Film > Thor
Segui la storia  |       
Autore: shilyss    18/08/2019    35 recensioni
C'è un segreto che Loki deve scoprire. Uno che lo tormenta e gli farà attraversare persino il tempo. Si può cancellare ciò che è stato? La conoscenza, alle volte, può essere la più crudele delle torture.
Un fruscio leggero della bella e ampia gonna di seta e gli posò le dita sul petto coperto dalla corazza di pelle intrecciata, come aveva fatto in un passato lontano.
“Potresti essere migliore di così. Guardati attorno, Loki. Tutto questo non serve e non ti aiuterà,” disse, facendo scorrere i polpastrelli delicati fin sulla mascella virile e sbarbata, diritta e decisa.
L’ingannatore sorrise a quella lusinga, resa più carezzevole dalla voce dolce di lei, dal suo tocco gentile e lieve, ma non privo di un’insidia celata, anzi, di molte. Gli aveva sfilato un pugnale dalla bandoliera e ora tentava di trafiggerlo, di colpirlo al fianco.
La disarmò con un gesto rapido e fulmineo, afferrandola per i polsi sottili.

[post Avengers: Infinity War] [Loki/Sigyn]
[ ♦ Storia Vincitrice del contest "Elisir, pozioni e distillati" indetto da wurags sul forum di Efp, a pari merito. ♦ ]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Loki, Sigyn, Thor
Note: Lime, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 2

La maga

 

Then I open up and see
The person falling here is me
A different way to be

I want more
Impossible to ignore
Impossible to ignore

They'll come true
Impossible not to do
Impossible not to do

(Dreams, The Cranberries)

 

 

Loki aveva rivissuto la sera in cui si era festeggiata la battaglia di Nornheim così tante volte da perderne il conto. Conosceva a memoria ogni battuta, discorso o insignificante evento di quel banchetto che si distingueva dagli altri per il fatto che lì, solo in quel punto della sua storia, si nascondeva la motivazione, il segreto che aveva spinto Sigyn a essere così sciocca e avventata da sacrificare se stessa. In verità, non avrebbe dovuto stupirsi più di tanto. Era la dea della fedeltà come lui lo era dell’inganno. Aveva scelto di seguire la propria natura in virtù di quel suo delicato e dolce orgoglio che gliel’aveva fatta preferire tra tutte.

Qualsiasi cosa facesse, in qualunque modo tentasse di fermarla, Sigyn, quella notte, s’innamorava di lui, anzi, di più: capiva di amarlo e lo accettava. Ecco il punto, il disastroso momento in cui il destino prendeva la piega che, ormai, l’Ase conosceva fin troppo a fondo. Lei diventava la sua donna, nonostante il biasimo di due interi regni. Poi, certo, lo avrebbe lasciato, esasperata dall’ambizione, profonda come una voragine nera, che lo abitava, per poi piangerlo fino a consumarsi gli occhi quando lui si sarebbe fatto inghiottire dal buio siderale oltre il Bifrost, ma quella sera, guardandosi allo specchio, Sigyn avrebbe riconosciuto il viso e lo sguardo brillante di una donna inevitabilmente innamorata.

Non c’era variante che Loki non avesse mutato, ma ora, nell’ultimo viaggio attraverso il tempo che aveva scelto di intraprendere, coperto da un mantello con il cappuccio che gli copriva il volto, si limitò a fare da spettatore muto, osservando, per l’ennesima volta, ogni dettaglio di quel preciso momento: un privilegio che, più tardi, avrebbe pagato a caro prezzo, ma per tornare nella Asgard che aveva ricostruito e cancellare, definitivamente, il retaggio del passato, avrebbe fatto qualsiasi cosa. Una goccia gli cadde sulla punta degli stivali immacolati, un’altra sul pavimento di legno della sala. Si sfiorò la punta del naso accorgendosi di avere le dita macchiate di sangue scarlatto. Ogni volta che recitava le rune proibite che gli permettevano di sfidare il tempo, il suo corpo soffriva, corroso dal seiðr e dal potere sfibrante.

Thor aveva ragione. Si era scelto una prigione terribile, sottostava a torture spaventose.

 

Sigyn – quella di un tempo, perduta, probabilmente, per sempre – gli passò accanto senza vederlo, sorridente e allegra: una nuvola di seta chiara e bracciali tintinnanti che rivolgeva un ultimo sguardo a lui, per le Norne, al Loki sprezzante e fiero di quel tempo che, nello stesso momento, buttava il capo all’indietro per ingollare l’ultimo sorso del pregiato idromele regalato dai Nani a Odino in persona.

Il dio dell’inganno si fissò nella mente ogni particolare della scena, riflettendo su quanto pesasse sulle sue spalle la conoscenza del futuro, su quanto fosse ingiusto cogliere i semi del dolore che li avrebbe attesi.

