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Autore: Sabriel Schermann    15/08/2019    4 recensioni
Correva disperatamente da un tempo che le pareva infinito; inciampò nei lacci delle sue deliziose scarpette rosse laccate, le più eleganti che possedeva e che indossava solamente in occasione delle rare volte che usciva dall’orfanotrofio.
Con gli occhi spalancati dalla paura, sentì qualcosa colpirle la testa, facendole perdere l’equilibrio, riversandola sul letto di foglie e frasche.
Tutto ciò che vide dopo fu buio.
[Storia classificata al terzo posto a pari merito al contest "Elisir, pozioni e distillati" indetto da Wurags sul forum di EFP]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'La Casa di Cristallo'
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Erano ormai passati quasi tre mesi da quando Sindy si trovava in quell’ospedale e la sua degenza stava giungendo al termine. Era perfettamente in grado di camminare e sostentarsi da sola, nonostante l’enorme foro nel suo torace; sarebbe stata in grado di cavarsela e, soprattutto, di sopravvivere. Nessuno se lo sarebbe mai aspettato: la pallottola l’aveva colpita in pieno petto fuoriuscendo dall’altra parte e quando raggiunse l’ospedale, quella torrida giornata d’estate, nessuno si aspettava che sopravvivesse più di qualche ora. Invece Sindy, contro ogni previsione, ce l’aveva fatta. I medici lo considerarono un autentico miracolo e quando si svegliò, quasi non credette di essere scampata alla morte per l’ennesima volta.
Pensò che nell’aldilà ci doveva essere qualcuno che godeva profondamente nel vederla soffrire, qualche diavolo che desiderava divertirsi ancora un po’, perché ciò che aveva vissuto in venticinque anni di vita evidentemente non era stato abbastanza.
«Sei sicura di volerlo fare?». La voce del dottor Holm la distrasse dai suoi pensieri, riportandola alla realtà.
Sindy fece un lieve cenno col capo, unendo le mani al ventre e volgendo all’indietro la testa, appoggiandola delicatamente al muro. Il medico aveva scelto un’altra stanza per la sua terapia, lontana dalle grida delle neomamme, che avrebbe favorito adeguatamente la sua tranquillità.
«Sai cosa devi fare» la incoraggiò il medico, accomodato su una sedia di fronte al letto.
La giovane respirò profondamente, serrando gli occhi, sentendo la voce grave e cantilenante del dottore carezzarle l’udito. Solamente per un breve istante, desiderò non riaprirli più.
«Ora conterò da uno a cinque». Il suo corpo era rilassato e le sue labbra si schiusero un poco.
«Ora hai dieci anni, Sindy». La ragazza mosse leggermente le braccia, formando inconsapevolmente un cerchio quasi perfettamente rotondo.
«Ci sono io con te, prendi la mia mano… non sei sola». Il dottor Holm si avvicinò strisciando la sedia sul pavimento, intrecciando delicatamente le loro dita, sentendole bollenti sotto il suo tocco.
«Stai disegnando qualcosa, Sindy» continuò, «ma qualcuno ti interrompe, non è così?».
La ragazza fremette per un istante, muovendo leggermente le labbra.
«Qualcuno ti sta interrompendo, non è vero Sindy?». L’uomo esitò: «chi è?».
«La mia mamma» sospirò lei in un guaito. «Ti ha interrotto la tua mamma?» ripeté il dottor Holm stringendole la mano.
«No» rispose lei in tono fermo, voltandosi nella sua direzione, «sto disegnando la mia mamma».
Un limpido sorriso si dipinse sulle labbra della giovane.
«E com’è la tua mamma?» la incalzò l’ipnotista.
«Lei non esiste» rispose in fretta Sindy, «ma nei miei disegni è come me».
«Dev’essere molto bella allora» commentò il medico, pur conoscendo l’insofferenza della sua paziente ai complimenti riguardanti la sua apparenza. «Ma qualcuno ti interrompe» continuò, tentando di spostare l’attenzione sull’oggetto del suo interesse.
«Sì» rispose prontamente la ragazza, «lui mi interrompe sempre quando disegno».
Sindy strinse la mano del medico, mantenendo gli occhi chiusi. Un singhiozzo sordo le fuoriuscì dalla gola. «Io so cosa vuole».
Il dottor Holm la incalzò, vedendola diventare più irrequieta: «Che cosa vuole?».
«Non voglio» disse Sindy in un sussurro.
La sua mano tremava nella stretta dell’uomo.
«Ho paura» mormorò la ragazza, lasciando scivolare una lacrima solitaria su una guancia. Poi, come in un cambio repentino di una scena teatrale, la sua espressione addolorata divenne d’improvviso seria. Sbatté la testa contro il muro dietro al letto, stritolando la mano arrossata del medico.
«Io ho deciso» sogghignò con un sorriso perfido sul volto.
Il dottor Holm sapeva bene che le fasi più delicate dell’ipnosi sono l’induzione del paziente e la fase post-ipnotica. Conosceva Sindy e sapeva che nel suo stato sarebbe stata completamente sincera.
«Cosa hai deciso?» la incitò a continuare.
« Lui non mi prenderà mai» affermò la ragazza.
«Cosa stai facendo ora?» proseguì incurante il medico, la mano dolorante dalla forte stretta.
«Sto scappando» rispose Sindy, «nel bosco».
«È buio» continuò, «tornerò domani a prendere le fotografie e i disegni».
Non era consapevole, nel suo stato, che le fotografie le avrebbe ritrovate molto tempo dopo, insieme agli scheletri degli altri bambini uccisi.
«Puoi descrivere quell’uomo?» le chiese il medico, cercando nuovamente di spostare l’attenzione verso ciò che gli interessava sapere.
«Si chiama Victor» mormorò la giovane, senza che il medico glielo chiedesse, «un nome orribile per un uomo così terrificante, vero?» sogghignò.
«I suoi occhi… sono piccoli. E le labbra» continuò, «così sottili. Il viso è lungo come il corpo di un verme» terminò Sindy.
«Ha qualche caratteristica particolare?».
Il dottor Holm la sentì sussultare. «Una cicatrice, proprio sotto il mento».
Poi scoppiò in una risata dal tono malvagio.
«Vuoi sapere una cosa?» bisbigliò la giovane con un ghigno, «gliel’ho fatta io» rise.
«Tu?» chiese il dottore, con un pizzico di stupore.
«Sì» continuò lei, «l’ultima volta che mi toccò sotto le mutandine».

