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Autore: Ghostclimber    17/08/2019    6 recensioni
Un matrimonio.
Una bottiglia di saké.
Due cuori che sprofondano in Atlantide.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono arrivato solo a cerimonia finita.

Mi ha stupito ricevere l'invito, e in realtà ho deciso di presenziare solo dieci minuti fa, quando sono uscito di casa. Certo, si potrebbe dire che il mio provvisorio ritorno in Giappone fosse esso stesso una decisione, ma mi piace pensare di essermi lasciato libertà di scelta fino all'ultimo momento: in fondo, sono tornato per il compleanno di mia madre, avrei potuto festeggiare e tornare negli Stati Uniti senza incontrare nessuno dei miei ex compagni di liceo.

E invece no, eccomi qui, a chiudere i sigilli sugli ultimi brandelli del cuore piegato che per anni ho nascosto sotto al tappeto.

Lo sposo è bellissimo, nel tradizionale hakama nero che contrasta con quei capelli sempre del colore delle fiamme e un enorme sorriso stampato in viso. Sono anni che non lo vedo e non lo sento, e ora che sta per passarmi davanti a braccetto con quella che oramai è sua moglie mi ricordo perché avevo preso la decisione di troncare i ponti: fa male, un male cane.

-Oh, porca miseria, ho le allucinazioni!- sbraita, e dannato me, sorrido. -HO LE ALLUCINAZIONI!- bercia di nuovo, e senza potermi fermare ridacchio.

-Miseria ladra, Kitsune, il Gori... cioè... il mio adorabile cognato ha detto che non avevi risposto!

-Non sapevo se sarei riuscito a venire.- guardo Sakuragi, la scimmia rossa che ha tormentato i miei sonni e le mie veglie dalla prima volta che l'ho visto, e cerco di trattenere il disgusto quando, educatamente, mi rivolgo anche a sua moglie Haruko. -Congratulazioni.- riesco a spremermi.

-Ah, vieni qui, vecchia volpaccia!- mi dice, e maledetto lui mi abbraccia, e maledetto me, alzo le mani per battergliele su quella schiena ampia e muscolosa a cui tante volte mi sono aggrappato per mascherare il mio bisogno impellente di avere un contatto fisico con lui. Hana, dannazione, quante volte ti avrò picchiato a sangue per non sbatterti sul parquet della palestra e scoparti fino a farti sputare l'anima, quante? Quante?

Troppe per poterle contare.

E oggi, nonostante tu sia ormai un uomo sposato, nonostante gli anni trascorsi in America nella speranza che funzionasse il proverbio “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”, sì, anche oggi è la stessa cosa, e mi sento di nuovo un adolescente timido e socialmente impacciato che vorrebbe solo dirti che ama il tuo talento, che ama la tua forza, che ama tutto di te, e che se tu non puoi amarlo in cambio non importa, basta che tu gli lasci da mangiare le briciole.

Per quante notti ho sognato il tepore umido del palmo della tua mano sulla mia, quando ci siamo scambiati quel cinque dopo la partita contro il Sannoh?

Troppe per poterle contare.

La mia mano destra, ora, è occupata, me lo ricordo perché non riesco ad aprire le dita per darti una fugace carezza come sto facendo con la sinistra, quindi mi allontano appena e ti porgo il mio regalo, una bottiglia di saké di buon auspicio, come da tradizione.

-Eh la peppa, ma devi far nevicare? Addirittura un regalo, non credo ai miei occhi!

-Haruko, le mie congratulazioni.- dico, ignorando lui e ignorando il sordo pulsare del mio cuore spezzato dentro la mia gabbia toracica. Mi chino ad abbracciare questa stolta che probabilmente nemmeno si rende del tutto conto della fortuna che le è capitata fra le mani ad avere questo meraviglioso uomo tutto per sé e ripenso ad una frase che ho letto tempo fa in un libro: “Si crede che i cuori non possano spezzarsi, ma lo fanno. A volte penso che sarebbe meglio che morissimo quando succede, ma non moriamo”.

