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Autore: amirarcieri    13/08/2019    0 recensioni
Verso la rotta del Nuovo Mondo, ma distante abbastanza da distanziarsene, si trova un'isola che prende il nome di Fourteenth Mark.
Qui alberga una leggenda che l'ha resa famosa e sopratutto meta della maggior parte delle flotte di pirati in cerca di rari tesori: si racconta che vent'anni prima a sopraggiungervi fu un pirata fuggiasco e che questo seppellì in qualche angolo occulto dell'isola uno tra i più potenti frutti del mare esistenti.
Ma quanto di vero c'è in questa storia? Di che frutto del mare si tratta?
E se qualcuno l'avesse già trovato e lo tenesse tutto per se? E perché ai possessori dei frutti del mare è vietato mettere piede sull'isola?
Ace e la sui ciurma dei Pirati di Picche approderanno qui durante una delle loro tante traversate verso il Nuovo Mondo. Riusciranno a trovare il leggendario frutto del mare? Cosa ne faranno? Ma, se forse, magari invece di un frutto del mare aggiungeranno solamente un nuovo membro al loro equipaggio?
Genere: Avventura, Commedia, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PERFECTLY BLUE

 

Capitolo Uno

 

Il frutto del mare perduto: è solo una leggenda?

 

 

Era una giornata di caldo estivo al massimo dei suoi picchi.
L'afa era così pesante da risucchiarti tutte le energie mentali e fisiche, privandoti così di ogni iniziativa di svago.
Ma, volente o non, un essere umano per rimettersi in forze abbisognava di una scorta abbondante di viveri e per rifornirsi di viveri doveva servirsi di una dose plausibile di soldi che avrebbe guadagnato solo lavorando.
Che questo sia stato con dura onestà o malleabile disonestà.
Ci trovavamo in un’isola situata verso la rotta del nuovo mondo – ma dalla distanza comunque stimabile e non precisa – che prendeva il nome di Fourteenth Mark per via della sua inconsueta forma geografica.
L’isola, effettivamente si divideva in quattro parti analoghe e discordanti che viste dall'alto ricordavano le cuciture vecchie di un vestito tenuto insieme da diversi colori di stoffa: c’era il quartiere dei ricchi, quello dei benestanti, gli abusivi e per ultimi i poveri.
Molti viaggiatori o nativi che venivano istruiti alla storia di questa antica isola tra tante, si ponevano l’automatica domanda “Ma perché se si divide in quattro parti allora si chiama Fourteenth Mark?”.
E ognuno aveva avuto la sua risposta esaustiva rimanendo conquistato dal significato profondo che quell'isola portava con fierezza da generazioni.
Ma non era solo quello a renderla una meta statica dei ricercatori intelligentemente curiosi o pirati. Neanche il fatto che a ormeggiare nella sua costa fosse stato il famigerato re dei pirati Gol D. Roger.
Dopotutto quale territorio remoto e irraggiungibile non avevano calpestato le sue suole?
A fare spopolare il suo nome nel tratto conducente al nuovo mondo era la sua attività florida di turismo fatta di lussuosi o confortevoli alberghi, ristoranti e le leggende intorno alle quali prendevano forma i suoi reperti di storia antica.
Uno degli alberghi - ristorante situato nella zona benestante, veniva gestito da una deliziosa famigliola composta da madre, padre, due figlie femmine, e, due gattini randagi adottati segretamente da queste ultime.
Simultaneamente alla vita ordinaria di questa famiglia, in quest’isola erano appena sbarcati i Pirati di Picche, il quale capitano era il singolare e temutissimo Portgas D. Ace.
La ciurma aveva approdato li guidata dalle precise coordinate del Log Pose di quest’ultimo, approfittandone anche per rifornirsi delle scorte di cibo e “acqua” che cominciavano a scarseggiare.
Come al solito, al momento dell’esplorazione, non si sa come, avevano perso di vista il loro capitano che se l’era filata via per conto suo, ma ormai abituati a questa circostanza, avevano curiosato per l’isola in cerca di un albergo – ristorante nella zona benestante, con la speranza, magari, di ritrovarlo addormentato a qualche tavolo.
