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Autore: Ode To Joy    21/08/2019    4 recensioni
REWRITING in Progress
[Kageyama x Hinata]
[Iwaizumi x Oikawa]
[Daichi x Suga]
"Ti racconto una cosa: quando un corvo riesce a trovare il proprio compagno gli rimane accanto per tutta la vita."
In un mondo la cui storia è scritta da continui giochi di potere tra principi e re, due regni continuano a scontrarsi senza che vi sia mai un vincitore.
"C'è una lezione che non devi mai dimenticare: un Re che decide di combattere da solo, è un Re sconfitto in partenza."
In un mondo in cui si può solo perdere o vincere tutto, alle volte è utile ricordare che anche il più grande avversario può divenire il più forte degli alleati.
"Alla fine, il Re più potente è sempre quello con a fianco più compagni disposti a seguirlo fino alla fine."
[Medieval+Fantasy -AU]
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Koushi Sugawara, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama, Tooru Oikawa
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Raven Crown '
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35
Di sentieri e alte montagne





Il Cavaliere che era stato il Generale di tutte e forze armate di Dateko, Kenji Futakuchi, fu l’ultimo a essere informato dell’arrivo del Re dell’Aquila e, per un breve istante, si chiese se non fosse finalmente giunto il giorno dello scoppio di una nuova guerra tra le ultime due potenze dei Regni liberi.

In un primo momento, il suo unico pensiero fu di trovare Aone e di ricongiungersi con il loro sovrano. Se stava per cominciare un assedio, Kaname era la priorità per loro e per tutti i Cavaliere che avevano combattuto indossando i colori della bandiera di Dateko.

La vera natura della situazione si rivelò a lui non appena mise piede nel cortile interno per cercare il suo vecchio braccio destro. Tutta la corte si era radunata sotto le logge, in disparte e, al contempo, in prima fila per assistere a quanto stava per accadere.

“Che cosa fate tutti qui?” Domandò Kenji ad Aone, non appena lo vide in attesa insieme agli altri.

“Aspettiamo…” Rispose il gigante, tenendo lo sguardo fisso di fronte a sè.

Kenji prese un respiro profondo. “Questo lo vedo,” disse, pazientemente. “Mi sfugge il motivo.”

Aone abbassò gli occhi su di lui. “Il Re dell’Aquila è fuori dai cancelli.”

“So anche questo.”

“Il Principe dell’Aquila è disperso.”

Kenji lo guardò fisso. “Oh…” Gli era giunta voce che Tobio era scappato di nuovo portandosi appresso l’erede al trono di Karasuno ma quell’ultimo evento doveva essergli sfuggito. “Siamo in guerra?” Chiese, mortalmente serio.

Qualcuno dalla prima fila scoppiò a ridere: era Koutaro. “Rilassati, Kenji,” disse, sollevando una mano per farsi vedere. “Sicuramente stanno per accadere grandi cose ma non una guerra!”

“L’erede di un alleato pericoloso è scomparso all’interno della corte, ci saranno sicuramente delle conseguenze,” ribatté Kenji, irritato da tutto quella leggerezza fuori luogo.

“Oh, sicuramente!” Intervenne Tetsuro, appoggiato a una delle colonne di pietra. “E nessuna di queste sarà seria!”

Kenji sbuffò ma dovette tenersi tutta la sua frustrazione per sé.

I cancelli si aprirono e il Re dell’Aquila fece il suo ingresso in sella a uno splendido stallone bianco. Al suo seguito, Kenji riconobbe il Primo Arciere. Non c’era nessun altro con loro.

“Un Re che viaggia senza una scorta?” Si domandò Kenji. 

“Questi due stanno diventando meno discreti di Tooru e Hajime ai tempi d’oro,” commentò Takahiro, da qualche parte alla destra di Koutaro.

“Hajime e Tooru sono mai stati discreti?” Ribatté Issei, proprio accanto all’amico di sempre.

Un brusio divertito si alzò dalla piccola folla.

Kenji alzò gli occhi al cielo. “Andate tutti al diavolo,” sibilò, ma non si mosse da dove era.
Satori fu il primo a entrare in scena e non deluse le aspettative di tutti gli spettatori in attesa. “Ce lo hanno rubato!” Urlò, scendendo le scale con le braccia alzate in una sceneggiata a dir poco esagerata. “Quale tragedia, mio Re!”

Il viso di Wakatoshi non tradì alcuna espressione mentre scendeva da cavallo. “Che cosa è successo?” 

Kenjirou rimase a cavallo ma a nessuno sfuggì lo sguardo di puro disprezzo che lanciò al braccio destro del sovrano di Shiratorizawa.

Satori sbuffò frustrato. “Noioso come sempre,” commentò, dandosi subito un contegno. “Il tuo moccioso ha dato di matto, di nuovo. Non ha ancora quattordici anni e se non comincia a darsi una regolata, non ti assicuro che arriverà ai quindici.”

Wakatoshi sbatté le palpebre un paio di volte. “Che cosa è successo a Tsutomu?”

L’espressione di Kenjirou divenne evidentemente allarmata. “Satori, è accaduto qualcosa a Tsutomu?” Scese da cavallo e non si preoccupò di mancare di rispetto al suo Re portandosi un passo davanti a lui. “Avevi un compito: proteggerlo!”

Satori lo guardò di traverso. “Non mi pare che tu lo abbia generato, o sbaglio?”

Kenjirou sgranò gli occhi, ma Wakatoshi intervenne prima che quella discussione degenerasse. “Tsutomu non è qui al Castello Nero?” 

Il sovrano pareva confuso ma Satori lo era ancor di più. “Non sei qui per questo?”

“No.” Fu Kenjirou a rispondere. “Siamo qui perché l’assenza del Principe cominciava a prolungarsi esageratamente.”

Satori guardò il suo sovrano dritto negli occhi. “Si tratta di un pensiero condiviso o questo qui ti ha stressato fino a che non lo hai accontentato?”

Suo malgrado, Kenjirou arrossì, imbarazzato. Ma ora Wakatoshi aveva premura di capire che cosa fosse successo a suo figlio. “Dov’è Tsutomu?”

“È una domanda che ci stiamo ponendo tutti!” Esclamò il Re Demone, facendo la sua entrata in scena. Non indossava nessun abito regalo, eppure la sua presenza fu sufficiente a mettere tutti gli altri in ombra. Tutti, tranne il Primo Cavaliere che scese le scale al suo fianco.
I Cavalieri sotto le logge trattennero il fiato.

“Wow…” Commentò Koutaro.

Anche Tetsuro era sinceramente sorpreso. “E dopo questa,” disse, rivolgendosi ai più giovani. “Non chiedetevi più come hanno fatto a creare il secondo Regno più potente tra quelli liberi.”

Suo malgrado, Kenji doveva ammettere con se stesso che aveva ragione: Tooru aveva l’innata capacità di divenire padrone della scena solo con la sua presenza ma al fianco del Primo Cavaliere, Generale supremo dell’esercito di Seijou, emanava un’aura di fronte a cui chiunque avrebbe abbassato lo sguardo.

“Questo è il potere di chi ha scritto la storia ed è divenuto leggenda,” mormorò tra sè e sè con una nota di disprezzo.
Anche Wakatoshi subì quella soggezione, perché il suo sguardo andò prima a Hajime che al Re Demone. “Primo Cavaliere…” Salutò, gelido.

“Maestà,” rispose questi e non accennò neanche ad abbassare la testa in segno di rispetto.

“Sei qui in anticipo,” disse Tooru, per nulla infastidito dall’essere stato messo in secondo piano. “Immagino che la mia lettera non ti abbia mai raggiunto, Wakatoshi. A meno che tu non sappia volare.”

Satori alzò gli occhi al cielo e si fece da parte, vicino a Kenjirou ma non troppo: non voleva trovarsi in mezzo alla guerra di sguardi che stava per verificarsi, qualcuno avrebbe potuto trapassarlo per sbaglio.

“I Principi sono scomparsi?” Domandò il Re dell’Aquila, ancora incapace di mettere insieme tutti i pezzi.

