Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: Ser Cipollotto    13/08/2019    0 recensioni
Era perfettamente comprensibile perché la Signora Rossetti dell'appartamento di fronte non apprezzasse molto i miei amici: si presentavano agli orari più impensabili, urlavano come se non ci fosse un domani e avevano la fastidiosa abitudine di trascinarmi dove volevano, senza alcun ritegno per ciò che preferivo io. Quella sera non fu tanto diverso e quando mi "invitarono" nel mondo esterno, non potei fare altro che rassegnarmi all'idea.
Né io né loro, però, potevamo immaginare che quella semplice sera, avrebbe cambiato radicalmente le nostre vite...
Genere: Azione, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Il peggiore dei miei pensieri si avverò: dopo appena un quarto d'ora, ormai vestito e profumato, ero uscito dal bagno solo per scoprire che il mio latte caldo era scomparso. La colpevole era senza ombra di dubbio Michela che, accomodata sul divano com'era, pareva invece incapace di commettere una qualunque cattiveria nei miei confronti. Mi avvicinai alla tazza e sospirai. Altro che volto angelico: con un'indicibile faccia tosta, non solo si era scolata tutto il mio latte, ma aveva pure rimesso la tazza vuota esattamente doveva l'aveva trovata. Come se nulla fosse successo.
Non sarebbe stato troppo traumatico se il progetto fosse stato quello di rimanere a casa, leggere un libro o guardare cosa ci fosse in TV: non solo mi sarebbe toccato uscire al freddo e gelo senza niente di caldo nello stomaco, ma con l'azione tamponante del latte la mia aguzzina ci avrebbe messo il doppio del tempo a dimenticarsi di me grazie ai fumi dell'alcol. Traduzione: l'agonia quella sera sarebbe durata più del solito.
Michela alzò lo sguardo dal cellulare e iniziò a squadrarmi dal basso verso l'alto. Approvò i miei vestiti con appena un cenno del capo e, dopo un'ultima occhiata al telefono, si alzò in piedi.
«Sei pronto?»
Era palese che si aspettasse un "Sì" come risposta, altrimenti non si sarebbe mai proiettata verso l'ingresso, recuperando al volo il suo cappotto. La vidi abbassare la maniglia e spalancare la porta, senza farsi troppi problemi di come fossi messo davvero. Non dubitavo che avrebbe fatto la stessa cosa pure se fossi stato in mutande.
«Dammi solo un secon... ehi, Michela?» temporeggiai, mentre recuperavo la giacca da un appendiabiti vicino all'entrata e cercavo le chiavi di casa.
La seguii all'esterno e chiusi la porta d'ingresso a doppia mandata, nonostante una vocina in testa che mi consigliava di barricarmi in casa e di non rispondere più a nessuno. Inutile dire che, nei cinque secondi che mi servirono per fare il tutto e sopprimere la mia coscienza, Michela era già schizzata al piano di sotto. Quando la raggiunsi, era già fuori dal condominio, con una mano nella tasca del cappotto e l'altra che reggeva il cellulare.
«Non c'è segnale a casa tua.» si lamentò senza neanche guardarmi.
«Lo so, l'ho scelta apposta: mi offre un'ottima scusa per non rispondere ai vostri messaggi.» Riuscii ad attirare la sua attenzione, anche troppo: alzò lo sguardo e mi tirò una delle sue occhiatacce più truci. Senza altri indugi, si ficcò il cellulare in tasca e si avviò lungo la strada. Non disse null'altro. Si accontentò di sentire alle sue spalle il rumore dei miei passi, interrotti solo da sospiri che esprimevano tutta la mia tristezza. Più sconsolato che mai, mi apprestavo a seguirla, notando appena i suoi continui gesti affettati. Fu solo quando cominciò a fissare l'orologio al polso con un'insistenza tale che pure un cieco si sarebbe accorto della sua preoccupazione, che mi decisi a domandarle se c'era qualche problema.
