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Autore: NPC_Stories    15/08/2019    0 recensioni
Dopo l'avventura nel dungeon che celava la città distrutta di Atorrnash, Linomer aveva riportato in superficie numerose perle nere che erano appartenute a Ka'Narlist, il malvagio sovrano degli elfi scuri. La leggenda vuole che in quelle perle fossero rinchiuse le anime dei suoi nemici... ma c'è forse un limite a quanto possono essere strani i nemici di un antico arcimago che mirava a diventare un dio? Di certo dovevano essere molti, e variegati.
Questa è la storia di un povero mago che, da solo, deve occuparsi di gestire almeno quelli che non erano malvagi.
Come reagiranno queste persone, trovandosi in un mondo visceralmente diverso da quello in cui sono nate?
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Breve spin-off di Jolly Adventures. O meglio, non so se sarà breve. Diciamo che non ha una trama strutturata, è una collezione di eventi. Aggiornerò ogni tanto, quando mi verranno le idee. Quantomeno sarà una buona carrellata di possibili spunti per avventure.
Disclaimer: quasi tutti i personaggi appartengono a me, ma altri fanno parte dell'ambientazione e appartengono alla Wizards of the Coast e ai loro creatori.
Genere: Avventura, Fantasy, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1320 DR: Onore e cocciutaggine


L’estate aveva ormai lasciato il posto all’autunno e Linomer non aveva ancora finito di liberare gli sfortunati ospiti delle perle. Solo nella settimana precedente aveva liberato un umano che si era identificato come uno shyft, qualunque cosa volesse dire, e come una ex-spia che lavorava per Ka’Narlist. Aveva fatto un passo falso e l’arcimago aveva intrappolato la sua anima, nel timore che ucciderlo avrebbe permesso ai suoi nemici di evocare il suo spirito e farsi rivelare i suoi molti segreti. Prima che Linomer potesse fargli altre domande, lo Shyft l’aveva ringraziata per il tè ed era scomparso alla vista, solo per riapparire un istante dopo sul Piano Etereo.
Chiaramente ignorava che Linomer, con Visione del Vero, poteva seguire i suoi movimenti anche lì, ma lei decise di lasciarlo andare a cercare fortuna. Quell’essere le era sembrato abbastanza arguto e intraprendente da potersi ambientare anche in un mondo che ormai gli era alieno.
Poi era stato il turno di uno slaad grigio, che Linomer aveva polverizzato nell’istante stesso in cui aveva preso forma. Linomer non tollerava gli slaad. Sebbene non intrinsecamente malvagi, erano predatori naturali che uccidevano e trasformavano gli umanoidi del Piano Materiale in altri slaad. Linomer era una draghessa, quindi non rientrava fra le loro prede, ma aveva pochissima tolleranza per quel genere di parassiti.
Spero di averlo ucciso in modo indolore, per lo meno. Si disse, fissando il mucchietto di polvere fumante con un minuscolo accenno di senso di colpa. Ma comunque chissenefrega.
Il giorno dopo, da una perla era uscita una ginosfinge, una creatura antica e nobile. Quella era stata una vera sorpresa per Linomer, perché quale rapporto poteva avere un mago gretto e pragmatico come Ka’Narlist con una simile creatura leggendaria? Le sfingi di solito erano famose per la loro saggezza e per il fatto di mettere alla prova i sapienti con i loro indovinelli, per giudicare la loro intelligenza.
Quella sfinge, invece, era stranamente silenziosa. Linomer se ne risentì un pochino. Perfino un osservatore casuale si sarebbe accorto che la sua forma elfica era quella di un mago. Sperava di suscitare almeno un pochino di interesse nella sfinge, sperava di ricevere uno dei fantomatici indovinelli.
La ginosfinge invece aveva nicchiato con aria sorniona e aveva chiesto se era libera di andare.
Linomer l’aveva guardata volare via, grattandosi la testa con perplessità, mentre Kavrin la salutava con un “Ciao ciao, drago peloso!”. Tutte le bestie magiche alate, secondo lui, erano draghi.