Lei, che sarebbe arrivata persino a inginocchiarsi al cospetto di Odino sfiorando con la fronte il pavimento, per avere la possibilità di poter scendere, anche solo per un’ora, nelle buie celle di Asgard dove lui era stato rinchiuso, sorrideva innamorata e soddisfatta, inconsapevole della follia che, di lì a non molto, l’avrebbe resa pazza.

Quante ore era rimasta, immobile, in attesa che Padre Tutto, irato e crudele come il re spietato che era stato, acconsentisse ad ascoltarla, di più, ad accordarle il permesso di vederlo?

Lui e Sigyn non avevano fatto altro che rimanere rinchiusi in una trappola, un cerchio perenne che li portava sempre allo stesso, terribile, risultato: lei pronunciava un terribile quanto ignoto incantesimo e perdeva per sempre la ragione, lui non riusciva a impedirglielo.

 

Hela, ritrosa e infinitamente sapiente, gli aveva mostrato il lato infantile del suo volto spaventoso, quando si era decisa a spiegare perché il fato tessuto dalle Norne fosse un insieme di bivi differenti che conducevano, però, alla medesima fine. Solo che Loki non l’aveva accettato. Si era rifiutato di sottostare all’idea che non esistessero scappatoie né sotterfugi, che il destino non potesse essere mutato anche lì, nell’inevitabile fine. Occorreva solo trovare il sentiero adatto e avere pazienza, la stessa dimostrata quando, poco più che ragazzo, aveva scoperto i sentieri che partivano da Asgard e portavano ad altri mondi, sostituti del Bifrost ignoti a tutti, portali che era possibile attraversare senza farsi intercettare dallo sguardo color oro di Heimdall. Era stato attraverso uno di quelli che i Giganti di Ghiaccio erano penetrati nella Casa di Odino, rovinando l’incoronazione di Thor e segnando, per sempre, il futuro degli Æsir e il suo. Facendosi forza, si decise a visitare, di nuovo, un altro momento del proprio passato, uno che, forse, celava in sé anche un altro segreto.

.

 

 

 

 

La prigionia sfiancava Loki. Gli toglieva la ragione, il sonno, il respiro, persino. Non c’era nemmeno abbastanza spazio per pensare. Godeva dell’assurdo e ironico privilegio di una cella regale, a misura della sua persona, abbellita con mobili e libri: tutta una serie di ipocrite comodità che accettava, ma verso cui provava uno sprezzo senza pari. Stavolta, però, aveva deciso di intervenire. Di parlarle, di estorcere dalle labbra morbide di lei il segreto che, nel presente, era intrappolato nella sua testa svagata, nella memoria ormai fallace. Ecco perché acconsentì a entrare nel perimetro sorvegliato e arredato con attenzione. L’attese fin quando non la vide avanzare verso il vetro della cella. Reggeva un vassoio.

“Tua madre mi ha chiesto di portarti una zuppa[1].”

“E tu le sei molto devota, vedo.”

“È preoccupata, lo siamo tutti.”

Loki inclinò il capo di lato. “Anche tu? Eri in pena per me?” le chiese, mellifluo e crudele.

Sapeva già cosa gli avrebbe risposto Sigyn. Abbassando le ciglia scure, si sarebbe fatta coraggio, ammettendo che il tempo e i racconti delle sue gesta sconsiderate e spietate l’avevano rattristata profondamente, ma che non erano riuscite a mutare in alcun modo i suoi sentimenti.

Gli avrebbe detto che lo amava, Loki lo sapeva, come ricordava perfettamente di averla derisa per la sua granitica fermezza. Colpa del rancore che gli anneriva lo spirito, della necessità di non avere legami né di rimpiangere una relazione in cui era rimasto invischiato suo malgrado, senza quasi rendersene conto. Iniziata perché Sigyn gli aveva chiesto, un pomeriggio lontano, di aiutarla a tradurre un passo di un poema antico che lei amava e su cui si lambiccava da settimane.

“Che mi darai in cambio, mia signora?” le aveva domandato beffardo e lei, seria e altera, non si era scomposta a tale richiesta, reputando che la conoscenza valeva una concessione. Incuriosito e ammirato da quella sete di sapere ben nota, Loki le aveva chiesto di trascorrere un’ora insieme, da soli.

Sigyn aveva accettato, a patto, però, di scegliere il posto: le rive del lago, che, anticamente, erano parte del fiordo immenso su cui si affacciava Asgard. L’Ase l’aveva trovata una scelta interessante, sebbene non originale.

“Qui vengono le coppie d’innamorati a baciarsi sotto la luna; c’è una grotta, poco più avanti, dove Bor, mio nonno, fece scolpire nella roccia una scala che conduce a un’enorme caverna: lì, una lastra trasparente, illuminata da torce impossibili da spegnere, mostra cosa si nasconde sotto la superficie dell’acqua.”