 

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Si era appena addormentata quando il medico entrò nella stanza, svegliandola.
Sindy spalancò gli occhi come reduce da un incubo, ma non si mosse. Ogni atomo del suo corpo sembrava come paralizzato dal rumore che il dottore aveva inavvertitamente compiuto entrando nella camera.
Avevano scelto di affidarle una stanza singola, pensando che potesse eventualmente infettare gli altri bambini, e avevano ragione: la vita di strada non risparmia nessuno.
Serrò prepotentemente le palpebre, pensando a quell’uomo tanto gentile che le aveva porto la mano quella notte, offrendole il suo aiuto e portandola in ospedale.
Un brontolio provenne dal suo stomaco. Non metteva nulla sotto i denti da giorni ormai, ma non poteva mangiare finché i medici non avessero ottenuto i risultati delle analisi.
Decise quindi di riposare, semmai ci fosse riuscita in quel frastuono notturno: perlomeno poteva nuovamente assaporare la morbidezza di un cuscino e di un materasso su cui poggiare la schiena.
Sentì il medico sgattaiolare fuori dalla stanza.
«La ragazzina è perfettamente in forma, il ché è strano per qualcuno che ha vissuto per mesi senza vero cibo e acqua».
L’udito della bambina percepiva una voce ovattata, forse a causa della distanza o forse perché in procinto di assopirsi.
«C’è solo una cosa che non capisco» continuò il medico.
«Il suo imene è spezzato» lo sentì dire, prima di essere finalmente accolta tra le braccia di Morfeo.


   
 
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