Il caso volle che scelsero proprio quello citato precedentemente: il “Deep Blue”.
L’ambiente era intinto di un blu oceano brillante e circondato da un’atmosfera oniricamente calma da far sembrare ai clienti di essere appena entrati dentro un acquario.
La cosa stupefacente era che il locale lo era davvero.
Tetto, pavimento e pareti interne complessive erano fatte in cristallo purissimo e dentro ci sguazzavano le tipologie di pesci più sorprendenti.
La sala era ampia e ariosa con colonne verde mare sparpagliate per gli angoli in forte contrasto con il meticoloso ordine dei tavoli rotondi: ognuno aveva un’equa distanza dall'altro e finiva con una pinna di sirena argentata, le posate erano anch'esse di argento e la musica in sottofondo si sposava perfettamente al resto dell’albergo con una sonata di mareggiata rilassante.
Non c’erano cameriere e le ordinazioni venivano prese dai due proprietari.
Quando i Pirati di Picche presero posto nei vari tavoli – ogni tavolo disponeva di quattro sedie a circolo quindi essendo loro in diciotto ne occuparono cinque e mezzo – si prepararono a gustare la buona cucina del posto.
Durante la degustazione, realizzarono che il locale fosse un posto dai sapori e sensazioni oceaniche, adatto a chi passava gran parte della sua vita in mare.
La ciurma certamente incassò decine di sguardi diffidenti alternati a quelli impauriti, sintomo che fossero stati inequivocabilmente riconosciuti – la fama e le taglie appartenenti avevano cominciato a farsi scottanti e onerose sulle loro teste - o le persone stavano semplicemente tenendo il conto di quanti minuti ci avessero messo per fare scoppiare un putiferio.
Però alla fine si goderono allegramente il pasto, parlando e bevendo come se si trovassero in totale agio sulla propria nave.
Questo almeno fino a quando ad entrare dalla porta con un gran chiasso, non fu un tenente della marina scortato da altri quattro omuncoli armati di fucile fasciato sulle spalle.
«Buongiorno Carmen» disse indirizzandosi direttamente al bancone dove marito e moglie - i proprietari - osservavano la scena con occhi granati dal terrore.
Il tenente della marina aveva il mento malformato e una macchia di peluria verde erba che pareva masticata, sputata e incollata con la saliva di una pecora, il naso aquilino, gli occhi neri e serpenteschi, mentre i capelli dello stesso colore del pizzetto, schizzavano fuori da un assurdo capello bianco a coppola come spigoli pungenti.
Ma quello che molto più del suo aspetto e la frusta arrotolata al fianco sinistro riusciva a renderlo tragicamente spaventoso, era quell'immacolata divisa tenuta a lucido, dissimulante di un animo fangoso e marcio più dei vestiti di un vagabondo raggomitolato sotto un ponte della zona dei poveri.
«Meno confidenza quando parli con mia moglie» antepose il marito districando un braccio davanti a questa come una sbarra di divieto. I due sposi potevano avere una cinquantina d’anni ciascuno. Il marito era di media altezza, con i capelli tendenti all'ardesia, il baffone che seguiva la morbida curva del labbro superiore, e lo sguardo infuriato si, ma era evidente quanto fosse stato snaturato dalla presenza dell’ufficiale della marina, perché solitamente manteneva una luce riccamente genuina.
La moglie era bassina, ma ben formata, portava un taglio carrè mosso del colore del manto della pantera e aveva due grandi occhi elaborati dall'essenza di tre sfumature differenti quali l’azzurro, il verde e marrone.
«Perché ti dispiace che sia così intimo con lei?» li infastidì ulteriormente il tenente. Carmen abbassò il capo e lo scosse come a voler scacciare via un rumore fastidioso e ricorrente.
«Cosa vuoi, sto lavorando» disse poi.
«Lo vedo. Ciò che non vedo è tua figlia. Ero venuto per salutarla, puoi chiamarla?»
«Non, c’è» scandì questa a denti stretti.
«Davvero? E dov'è andata con precisione?» insistette l’altro. Carmen lo affrontò in maniera ardita, imprimendosi un’espressione salda sul volto.