“Lo so, la conosco,” aveva ribattuto lei con un sorriso appena accennato sulle labbra morbide e dolci. “Viene usata per impressionare le ragazze.”

“E tu vuoi essere impressionata, Sigyn? O sedotta?”

Lei si era voltata verso le acque placide del lago. “Voglio approfittare di una serata tiepida mite e bella e chiacchierare in compagnia.” Teneva i capelli sciolti sulle spalle e un mantello di lana leggera le copriva la figura sottile e ben fatta.

Loki aveva ammirato la massa dorata e spettinata dei suoi capelli. “Domani diranno che abbiamo una storia.”

Sigyn si era girata verso di lui ridendo. “E noi li lasceremo parlare, non è vero Lingua d’Argento?”

Si erano baciati contro la parete umida di roccia fiocamente rischiarata dalle lampade eterne, cercandosi con impazienza le labbra, stretti in un abbraccio convulso e nervoso, che saziava appena la voglia di toccarsi e scoprirsi. Allo scadere di quell’ora pattuita e concessa, si erano appartati ridendo in quel luogo banale e scontato, ritrovandosi a scambiare effusioni frettolose e intense, cariche di tutto lo strazio di un incontro negato, desiderato, cercato, ma non soddisfatto, nonostante Sigyn gli avesse piantato le unghie nelle spalle e si fosse inarcata contro il suo corpo. Non sarebbero diventati amanti quella notte, nonostante il desiderio accecante. Lei avrebbe preso a negarsi a lungo, anteponendo ai loro incontri lo studio intenso delle rune e certi impegni diplomatici. Si sarebbe trasformata in una preda incantevole e ambita, ma difficile da catturare.

Di fronte allo spettacolo sotterraneo e onirico di quel frammento di lago visibile da sottoterra, con le labbra ancora gonfie a causa dei baci che si erano scambiati, aveva sorriso facendogli una promessa strana ed eccitante al tempo stesso, capace di acuire i suoi sensi di cacciatore, di guerriero, di orgoglioso principe dei fieri Æsir.

“Non cadrò ai tuoi piedi,” gli aveva detto.

 

Si trattava di un ricordo lontano, molto più distante, nel tempo, di quanto Sigyn potesse immaginare. Loki Laufeyson vi si soffermò assaporando in bocca il sapore di fiele delle cose smarrite. Il se stesso cui si era sostituito aveva provato una fitta d’ira e di gelosia, all’idea di averla persa. Ma quella Sigyn era ancora riconquistabile, in qualche modo. Lo suggeriva lo sguardo grigio e umido, l’esitazione con cui aveva posato le dita delicate sulle sue. Riconobbe che si era trattato di un tocco leggero e carico di significati, si chiese se il giorno lontano dell’appuntamento al lago lei, con ancora il sapore della sua bocca sulle labbra, avesse preso un foglio per disegnare a memoria il suo volto, replicando con attenzione ogni particolare, caratteristica, aspetto.

 

Il dio dell’inganno pensò a tutto queste cose e ripeté la frase. “Eri in pena per me.”

Nessuna domanda, stavolta, ma solo una constatazione. Lei batté le palpebre, distogliendo solo per qualche momento lo sguardo da lui.

“Sono sempre innamorata di te, Loki.”

L’Ase sollevò il mento fiero, incrociò le mani dietro la schiena diritta. Le avrebbe risposto diversamente, stavolta. Se non poteva mutare il destino, sarebbe riuscito a scoprire l’incantesimo segreto che l’aveva distrutta. La cicatrice che gli segnava il collo prudeva, forse per il contatto tra la pelle rimarginata e il collo della casacca.

“Cos’hai fatto alla mano, Sigyn?”

 

La ragazza si allontanò di scatto, nascondendo rapida le dita sotto una piega del mantello scuro che indossava. Era una domanda retorica, quella del dio degli inganni; era perfettamente a conoscenza di cosa le fosse successo e perché, ma desiderava sapere se lei gli avrebbe raccontato la verità o una menzogna.

“Non chiedermelo,” soffiò. “È passato.”

Loki scosse la testa, senza camuffare il ghigno sardonico che avevano assunto le sue labbra furbe. Non era una questione archiviata, nient’affatto. Avrebbe avuto ripercussioni sul futuro, perché quella mano stretta da una fasciatura candida nascondeva il segreto di un incantesimo terribile, uno che Sigyn aveva pronunciato per lui. Per trovarlo. Per rintracciare la sua firma dopo che lo avevano creduto morto, dando così modo a Odino di liberare tanta parte di materia oscura da mandare Thor su Midgard[2]. Rinchiuso in quella stessa cella, si era ripromesso che non l’avrebbe mai perdonata per una simile leggerezza, salvo poi ricredersi quando, dopo Thanos, gli era venuto il ragionevole sospetto che lei avesse sacrificato la ragione per lui. Per tentare di rintracciarlo di nuovo, magari.