Tooru sorrise con cortesia. “Il mio è in fuga d’amore ma, ovvio, non con il tuo,” disse con velato sarcasmo. “Dubito fortemente che Tobio lo abbia portato con sé quando tutto il suo interesse è stato catturato del piccolo Shouyou, ma immagino che, sì, la loro condotta abbia influenzato profondamente anche quella di Tsutomu. Sei d’accordo con me, Satori?”

Il Cavaliere in questione forzò un sorriso. “È stata una lunga estate.”

“Non ne dubito,” commentò Kenjirou a mezza bocca, guadagnandosi un’occhiata storta dal braccio destro del suo sovrano.

“Vogliamo parlarne in un luogo più comodo?” Propose Tooru, indicando la scalinata con un gesto della mano. “Il sole è ancora caldo e la storia che io e Satori dobbiamo raccontare è davvero molto lunga.”

Wakatoshi accettò l’invito con un silenzioso cenno del capo.

“Se volete seguirmi,” aggiunse Tooru, voltandosi. 

Il Re dell’Aquila salì i primi gradini in fretta, cercando di raggiungere il fianco del Re Demone. Il Primo Cavaliere andò contro tutte le regole dell’etichetta e affiancò il suo sovrano per primo.
Tutti lo notarono. Tutti.

Nessuno osò parlare fino a che il corteo reale non fu sparito in cima alle scale.

Issei fu il primo: “ma che succede?”

“Siamo tornati indietro di quindici anni e non ce ne siamo accorti, a quanto pare,” ipotizzò Takahiro, incrociando le braccia contro il petto. “La cosa va indagata,” aggiunse, rivolgendo un ghignetto divertito a Koutaro e Tetsuro.

Il primo diede la sua approvazione sollevando il pollice. “Conta su di noi.”

“Dovrà scendere nel cortile interno da solo, prima o poi,” disse Tetsuro, sfregando le mani. “E quando succederà-“

“Può essere successo nel viaggio dal Castello Nero alle campagne,” intervenne Aone, facendoli sobbalzare tutti - Kenji compreso. “Si tratta di un viaggio di almeno due giorni.”

Ci fu un veloce scambio di sguardi tra Issei, Takahiro, Koutaro e Testuro.

“Sono stati due giorni da soli…” Mormorò l’ex sovrano di Nekoma. “Come ho fatto a non pensarci prima?”

“Se fossero tornati a prima che Tooru ci tradisse tutti, ce ne saremmo accorti,” obiettò Koutaro.

“No, due giorni non bastano per dimenticare l’acredine di anni,” disse Issei.

“Forse non per dimenticare ma per mettere da parte, sì.” Takahiro andò avanti con le sue ipotesi. “Non dimentichiamo che Tobio c’è solo perché Hajime aveva deciso di prendersi una notte di pausa dalla guerra. Basta poco per girare le carte in tavola.”

Koutaro scrollò le spalle. “Non credo che sia voluta tutta la notte.”

Testuro sghignazzò diabolico. “Gli concedo al massimo quindici minuti sulla fiducia.”

“Basta!” Kenji alzò le mani al cielo, esasperato. “Me ne vado!”


***




Tadashi si svegliò con un potente mal di schiena e un cerchio alla testa.

A Karasuno, durante l’addestramento, avevano insegnato a lui e a tutti i cadetti come costruire un campo accidentato in caso di lunghi viaggi. Non avevano mai avuto la necessità di farlo davvero. 

Kei aveva fatto tutto il lavoro: aveva trovato la legna, acceso il fuoco e catturato il coniglio che era divenuto la loro cena. Tadashi non poteva lamentarsi quando era stato l’altro a prendersi cura di lui in tutto e per tutto. Il suo orgoglio un po’ ne soffriva ma la sua inettitudine non era nulla di nuovo.

“Kei?” Chiamò, massaggiandosi il collo con la mano.

Il suo amico d’infanzia non sembrava essere nei paraggi. 

Non si allarmò: doveva essere andato in ricognizione per valutare a che punto del cammino erano arrivati. Il Primo Cavaliere aveva dato loro delle mappe e tutte le indicazioni necessarie per raggiungere il castello dove forse Tobio aveva portato Shouyou, ma Seijou non era il loro Regno e non sapevano quanto fosse sicuro muoversi tra quei boschi.

Tadashi si alzò in piedi con un sospiro stanco. Se sollevava lo sguardo, poteva vedere che le montagne al confine nord di Seijou erano molto più vicine rispetto al giorno precedente. Non se ne sorprese. Se era andata come credeva e Tobio aveva chiesto a Shouyou di volare via, dubitava che il Principe Demone si fosse spinto in una zona sconosciuta o troppo lontana da casa. Inoltre, nonostante la sua natura selvaggia, Shouyou non era un soldato, non sapeva cosa volesse dire non avere un tetto solido sopra la testa o dormire in giacigli accidentati. 

Tobio ne era consapevole e doveva averlo pensato anche Hajime quando aveva detto loro dove andare.

“E voi?” Domandò Tadashi con un sorriso gentile, rivolgendosi ai due cavalli che Kei aveva legato a uno degli alberi che circondavano il loro campo. “Avete dormito bene? Sicuramente meglio di me.” Accarezzò il muso del suo puledro e l’animale sembrò felice di ricevere le sue attenzioni.

Lo stallone di Kei continuò a guardarsi intorno come se lui non fosse nemmeno lì.

“Sembra che condividiamo il destino di essere invisibili, amico mio,” aggiunse il fanciullo, sorridendo tristemente.

“Non solo sei diventato arrogante, parli anche con i cavalli.” Era Kei. Se aveva avuto fatica a riposare, non lo dimostrava in alcun modo.

Tadashi non perse tempo a giustificare l’ingenuità del suo comportamento e portò gli occhi sul cestino che il giovane Cavaliere aveva appeso al braccio. Era certo di non averlo mai visto prima. “Che cos’hai lì?”

“Pane appena sfornato,” rispose Kei, sedendosi a gambe incrociate sul sacco a pelo dentro cui aveva dormito.

“E dove lo hai trovato del pane appena sfornato?” Domandò Tadashi, accomodandosi accanto a lui.

Kei prese una delle due pagnotte nel cestino e gliela porse. “Non mangeremo altro prima che il sole raggiunga il punto più alto del cielo,” disse, autoritario.

Tadashi non se la prese e accettò l’offerta con un sorriso. “Non hai risposto alla mia domanda.”

Kei lo guardò, poi indicò gli alberi con un cenno del capo. “Più avanti, il sentiero diviene più grande e dopo una mezz’ora a piedi si arriva a un villaggio. Ci saranno una decina di case, poco più ma la donna a cui ho chiesto indicazioni ha insistito perché prendessi il suo pane.”

“Sono tanto gentili a Seijou?”

“No, lo è divenuta dopo che ho detto che siamo Cavalieri del Principe Demone.”

Tadashi lo guardò divertito. “E sei riuscito a dirlo senza provocarti qualche malessere?”

Kei scrollò le spalle. “Anche questa è politica.”

Già… Per quanto a Tadashi non piacesse, Kei sarebbe potuto essere un gran uomo di stato. Non era un caso che Daichi l’avesse voluto al fianco di Shouyou come suo Cavaliere. Non solo quello di Kei era il braccio più forte tra i soldati più giovani, ma la sua mente era un’arma preziosa che qualunque Re avrebbe voluto possedere. Poteva essere cinico e razionale al punto da essere crudele ma, suo malgrado, Tadashi doveva ammettere che uomini come Kei erano quelli che permettevano ai regni di sopravvivere.

Tuttavia…

“Il popolo ama molto Tobio, eh?” Tadashi sorrise ma la sua fu una provocazione.

Kei lo comprese e non gli diede la soddisfazione di ricambiare il suo sguardo. “Facile amare qualcosa che si conosce solo per sentito dire.”

“Le azioni di Tobio non sono sentito dire.”

“Di qualunque azione tu stia parlando, non dice nulla sulla personalità abrasiva dell’erede al trono di questo Regno.”