-Grazie!- mi pigola in un orecchio, e per qualche secondo il mio cervello si disconnette dalla realtà e mi domando se non dovrò passare la sera a difendermi dallo sciame di pipistrelli che avrà sicuramente evocato con quel tremendo ultrasuono.

-Ti fermi per il rinfresco, vero?- mi chiede Sakuragi, ed è da tanto, tanto tempo che non ho più l'energia né la voglia di opporgli resistenza.

-Se non è di troppo disturbo, volentieri.- rispondo, con una cortesia che non mi appartiene, e ho la netta impressione che lui si sia accorto che qualcosa mi turba. È in momenti come questi che vorrei avere la sua capacità di saltare su e mettermi a sparare minchiate: ho sempre capito che non si trattava d'altro che di un diversivo. Ma ora come sempre sono ancora il Principe dei Ghiacci, la Volpe Artica, il Polaretto, la Granita, il Freezer Ambulante, il Surgelato, e qualunque altra cosa lui, il dio del fuoco, mi abbia mai accusato di essere. Glaciale, freddo e impassibile, ma anche i ghiacci della Groenlandia si sciolgono, e vorrei tanto andare alla deriva nell'acqua calda del suo affetto, quello che non ho mai potuto avere e che mai avrò; sarei felice di sciogliermi e morire in lui. Davvero felice.

 

Abbiamo mangiato.

Abbiamo bevuto, io più di quanto abbia mai fatto in vita mia.

Ho stretto la mano ad Akagi, che ha dichiarato di essere sceso a patti con l'idea di avere Sakuragi in famiglia: ha dichiarato che in fin dei conti è una testa matta quanto vogliamo, ma che quando serve c'è sempre, e non ha mai esitato a dare una mano o ad essere presente. Mi ha raccontato una storia di una lunga malattia, parenti latitanti e dolore famigliare che Sakuragi ha aiutato a risolvere, non ho capito e onestamente non ho nemmeno ascoltato con tutte e due le orecchie: la sua risata mi raggiunge, ovunque io vada, e anche se il mio primo istinto è la fuga ormai ho capito. Anche dall'altra parte del mondo, la sua risata fiera e trionfante mi raggiunge, sa dove trovarmi e come mettermi all'angolo, e io sono in qualche modo masochisticamente felice di soccomberle.

Ho risposto ad Akagi con dei mugugni poco compromettenti e una faccia di circostanza, e lui se l'è fatta andar bene così.

Ho salutato Miyagi, ancora scapolo sebbene ormai abbia rinunciato ad Ayako: hanno avuto una storia, al primo anno di università, lui si è reso conto di averla idealizzata troppo e lei si è resa conto di non averlo idealizzato abbastanza. Sono buoni amici, ora, e lei è sposata con un tizio conosciuto sul posto di lavoro. Ho visto suo figlio scorrazzare per il giardino dove si tiene la festa, è stata una scena tenera e bucolica fin quando il piccolo non ha deciso di farsi la cacca addosso: una quantità di rifiuti corporei davvero immane per una creatura così minuscola.

Mitsui è diventato avvocato, incredibile a dirsi. A quanto pare, suo padre è ricco sfondato e ama le cause perse, per cui il nostro ex teppista lavora in una struttura senza scopo di lucro che offre vari servizi, tra cui l'assistenza legale, agli ultimi del mondo, i reietti, quelli di cui nessuno si fiderebbe. Mi ha fatto un lungo discorso ispirato su come abbia fallito solo un paio di volte, perché grazie alla conoscenza con Tetsuo ha imparato a distinguere i criminali incalliti dalle persone che semplicemente non sono ancora state in grado di trovare una strada nella vita. Mi ha fatto un paio di nomi, e devo ammettere che si tratta di persone influenti a livello mondiale. Non c'è che dire, Mitsui è proprio cresciuto. -Peccato,- mi confessa, giocherellando con un bicchiere, -Che a furia di stare al centro ho finito per trascurare il mio ragazzo. Ma sono contento per Akira, davvero, Hiroaki è davvero un bravo ragazzo e insieme si controbilanciano.- mugugno in risposta.