“Com’è andata, mia dolcissima dea della fedeltà?”

Sigyn non rispose. Non era tenuta a farlo, del resto. A entrambi tornarono in mente alcuni lunghi e bui pomeriggi d’inverno, certe serate fredde passate insieme a rotolarsi nel letto. La voce arrochita di Loki era stata volutamente suadente.

“Sei un’abile strega,” ricordò. “Ma che prezzo hai pagato, per trovarmi?”

“Devo andare.” La donna si voltò verso l’uscita della cella, ma Loki l’intrappolò, bloccandole con un braccio il varco. Le due guardie che sorvegliavano pigramente le segrete di Asgard scattarono verso il vetro della prigione, terrorizzate all’idea che l’ingannatore potesse prendere in ostaggio Sigyn o approfittare del momento per fuggire.

“So cos’hai fatto stavolta,” le rivelò rapido, a denti stretti. “Hai recitato una formula pericolosissima e hai posato la mano sul braciere, lasciando che bruciasse, perché il prezzo da pagare per ritrovarmi era quello – le tue lacrime mute per una posizione rivelata.” Scoprì i denti, soddisfatto dalle guance di Sigyn che perdevano colore, dalle sue spalle scosse da un tremito a stento trattenuto, ma riprese a parlare. Era un uomo spietato, del resto. “Perché lo hai fatto? Come hai potuto?” le soffiò contro.

I secondini avevano ormai varcato l’ingresso della gabbia e gli puntavano incerte le lance contro.

 

Sigyn uscì dalla prigione, la mano ancora nascosta sotto le pieghe del mantello, ma si voltò di nuovo verso di lui. L’ultima domanda del dio dell’inganno l’aveva colpita. C’era qualcosa di stonato, nella rabbia di Loki. Parlava come se avesse il cuore avvelenato dal rimpianto, dalla nostalgia, dalla disperazione. La guardava come si osserva un fantasma, ma il principe degli Æsir non era un uomo che si arrendeva facilmente. Dal suo analitico e tagliente punto di vista, persino la prigionia poteva rappresentare un’opportunità interessante. Quando era stato riportato in catene ad Asgard, da Thor, sotto il bavaglio di ferro che doveva tenere a freno la sua lingua sardonica c’era dipinto un sorriso. Quel ghigno lei lo aveva visto, Loki lo sapeva. Niente poteva essere perso davvero, se si era dotati della mente svelta del migliore mago di Asgard, del più brillante stratega dei Nove Regni. I fallimenti erano opportunità, per chi sapeva fare tesoro della mole di informazioni che racchiudevano.

“Indossavi abiti chiari, una volta,” notò Loki oltre il vetro, con voce distante, ma carica di rammarico. Circondata dalle guardie, Sigyn abbassò lo sguardo sul corsetto nero e aderente, sulla gonna ampia e leggera, del medesimo colore, che le scivolava sulle gambe. Lei lo ricordava. Ma un giorno più triste degli altri, di fronte ad uno specchio, si era accorta che il mondo non aveva più colori, e allora aveva strappato i suoi capelli e si era stretta in un lutto serrato.

“Questi toni mi si addicono di più, adesso.”

“Eri in lutto per me?”

“Non m’importa averti accanto o saperti al mio fianco. Non sei il tipo d’uomo che può accontentarsi di vivere con una donna e avere una famiglia,” spiegò la dea della fedeltà arcuando appena le labbra in un sorriso triste – forse, dopotutto, era esattamente questo che lei avrebbe voluto, da lui. Lo amava, in fondo, anche se erano state proprio la sete di libertà e la crudele spavalderia che non le aveva mai nascosto, a stregarla. “Posso vivere sapendoti lontano, amore mio, ma devo avere la certezza che tu stia bene. Da te, non desidero altro.”

Aveva lasciato che la sua pelle bruciasse, per lui.

Era una dichiarazione d’amore generosa, spiazzante, totale. Che non chiedeva niente, anzi, donava e, per questo, era più difficile da accettare.

Loki si avvicinò al vetro della cella arrivando quasi a sfiorarlo con il naso.

“Cosa saresti disposta a fare, qual è l’incantesimo peggiore, il più spaventoso che riusciresti a recitare, per me?”

 



[1] Come vediamo ordinare da Frigga a un’ancella in Avengers: Endgame.

[2] Come dice Loki a Odino in Avengers. Nonostante Odino sia potentissimo, spesso nei comics ha chiesto aiuto ad altri dèi.

   
 
Leggi le 35 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Thor / Vai alla pagina dell'autore: shilyss