Tadashi decise di non insistere oltre: li aspettava una giornata molto lunga. “Che informazioni le hai chiesto?”

“Le ho mostrato le mappe del Primo Cavaliere per assicurarmi che fossimo sulla strada giusta. A suo avviso, saremo al castello entro stanotte o, se decidiamo di fermarci, domani nelle ore più calde.”

“Fermiamoci,” propose Tadashi. “Non saranno contenti di vederci, diamo loro un’altra notte da passare da soli.”

Questa volta, Kei non poté trattenersi dal guardarlo annoiato. “Non ti chiedo da che parte stai perché lo hai reso fin troppo chiaro, traditore.”

Tadashi rise.

“Non è divertente,” insistette il Cavaliere. “Prima li raggiungiamo e prima li riporteremo al Castello Nero.”

“Prima li raggiungiamo e più tempo passeremo con loro fino a che non decideranno di tornare di loro spontanea volontà,” replicò Tadashi. “Forse Tobio ti permetterà di scrivere a suo padre che sono vivi e stanno bene - a meno che non lo faccia lui stesso - ma non tornerà indietro se non ne avrà voglia.”

Kei sbuffò. “Che resti dove sta, a noi basta il nostro idiota.”

“E pensi che Shouyou non rimarrà con lui? Avanti, Kei! sei sempre quello più razionale, sii realista!”

Kei assottigliò gli occhi. “Io non passo l’inverno circondato dal nulla in compagnia del Principe Demone,” concluse, perentorio.

Tadashi avrebbe voluto dirgli che entrambi rappresentavano solo dei pedoni di troppo in una partita che era tutto di Tobio e Shouyou, ma, sì, la giornata era ancora lunga e non voleva far raffreddare il pane caldo tra le sue dita. “Buon appetito,” disse, addentandolo.



***




L’aria che si respirava lì era diversa da quella del Castello Nero.

Il cielo era limpido - forse più blu - e il sole era ancora caldo ma non tanto da essere soffocante.

Una volta che ebbe finito di fare quello che stava facendo, Tobio ripose il pugnale nella fodera appesa alla cintura e fece un passo indietro per dare un’occhiata al suo lavoro: i tre cerchi concentrici che aveva inciso sulla corteccia non erano perfetti ma se li sarebbero fatti andare bene.

“Mettiti in posizione,” ordinò, allontanandosi dall’albero.

Shouyou divaricò le gambe fino a sentirsi ben saldo sui piedi, incoccò la freccia e tese l’arco. 

“Tutti e due gli occhi aperti,” gli ricordò Tobio, portandosi alle sue spalle per assicurarsi che stesse puntando nella direzione giusta.

“Sto andando bene?” Domandò Shouyou.

Tobio osservò il modo in cui impugnava quell’arco: era troppo grande per lui ed era solo per ostinazione che non mostrava la fatica che stava facendo a tenerlo teso. Non glielo disse. Se imparava a tirare con quell’arlma, non avrebbe avuto alcuna difficoltà con una creata per lui.

“Tobio, sto andando bene?” Shouyou voltò appena la testa.

“Non perdere di vista il bersaglio,” disse Tobio, secco. Da dove si trovava, poteva vedere che la traiettoria era buona ma non perfetta. Era un tiro facile: l’albero era a circa una decina di metri di distanza e non c’era vento. “Decidi tu quando scoccare.”

Tobio notò che il braccio con cui Shouyou tendeva la corda stava tremando. Storse la bocca: stava perdendo troppo tempo a prendere la mira.

Shouyou lasciò la presa, lo squilibrio che si andò a creare lo portò ad abbassare l’arco e la freccia colpì la terra ai piedi dell’albero.

Tobio non se ne sorprese e l’angolo destra della bocca si sollevò in un sorrisetto.

“Ma perché?” Si lagnò Tobio, guardandolo. “Sono bravo a prendere la mira! So di essere bravo!”

Tobio annuì. “Infatti c’era quasi,” disse. “Ci sei andato vicino per alcuni istanti.”

Shouyou inarcò le sopracciglia. “E poi?”

“Hai esitato, hai perso tempo a fare domande,” rispose Tobio. “Hai perso presa, equilibro e concentrazione. Un Arciere deve saper essere preciso e veloce e, allo stesso tempo, immobile.”

Shouyou lo guardò perplesso. “Spiegami.”

“I tuoi riflessi sono veloci per natura,” disse Tobio. “Questa è una buona cosa quando voli, ti muovi o dai di spada. Con l’arco devi fare la stessa cosa con gli occhi e la testa, il tuo corpo è solo un perno. Se la spada è l’estensione di un Cavaliere, la freccia lo è per l’Arciere… Un’estensione che devi lasciar andare.”

Shouyou sorrise. “Chi ti ha insegnato tutto questo?”

Tobio resse il suo sguardo per un istante, poi si chinò e recuperò un’altra freccia dalla faretra lasciata a terra. “Incocca,” ordinò. Non appena Shouyou afferrò la freccia, lo prese per i fianchi e lo spostò in una posizione migliore. “Un piede indietro e uno avanti.”

Shouyou abbassò lo sguardo sui suoi stivali e annuì.

“Testa dritta,” aggiunse Tobio.

Il Principe dei Corvi sollevò lo sguardo, seguirono le braccia e tese la corda. Prese la mira con gli occhi ben aperti, immaginò la freccia al centro del cerchio più piccolo e…

Tobio gli baciò il collo a tradimento.

Shouyou si fece rigido, le sue dita scivolarono via dalla freccia e questa colpì il tronco a metà tra il secondo cerchio e il terzo. “Tobio!” Esclamò, voltandosi, le guance rosse.

Il Principe Demone si allontanò, ridacchiando.

“Tobio!” Chiamò di nuovo Shouyou, ridendo. “Tobio, aspetta!” Gli saltò addosso con la certezza che l’altro lo avrebbe sorretto ma, preso di sorpreso, l’altro finì solo col cadere a faccia in avanti. 

Shouyou si lasciò andare a una fragorosa risata. Tobio, invece, imprecò tra i denti sollevandosi coi gomiti. “Smettila di ridere, idiota.”

Il Principe dei Corvi si allontanò rotolandosi sull’erba. “Sei tu il primo che mi ha preso alle spalle!”

Tobio ghignò. “Ha funzionato.”

Shouyou sbruffò, divertito. “Vieni qui…”

“Uhm…”

“Vieni qui.”

Tobio si sollevò e poggiò i gomiti ai lati della testa di capelli ribelli. 

Shouyou sorrideva sereno. Sollevò la mano e fece scivolare le dita tra i capelli corvini.

“Che stai facendo?” Domandò Tobio.

Shouyou scrollò le spalle. “Niente…” Mormorò. “Tu, piuttosto, perché fai questa faccia?” Premette l’indice contro la punta del suo naso e Tobio si ritrasse. “Smettila…” Borbottò, poi si chinò e posò un bacio veloce sulle labbra del piccolo corvo. Si alzò in piedi. “Andiamo,” gli porse la mano.

Shouyou la strinse con entusiasmo. “Sì…”

Tobio si caricò la faretra in spalla e raccolse l’arco che era finito a terra. “Io vado a caccia, mi vuoi accompagnare?” Non si aspettava un risposta affermativa.

“Certo!” Esclamò Shouyou come se fosse una cosa ovvia. 

Tobio corrugò la fronte. “Non ti piace quando vado a caccia.”

“Lo so, ma dovremmo pur mangiare qualcosa. Mentirei se dicessi che non mi piace la carne. Non mi piace quando usi i volatili come bersagli per allenarti.”

“È una fase necessaria nell’addestramento di ogni buon Arciere.”

“Come se ci fosse qualcuno in grado di superare te…”

Le labbra di Tobio si piegarono in un ghignetto arrogante. “Stai dichiarando la resa?”

Shouyou allanciò le dita dietro la schiena, avvicinandosi all’altro col naso all’insù. “Neanche per sogno,” disse e fece un saltello per baciarlo. Lo superò e fece per allontanarsi lungo il sentiero.

