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Autore: Relie Diadamat    13/08/2019    3 recensioni
[Dedicata a Harriet]
What if? grande quanto una casa | No Kira | Lawlight
L e Light collaborano da qualche mese per il volere del più grande detective del secolo. Tuttavia, L sembra nascondere qualcosa al suo collega.
Si precipita a casa Yagami senza preavviso, passando la notte con lui.
C'è solo un problema: L è triste.
[Dal testo]
«Dove vai?» L sembrò genuinamente curioso.
S’infilò le ciabatte, incamminandosi verso la porta. «Vado a prepararti una torta».
Nell’udire quella parolina magica, il detective raddrizzò la schiena come un riflesso pavloviano, allontanando il pollice dalle labbra. Sembrò incerto se seguirlo o meno, ancora accovacciato a piedi nudi sul materasso. «Oh».
«Ma ti avverto» gli disse come se stesse parlando a un bambino di cinque anni, abbassando la maniglia, «sarà una torta fredda, perché non posso rischiare di svegliare la mia famiglia».
«Capisco» biascicò L. «Ma Light...»
«Mh».
«A dirti il vero, sono molto triste».
Stavolta Light gli occhi li roteò eccome, ma si lasciò tuttavia sfuggire un sorrisetto soddisfatto di chi ha una persona in suo potere. «Allora ti preparerò una torta gigante».
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: L, Light/Raito, Sayu Yagami | Coppie: L/Light
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Rimedio contro la tristezza
 
[...] Every time you see them happy you remember how sad they're going to be.
And it breaks your heart.
Because what's the point in them being happy now if they're going to be sad later.
The answer is, of course, because they are going to be sad later.
- Doctor Who

Per Harriet



 
L’indice picchiettò sulla schiena di Light per tre volte, costringendo il ragazzo ad aprire gli occhi controvoglia con un mugugno di fastidio.
«Light, sei sveglio?» La voce di L arrivò alle orecchie dell’altro come il ronzio di una zanzara petulante.
In risposta, Light si tirò le coperte fin sopra i capelli. «No».
«Mi hai risposto».
Ricevendo nient’altro che un lungo silenzio, L allungò di nuovo il dito verso la schiena del ragazzo, adesso del tutto coperta dalle lenzuola bianche, punzecchiandolo finché non si girò.
«Cosa c’è?!» Sbottò Light, voltandosi bruscamente verso L. Il sonno era una cosa sacra e se il più grande detective del secolo non la pensava allo stesso modo, a Light importava ben poco. Da quando l’aveva voluto al suo fianco per acciuffare serial killer spietati e psicopatici in ogni angolo del pianeta, c’erano giorni in cui entrambi restavano svegli tutta la notte, scervellandosi con le mani tra i capelli – beh, L si limitava a torturarsi il labbro inferiore col pollice, deconcentrando Light più del dovuto, ma quello era solo un dettaglio.
Quella notte erano a casa Yagami per motivi a Light ancora incomprensibili. C’entrava la polizia?
Suo padre si era dimostrato più che accomodante all’idea di ospitare L nella sua umile dimora, lanciandogli occhiate preoccupate durante la cena. Light non ci aveva capito nulla, ma era ovvio che entrambi gli nascondessero qualcosa. Qualcosa che in un modo o nell’altro lo riguardava.
Adesso L era lì, appollaiato come un gufo al suo fianco, col suo solito sguardo apatico. Indossava i suoi soliti jeans troppo larghi e un’anonima t-shirt immacolata. La luce dei lampioni che entrava dalla finestra gli colorava il volto in modo strano, redendolo più serio di quanto fosse in realtà.
Oppure no?
«Sono triste».
Lo disse con un tono tanto monocorde da sembrare una bugia.
Light si mise a sedere, sistemando per bene la schiena contro il cuscino, osservandolo con attenzione. C’era qualcosa, nello sguardo nero di L, che colpì il ragazzo come un calcio nello stomaco.
«Sei triste?» gli chiese, muovendo impercettibilmente la mano sotto le lenzuola. «Perché?»
«Perché sono triste».
Light si contenne dal roteare gli occhi al soffitto. Prese un respiro d’incoraggiamento e fece per scendere dal letto.
«Dove vai?» L sembrò genuinamente curioso.
S’infilò le ciabatte, incamminandosi verso la porta. «Vado a prepararti una torta».
Nell’udire quella parolina magica, il detective raddrizzò la schiena come un riflesso pavloviano, allontanando il pollice dalle labbra. Sembrò incerto se seguirlo o meno, ancora accovacciato a piedi nudi sul materasso. «Oh».
«Ma ti avverto» gli disse come se stesse parlando a un bambino di cinque anni, abbassando la maniglia, «sarà una torta fredda, perché non posso rischiare di svegliare la mia famiglia».
«Capisco» biascicò L. «Ma Light...»
«Mh».
«A dirti il vero, sono molto triste».
Stavolta Light gli occhi li roteò eccome, ma si lasciò tuttavia sfuggire un sorrisetto soddisfatto di chi ha una persona in suo potere. «Allora ti preparerò una torta gigante».
Non si meravigliò nemmeno quando sentì i passi di L alle sue spalle mentre usciva dalla sua camera e si dirigeva in cucina.
 