-Siamo rimasti in buoni rapporti.- aggiunge, e capisco che mi sta chiedendo di rassicurarlo, che le sue frasi vogliono solo dire che darebbe via tutto e tutti pur di riavere Sendoh nella propria vita. Mi sforzo: -Lo immagino. È una buona cosa che siate rimasti amici.- per fortuna la mia frase fatta sembra bastare, ma ora Mitsui sembra non avere più molta voglia di parlare.

Esco in giardino, finalmente Ayako è riuscita a riacchiappare la sua piccola fabbrica di cacca quindi la via è libera. Evito accuratamente un cespuglio da cui ho sentito provenire dei versi strani e mi approprio di una panchina vicina ad uno stagno pulito alla bell'e meglio, e rimango solo a guardare un plotone di anatre dall'aria malaticcia nuotare avanti e indietro a velocità lumaca; ogni tanto, una di loro immerge il capino sott'acqua, e agita la coda e le zampette per un po' prima di riemergere.

Qualcuno lancia un pezzetto di pane nello stagno, e le anatre si affollano per contenderselo. Alzo gli occhi e vedo Kogure che si siede di fianco a me con aria un po' mesta e un tozzo di pane tra le mani. Mi rivolge un sorriso stentato, e io allungo la mano a togliergli un pelucco dall'abito.

-Oh, grazie, Rukawa.- mi dice, e arrossisce un po'.

-Da quanto tempo va avanti?- gli chiedo: quello che ho in mano è un fiorellino di velo di sposa, lo stesso che Akagi si era appuntato sull'abito da cerimonia per abbellirlo.

-Oh, noi...- Kogure sbuffa, -Un paio d'anni. Ma sai, lui è sposato, e tutto quanto...

-La vita fa schifo, eh?- sbotta l'alcol che mi scorre nelle vene.

-Sì, ma è l'unica che abbiamo. Dobbiamo solo... cercare di trarre il meglio dalla situazione in cui siamo. Credo.- Kogure getta nello stagno una pioggerella di briciole, -Almeno, questo è quello che mi ripeto quando mi saluta per tornare da sua moglie.- taccio, non so cosa rispondere. Se fossi il tipo che fa questo genere di cose, gli direi che sono ad un passo dall'affogarmi in questo stagno putrido, perché l'uomo che amo, l'unica persona che io abbia mai amato, si è appena sposato, e io sono qui al suo matrimonio senza sapere perché ci sono venuto, e sono qui su una panchina a chiedermi perché mai io sia nato e perché non ho potuto morire nel sonno stanotte e se davvero c'è un senso a questo correre e ingarbugliare che spacciamo per vita.

-E tu, Rukawa, come te la cavi?- rimango in silenzio. È il primo che me lo chiede, in questo non è cambiato. Kogure è sempre stato in grado di guardare oltre, con me come con tutti gli altri, è stato il primo a credere in Sakuragi e la sua fiducia è sempre stata ripagata, almeno in parte. Credo sia merito di quel suo sguardo sincero, nessuno che abbia un briciolo di cuore potrebbe guardarlo negli occhi, promettergli qualcosa e poi fare l'opposto.

-Beh. Sono ancora qui.- mi mordo la lingua per non proseguire con un'altra citazione di Stephen King che mi sale alla mente: “Ancora qui a scivolare, aggrappato con le unghie alla pelle del mondo”, ma qualcosa nel sorrisetto sghembo e amaro di Kogure mi fa sospettare che mi abbia letto nel pensiero, o quasi.

-Ehi!- chiama una voce, la sua voce, da dietro le nostre spalle, e Sakuragi è più bello ogni secondo che passa, mentre si avvicina con in mano la bottiglia di saké con il fiocco rosso che gli ho regalato, -Rukawa, ti cercavo! È un sacco di tempo che non ti fai vivo, adesso ci mettiamo qui e ci facciamo una bella chiacchierata! Kitsune, vogliamo informazioni!