«Non siamo così sciocchi, non ti diremo dov'è così andrai dritto da lei per tormentarla e fargli chissà cos'altro»
«Oh, beh, ma se è uscita, tornerà. Posso aspettarla qui, se ordino qualcosa» li istigò ancora il tenente poggiando un braccio sul bancone come a imporsi a cliente coattivo del locale.
Quel suo atteggiamento arrogante fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Il marito venne fuori dal bancone e lo fronteggiò con uno sguardo disarmatamente inesorabile.
Chi era di passaggio o recente di frequentazione – ad esempio i Pirati di Picche – avrebbe ipotizzato ad un drastico attacco di violenza, invece il pugno arrivò micidiale comunque, ma sotto forma di impressive parole.
«Te lo dirò nuovamente come ho fatto ieri, il giorno prima e farò domani: lascia in pace nostra figlia. Lei non c’entra niente con quello che pensi e a maggior ragione non sa niente di tutta questa storia in cui l’hai invischiata» quello scambio di parole stuzzicò l’udito dei pirati di Picche che da lì in avanti, seguirono con una misurata attenzione, ma un totale coinvolgimento il seguito della conversazione.
«State esagerando con i vostri doppi giochi e umiliazioni, se andate avanti così ci lascerà le penne. Lei non ha fatto niente» aggiunse la moglie spremendo lo strofinaccio tra le mani.
Ma le loro suppliche battagliere non servirono a far recedere la boria malvagia di cui il tenente era padrone, anzi lo incentivarono ad accanirsi ancora più illecitamente con l’intera famiglia.
«Bellissima dimostrazione di amore materno e paterno, ma è ora di smetterla. Abbiamo un testimone oculare che l’ha vista fare quello di cui viene incolpata. Quella notte era li ed era lei. Quindi ogni vostro inutile tentativo di farla apparire debole e innocente non funzionerà. Sappiamo che è un mostro e dovrà pagare per aver trasgredito la legge suprema dell’isola» la sua crudeltà meschina fece mordere il labbro e stringere i pugni alla moglie, e il padre, ormai arrivato al limite della sopportazione, stavolta lo afferrò rabbiosamente per i baveri della divisa, pronto a colpirlo fino allo sfinimento.
Ma, a spezzare quell'atmosfera pericolosamente funesta, fu il suono di un lumacofono portatile.
Il tenente rise malignamente, mentre con lentezza, estraeva dal taschino interno della divisa bianca il lumacofono trillante.
«Si?» domandò all'altro capo del telefono senza staccare gli occhi dalla coppia sull'orlo della disperazione. Immaginava già a cosa fosse dovuta quella chiamata e al solo pensiero le sue labbra assunsero dei lineamenti forsennatamente serpentini.
«Tenente, abbiamo trovato la ragazza. È con la sorellina a fare acquisti in una libreria. Restiamo in attesa dei vostri ordini» rapportò un marine dall’altra parte della cornetta facendo muovere in simultanea il lumacofono.
Il tenente ghignò talmente crudelmente da fare avere la tremarella ai clienti meno indifferenti e più paurosi.
«E’ perfetto. Per adesso tenetela d’occhio fino al mio arrivo. Oggi sono particolarmente ispirato. Voglio divertirmi più del dovuto con lei»
Dopo quello breve scambio di informazioni, il tenente, soddisfatto, riposò il lumacofono nella tasca interna e batté in ritirata.
«E’ stato un piacere parlare con voi. Ma ora non mi servite più» li salutò sventolando la mano del braccio sollevato.
Distrutti e impotenti davanti a quella svolta, marito e moglie si supportarono con lo sguardo senza aggiungere altra lettera.
I Pirati di Picche pagarono il conto e lasciarono il locale con il più sconfinato e tumultante groviglio di domande: che cosa aveva fatto la figlia dei proprietari dell'albergo – ristorante per essere braccata in quel modo dalla Marina? Perché l’avevano definita un mostro e qual’era la legge suprema che aveva trasgredito?
Trovarono tutto molto strano e misterioso, ma si dissero che per adesso esisteva solo una priorità: ritrovare il loro capitano.