La draghessa camuffata da mago cominciava a pensare di aver bisogno di una vacanza.
Avrò tutto il tempo del mondo, e non è che per i prigionieri cambierà tanto, dopo più di ventimila anni, aspettare qualche giorno o qualche mese in più….
Ma sapeva di essersela già presa fin troppo comoda, negli ultimi due anni. L’arrivo di Kavrin aveva ulteriormente rallentato il suo lavoro, e Linomer aveva una mente che richiedeva, se non proprio ordine, quantomeno che i progetti importanti venissero portati a compimento.
Sospirò, stanca e abbacchiata, e decise di limitare le sue vacanze a un paio di giorni. Avrebbe portato Kavrin a fare un giro in barca, magari; di recente aveva messo a punto un buon incantesimo per proteggere l’olfatto dagli sgradevoli olezzi sulfurei del Mare dei Vapori. Ormai il clima non era più torrido come nei mesi caldi, e il mare piaceva tanto ad entrambi.

Due giorni dopo Linomer si rimise al lavoro con rinnovato spirito di abnegazione. Kavrin si era tuffato giù dalla barca, e ripescarlo prima che lo facessero i mostri marini era stata una rocambolesca avventura.
Vacanze, ah! Sbuffò, deridendo la sua stupida idea. Il lavoro è la vera vacanza, con quel terremoto per casa…

Avendo deciso di lasciare il bambino alle cure più o meno adeguate del suo Simulacro, l'elfo riprese in mano il registro su cui appuntava le personalità emerse dalle perle. Cercava di capire se ci fosse un filo conduttore. A volte si trattava di nemici che Ka'Narlist aveva intenzione di interrogare oppure di studiare, come il doppelganger e… forse il drago?
In almeno un caso si era trattato di una punizione per una schiava, mentre Kavrin (e possibilmente altri bambini come lui) secondo Linomer erano stati tenuti come "riserva" di seguaci dal sangue potente, per quando il malvagio arcimago fosse riuscito a diventare un dio. Non c'era mai riuscito, ma era evidente che quella fosse la sua intenzione.
Fino a quel momento Linomer non aveva ancora osato spezzare le perle che emanavano un grande potere. Forse la prigione di Ilimalaaros era stata una di quelle, ma all’epoca lei non aveva controllato questo dettaglio.
Prima o poi dovrò farlo comunque, disse a sé stessa, ma non adesso.
Prese una delle perle che secondo le sue analisi magiche ospitavano un ospite né troppo potente, né così irrilevante da poter essere un altro bambino.

Nella privacy del suo laboratorio extraplanare, Linomer spezzò la perla, pronta a far fronte a qualunque cosa ne fosse uscita.
Come al solito una sottile nebbia si levò dai resti spezzati della prigione magica, solidificandosi subito in una forma umanoide. Be’, questa volta, più o meno umanoide.
La creatura era alta quanto un orco, almeno sei piedi. Prima ancora che la sua forma fosse del tutto solidificata, Linomer si accorse che sulla sua testa spiccavano due grandi corna da stambecco.
Un demone? Ma no, che sciocchezza, se fosse stato malvagio l’avrei percepito. Un satiro? Il pensiero attraversò la sua mente, fulmineo, poi subito giunse il dubbio. Però un satiro così alto non l’ho mai visto…
Le domande dell’incantatrice trovarono risposta prima che lei potesse fare altre congetture. La creatura sembrava un animale, ma stava in posizione eretta; aveva la testa da caprone e zoccoli al posto dei piedi. A differenza di un satiro, che ha le zampe da capra ma il viso e la parte alta del corpo da umano, questo individuo aveva tutto il corpo coperto di pelliccia marrone e la testa non aveva nulla di umano. Sarebbe potuto sembrare un caprone capace di reggersi sulle zampe posteriori, ma il suo torace aveva una conformazione umana, e al posto delle zampe anteriori aveva due braccia possenti, da guerriero. Fra le mani, umane anch’esse, reggeva una grossa ascia da battaglia.
Linomer non aveva grande familiarità con l’incantesimo Intrappolare l’Anima, prima di cominciare a lavorare sulle perle. Un tempo aveva creduto che l’incantesimo imprigionasse solo l’anima, lasciandosi dietro il corpo, come un incantesimo Giara Magica. Non era così. Quel maleficio reclamava anche il corpo, solo che per magia lo scomponeva temporaneamente. Quando il corpo delle creature imprigionate si riformava, indossava ancora i vestiti che aveva al momento del maleficio e possedeva ancora gli stessi oggetti.
Come quell’ascia, che il caprinide alzò al soffitto urlando un belato di battaglia. Una parte della mente di Linomer suggerì che avrebbe dovuto trovare buffo quel verso, ma non c’è molto da ridere quando un barbaro villoso di duecentottanta libbre ti si lancia contro mulinando un’arma da guerra.