-Hanamichi, vuoi torturarlo anche oggi?- chiede Kogure, con una risatina imbarazzata.

-Almeno non mi ha ancora menato.- sussurro, e Sakuragi erompe in quella sua risata trionfante. Kogure sgrana gli occhi, la sua bocca si dischiude in una “O” di sorpresa, le sue guance si tingono di un delicato rossore e sento che porge le sue garbate scuse e le sue sentite congratulazioni prima di allontanarsi. Ci rivolge un lieve inchino prima di lasciarci soli, e Sakuragi si lascia cadere sulla panchina di fianco a me, rilassato, quasi stravaccato, con la bottiglia posata sul grembo in quella che non posso non vedere come un'allusione fallica.

Si volta un istante a guardare Kogure che sparisce nel salone del ricevimento, poi dice: -Beh, gli amici non fanno la spia. La vera amicizia è anche privacy.- non commento questa sua frase sibillina, ogni speranza che potevo avere è ormai defunta nelle profondità della mia anima, poi lui guarda il sole al tramonto e cita: -“Il rosso era ormai quasi fuori vista, ormai, i resti del giorno erano di un rosa sbiadito, come le rose selvatiche”

-Cuori in Atlantide...- non tiro ad indovinare, so. Quello è il mio libro preferito, l'avrò letto un migliaio di volte. Ormai sono alla terza copia: le prime due le ho letteralmente macinate per il tanto sfogliare le pagine.

-Esatto, Volpaccia. Ti ci vedevo spesso al liceo, mi sono incuriosito. Quel libro è magnifico, ci ho pianto un sacco.- confessa mentre armeggia con il tappo della bottiglia. Con un'ultima torsione della mano e un colpo di bacino, il tappo salta via e ricade sul vialetto. Mi stupisco nel vedere Sakuragi che si china a raccoglierlo e se lo mette in tasca.

-Ecologia.- dice, molto più laconico del solito.

-Non esco di casa per più di due giorni senza quel libro in borsa.- ammetto.

-Ah, nemmeno io. E l'unico gioco di carte che faccio volentieri è Cuori.

-“Cherchez la femme, cherchez la femme noire!”- cito, e lui ride.

-Cazzo, però il rosso sono io, dovrei farlo io Malenfant!- puntualizza, riferendosi al personaggio che nel libro dice l'iconica frase durante infinite e morbose partite a Cuori.

-Ma Malenfant è brutto.- specifico, e non so quale parte di me ha preso la parola, so solo che Sakuragi ha rischiato di strozzarsi con il primo sorso di saké.

-Merda, Kitsune, perché io no?- chiede, e che io possa crepare se non gli leggo negli occhi che crede veramente alla puttanata che ha appena detto!

-No.- rispondo, come se fosse ovvio, come se mi avesse appena detto candidamente che la Terra è a forma di ciambella, che più o meno è il livello di assurdità a cui ci troviamo.

-Ma se nemmeno Haruko dice che sono bello.- ride un po' amaramente, e mi passa la bottiglia. La agita verso di me per incitarmi a prendere, e finalmente mi decido a farlo.

-Beh, allora te lo dico io.- sentenzio prima di bere un sorso di saké che ha anche il sapore delle sue labbra, che si sono posate qui sul collo della bottiglia prima delle mie.

-Ahah, Kitsune, è come se mi avessi baciato!- ridacchia, tirandomi una gomitata.

-Cos'hai, sette anni?- ribatto piccato. La verità è che stavo pensando la stessa identica stronzata da ragazzina adolescente alla prima cotta, nonostante io abbia accantonato gli anni da teenager un lustro e mezzo fa.

-No, ma mi piacerebbe averne di nuovo sedici.- dice, e le nostre mani si incontrano sulla bottiglia che gli sto nuovamente porgendo. Beve una lunga sorsata, emette un espiro di soddisfazione e poi cita di nuovo il nostro libro preferito, non alla lettera ma quasi: -A quell'epoca, avevamo tutto nelle nostre mani. Ma i ragazzini hanno le mani scivolose e le tasche bucate, e finiscono per perdere tutto.