«Che c'è?»
Non era possibile che fossimo in ritardo. Fare prima di così non era umanamente fattibile.
«Siamo in anticipo di dieci minuti. - mi lanciò una rapida occhiata - Mi aspettavo che ci mettessi almeno il doppio del tempo a prepararti...»
Era ovvio: normalmente disapprovava ogni mio outfit da festa (a quanto pareva, i miei vestiti casual erano in voga appena un paio di generazioni fa). Questa volta ero così svogliato che avevo indossato quello che Michela mi aveva fatto mettere nell'ultima occasione, così che non potesse avere nulla da ridire riguardo la scelta cromatica e dei vestiti.
«Appunto! Come mai sembri di fretta?» le chiesi.
Michela sbuffò prima di rispondere.
«Ho provato a chiamare Jack mentre aspettavo che ti preparassi, ma ora che siamo finalmente tornati nella civiltà non mi risponde più.»
Jack, alias Giacomo Novak, era il ragazzo di Michela. Anche lui si considerava nel mio gruppo di amicizie ed era uno dei tanti che la Signora Rossetti dell'interno 2B disapprovava e descriveva al marito come un "giovane delinquentello".
«Non ti preoccupare, sarà in moto. - cercai di rassicurarla - Vedrai che ti chiama non appena arriva.»
«Se lo dici tu...» borbottò, per nulla convinta. Non cercai di forzare ulteriormente la conversazione, non sembrava che Michela necessitasse altre inutili consolazioni. O per lo meno, non dei miei patetici tentavi.
L'ambiente intorno a noi cominciò ben presto a cambiare: dal quartiere prettamente residenziale dove abitavo, ci stavamo per addentrare nelle prime vie del centro storico. Dopo appena una decina di minuti da quando eravamo usciti da casa mia, un vocio non troppo distante annunciò che eravamo quasi a destinazione. Svoltammo l'angolo e ci ritrovammo circondati da persone raccolte in diversi gruppetti, alcuni seduti a dei tavolini davanti al bar lì vicino, altri già pigiati all'entrata della discoteca che tanto odiavo: il "Platinum". Piccolo per gli spazi limitati che il centro offriva e sempre affollatissimo di gente, anche quando la festa era solo su invito; musica strappa-timpani che non favoriva esattamente la conversazione e alcolici annacquati serviti in miseri bicchieri di plastica. L'unica salvezza di questo posto era la striminzita area fumatori: una stanzetta a lato della sala principale in cui la musica era attutita e i quattro divanetti sparsi erano relativamente comodi. Ovviamente io non fumavo, ma con tutto il fumo passivo che mi sorbivo ogni volta che mi trascinavano in queste situazioni, non c'era da sorprendersi se presto sarei diventato dipendente dai derivati della nicotina.
Stavo per chiedere a Michela che cosa mi sarei dovuto aspettare da questo evento, quando il suo cellulare squillò.
«Scusa...» borbottò nella mia direzione, prima di allontanarsi di qualche passo.
Rispose e il suo viso si illuminò.
«Oh, finalmente! Ma che fine avevi fatto?»
Anche se non lo aveva chiamato per nome, dalla sua reazione era fin troppo chiaro con chi stesse parlando.
«Come...? Cosa hai detto? Eri in moto?» continuò.
Quando ero io a dirlo non andava mai bene. Sospirai e mi appoggiai contro il muro dell'edificio accanto. Qualcuno dal bar vicino cominciò ad urlare "Dottore, dottore..." e molti si aggiunsero per completare la canzoncina.
«Aspe' Jack, non riesco a capire una mazza. - Michela portò la mano libera all'altro orecchio - Jack, non-ti-sento! Aspetta un secondo che provo ad allontanarmi da 'sto casino!»
Staccò la bocca dal ricevitore e mi si avvicinò.
«Ti spiace? Torno subito.» mi domandò frettolosamente.