“Aspetta…” Tobio non ebbe bisogno di afferrarlo per convincerlo. Gli prese il viso tra le mani e si godette il vantaggio che gli offriva la sua altezza. Quando lo baciò lo fece lentamente, assaggiando le sue labbra come aveva fatto la notte precedente. Shouyou si aggrappò a lui, allontanandosi dalla sua bocca con un mugolio. “Devi proprio andare a caccia?” Non si rese conto di quanto fu languido ma Tobio sì, e non ci fu modo di salvarlo dall’imbarazzo.

“Quanto sei stupido!” Sbraitò, rosso in volto,

Shouyou sgranò gli occhi. “Che cosa ho detto?”

“Sei doppiamente stupido per non capirlo! Aspettami al castello, con te intorno non riuscirei a centrare nemmeno un bersaglio immobile.”

Il Principe dei Corvi tornò a sorridere. “Sono diventato una distrazione talmente grande?”

“Stai zitto!”



Erano partiti seguendo un pensiero folle, ribelle e lo avevano fatto volando perché nessun viaggio sarebbe stato divertente per loro se non avesse contenuto una sfida. Tuttavia, ora erano entrambi senza vestiti. Nemmeno l’arco con cui si erano esercitati quella mattina proveniva dal Castello Nero: Tobio lo aveva recuperata dalla minuscola sala delle armi nascosta dietro la porta del sottoscala.

Tobio gli aveva spiegato che nessuno metteva più piede in quel luogo da più di un decennio. Shouyou si guardava intorno e aveva come l’impressione che tutto fosse rimasto congelato all’ultimo giorno d’inverno in cui il grande camino nel salone principale era stato acceso. Tutto era pulito - a parte la polvere - e si erano premurati di conservare al meglio i mobili coprendoli con dei teli. Curiosando in giro, però, Shouyou aveva trovato dei calici fuori posto, come se qualcuno avesse brindato appena la notte precedente, e aveva notato un paio di vecchi stivali lungo il corridoio della camere in attesa di essere indossati dal loro padrone - forse sarebbero stati bene a Tobio. 

Esclusa la stanza di cui avevano distrutto la finestra, Shouyou esplorò ogni angolo di quel luogo silenzioso, a tratti tetro. Non lo sorprendeva che a Tobio fosse così caro: era il genere di calma che piaceva a lui, quella di cui non poteva godere per via del suo titolo di Principe. 

Di norma, Shouyou si sarebbe sentito soffocare da tutto quel silenzio ma in quel momento non aveva voglia di udire niente altro a parte la voce di Tobio. Quando avrebbero fatto ritorno al Castello Nero, il mondo sarebbe stato ancora lì ad aspettarli, a rimproverarli per la loro eccessiva voglia di libertà. A quel punto, non sarebbe rimasto nulla di quel silenzio, non ci sarebbe stato un luogo da poter chiamare solo loro. 

Avevano passato insieme tutta l’estate ma quella era la prima volta che rimanevano completamente da soli. Mentre esaminava il contenuto di un vecchio baule in una delle camere, Shouyou pensò che non era un caso se erano riusciti a lasciarsi andare come la notte scorsa solo in un posto come quello. 

Tobio era a caccia per procacciare loro la cena e il piccolo Principe dei Corvi si stava impegnando per rendere quel luogo più accogliente in tempo per il suo ritorno. Non c’era alcuna servitù a pensare ai loro bisogno, non c’erano Cavalieri o genitori a tenerli costantemente d’occhio.

Erano solo loro due. Erano solo Tobio e Shouyou.

Il Principe dei Corvi piegò una tunica grigia trovata nel vecchio baule e la ripose sul pavimento, insieme ai vestiti ancora utilizzabili che aveva trovato. 

Doveva sistemare una camera in modo che lui e Tobio potessero occuparla? Quella era grande e c’era un bel camino d’accedere per riscaldare l’aria fredda della notte. Tuttavia, Shouyou non era certo che sarebbe riuscito a rilassarsi lì, lasciando il salone e l’ingresso completamente incustoditi. Mentre quel flusso di pensieri scorreva nella sua mente, scrollò le spalle e pensò che non avevano dormito affatto male la notte precedente.

Ci ripensò. Shouyou smise di frugare all’interno del baule e portò gli occhi d’ambra verso la finestra. Non era stato imbarazzante svegliarsi tra le braccia di Tobio e nemmeno rendersi conto che non avevano tutti i vestiti addosso. Gli si era stiracchiato addosso, il mantello era scivolato via e aveva cercato le sue braccia per scaldarsi. Tobio non lo aveva allontanato, lo aveva accettato con la stessa naturalezza con cui lui l’aveva cercato. Shouyou aveva avvertito le sue dita tra i capelli - forse si era anche riaddormentato cullato dalle sue carezze - e si era sentito nel posto giusto per la prima volta nella sua vita. 

Sospirò, piegando le braccia sul bordo del baule e poggiandovi la guancia. Ormai scandiva ogni istante che passava lontano da Tobio a suon di sospiri. 

Da solo in quella piccola roccaforte di vedetta sul tetto del Regno di Seijou, Shouyou provò per la prima volta nostalgia di sua madre. Suo padre e sua sorella gli mancavano in egual misura ma, in quel preciso istante, l’assenza di Koushi e la sua impossibilità di contattarlo velocemente gli pesarono. Sapeva che quello che aveva condiviso con Tobio non era niente se paragonato all’amore adulto, quello dei veri amanti, ma era tanto per lui. Per loro.

Tobio non aveva mai toccato nessuno prima e Shouyou, ovviamente, non si era mai fatto toccare. 

Il Principe dei Corvi aveva lasciato il suo nido tra le montagne appena una stagione, eppure aveva l’impressione che fosse passato tanto di quel tempo da averne perso la cognizione. Pochi mesi prima si era esaltato all’idea di mettere piede fuori dal Regno di Karasuno per la prima volta e ora la sua innocenza stava scivolando via gradualmente tra le braccia dell’erede al trono di Seijou. Shouyou aveva avuto così fretta di diventare grande senza prendere in considerazione l’idea che un’estate sarebbe stata sufficiente per divenirlo davvero. Ora non voleva tornare indietro, mai, era solo indeciso se spiegare le sue ali senza curarsi dell’altezza, oppure volare basso ancora per un po’, studiare il vento e valutare quanto le sue forze potessero reggere un viaggio simile. La sua natura lo spingeva nella prima direzione, ma Tobio era il tesoro più prezioso che aveva, il solo che si era conquistato, che fosse solo suo

“Sei mio…” Mormorò Shouyou con incredulità alla stanza vuota. “Sei davvero mio…”

E se doveva diventare più forte perché Tobio continuasse ad esserlo, allora non aveva paura nemmeno di sfidare il Re Demone… No, il Re dell’Aquila in persona.

Forte di quella nuova determinazione, Shouyou riprese a esaminare i vestiti nel vecchio baule come se stesse compiendo un’impresa epica. Ci vollero pochi minuti perché si accorgesse che c’era qualcosa nascosto sul fondo. 



Tobio si allontanò più del dovuto per procacciare loro qualcosa da mangiare ma aveva bisogno di schiarirsi le idee e si pentì presto di aver avuto quella reazione isterica con Shouyou. Impiegò un tempo ridicolmente lungo per catturare una coppia di conigli e tutto a causa del piccolo corvo che continuava a infestare la sua mente. Shouyou era con lui anche quando fisicamente non c’era. Era un sentimento che aveva cominciato a covare già dal loro ritorno al Castello Nero, ma dopo quello che avevano condiviso la notte precedente era peggiorato. Si fermò di colpo e batté la fronte contro il tronco dell’albero più vicino. Se spaccarsi la testa era l’unico modo per mettere a tacere i pensieri, allora sarebbe andato in giro senza. Non ne era del tutto sicuro, ma ricordava di aver sentito una storia di fantasmi su di un Cavaliere senza testa quando era bambino. Dopo tutto quello che era successo, non si sarebbe sorpreso di scoprire che esisteva una maledizione per rendere quella favolette macabra una cosa vera. A pensarci bene, però, senza testa non avrebbe più potuto baciare Shouyou. 