 

 

 

 

 

Due ore scorrevano regolarmente complici, e il nostro Ace – il capitano dei Pirati di Picche – se l’era appena data a gambe dopo aver mandato in bestia l’ennesimo proprietario di ristorante e quindi aver scroccato la milionesima ordinazione.
Però, era riuscito a cavarsela, disperdendosi tra la folla di persone con la maestria che solo un pirata provetto aveva, per ritrovandosi così nella parte culturale della zona benestante.
Li tutti i locali, ristoranti, alberghi e negozi si dissipavano per lasciare posto solo ai libri e la loro saggezza.
A riempire l’angolo di profumo antico e storia ci pensavano la varietà di genere e utilità di tutti questi.
Si potevano scovare romanzi di tutte le epoche, guide turistiche, minerali rari, ori liturgici, documenti di eventi passati o gazzette, e perfino la decrittazione delle varie lingue antiche.
Dopo aver svoltato tre o quattro vie, Ace si ritrovò immerso dentro la piazza principale: al suo centro esatto si trovava un'impressionante fontana la cui sommità rappresentava la forma immaginaria del grande re dei mari Poseidone.
Beh, che capitombolasse addormentato – testa cascante sul petto totalmente coperta dal cappello, mani e braccia distese sciattamente sulle gambe - a causa della sua improvvisa narcolessia, era scontato, pure che il resto della sua ciurma lo ritrovasse in quelle condizioni, ma che questi fossero invischiati per un puro e assurdo caso in un duello fragoroso, beh, forse quello anche. Ma stavolta il loro capitano non aveva colpe.
La combriccola di scavezzacollo e simpatici pirati non ebbe neanche il tempo di colloquiare, che dovette immediatamente scansare una mina vagante che andò ad abbattersi violentemente addosso al muro.
«Ma chi?» pronunciò seriamente irritato Ace, tenendosi il cappello ben fermo durante il tempo dell’acrobazia in cielo.
Ma non appena fu atterrato sul suolo e vide chi era stato scaraventato al muro ormai in pezzi, chi lo stava soccorrendo e il tiranno che l’aveva maltrattata con un metodo viscidamente aguzzo, la sua rabbia scemò di colpo, tramutandosi in un’ira manovrata da un’irrefrenabile senso di giustizia.
Ai piedi del muro e sommersa dai frammenti dei suoi cumuli, invero, era visibile il corpo malridotto di una ragazza sui diciannove anni massimo.
 I ricci neri si sparpagliavano disordinatamente sulle spalle, aveva un’incisione profonda che partiva dall'angolo della mascella a quello della palpebra e le braccia e gambe spoglie e pallide erano cosparse di ferite rosso acceso.
La sorellina di nove anni gli era volata accanto per scuoterla e assicurarsi che non perdesse i sensi, mentre il tenente tiranno dei marine avanzava pericolosamente verso di loro sotto il sole cocente e accecante delle due del pomeriggio. 
C'erano solo tre uomini dei dieci di scorta che possedeva e se ne stavano a pochi centimetri di distanza dal loro superiore con i fucili abbassati, ma scrupolosamente carichi. 
In generale la gente tendeva a farsi i fatti propri per non essere impicciata in qualche richiesta di testimonianza o dimostrazione di fedeltà al sindaco dell’isola, però molti altri non poterono trattenere la curiosità e si appostarono al limite della strada nella mera speranza di non essere notati.
Nel vedere quella scena, Ace, capì subito che stava accadendo qualcosa di maledettamente sbagliato e oltre questo, che non poteva sopportare di vedere certe ingiustizie che gli facevano infuocare, in ben che non si dica, la testa.
Il tenente, nel frattempo, senza avere nessun riguardo per le condizioni disumane in cui aveva conciato la ragazza, si accovacciò a terra, la afferrò per il collo e perseguì a torturarla con delle altre sevizie.
«Avanti, esci fuori i tuoi poteri. Mostrami la vera identità che il frutto del mare ti ha conferito»