 


 
Non gli tolse gli occhi di dosso neanche per un minuto.
Nemmeno il barattolo di crema di nocciole riuscì ad attrarre la sua attenzione; quelle due pozze nere erano fisse su di lui, sui suoi movimenti e sulle sue mani. Quasi potesse leggere delle scritte invisibili agli altri tra le ciocche ramate del ragazzo e collega.
Prese un biscotto e lo intinse nel latte, lasciandolo ammorbidire per un paio di secondi. L si portò un dito alla bocca, sorridendo come un bambino alla Vigilia di Natale. Light non seppe se riderne o se scuotere la testa.
Allungò una mano verso il pacco di biscotti aperto una decina di minuti prima, afferrandone uno qualsiasi e sventolandolo sotto al naso del detective. «Tieni, cominci a darmi i brividi».
«Ti ringrazio.» L gli rivolse un sorriso, accettando l’offerta. «Watari non mi permette mai di farlo», ammise prima di addentare il suo tesoro.
Lo spiò con la coda dell’occhio mentre masticava soddisfatto nella poca luce della cucina, assaporando il gusto del cacao nel palato.
Già, pensò. A proposito di Watari…
L’anziano non lasciava mai L da solo, non del tutto. Era sempre pronto a intervenire al minimo pericolo e alla più assurda e impertinente richiesta. L era la sua più grande scoperta, l’intelligentissimo detective che assicurava qualsiasi criminale alla giustizia.
Da quando quella strana collaborazione tra Yagami e L era iniziata, Watari era una costante fissa del team. Non mancava mai, anche se da dietro le quinte. Era stato lui a condurlo da L, dopo aver ricevuto il suo messaggio sul pc – che doveva ancora ripagargli, tra l’altro.
Era stato sempre Watari a prenotargli voli, treni e taxi. Era sempre lui a occuparsi degli alberghi e delle spese per il materiale investigativo.
Si rispose che molto probabilmente era nelle vicinanze, magari in un furgoncino o in una casa libera per le vacanze, a tenerli d’occhio. La cosa lo infastidì al punto da rompere un biscotto tra le dita. Schioccò la lingua sul palato, seccato, prendendone un altro.
«Qualcosa non va, Light?»
L si era fatto più vicino e la luce calda della cucina gli colorava il volto pallido di un giallo ocra, camuffando in minima parte quelle occhiaie sporgenti testimoni di numerose notti passate in bianco.
Non sfuggiva mai nulla, a L. Sapeva sempre tutto, scopriva i segreti di chiunque, ma nessuno conosceva i suoi. Tanto per iniziare, qual era il suo nome? Com’erano fatti i suoi genitori? Dove era vissuto da bambino? Perché quella notte l’aveva passata a casa sua?
«No, la torta è quasi pronta».
 
 



L’orologio al polso di Light segnava le 2:15 di notte.
La torta era pronta per essere mangiata, piena di panna spray, biscotti al cacao, crema di nocciole e gocce di cioccolato.  L, la forchetta sollevata in aria con titubanza, la guardava con lo stesso cipiglio di un guidice di uno stupido programma culinario.
Light gliel’avrebbe volentieri sbattuta in faccia.
I denti della forchetta si posarono sulla panna e il capo del detective si sollevò nella sua direzione. «Non è vera panna questa».
Dove doveva firmare per strangolarlo?
«Se non la mangi, giuro che ti ammazzo», sibilò a denti stretti, le braccia conserte. Sfinito da quella discussione appena iniziata, si sedette a tavola, aspettando che l’altro mangiasse la sua torta.
«Ma sei pazzo, Light» lo riprese con finta afflizione, prendendo posto a sua volta. «Minacciarmi in casa di un poliziotto. È da veri sconsiderati».
«Come mangiare una torta fatta da chi ti ha appena minacciato di morte», suggerì, appoggiando il mento sulla mano.
«Devo preoccuparmi?» lo incalzò provocatorio, l’accenno di un ghigno storto sul viso.
«Non essere ridicolo».
 




Finalmente, L assaggiò la prima forchettata di torta. Ne sembrò soddisfatto, dato che ne prese una seconda, poi una terza e poi una decima.
Light restò in silenzio a guardarlo mangiare, chiedendosi quale fosse il vero motivo di quella sceneggiata. L aveva un nuovo caso tra le mani, ma gli aveva proibito categoricamente di prendere parte alle indagini, lasciandogli totale campo libero sull’omicidio di un pensionato. Un caso chiuso già dal principio.
Un caso stupido persino per Matsuda.
Perché lo teneva alla larga? Non si fidava di lui? O…
Un pensiero gli balenò alla mente nel momento in cui la lingua del detective raccolse una macchia di cioccolato nell’angolo della bocca, riempiendosi nuovamente le guance con altra torta.


 
Che lo stesse facendo per proteggerlo?
 