“Che idiota…” Sibilò contro se stesso e batté la testa contro il tronco una seconda volta. Fece male. “Ahi!” La coppia di conigli stretta nel suo pugno cadde a terra e si portò entrambe le mani alla fronte. “Maledizione!”

“Va tutto bene?” 

Tobio sobbalzò, cerco la sua spada ma l’aveva lasciata al Castello Nero.

Per sua fortuna, lo sconosciuto che quel giorno incontrò sulla sua strada non aveva alcuna brutta intenzione. 

“Ehi…” L’uomo sollevò entrambe le mani e gli rivolse un sorriso amichevole. “Va tutto bene. Non ho alcuna intenzione di farti del male.”

Era alto e aveva delle sopracciglia enormi. Tobio lo esaminò con lo sguardo velocemente ma non trovò alcuna arma appesa alla sua cintura. 

“Sei un Cavaliere.” Quella dello sconosciuto non era una domanda. “Vieni dal Castello Nero o da una delle città a valle?”

Tobio aggrottò la fronte. “Come sapete che sono un Cavaliere? Non indosso i colori di Seijou.” Era sospetto.

L’uomo ridacchiò. “Beh… Hai un arco sulla in spalla e ti è venuto spontaneo cercare una spada.”

“Sono anche un Arciere,” disse Tobio, imbronciandosi.

“Non fatico a crederlo. Non è facile catturare due lepri adulte: bisogno avere buona mira e riflessi pronti.”

Tobio raccolse le sue due prede, come a voler sfidare lo conosciuto a portargliele via.

“Rilassati,” ripeté questi. “Sono uno dei fortunati che ha un pasto caldo che lo aspetta a casa tutte le sere.”

“Vivi al villaggio più a sud?”

“No, io vivo là.” Lo sconosciuto si voltò per indicare la cima delle montagne, dove la neve non si scioglieva mai. 

Tobio arricciò il naso. “Non è propriamente una zona in cui costruire una casa.”

L’altro rise. “Sì, sono d’accordo. Mi piacerebbe avere del buon vicinato ma io e il mio compagno la vediamo diversamente.”

“Il vostro compagno?” Tobio non era realmente interessato, gli sfuggì e basta.

“A giudicare da quelle povere lepri, non sei solo nemmeno tu.”

Tobio assottigliò gli occhi. “Sono solo,” rispose, secco. “Nemmeno a me piacciono le persone.”

Lo sconosciuto sorrise. “Lo immaginavo.”

“Da cosa?”

“Dai tuoi occhi, mi ricordano quelli di qualcuno,” disse lo sconosciuto con un sorriso nostalgico. “Da dove vieni? La mia natura socievole mi ha spinto a fare conoscenza di ogni essere senziente di queste montagne e sono certo di non averti mai visto prima.”

“Vengo dal Castello Nero.” Era un modo implicito per dire: se mi succederà qualcosa, verranno a cercarmi. Se quello che Tobio aveva davanti era un folle, la paura di una pena capitale non lo avrebbe fermato dal fare quello che voleva. Se era un comune criminale, si sarebbe ben guardato da aggredire una vittima che non poteva gestire. Tobio aveva un arco di cui disporre, certo, ma aveva la netta sensazione che lui e l’uomo non fossero le uniche persone su quel sentiero.

Come il Principe Demone aveva previsto, non appena sentì nominare il Castello Nero, l’espressione dello sconosciuto cambiò completamente. 

“Oh, la capitale di Seijou…” Disse, per nulla amichevole quella volta. “Devi essere un Cavaliere del Re Demone.”

“Può darsi…”

“Ma non sei un Demone.”

“Non lo è neanche il Primo Cavaliere.”

“Conosco le storie…” Ammise, stirando le labbra in un sorriso. “O meglio, conosco le versioni delle storie che arrivano fino a quassù. Siamo gente di confine, non riusciamo nemmeno a immaginare lo splendore della corte reale, con i suoi eroi e le loro grandi imprese.”

Tobio lo continuò a guardarlo dritto negli occhi, in silenzio.

“Ho saputo di come il Principe Demone ha abbattuto un drago,” proseguì lo sconosciuto. “Deve essere stato terribile…”

Ci mancò poco che Tobio alzasse gli occhi al cielo. “Meno di quel che si racconta,” rispose. “I castelli si ricostruiscono.”

“Punto di vista pragmatico, degno di un leader,” commentò l’uomo. “Tuttavia, era al drago che mi riferivo…”

Tobio aggrottò la fronte e l’altro gli rivolse un sorriso triste. “Quel Principe è una creatura più unica che rara, no? Non nascono mezzosangue da generazioni, tanto che ora si pensa erroneamente che i Demoni non possano avere figli con uomini o donne comuni.”

Non era la storia che avevano raccontato a Tobio e - il Principe ne era certo - neanche a Tooru.

“La tragedia è che ha dovuto sporcarsi le mani con il sangue di una creatura altrettanto unica,” proseguì l’uomo. “I Demoni dovrebbero proteggere ciò che di magico rimane in questo mondo e non contribuire a estirparlo.”

Tobio non sapeva come replicare, ma non perché non trovava le parole, era il punto di vista di quello strano individuo a mandarlo in confusione. Non aveva mai sentito parlare della sua gente - se così si poteva definirla - in quel modo. I libri sulla storia dei Regni liberi, sulle loro leggende erano quelli su cui aveva imparato a leggere e non ricordava di aver mai trovato la parole Demone vicino a quella di protettore.

Tooru era la prova in carne e osse di quanto quei due concetti insieme si negassero a vicenda. 

Potere, ecco cosa si addiceva a un Demone o, perlomeno, a quelli della stirpe di Seijou.

Lo sconosciuto sorrise, condiscendente. “Ma immagino che i miei pensieri siano figli di una storia che non conosci neanche tu.” Scosse la testa. “Dimentica i vaneggiamenti di questo uomo solo. Quando posso chiacchierare con qualcuno di nuovo, finisco sempre con lo straparlare.”

Lasciò andare una risatina divertita ma il sangue nelle vene di Tobio si era gelato da un pezzo.

“Buona giornata, giovane Cavaliere.”



***




“E questo è quanto,” concluse Tooru. “Penso che siamo tutti d’accordo che si tratta solo di un momento di ribellione, capita a tutti i fanciulli dell’età dai nostri figli. Ci siamo già passati, no?”

Era una provocazione. Nessuno di loro ci era mai passato, non con la stessa innocenza di Tobio, Shouyou e Tsutomu. Durante la sua fase ribelle, Tooru si era sentito lusingato dalle attenzione ricevute dal Re dell’Aquila, ma poi aveva mandato tutto all’aria per amore del suo amico d’infanzia. Questo aveva portato ad almeno due eventi di enorme portata: una guerra che aveva cambiato la storia dei Regni liberi e la nascita del Principe che, secondo i sogni di Kenma, avrebbe dovuto dominarli tutti.

C’era qualcosa d’ironico nel vedere tutte le persone coinvolte in quella storia caotica riunite intorno a un tavolo per discutere delle turbolenze emotive dei propri figli. Tooru aveva anche scelto la sala del consiglio reale per farlo, quasi si stessero preparando a una guerra contro i loro stessi eredi.

La cosa ancor più ironica era che l’unico ad essere seriamente alterato dalla scomparsa dei Principi non era uno dei genitori. “E questo è quanto?” Ripeté Kenjirou gelido. “È così che sminuire la scomparsa dell’erede al trono di Shiratorizawa.”

Il sorriso amichevole di Tooru rimase al suo posto. “Nessuno ha rapito Tsutomu,” gli ricordò. “Se ne è andato di sua spontanea volontà e non possiamo nemmeno biasimare mio figlio per la scelta: di fatto, nessuno lo ha invitato.”

“È completamente da solo in una terra straniera,” insistette Kenjirou.