Le risposi con una semplice scrollata di spalle e lei si congedò con un cenno del capo. Dopo poco, però, tornò sui suoi passi.
«E non azzardarti a scappare.» mi ordinò.
Era questa la fiducia che mi meritavo? Mi limitai ad annuire, impedendo al mio orgoglio ferito di ribattere una qualche acidità nei suoi confronti. Dopo tutto, quell'indifferenza non era poi così immeritata: se non lo avesse specificato, me ne sarei andato quasi certamente. In silenzio la osservai percorrere a ritroso il percorso dell'andata, con passi rapidi ma decisi. Quando scomparve dietro l'angolo di una casa, alzai lo sguardo improvvisamente annoiato a morte.
«Nome?» sentii poco più in là.
La voce era troppo flebile per essere qualcuno che si rivolgeva a me. Abbassai lo sguardo e cominciai ad osservare distrattamente l'ingresso del Platinum. Una donna dai corti capelli castani si era avvicina al buttafuori.
«Sabina de Giorgi.» rispose quella.
Il buttafuori scorse rapidamente i fogli che aveva in mano, tenendo il segno con la punta di una penna. Ciò che disse che venne coperto da una fragorosa risata poco distante, ma non serviva averlo sentito per intuire che non avesse trovato il nome della ragazza. Ci fu un secondo scambio di battute e controllò un altro paio di volte, ma concluse con un secondo cenno di diniego.
«Oh beh, che peccato!» esclamò la ragazza.
La sua espressione, tutt'altro che dispiaciuta, me la rese subito simpatica. Non avevo idea di chi fosse, ma non mi dispiaceva l'idea che nei dintorni ci fosse qualcun'altro che, come me, non apprezzava troppo quell'ambiente. La ragazza accennò ad allontanarsi, ma venne ben presto intercettata da una sua amica, che la prese a braccetto impedendole la fuga.
«Ma che è successo? Perché non sei entrata?» sentii dire dall'altra.
Anche se parlavano più piano, il loro tono non era comunque così basso da non riuscire a comprenderle.
«Non c'è il mio nome sulla lista. Perché devo rimanere qui se non posso entrare?»
«Ma, Sabi, sei scema? Ti ho detto di dirgli che sei la Giulia, non c'è mica il tuo nome sulla lista...»
La ragazza sbuffò infastidita.
«Non ha un cazzo di senso...» esclamò quindi.
«Ancora? Oh, ma te l'ho già spiegato prima!»
«E continua a sembrarmi una cazzata! Se mi volevano tra i piedi, avrebbero scritto il mio nome fin dall'inizio!»
Il tutto avveniva ovviamente davanti al povero buttafuori che, non sapendo come reagire alla palese infrazione, alzò gli occhi al cielo vagamente perplesso. Si schiarì la voce per attirare la loro attenzione.
«Il vostro nome?» chiese, aggrottando la fronte.
Sabina accennò a parlare ma viene presto zittita da un'occhiataccia dell'amica. Decisamente, oltre ad essere due animi affini in un ambiente ostile, eravamo tormentati perfino dallo stesso genere di bulli. La risposta dell'altra si perse nella confusione generale e il buttafuori tornò a guardare la lista.
«Cristo... mi devo spacciare proprio per quella Giulia? - disse la ragazza, mentre il buttafuori le lasciava passare vagamente imbarazzato - Quella tizia mi sta pure in cu...»
La conclusione della frase si perse nella confusione che uscì dal locale quando aprirono la porta.
Alzai di nuovo lo sguardo verso l'alto, appoggiando la testa contro il muro del palazzo dietro la mia schiena. Senza né una via di fuga, né un altro piccolo svago, mi sentii improvvisamente e profondamente annoiato. Tastai le tasche del giubbotto e... fantastico: nella fretta avevo pure dimenticato il cellulare a casa. Quella serata si preannunciava grandiosa!

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Ser Cipollotto