-Tutto cosa?- chiedo.

-Tutto.- beve un altro sorso, e i suoi occhi luccicano nella luce morente del crepuscolo. Mi ripassa la bottiglia, e mentre bevo mi dice: -Ho letto anche un sacco dei libri che Brautigan suggerisce a Bobby. Uomini Nudi è stato davvero strano, ma Il Signore delle Mosche... Dio, che opera.

-Molto inquietante... e molto realistico.- concordo. Il saké sta cominciando a darmi alla testa.

-E quel libro sui mondi paralleli?- chiede, -Aspetta, com'era il nome?

-Mi sfugge.- ammetto.

-Beh, quello, comunque. Ci pensi, io e te in un mondo parallelo? Chissà come saremmo...

-Sotto un altro cielo... magari rosso.- sto delirando, questo saké è forte e io non sono abituato, ma lui mi dà corda: probabilmente è mezzo ubriaco anche lui.

-Magari da qualche parte c'è un altro te che si sveglia di fianco ad un altro me. Magari c'è un'altra Kanagawa, dove abbracciarsi tra due maschi non è uno scandalo ma la normalità.

-Hanamichi...- è la prima volta che pronuncio il suo nome ad alta voce.

-Magari, invece di passare per la porta del salone con Haruko ci sarei passato mano nella mano con te. Una porta aperta, spalancata su un futuro luminoso, tutto nostro, e magari lì non ce lo saremmo fatto scappare di mano.

-Non credo che potremmo essere del tutto felici, neanche in un mondo parallelo.

-Non credi nella felicità?

-No. Credo in brevi attimi luminosi.- bevo un altro sorso e gli passo di nuovo la bottiglia, -Ma forse hai ragione tu, forse in un altro mondo quando gli Dei lanciano i dadi non ci gettano in pasto alle belve, forse... forse in un altro mondo si viaggia in maniera diversa, e forse in un altro mondo potremmo davvero seguire i nostri sogni, invece che vivere vite false e piene delle bugie che raccontiamo a noi stessi.

-Tipo la bugia che io amo Haruko e non te?- mi chiede.

-Non ami Haruko?- chiedo di rimando.

-No. Potrei convincere me stesso di amarla, se non sapessi che l'amore è qualcosa di diverso.

-Capisco, quel genere di bugia.- dico. Si china in avanti, la bottiglia tra le mani. Nonostante la rivelazione che mi ha appena fatto, il mio cuore non ha accelerato il battito. Nella sua frase era implicita la sua scelta per il futuro: forse una scelta facile, una scelta di comodo, ma non posso biasimarlo per non voler abbandonare una situazione stabile e al di fuori di ogni sospetto per promesse che non sarei in grado di fargli.

-Ho fatto una scelta, quando le ho chiesto di sposarmi. Sono fuggito, e ora non so che fare se non continuare a fuggire. Probabilmente lei vorrà dei figli, si aspetterà di invecchiare al mio fianco e io... io ho troppa paura per andarmene ora. Cazzo, vorrei che tu mi avessi portato questa bottiglia molto tempo fa.

-Forse non avrebbe funzionato.- replico. Gli appoggio il palmo della mano sul polso e stringo appena, per fargli capire che non lo biasimo, non posso biasimarlo. Durante i quattro anni in cui ho giocato in Giappone da professionista ho dovuto cercarmi una ragazza che fingesse di stare con me: la mia ritrosia aveva spinto molti a credere (giustamente) che io fossi omosessuale, e il manager della Nazionale è arrivato ad un soffio dal mandarmi a casa per il semplice sospetto.

E anche in America, un paese che da questo punto di vista è molto meno ristretto di vedute, non posso promettergli strade pavimentate d'oro, una luce in fondo al tunnel, un mondo in cui possiamo tutti vivere lontani dal giudizio e dalle imposizioni altrui, una Kanagawa in cui due sedicenni possono baciarsi invece che sfogare la reciproca attrazione con una rissa in mezzo ad una palestra di pallacanestro con i tubi del riscaldamento rotti e la caldaia che perde.