«N – no – non so, d- di cosa p- parli» biascicò questa provando dolore anche a muovere la lingua.
«I – io non ho nessun potere. S -sono solo una normale umana. No - non so di cosa parli»
«Smettila di prendermi per il culo. La mia pazienza ha un limite. Quindi parla» la intimò tirandola brutalmente per il tessuto strappato della maglietta grigia. Ogni osso e muscolo della ragazza bruciò al punto da farla lamentare.
«Ma io non ho nessun potere. No - non so cosa volete da me»
«Se non hai il potere, almeno sai dove si trova il frutto del mare leggendario dell'isola. Dimmi dov'è»
«N- non lo so. Io non lo so»
«Basta lasciala stare» si intromise la sorellina di nove anni dando un calcio nello stinco del tenente.
«E’ la verità lei non ha nessun potere. Lei non è quello che credete. Non ha quello che cercate. E non sa dove si trova. Lasciatela in pace vi prego» supplicò la bambina in preda alle lacrime. Ai pirati di Picche si accese forse una lampadina perché avevano sentito delle simili parole qualche ora fa.
Dunque era lei la figlia dei proprietari dell’albergo – ristorante che il tenente cercava?
«Oh quindi mi stai dicendo, che questa signorina qui, tua sorella, non è un mostro?» chiese con gli occhi neri invasi dalla malvagità.
«No, ad esserlo forse sei tu. Brutto cattivo» la bambina gli rispose a tono aggiungendogli anche tanto di altri pugni e calci sulla braccia e caviglie.
«A- Aya, vattene a casa» gli suggerì la sorella riuscendo a ridestarsi dallo svenimento per un secondo. La voce della sorellina l’aveva esortata a non lasciarsi andare.
«No, io non me ne vado» insistette testarda la sorellina con gli occhi appannati.
«Vattene» disse coincisa. E il doversi voltare verso di lei gli fece patire un acutissimo dolore alla base del collo.
«No, lui ti farà del male, potr – potresti, lui potrebbe. Sei in grave pericolo e io non me ne vado» la fronteggiò a pugni stretti.
Ad Ace riaffiorò alla mente un episodio d’infanzia con il suo fratellino combina guai e capoccione. Quel devoto ricordo gli fece provare dell’accentuata solidarietà e impulso di intervenire.
E l’avrebbe fatto se ad accedere non fosse stato quello che accadde un secondo dopo.
«Ti ho detto di tornare a casa. Adesso» il rimprovero della maggiore fu talmente gridato severamente che la bambina sobbalzo dal terreno a occhi serrati.
Quella devastante e precaria scarica di adrenalina però permise alla ragazza di liberarsi dalla presa tentacolare dell’ammiraglio e attaccarlo con un’ultima e micidiale mossa: il gomito si andò a conficcare accuratamente sulle sue costole e il ginocchio sinistro si depositò sul mento, entrambi con una forza tale da riuscire a spedirlo per aria, ma durante l'urto di rimando, il tenente riuscì a srotolare la frusta, agganciarla alla caviglia della ragazza, e quindi finire di scaraventarla nuovamente addosso ad un muro, stavolta nella parte opposta alla precedente.
Il corpo della ragazza rotolò balzando per due volte, prima di giacere esanime su un fianco.
«Sei proprio una seccatura ragazzina» commentò infastidito il tenente. Si era appena rialzato e stava ripulendo la divisa dalla polvere di cui era stata insozzata.
«Sorellona no. Ti prego parlami» intanto la piccolina si era accucciata su di lei per prestargli soccorso. Ma la ragazza aveva, forse, perso conoscenza.
«Perché. Perché fate questo? Perché a lei? Perché? Smettetela. Basta» disse singhiozzando. Anche a lei cominciava a mancare l'energia anche solo per rimettersi in piedi.
«Mi spiace ragazzina, ma mi vedo costretto a interpellare la sorellina» diede un avvertimento questo sbattendo furiosamente la frusta sul pavimento polveroso sottostante.
«Povera bambina, così piccola e fragile, sfortunata perché deve pagare per l’egoismo della sorella maggiore»