Si alzò senza neanche accorgersene, facendo stridere la sedia contro il pavimento in legno. Avanzò sotto lo sguardo indagatore del detective, fino a chinarsi sulla sua faccia. Posò una mano sul tavolo, poco distante dal piatto. Voleva che si sentisse in trappola, costretto a dirgli tutto ciò che gli stava nascondendo. Voleva che vuotasse il sacco, che si sentisse con l’acqua alla gola.
«Perché sei triste?»
Light gli era così vicino che avrebbe potuto sfiorarlo con la punta del naso. Sentiva il suo odore invadergli le narici, misto a quello dolciastro e fastidioso della crema di nocciole.
L schiuse la bocca, sostenendo il suo sguardo. «Perché le persone sono tristi, Light?»
«Perché sei qui?» continuò, ignorando il suo giochetto. Nonostante mangiasse solo cose zuccherate, l’odore di L era salato. Come quello del mare.
«Vuoi che vada via?»
Frustrato, Light si lasciò scappare un sospiro disperato, sbattendo la mano sul tavolo. Perché non poteva semplicemente rispondergli? Perché non poteva farlo vincere, una volta tanto?
No, non questa volta, si disse.
Avrebbe perso.
Delicatamente, allungò una mano sulla sua guancia; era liscia, fredda e pallida. Troppo pallida.
L non oppose alcun tipo di resistenza, neanche quando Light appoggiò le labbra sulle sue. Lo lasciò fare, come se fosse la cosa più banale del mondo, come se quella scena si fosse ripetuta altre mille volte prima di quella.
Sembrò sul punto di staccarsi dalla sua bocca, ma qualcosa lo spinse ad avventarsi su lui. Non c’era più la delicatezza della prima volta, non c’era più la dolcezza di un bacio casto. Light premeva con foga, con rabbia. L si sentì intrappolato da quei baci soffocanti, preso alla sprovvista da tutta quell’irruenza. Sollevò le mani in aria, senza sapere cosa farne e dove adagiarle.
Fu quasi una scena comica. Light pronto a mangiarlo in un sol boccone e L che si muoveva come un pesce fuor d’acqua.
Fu quando L tentò di pronunciare qualcosa contro quei baci che Light recuperò la ragione, staccandosi lentamente dalla sua faccia. Il suo odore gli era rimasto addosso. Sulla bocca, sulle mani, sulle gote. Ovunque.
«Sai di torta», gli soffiò con un sogghigno di trionfo, sotto lo sguardo del tutto confuso e spaesato di L, il più grande detective del secolo. «Ero triste anche io».
Lo vide deglutire impercettibilmente, fermo nella sua posizione. «Quanto triste?»
Con la vittoria in pugno, si abbassò nuovamente su di lui, parlandogli sulle labbra. «Molto triste».
 
 


Light fu sicuro di aver vinto, ma quando udì dei passi avvicinarsi si ritirò con un fare repentino dall’altro, spingendo L lontano. Quest’ultimo, del tutto impreparato, cadde a terra con un tonfo sordo.
Sayu si portò una mano al petto, mezza addormentata nel suo pigiama. «Ma che succede?» Avrebbe potuto indagare di più, chiedersi il perché L fosse finito a terra come un imbecille e per quale motivo Light si nascondesse le labbra dietro un pugno, ma l’unica cosa che catturò la sua attenzione fu la metà restante della torta abbandonata sul tavolo.
«E quella lì da dove esce fuori?» chiese, più al fato che a qualcuno in particolare, pronta a servirsi.
 
 


Più tardi, quando risalirono in camera da letto, Light lanciò un’occhiata alla figura di L rannicchiata con le ginocchia al petto rimpiangendo la torta persa. Tossicchiò per attirare la sua attenzione.  «Sei ancora triste».
«Ci sono buone probabilità. Direi circa l’ 88%».
Impacciato, si morse l’interno labbra, pentendosi di ciò che stava per dire. «Ci sarebbe un’altra cosa che le persone fanno quando sono tristi».
«Ah sì?» gli domandò, dandogli le spalle.
«Le persone si abbracciano» sputò fuori, ringranziando la poca luce della notte per nascondere il rossore sul suo viso. Non aveva idea di come gli avrebbe risposto L, né del perché si fosse cacciato in quella situazione, ma quando sentì il materasso abbassarsi sotto il peso del detective il cuore martellò impazzito nel petto.
L gattonò verso di lui, lasciandosi ricadere sul suo addome. Ci strusciò la guancia come se fosse un cuscino, inspirando il suo profumo. «E se le persone sono molto tristi?»
Il fiato di L gli pizzicò il collo, facendolo tremare. Light temeva che il detective potesse sentire i battiti irregolari dovuti a quella vicinanza, ma decise che non gli importò. Se lo strinse a sé, cingendolo con le sue braccia. «Allora, si abbracciano di più».


Questa storia è dedicata interamente a Harriet Strimell
Lei è un'autrice stupenda e una ragazza simpaticissima, passate a leggere le sue storie e non ve ne pentirete. 
Merita, tantissimo.

Il prompt, sempre di Harriet, utilizzato per scrivere questa storia è:
- Sono triste.
- Ti cucinerò una torta!
- Sono molto triste...
- Ti cucinerò una torta gigante!

Alla prossima!
 
   
 
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