-Kaede.- è la prima volta che gli sento dire il mio nome ad alta voce.

-Sì.

-Akagi se la fa con Kogure, sua moglie non sa nulla. Mitsui si droga, non troppo ma quel tanto che basta per dimenticarsi di Sendoh ogni tanto, e a volte mi chiama e ci ubriachiamo insieme. Lui parla e piange, io piango e basta. E il mattino dopo facciamo finta di niente. Miyagi è ancora innamorato di Ayako, ma lei l'ha trattato come una pezza da piedi, e neanche si rende conto che per lui è una sofferenza essere il padrino e non il padre di Kyo. E potrei andare avanti per ore e ore a raccontarti di quanto continui a fare schifo questo posto.

-Fa schifo anche l'America.- ribatto. Non proseguo, ma mi ritrovo non so come con la bottiglia di saké in mano; mi inclino all'indietro per bere l'ultimo sorso, e mentre sto riabbassando la testa per deglutire mi ritrovo le sue mani sulla faccia, la sua lingua nella bocca e il suo respiro nel naso.

Ci baciamo fin quando le cicale non cominciano a piangere attorno a noi, ci baciamo con foga, quasi cercassimo di piegare il tempo e lo spazio attorno a noi, ci baciamo con la disperazione di chi sa benissimo che questo è il primo ed ultimo, l'inizio e la fine, e che da domani cercheremo di ricominciare le nostre vite, pur consapevoli che nient'altro avrà mai lo stesso inebriante sapore di questo bacio tra uomini che stanno affogando.

Condividiamo a questo modo l'ultimo sorso di saké, poi lui mi soffia sulle labbra un: -Stanne certo, Kaede. Ti sto aspettando, in un altro mondo.

Non rispondo, ma appoggio la fronte contro la sua. È la nostra promessa per gli anni a venire, quando le bugie saranno pesanti e accontentarsi non basterà più, e chissà, forse un giorno ci ritroveremo davvero a correrci incontro per percorrere mano nella mano folli sentieri condivisi.

Forse.

Oppure no.

Probabilmente, continueremo a portare avanti un giorno dopo l'altro le nostre vite, magari ci faremo un colpo di telefono per il compleanno e ci scambieremo qualche e-mail, ma niente più. Domani, Sakuragi si sveglierà e si farà una scenata da solo, si chiederà come diamine ha potuto abbassarsi a limonare con il suo peggior nemico e si consolerà convincendosi che l'ha fatto per pietà, e che lui ha dimostrato così di essere il migliore.

Se lo ripeterà mentre bacia Haruko per augurarle il buongiorno, mentendo, se lo ripeterà mentre sorseggia la prima tazza di tè della giornata, e quando rientra e si sdraia nel letto che divide con sua moglie. Se lo ripeterà mentendo e sapendo di mentire, e andrà bene così.

Perché da qualche parte io sarò su un aereo diretto negli Stati Uniti a ripetermi che sto andando a casa, e che finalmente posso dirgli addio ora che l'ho baciato, che finalmente ho sfogato la mia voglia residua dell'adolescenza e che finalmente domani potrò ricominciare. Me lo ripeterò mentendo e sapendo di mentire, e non risponderò se mai mi dovesse scrivere un'e-mail, un messaggio o se gli venisse in mente di telefonarmi.

Non gli risponderò, perché non c'è nulla di finito, nessun avverbio che suggerisca un certo qual sollievo, ci sarà solo un cuore che, lungi dall'essersi solo piegato, si è spezzato lasciando me in vita.

Rimaniamo ad assaporare questi ultimi istanti nel nostro mondo parallelo, consci che tra non molto, quando ci alzeremo da questa panchina, dovremo ritornare nella vecchia Kanagawa, lui dovrà sorridere e dire cazzate e io dovrò fare la mia solita faccia impassibile.