Linomer non era mai stata molto agile. Di certo non lo era in forma di drago. La sua forma elfica però poteva concederle almeno un po’ di quella innata grazia razziale che hanno tutti i Tel’Quessir, e l’istinto di conservazione fece il resto. Si tuffò di lato, schivando di stretta misura l’attacco furioso dell’ingrato guerriero. Per fortuna un corpo appena riformatosi per magia non ha mai il pieno controllo delle proprie movenze.
Privato del suo bersaglio, il barbaro non riuscì a frenare lo slancio e sbattè l’ascia contro un tavolo da lavoro, staccandone una grossa scheggia anche se il tavolo era di pietra. Per un istante perse l’equilibrio, ma subito rafforzò la presa sul manico dell’ascia e si girò per cercare la sua sfuggente preda. Purtroppo per lui, Linomer non era una di quei maghi che sanno solo spulciare libri. Si ritrovò prigioniero in una gabbia di sbarre invisibili prima ancora di avere la possibilità di riprovarci.

Quella creatura non assomigliava a nulla che l’elfo della luna avesse mai visto. Venne fuori che la cosa era reciproca. Dopo aver passato una mezz’ora buona a ululare insulti in una lingua antica e sconosciuta (che purtroppo Linomer riusciva a comprendere, ma ne avrebbe volentieri fatto a meno), quell’essere bestiale finalmente si calmò un poco. Dalle sue accuse e dai suoi insulti era chiaro che l’uomo-capra aveva scambiato Linomer per un elfo scuro con una mutazione accidentale, non conoscendo la differenza fra le due razze. Linomer cercò di spiegargli che non era un elfo scuro, e che non aveva niente a che fare con quel popolo malvagio.
Il caprinide la guardò con sospetto e diffidenza, passando una mano sul manico dell’ascia come per trarne conforto. Quell’arma non poteva nulla contro le sbarre magiche, l’aveva già imparato a sue spese. Per il momento non aveva altra scelta che ascoltare le parole dell’elfo chiaro, ma non era disposto a credere facilmente a quella storia.
Diverse razze di elfi? Assurdo, ai suoi occhi quegli omuncoli fragili e senza onore erano tutti uguali. Il mago nero l’aveva chiuso in una perla, il mago bianco l’aveva chiuso in una gabbia, per il fiero guerriero non c’era differenza.
“Se non sei un verme nero lingua di serpente, togli questa gabbia!” La sfidò l’umanoide, abbassando la testa e mettendo bene in mostra le corna. “Baawer non sarà schiavo di un debole. Baawer rispetta solo un guerriero più forte. Questa è la via degli ibixian.”
Linomer chinò la testa di lato, curiosa.
“Fossi matto” rispose, sinceramente “mi apriresti in due con quell’ascia. Eppure io ti ho liberato dalla perla.”
“Ora sono in un’altra prigione” gli fece notare l’uomo-capra, risentito.
“Solo perché mi sei corso addosso con una fottuta ascia!” Sbottò l’elfo chiaro, a corto di pazienza. “Non è un buon presupposto per darti fiducia.”
“Fiducia?” l’ibixian, come si era definito, sollevò un sopracciglio, ed era un sopracciglio molto grosso, come per sottolineare il concetto. “Avrai una battaglia leale, questo è più di quello che si merita un mingherlino imbroglione come tutti voi elfi.”
“Cosa me ne faccio di combattere contro di te?” Obiettò Linomer.
“Se vinci, sarai il mio capo e ti dovrò servire.”
Calò un silenzio carico di tensione.
“Ma io non voglio i tuoi servigi” disse alla fine il mago, cautamente, come se avesse paura di offendere il suo burbero ospite.
Il caprinide la guardò con occhi vuoti, incapace di comprendere.
“Ma mi hai messo in una gabbia!”
“Perché tu mi hai attaccato!” Tornò a ripetere Linomer.
Si guardarono ancora per un lungo momento, come se fossero destinati a non capirsi.
“Senti, davvero, io non voglio tenerti qui.” Assicurò l’elfo pallido. “Che ne dici se ti lasciassi andare, lontano da qui? Non servirebbe combattere, giusto? Non servirebbe che uno di noi due prendesse il sopravvento.”
Ecco, finalmente quello era un discorso accettabile.
Baawer aveva un solo modo di reagire a uno sconosciuto: decidere chi fosse il più forte, e quindi chi dovesse comandare. Ma questo era valido solo se lui e lo sfidante stavano lottando per lo stesso territorio. Se il mago l’avesse lasciato andare per la sua strada, allora il discorso sarebbe stato diverso.
"Baawer torna dalla sua tribù, e gli elfi abbandonano il territorio che hanno rubato agli ibixian. Così Baawer non è costretto a spaccare la tua piccola testa fragile." Minacciò, gonfiando i muscoli delle braccia.
Sentendo parlare di tribù e di territorio, Linomer ricordò che non avevano ancora affrontato lo spinoso argomento 'sono passati più di ventimila anni e la tua gente potrebbe non esistere più'. Forse era il momento di parlarne adesso, finché quel bruto irascibile era ancora nella gabbia.