Tooru guardò Wakatoshi. “Ha seguito un addestramento regolare, immagino. Ha tredici anni, ma dovrebbe sapersi muoversi su dei terreni battuti.”

“No, non ne è in grado,” intervenne Satori, prima che il suo sovrano potesse aprire bocca. “Qualcuno ha deciso che fosse meglio crescerlo sotto una campana di vetro.”

Wakatoshi sapeva che quella frecciatina era rivolta a lui, ma fu Kenjirou a prenderla sul personale. “Proteggere il Principe al costo della vita era compito tuo,” gli ricordò, composto e infuriato al contempo.

“Rilassati, Kenjirou!” Satori alzò le braccia al cielo esasperato. “Eri noioso dalla culla! Come puoi capire il significato degli eventi di questa estate?”

Wakatoshi allontanò gli occhi dal Re Demone per guardare il suo braccio destro. “Non fai che ripeterlo ma quello che racconta Tooru non fa luce sulla questione.”

Satori prese un respiro profondo e si rivolse al padrone di casa. “Ho il permesso di parlare, Maestà?”

“Illuminaci, Satori!” Gli concesse il Re Demone.

Alla destra del suo sovrano, Hajime appoggiò il viso al pugno chiuso: sarebbe stata una discussione lunga quanto inutile. 

“Sarò breve,” iniziò Satori.

Per fortuna, pensò il Primo Cavaliere. Ricordò poi che Satori non era mai stato breve in vita sua.

I fatti che raccontò non aggiunsero molto a quelli narrati da Tooru. La morale della storia era sempre quella: il Principe dei Corvi aveva attirato l’attenzione del Principe Demone al punto da condividere con lui tutto il suo tempo.

Nessuno aveva ancora saputo dare un nome al ruolo dell’erede al trono di Shiratorizawa in tutta quella lunga storia estiva.

“Wakatoshi…” Satori guardò l’amico di sempre dritto negli occhi. “È accaduta una cosa a cui non sapevo di dovermi preparare e che, ne sono certo, tu non sarai in grado di gestire… Lasciamo perdere lui,” aggiunse, facendo una vago gesto della mano in direzione di Kenjirou.

“Parla,” ordinò il Re dell’Aquila ignorando - o non afferrando - l’ennesimo insulto tra le righe che il suo braccio destro gli aveva riservato.

Satori sorrise teneramente e tutti nella stanza - tranne Wakatoshi - rabbrividirono. “Si è innamorato,” cinguettò.

Tooru si morse il labbro inferiore per non scoppiare a ridere e Hajime decise che valeva la pena prestare attenzione alla conversazione. Pur mantenendo una certa compostezza, Kenjirou non si sforzò di nascondere la sorpresa e persino Wakatoshi inarcò un sopracciglio con perplessità.

“Tsutomu si è innamorato?” Domandò quest’ultimo.

Satori batté le mani con emozione. “Sì e dovresti vederlo!” Esclamò. “Ovviamente, lui non lo sa…”

“Lui chi?” Lo interrogò Kenjirou.

“Ma Tsutomu, ovviamente!”

“Stiamo parlando di un fanciullo innamorato che non sa di essere innamorato?” Domandò Hajime. “Sul serio?” 

Tooru ridacchiò sotto i baffi.

Toccò a Wakatoshi gettare un velo di brina sulla questione. “Tsutomu si è innamorato di Tobio?”

L’attacco d’ilarità del Re Demone finì in mille pezzi e cercò gli occhi verdi del suo Primo Cavaliere in cerca di rassicurazione. Hajime, però, era sconvolto da quella possibilità quanto lui.

Per loro fortuna, Satori fu veloci a liberarli dal dubbio. “Per tutti i Regni liberi, Wakatoshi, no!”

Tooru e Hajime lasciarono andare un sospiro.

“Tsutomu ha una cotta per il piccolo corvo!” Aggiunse il Cavaliere di Shiratorizawa. “Se ne è andato perché gli da tremendamente fastidio essere stato escluso da Tobio.”

Tooru storse la bocca in una smorfia. “Non mi sembra che Shouyou lo ricambi.”

“No, neanche un po’,” ammise Satori, amaramente. “Ma il piccolo stupido non sa nemmeno di avere una cotta. È come un animaletto che segue l’istinto: qualcosa lo innervosisce e, senza pensarci, fa qualcosa che pensa che lo farà stare meglio.”

“Lanciarsi in una ricerca disperata in territori che non conosce sarebbe la sua reazione per stare meglio?” Domandò Kenjirou, sarcastico.

“Purtroppo per noi, sì,” concluse Satori.

Wakatoshi si alzò dal suo posto senza preavviso. “Vado a cercarlo,” disse.

Da parte sua, Tooru non avrebbe mosso un dito per fermarlo: Tobio e Shouyou stavano scrivendo le prime pagine della loro storia e il Principe di Shiratorizawa era come una nota stonata.

“Wakatoshi, aspetta,” intervenne Satori. “Non credo sia saggio farlo…”

Kenjirou batté le mani sul tavolo. “Adesso basta con questi giochetti, Satori.”

“Non sono giochetti, Arciere di letto. Non metterti in mezzo quando parlo con il mio Re!” Satori non urlò. Non aveva bisogno di farlo con quelle parole.

Kenjirou gelò sul posto. Hajime si sentì in dovere di distogliere lo sguardo per rispetto. Tooru, invece, non lo fece: che il giocattolo del Re dell’Aquila comprendesse quanto era inutile cercare d’interpretare un ruolo che non gli apparteneva.

Wakatoshi tornò sui suoi passi e - prendendo di sorpresa sia Tooru che Satori - strinse la spalla del suo Arciere in un gesto rassicurante. “Ti ascolto.”

Non tornò a sedersi. Torreggiò sul suo braccio destro lasciandogli intendere che era andato ben oltre dei confini prestabiliti. 

Satori ricevette il messaggio e il tono che usò poi fu molto più formale: “il Principe non è in pericolo,” disse. “Se non troverà quello che sta cercando, tornerà qui. Il mio consiglio e di dargli fiducia e aspettarlo.”

Kenjirou sbuffò. “Dargli fiducia per cosa?”

Satori scrollò le spalle. “Volevamo che trovasse la sua strada, che smettesse di imitare suo padre per divenire se stesso. Questa cotta o qualsiasi cosa sia è la prima cosa che nessuno di noi gli ha imposto. Sì, è una questione fanciullesca, ma forse diverrà un uomo migliore proprio perché ne ha avuta una.”

In quel momento, Tooru provò molto rispetto per quel Cavaliere. Nonostante il suo Re lo avesse messo al suo posto, Satori non aveva affatto abbassato la testa. Il braccio destro del Re dell’Aquila non temeva di dire al suo sovrano quello che pensava e questo lo rendeva perfetto per il suo ruolo. Kenjirou poteva scaldare il letto del Re, ma Tooru era certo che se fosse arrivato il momento di scegliere, Wakatoshi non avrebbe esitato a preferire Satori.

Di contro, il Cavaliere avrebbe sempre scelto il giovane Tsutomu sopra chiunque altro. Tooru, però, non era certo che Wakatoshi si fosse reso conto di questo.

“Molto bene!” Esclamò, alzandosi in piedi. “Immagino che debba far preparare delle camere per tutti voi.”



***




Tsutomu non sapeva dov’era e non era troppo sicuro nemmeno di sapere quello che stava facendo.

In principio, correre dietro a Tobio e Shouyou gli era sembrata la cosa più intelligente da fare. 

Non sapeva perché se ne erano andati - ma poteva immaginarlo bene - non aveva idea di dove fossero diretti - anche se qualcosa gli diceva che sarebbero giunti a destinazione in volo - eppure di tornare al Castello Bianco non ne aveva proprio l’intenzione.

Quella non era casa sua, non davvero.

Quel pensiero lo aveva fulminato al calar della notte, quando si era reso conto di aver camminato per ore in una direzione indicatagli dall’istinto. Si sentiva come uno dei segugi addestrati per le battute di caccia: non conosceva quei luoghi, eppure sapeva dove andare.