E non ritorneremo.

Le note struggenti di un piano, suonate con tocco lieve, un po' strascicate, accompagnano i nostri ultimi istanti luminosi. Sul libitum dell'ultimissima, sussurro: -Ti amo anch'io-, mi alzo e me ne vado senza guardarmi alle spalle.

Un fruscio, so che anche lui se ne sta andando.

Se mi voltassi ora, so cosa vedrei: una panchina vuota, con la vernice scheggiata, piena di scritte e di cicche ormai secche, un laghetto pieno di anatre e ninfee mezze morte, il solco dei nostri piedi nel ghiaietto.

Ma so cosa c'è veramente in quel preciso luogo: due cuori, non dimenticati ma abbandonati apposta, come un lucchetto su un ponte, due cuori che battono all'unisono mentre sprofondano verso un mondo parallelo, sommerso... le nostre vite continueranno in superficie, ma i nostri cuori sono rimasti in Atlantide.

 

Sei mesi dopo, stamattina, ho ricevuto un pacco espresso.

All'interno, una copia stazzonata del libro Cuori in Atlantide.

Ho riso, da solo nel mio appartamento.

E poi ho pianto.

Quando mi sono ricomposto, ho riposto con cura il libro in uno spazio sugli scaffali, tra le altre opere di Stephen King, dove c'era un buco giusto di quelle dimensioni.

Perché la mia copia di Cuori in Atlantide è partita per Kanagawa, giusto una settimana fa.

E la sua è qui.

Sulla prima pagina, di nuovo la sua promessa:

“Ti aspetto, in un altro mondo. Hanamichi”

 

 

 

 

Note:

Sì, se ve lo state chiedendo sono alla milionesima rilettura di Cuori in Atlantide. Datemi retta, leggerlo con addosso la depressione e mentre si ascolta Another World di Brian May è una PESSIMA idea.

Fatto resta che mi è uscita questa cosa, spero sia l'unica senza finale propriamente felice, ma credo sia la cosa più realistica che io abbia mai scritto: sono i piccoli istanti di felicità che ci portano avanti nella vita, nessuno vive mai per sempre felice e contento.

E poi, sono troppo esausta per cercare un happy ending.

Un grazie di cuore a chiunque leggerà e deciderà di commentare, e il mio “I don't have words to say how much I think I owe you” a Ste_exLagu e Jonghyun88, che sono sempre al mio fianco pronti ad offrire supporto psicologico e addirittura presenziano nei miei sogni deliranti.

XOXO

 

Another World – Brian May

 

In another world, under another sky
I see another story waiting to be told.
And another you wakes up with another me
for that's the way we've come to be
in another world.
In a different place, way across time and space,
a door is open wide, drawn to a different light,
maybe we'll step inside...
In another world, we can show we care,
you can be sure I'm waiting there,
in another world.
When the dices were cast, they laid a crazy path
we'll follow to our graves,
but I know in a different world
we journey a different way.
So we live, but life isn't what it seems,
we're only living in our dreams, in another world.
You can believe, I'll meet you here,
in another world!

 

[In un altro mondo, sotto ad un altro cielo,
vedo un'altra storia che aspetta di essere raccontata.
E un altro te si sveglia di fianco ad un altro me,
perché è ciò che siamo destinati ad essere
in un altro mondo.
In un posto diverso, al di là di tempo e spazio,
una porta è spalancata, si staglia su una luce diversa,
e noi forse entreremo...
In un altro mondo, possiamo mostrare che ci teniamo,
puoi star certo che ti sto aspettando là,
in un altro mondo.
Quando il dado sarà tratto, deciderà un folle sentiero
che seguiremo fino alle nostre tombe,
ma so che in un mondo differente
viaggeremmo in un modo differente.
Così viviamo, ma la vita non è quel che sembra,
viviamo solo nei nostri sogni, in un altro mondo.
Puoi credermi, ti incontrerò lì,
in un altro mondo.]

   
 
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