Alcune ore dopo l'elfo della luna e il villoso caprinide uscirono dalla porta dello studio del mago. Nessuno dei due sembrava di buon umore, ma avevano raggiunto un accordo.
Kavrin e il Simulacro in forma umana rimasero a guardare a bocca aperta mentre quella creatura di un'altra epoca, chiaramente più adatta agli ambienti selvaggi, si faceva strada con cautela fra mobili e soprammobili di quegli appartamenti fin troppo stipati.
"Un mezzotauro!" Esclamò il bambino, correndo a nascondersi dietro la gonna del Simulacro. "Zio, mandalo via! Fanno magie brutte e mangiano i bambini! E poi ti mettono in un librinto e ti danno la caccia finché muori di paura..."
Linomer rimase molto sorpresa davanti a quello sfogo improvviso, era raro che Kavrin mostrasse di avere paura di qualcosa. Per di più, i minotauri non erano famosi per le loro arti magiche, anzi di solito erano considerati poco più che bestie. Non che avesse diretta esperienza di simili creature, ma sapeva che gli elfi drow spesso impiegavano i minotauri come schiavi. Non si aspettava che gli antichi elfi scuri avessero un simile rispetto per quella razza di ibridi.
"Il nostro ospite non è un minotauro, Kavrin. Ha detto di essere un ibixian, e chiaramente assomiglia ad un mezzo-caprone, non a un mezzo-toro", rispose in elfico moderno. Il bambino ormai parlava l'elfico moderno come se fosse la sua lingua madre, ma alcuni termini non li conosceva, come la parola minotauro. "Su, vieni fuori da lì, non è questo il modo di presentarsi."
"Ma forse anche lui fa le magie cattive…" biascicò il ragazzino, ma si lasciò convincere ad uscire da dietro alle sottane dell'umana.
Per fortuna Baawer non parlava l'elfico moderno, perché non gli sarebbe piaciuto essere definito mezzo-caprone.
"Hai detto che gli elfi scuri non esistono più" protestò il caprinide, lanciando una lunga occhiata disgustata al bambino. "Era una menzogna. Ogni cosa che hai detto era una menzogna." Ipotizzò, rendendo palese la sua visione del mondo in bianco e nero. Linomer gli aveva mentito su una cosa, quindi gli aveva mentito su tutto.
"Non ti ho detto bugie. La razza degli elfi scuri non esiste più." Evitò accuratamente di dirgli che non esisteva più perché si era trasformata nella razza drow. "Kavrin era prigioniero di una perla magica, proprio come te."
"Il capo-mago degli ilythiiri metteva i nemici nelle perle perché era un codardo. Ha avuto paura di affrontare Baawer con un'ascia in mano! Ma nemmeno quel serpente vigliacco poteva avere paura di questa mezza tacca!" protestò, indicando il piccolo Kavrin che tremava e teneva stretta la mano del Simulacro, per farsi un po' di coraggio.
"Ka'Narlist non imprigionava soltanto i nemici di cui aveva paura" spiegò l'elfo chiaro, "ma anche le persone che voleva tormentare oppure che voleva usare in futuro. Forse voleva usare questo bambino per i suoi esperimenti magici. Gli elfi scuri non avevano né amore né pietà per i loro piccoli."
Il caprinide sembrò molto colpito da queste parole. Linomer non aveva idea di quali fossero gli usi e i costumi della sua gente, ma in quasi tutte le razze non malvagie esisteva il concetto di prendersi cura dei piccoli. Le azioni degli elfi scuri avrebbero suscitato ribrezzo in chiunque.
L'enorme umanoide si piegò su un ginocchio, per essere alla stessa altezza del bambino. Non ci riuscì; anche così lo sorpassava di tutta la testa (e minacciosa impalcatura di corna). Sganciò l'ascia da battaglia dalla sua cintura, con movimenti lenti e deliberati. Appoggiò l'arma a terra, tenendola in verticale con il manico verso l'alto. L'ascia era alta quanto il ragazzino.
"Sei un piccoletto" borbottò il barbaro, in tono un po' deluso. Linomer capí che aveva parlato nell'antica lingua degli elfi scuri, e Kavrin sussultò perché era ancora perfettamente in grado di capire quell'idioma. "Aspetterò che cresci. Aspetterò che diventi abbastanza forte da sollevare la mia ascia. A quel punto ti sfiderò e ti ucciderò, ultimo degli elfi ladri." Promise, non in modo minaccioso ma con una certa solennità.
Il bambino spalancò gli occhi e si allontanò di scatto dalla lama dell'ascia.
"Non farai niente del genere!" Gridò Linomer, colta di sorpresa. "Ritira subito le tue minacce oppure ti polverizzo su due piedi!"
La draghessa stava davvero facendo del suo meglio per non richiamare all'istante un incantesimo distruttivo. Il fatto che il bambino fosse potenzialmente sulla linea di tiro era un buon deterrente, inoltre si rendeva conto che Baawer, a modo suo, si stava comportando in modo onorevole. Non avrebbe fatto del male a Kavrin finché l'avesse visto come un bambino. Il problema era che le parole del caprinide avevano pungolato un'altra delle grandi preoccupazioni costanti di Linomer: prima o poi il piccolo elfo scuro sarebbe cresciuto. Prima o poi il mago avrebbe dovuto fare i conti con quello, con la necessità di trovare un posto nel mondo a quel superstite di una razza antica, e come se non bastasse, più i giorni passavano e più diventava probabile che Kavrin sviluppasse poteri incontrollabili senza preavviso. Esisteva anche il rischio sempre presente che Lolth, la malvagia Regina Ragno che era anche una sua antenata diretta, si accorgesse che un suo discendente dai poteri quasi immacolati era tornato nel mondo. Linomer conosceva la triste storia di Nenshalee, l'antica elfa ilythiiri che aveva subito quasi completamente il controllo mentale della sua dea. E come se non bastasse, ella era venuta al mondo poco prima della fine del regno di Ka'Narlist, millenni dopo la nascita di Kavrin. Se era vero che il potere diventava più blando con il passare delle generazioni, e con esso anche il controllo mentale da parte della divinità, la triste storia di quell'elfa scura lasciava ben poche speranze per il futuro di Kavrin. Dopotutto uno dei motivi per cui Linomer cercava di farlo uscire il meno possibile era limitare qualunque contatto con un tempio o con il concetto stesso di fede. Sarebbe stato ancora meglio se Kavrin fosse rimasto all'oscuro dell'esistenza degli Dei. E, con un po' di fortuna, anche loro sarebbero rimasti all'oscuro della sua.