Era come se una forza invisibile lo stesse spingendo verso l’ignoto ma non la temeva. Certo, nel cuore dell’ennesima foresta di Seijou, solo e al buio, aveva dubitato delle sue stesse azioni, ma non aveva mai preso in considerazione l’idea di tornare indietro.

Piuttosto la morte!

Era un pensiero esagerato, ma che riassumeva alla perfezione quanto per lui fosse insopportabile il pensiero di fare ritorno a Shiratorizawa. Non gli mancava il mare - non ricordava l’ultima volta che aveva giocato in acqua o sulla spiaggia. Non aveva alcun desiderio di rivedere le alte torri bianche del castello in cui era nato e cresciuto. 

C’erano altri fanciulli alla corte di suo padre ma non conosceva i loro nomi, non aveva mai condiviso nulla con loro. Per assurdo, aveva vissuto più esperienze in compagnia di Tobio e degli altri idioti del Castello Nero.

E poi c’era Shouyou.

Shouyou che era arrivato da solo un’estate e aveva cambiato tutto. Persino Tobio era divenuto una compagnia sopportabile grazie a lui. Tsutomu si chiedeva se il Principe dei Corvi era consapevole del potere che aveva avuto su tutti loro, della facilità con cui aveva attirato gli sguardi di tutto il Castello Nero, compreso quello del Re Demone. 

Tobio se ne era accorto di certo, altrimenti non lo avrebbe portato via a pochi giorni da una sfuriata campale da parte del Primo Cavaliere per la sua fuga sconsiderata nelle campagne. Tsutomu non aveva assistito ma una parte di lui aveva voluto parlare in difesa del fanciullo che aveva odiato per tutta la vita.

Hajime aveva accusato il figlio di aver lasciato senza difese il Castello Nero. I fatti, però, raccontavano una storia diversa: Tobio se ne era andato nelle campagne con Shouyou e solo Shouyou, tutti gli altri li avevano seguiti per loro stupidità - o per noia.

Quell’ulteriore fuga non era altro che un secondo tentativo di Tobio di tenere Shouyou per sé, lontano dal resto del mondo.

Allora perché Tsutomu si era deciso a seguirli? Perché non poteva evitare di sentirsi come se gli altri due lo avessero lasciato indietro.

Era un pensiero incoerente, stupido.

Lui e Tobio non erano amici. Shouyou era gentile con lui come lo era con chiunque altro. Nessuno dei due si era posto il problema che non avrebbero potuto trovarlo al loro ritorno al Castello Nero. Entrambi si erano risparmiati il disturbo di salutarlo.

Tsutomu si sentiva ferito senza un perché. 

L’estate era finita per tutti, ma il divertimento sembrava essere finito solo per lui.

Tobio poteva avere Shouyou anche in autunno, in inverno e fino alla primavera successiva. Tsutomu, invece, no. A lui restavano Satori con il suo sarcasmo imbarazzante, Kenjirou col suo atteggiamento opprimente e suo padre.

Quella era la parte peggiore del caos emotivo che peggiorare passo dopo passo: il Re dell’Aquila, l’uomo che aveva adorato fin da quando aveva memoria e che aveva desiderato emulare al punto da farsi quasi uccidere ai confini nord dei Regni liberi, non gli mancava. 

Suo padre.

Non lo vedeva da settimane e non gli importava. Quel pensiero lo spaventava più del rendersi conto che la compagnia di altri fanciulli e la loro amicizia gli erano necessari almeno quanto l’amore dell’unico genitore che gli era rimasto.

Crescere in compagnia della solitudine non lo aveva reso più forte.

Odiare Tobio non gli aveva dato alcun vantaggio su di lui, il quale non era nemmeno consapevole dell’esistenza di una rivalità tra di loro.

Ostentare un atteggiamento di superiorità solo perché era figlio di suo padre non gli aveva garantito né il rispetto né il potere.

Mentre sollevava gli occhi stanchi verso le montagne che si facevano più vicine di ora in ora, Tsutomu non sapeva perché stava percorrendo quella strada, ma era certo che non c’era un vero posto per lui nel luogo che si era lasciato alle spalle.



***




Il portone d’ingresso del piccolo castello di vedetta era piuttosto pesante. Niente che un uomo da solo non sarebbe riuscito ad aprire, ma poteva divenire un problema per un ubriaco dopo una notte di bagordi. Al suo ritorno, Tobio lo spalancò con tanta forza che il pannello di legno andò a sbattere contro la parete di pietra. 

“Shouyou!”

Gli occhi d’ambra del suo Principe lo raggiungessero da dietro lo schienale del divano. Era preoccupato. “Tobio…” Si alzò in piedi. “Sembri spaventato, che succede?”

Tobio superò il mobile che li divideva e gli prese il viso tra le mani. “Stai bene?”

Shouyou arrossì, afferrando i polsi di lui. “Sì, ma perché me lo chiedi?”

Il Principe Demone fece un passo indietro e si guardò intorno. “Sei solo?”

Shouyou inarcò le sopracciglia. “Certo che sono solo. A che pensi?”

Tobio studiò il portone d’ingresso e studiò velocemente un modo per renderlo più sicuro da eventuali tentativi di scasso. 

Shouyou gli afferrò le braccia. “Tobio, che cosa succede?”

Il fanciullo dai capelli corvini prese un respiro profondo e scosse la testa. Stava diventando un paranoico. “Niente, ho solo-“ Lo sguardo gli cadde sul divano. “E quello che ci fa qui?”

Shouyou sorrise entusiasta. “Ho dato un’occhiata in giro e ho trovato dei vestiti che potremmo utilizzare per cambiarci e anche una camera in cui potremmo dormire.”

Tobio annuì distrattamente. “Ho capito, ma questo che ci fa qui?”

“L’ho trovato in fondo al baule della stanza più grande,” raccontò Shouyou. “Era avvolto in un telo. Lo hanno riposto con molta cura. Immagino sia prezioso come appare.”

Tobio passò gli occhi blu sull’abito deposto tra i cuscini, seguì le trame del pizzo floreale che ricopriva le maniche e in parte il corpino. La gonna non era abbellita con nessun ricamo ma era gonfia e a giudicare dagli orli irregolari doveva avere uno strascico. Se lo ricordava, ma i dettagli gli aveva persi col tempo.

“Non sembra molto vecchio,” continuò Shouyou. “Il pizzo è ancora bianco e di solito è il primo a ingiallirsi.”

Tobio lo guardò divertito. “Sei un esperto di cucito, ora?”

Shouyou arrossì, imbarazzato. “Mentre tutti venivano addestrati a compiere grandi imprese, io passano le giornate d’inverno più fredde nei saloni delle dame di corte, va bene?”

“Deve essere stato avvincente.”

“Oh, smettila! Piuttosto, sai di chi è?” Domandò Tobio curioso. “Hai detto di essere stato qui dieci anni fa e quest’abito non può essere più vecchio di molto.”

Tobio annuì. “Era di mia madre,” disse con naturalezza.

Shouyou lo guardò, sbatté le palpebre un paio di volte e ripeté quelle quattro parole nella sua testa fino a che non si rese conto che non c’era un modo segreto d’interpretarle. “Eh?” Domandò con espressione inebetita.

“È quello che ho detto…” Tobio prese tra le mani una delle maniche di pizzo. “Questo è l’abito da sposa di Tooru.”

Non era una spiegazione sufficiente e Shouyou ne aveva urgentemente bisogno. “Nessun uomo adulto potrebbe entrare in quel corpino,” gli fece notare.

Tobio passò il pollice sui fiori bianchi distrattamente. “Non lo ha indossato da uomo,” raccontò. “L’inverno in cui ho compiuto tre anni, mia madre si è trasformato in una donna per un po’. Il suo cambiamento spinse mio padre fino a questo castello: si era convinto che fosse tutto un sortilegio per danneggiare Seijou e qui era più sicuro.”

Shouyou si sedette sul divano, attento a non sgualcire la bella gonna. “E lo era?”

