno, accompagnarla significava potersene andare via quando lei era troppo sbronza perché si accorgesse di dove svicolavo; al contrario, la mattina successiva, avrei dovuto gestire pure i postumi della sua sbornia.
Non la degnai nemmeno di una risposta. Mi limitai a dirigermi in bagno accompagnato appena da un grugnito e un paio di imprecazioni sommesse. Mi chiusi la porta del bagno alle spalle e aprii l'acqua della doccia, perché si scaldasse mentre mi toglievo i vestiti.
«Un giorno mi ringrazierai per i miei continui sforzi nel cercare di farti uscire dal tuo guscio!» la sentii gridare dal salotto.
Finsi che il rumore dell'acqua fosse troppo forte per sentire le sue parole e non le risposi. Aprii la bocca solo dopo qualche istante, per imprecare, quando mi ricordai di aver lasciato il mio latte fumante in balia di Michela.

   
 
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