«Lasciala. Non devi toccarla» rantolò questa muovendo a fatica le dita della mano. Era stremata e piegata dal dolore in ogni parte del corpo a partire dalla tempia alla punta dei piedi, ma non si sarebbe mai consegnata immotivatamente al nemico.
«Mi spiace, ma mi hai portato tu a questo punto» disse drammaticamente scoccando la frusta in direzione della bambina.
«Non la devi toccareee» quei suoi discorsi manipolatori e scorretti diedero alla sorella maggiore lo stimolo incontrollato per frapporsi tra la sorellina e l’ammiraglio tiranno.
Ci fu un attimo di silenzio e poi il rumore della frusta che entra in contatto con una spina dorsale umana, echeggiò per tutta la piazza, e fu talmente agghiacciante da far inorridire parte degli occhi degli spettatori.
Alcuni furono perfino costretti a coprirseli o soffocarsi un urlo in gola.
Quello che accadde, fu che la ragazza, gettandosi sulla sorellina, l’aveva coperta in un abbraccio per fargli da scudo.
Incassando il contraccolpo la sua schiena si era inarcata e abbassata ritmicamente.
La tortura provata l’aveva talmente sfinita, da non essere neanche riuscita ad emettere un suono straziante dalla bocca.
E ciò che fece fu solamente di cadere di botto a terra ormai priva di sensi.
«Perché, perché sorellona? Perché? Non dovevi farlo» una fontana impetuosa di lacrime scese dalle pupille miele della sorellina.
A quel punto Ace sentì infiammarsi qualcosa dentro che non seppe e volle più governare.
Vedendo il Marine attorcigliare la corda intorno al collo della bambina, non attese oltre.
«Adesso è il tuo turno» la minacciò sollevandola per aria. La povera piccola si dimenava e cercava di liberarsi dalla corda della frusta provocandosi graffi ai palmi.
«Ti conviene parlare prima ch..» la mano dell’ammiraglio scottò improvvisamente e la coda della sua frusta attorcigliata intorno alla bambina, scivolò al suolo ormai in fiamme.
Ace infatti ricorrendo alla sua famosa vampa di calore aveva poggiato una mano sullo strumento seviziatore di quest’ultimo mentre con l’altra aveva bruciato la parte che strangolava la bambina.
«Ma cosa...scotta. Scotta» il tenente si lamentò come un poppante contorcendosi a destra e sinistra.
«E tu da dove sbuchi? Che vuoi?» lo aggredì privandosi dal ragionare, ma non appena lo mise a fuoco, tutto il suo apparato scheletrico tremò.
«Aspetta, ma io ti conosco tu sei il capitano dei Pirati di Picche» Ace sorrise esaudito. La sua fama da pirata iniziava ad essere divulgata in giro per i mari come sperava. Presto sarebbe diventata rinomata anche nel nuovo mondo. Questo per lui era sufficiente ad indurlo a fare un'altra festa sulla nave non appena avrebbero ripreso la loro lunga traversata.
«Perché stai difendendo queste persone? In che rapporti sei con loro?- E poi non sai che non puoi rimanere sull’isola? Hai possessori di un frutto del mare è vietato fermarsi qui per più di un giorno» Ace fu perplesso dall'udire quelle sue notificazioni. L’ultimo punto in particolare gli sembrava arci - incomprensibile.
«Non so quale assurda motivazione vi abbia spinto a mettere questa legge e mi interessa poco, ma se maltrattate dei bambini senza farvi alcuno scrupolo, per me, questo si che è un motivo valido per intervenire in loro aiuto» riferì spingendo di qualche centimetro in avanti la mano infuocata come fosse un cristallino avvertimento. 
«Se non hai nessun legame con queste persone allora togliti di mezzo. Per oggi chiuderò un occhio. Ma domani controllerò che tu sia già salpato dall'isola» avvertì l’altro strofinandosi lo schifoso pizzetto d’erba sputata di capra. Ace assottigliò lo sguardo sollevando contemporaneamente le labbra.