Tobio scrollò le spalle. “Avevo tre anni. Il fatto che Tooru si fosse tramutato in una donna per me non era un gran problema e quando tutto è tornato alla normalità, ero troppo piccolo per fare le domande giuste.”

“Per tuo padre deve essere stato sconvolgente.”

“Non troppo… Era arrabbiato ma questo abito lo ha fatto confezionare lui. Penso sia una storia interessante ma non ne ricordo i dettagli.”

Gli occhi di Shouyou brillarono d’incanto. “Hajime ha fatto confezionare un abito per Tooru?”

“Si sono sposati qui…” Tobio guardò il piccolo salone. “Non eravamo neanche dieci persone, eppure ricordo che erano felici.”

Shouyou sgranò gli occhi. “Sposati?” Domandò, perplesso. “I tuoi genitori sono sposati?”

Tobio sbuffò. “Non per davvero,” chiarì. “Fu una cosa simbolica, nulla di più.”

Il Principe dei Corvi prese l’orlo della gonna tra le mani. “Mia madre sogna il giorno in cui mia sorella ne indosserà uno,” disse. “Mio padre lo vede nei suoi peggiori incubi, credo.”

Tobio guardò quelle piccole dita accarezzare la stoffa bianca e non si lasciò sfuggire la cura con cui la faceva, la luce sognante che rendeva più chiare quelle iridi d’ambra e la curva appena accennata di quelle belle labbra. C’era un desiderio riflesso negli occhi di Shouyou ma Tobio non riusciva a definirne i contorni. Disse la cosa più sbagliata che gli passò per la testa. “Vuoi indossarlo?”

Shouyou tornò alla realtà bruscamente e lo guardò come quando si prendeva gioco di lui al punto da fargli prendere le staffe. “Non sei divertente, stupido!” Afferrò l’abito e se lo caricò in spalla. “Lo rimette al suo posto prima che si rovini!”

Tobio lo guardò sparire in cima alle scale. “Che cosa ho detto?” Urlò e l’unica risposta che ricevette fu una porta che sbatteva.



***




Nessun sentiero battuto dai montanari arrivava fino alla cima della montagna. Non c’era nessuna ragione economica o politica perché qualcuno dovesse spingersi fino a lassù: solo pochi predatori vi cercavano rifugio per sfuggire al fucile dei cacciatori e non era possibile costruire o coltivare una terra in cui la neve non si scioglieva mai.

Alcuni animi avventurosi si erano spinto fin su quelle cime in cerca di avventura, molti avevano rinunciato all’impresa prima ancora di completarla e altri - quelli più testardi e meno fortunati - non erano mai tornati indietro per raccontare come fosse il mondo visto da lassù.

Per Motoya, quelle alture aspre e crudeli era solo casa.

“Sono tornato…” Disse, varcando l’ingresso di una grotta abbastanza alta da permettergli di camminare comodamente a testa alta. “Il cielo azzurro di stamattina è scomparso, ora è tutto ricoperto di nuvole.” Disse, togliendosi dalle spalle il mantello e poggiandolo sullo schienale di una poltrona che sarebbe potuta appartenere al salotto di uno qualunque dei montanari. 

Se ne pentì non appena un brivido di freddo gli attraversò la schiena. Sospirò, stringendosi nelle braccia. “Kyoomi…” Reclinò la testa da un lato. “Ti avevo chiesto di tenere calda la casa.”

Seguì un breve istante di silenzio. Una lingua di fuoco attraversò quella specie di salotto improvvisato incendiando la legna posta al centro del grande spazio. Il bagliore che illuminò la grotta per un istante permise a Motoya d’incrociare lo sguardo della bestia nascosta contro la roccia scura.

Ora un allegro fuocherello scoppiettava all’interno del cerchio di pietre di fronte alla poltrona. Motoya vi prese posto con un sorriso. “Grazie…” Mormorò, allungando le mani verso le fiamme. “Oggi è successa una cosa interessante,” raccontò. “Sono sceso al villaggio per prendere qualcosa da magiare… Oh, ho preso del pane. Ti dicevo, ho incontrato un fanciullo.” Ridacchiò. “Un bel fanciullo, di come non se ne vedono da queste parti. Era alto, con i capelli corvini e gli occhi di un blu intenso. Mi ha colpito, sembrava un Principe.”

Un violento spostamento d’aria dall’interno della grotta fece tremare pericolosamente il fuoco, ma non si spense. Motoya sollevò gli occhi sull’oscurità e aspettò che il giovane uomo che vi si nascondeva venisse avanti.

Kyoomi emerse dalle tenebre a piedi nudi, vestito di una semplice tunica e di un paio di pantaloni larghi. I neri capelli ricciuti gli ricadevano scompostamente sul volto. “Sembrava un Principe?” 

Il sorriso di Motoya si fece più tenero, poggiò le mani sulle ginocchia e rilassò le spalle contro lo schienale della poltrona. “La mia è solo un’intuizione. Sono solito raccontarti un sacco di sciocchezze, parole tue.”

“Hai pronunciato quelle parole con il chiaro intento di attirare la mia attenzione,” replicò Kyoomi. “Non fingerti innocente. Non lo sei.”

Motoya inspirò tanto da gonfiare il petto, poi lasciò andare il respiro. “Ti ha dato fastidio che lo abbia definito un Principe ma non quando te l’ho descritto in tutta la sua bellezza.”

“Credi che sia lui?”

“Il Principe Demone? Se lo fosse, le storie che raccontano su di lui lo descrivono molto bene.”

La figura di Kyoomi era spettrale, ma Motoya aveva smesso di provare soggezione in sua presenza da molto tempo. “Non puoi accusare un Principe per aver difeso la sua casa e la sua gente,” gli disse. 

“È il Principe che ha scoccato la prima freccia,” gli ricordo Kyoomi.

“Anni fa,” gli ricordò Motoya. “È un fanciullo, Kyoomi e al tempo era solo un bambino.”

“Questo non lo rende innocente.”

“E chi lo è?”

Kyoomi non aveva una risposta. “Che cosa ci fa qui?”

“Non me lo ha detto,” disse Motoya. “Ho cercato di fare conversazione ma temo abbia capito le mie intenzioni e si è messo sulla difensiva.”

“Che cosa hai dedotto?”

“Che non è da solo ma va in giro disarmato. Un Cavaliere che si muove senza la sua spada appesa alla cintura, non ha intenzioni di compiere grandi imprese.”

“E perché pensi che non sia da solo?”

“Perché si è impegnato a sottolineare che lo è. Anzi, lo ha fatto con talmente tanta fermezza che credo che si tratta di una persona speciale.”

Kyoomi inarcò le sopracciglia. “E come sei arrivato a una conclusione del genere?”

Motoya scrollò le spalle. “Intuito…”

L’altro decise di lasciar perdere. “Quindi non ha una squadra d’assalto con sé?”

“Puoi stare tranquillo,” lo rassicurò Motoya. “Non so che cosa lo ha spinto fino a qui ma non è a caccia di una grande impresa. Al contrario, sembrava avere premura di tornare dal suo compagno di viaggio e tagliare fuori il mondo. Mi ha ricordato qualcuno…”

Kyoomi non rise. Stava pensando.

“Kyoomi…” Lo richiamò Motoya. “È solo un fanciullo. Niente di più.”

Il giovane uomo dai ricciuti capelli corvini superò il cerchio di pietre e il fuoco che vi scoppiettava al centro. Arrivò di fronte alla poltrona e guardò il compagno dall’alto in basso. 

Motoya gli prese una mano, ne baciò il palmo e se la portò alla guancia. “Se il Principe Demone non ha fatto suo il cuore del drago che ha ucciso, perché continuo ad avere questa sensazione?”

“Ti fidi del mio giudizio?” Domandò Motoya, gentilmente.

Kyoomi annuì.

“Ne sono felice.” Motoya si alzò in piedi, la mano nell’altro stretta nella sua. “Hai acceso il fuoco ma l’aria qui dentro è gelida. Perché non cominci con lo scaldarmi tu?”
   
 
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