Il caprinide si rialzò in piedi e riagganciò con tutta calma la sua arma alla cintura.
"Baawer non uccide i piccoli. Il popolo ibixian conosce l'onore. Adesso tu rispetti la parola data, elfo pallido. Adesso tu aiuti questo capotribù a ritrovare la sua tribù."
Il mago si passò una mano sul volto, imponendosi di ritrovare la calma.
"E sia. Sarò più tranquillo quando ti saprò lontano da qui, Baawer."
Linomer spiegò con pazienza al Simulacro e a Kavrin che sarebbe partito per una missione nelle pianure dello Shaar. Si prese anche il tempo di scrivere tutto in una lunga nota, che poi appese alla porta del suo laboratorio, perché sapeva che il suo Simulacro avrebbe dimenticato tutto dopo una notte di sonno. La donna sapeva solo di doversi occupare del bambino, ma non poteva ricordare le informazioni acquisite dopo la sua creazione. Quello era il più grande limite della creatura.
Non si sentiva esattamente tranquilla a lasciare quei due da soli per molti giorni, ma era una sua responsabilità occuparsi dei prigionieri delle perle di Ka'Narlist. Non poteva lasciare che una creatura antica, forse ormai l'ultima della sua specie, finisse a girovagare in eterno senza speranza in un mondo che non conosceva più. Avrebbe aiutato Baawer a scoprire cosa ne era stato del suo popolo.

           

   
 
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