«Mi spiace ma non me ne andrò perché me lo chiedi tu, non sarebbe nella mia natura da pirata. Ma se vuoi ingaggiare un combattimento io non mi tirerò indietro» lo sfidò Ace giocosamente, ma mantenendo comunque uno spirito intimidatorio.
Il tenente serrò la mascella per ponderare bene la sua decisione.
Sapeva che Ace aveva uno dei frutti del mare più potenti tra quelli esistenti, battersi con lui sarebbe stato stupido e pretenzioso.
Gli costava caro ammetterlo a se stesso. L’unica cosa che poteva fare era di ritirarsi dignitosamente da quella battaglia improvvisa e tornare a cercare la sospettata in un tempo migliore e appartato. Era immensamente chiaro che stesse agendo per un'egocentrica codardia e non certo per un'altruistica saggezza.
«Per questa volta e dico solo stavolta battiamo in ritirata, ma ti tengo d’occhio, pirata» pronunciò l’ultimo appellativo con tutto lo sdegno che poté, e Ace lo percepì, ma non gli diede importanza.
Il tenente scomparì all'angolo della strada - tallonato dai sottoposti - dove si erano raggruppati i civili e dopo la sua scomparsa, sembrò che l’aria si fosse alleggerita e liberata apparentemente dalla tossicità di cui era stata invasa.
«Grazie signore del fuoco» lo ringraziò la piccola tirandolo per i bermuda neri così da richiamare la sua attenzione.
Ace fece scorrere gli occhi su di lei e gli accarezzò la testa per rendergli la risposta.
Poi li posò sul corpo della sorella maggiore priva di sensi e lo scrittore – dottore di bordo che intanto era andato a controllarla.
In pochi minuti diede la sua diagnosi.
«Ace è in gravi condizioni. Dobbiamo medicarla immediatamente»
«Non perdiamo altro tempo allora» Ace intimò la sua ciurma a lavorare compatta.
Come proposito in realtà, avevano avuto quello di nasconderla nella loro nave in modo di medicarla in tutta tranquillità e proteggerla da eventuali aggressioni dei Marine, ma l’intromissione della sorellina, gli fece modificare leggermente i piani.
«Io...» parlò sperando di potergli essere utile.
«Io posso farvi strada nel nostro albergo – ristorante. Li potrete medicarla in tutta tranquillità nella sua camera» concluse. I ragazzi si accordarono con unanimità mediante un’occhiata svelta.
«Okay. Facci strada» disse il medico – scrittore.
Ace si caricò la ragazza sulle spalle – posizionandola a cavalcioni su di lui – e seguì la sorellina fino alla meta prestabilita. Meta in cui, a dire il vero, la sua flotta aveva già avuto modo di degustarne il luogo sia con il palato, che con la vista. 
La ragazza, che intanto, era addossata esanime sulla schiena di Ace, nel suo stato semi – coscente si sentì invadere da qualcosa di estremamente caldo e accogliente. Una sensazione incredibilmente benefica che la fece sentire orgogliosamente a suo agio.

 

NOTE AUTRICE: Salveee, si beh sono qui anche con questa mia nuova FF su Portgas D Ace. Si, lo so sto facendo una pazzia dato che ne ho una in corso e sto finendo di scrivere un romanzo a parte. Ma mi andava. Mi sono detta che dato che Oda ha dato poco spazio al suo speciale e meraviglioso personaggio, perché non farlo io? Quindi descriverò le probabili avventure che ha potuto vivere durante i suoi viaggi. Infatti parte delle cose le inventerò io: ad esempio il frutto in questione che presto scoprirete cos'è o l’isola, e, sorpresa sorpresa anche un nuovo tipo di ambizione che vedrete con il tempo. Non è nulla di che in realtà. Ma mi piace. Beh, spero di essere all'altezza di tutto questo.
E altra cosa la FF si svolge nel periodo in cui i Pirati di Picche stanno facendo il loro viaggio per raggiungere il nuovo mondo e di conseguenza l'arcipelago Sabaody e l'isola degli uomini pesce. La FF seguirà la storia originale, ma prendendo un percorso più lungo.
Che dire spero sia di vostro gradimento e vi appassioni. Alla prossima. 

 

   
 
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