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Autore: Il Grizzly    21/08/2019    1 recensioni
Strani eventi cominciano ad accadere in un piccolo paese. L'unico filo conduttore è una buca, circondata da un alone di mistero. Qualcosa di incomprensibile si cela dietro la sua oscurità.
Genere: Drammatico, Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando mi arrivò la telefonata di Sammy stavo osservando soddisfatto la mia immensa collezione di minerali. Risposi. Dopo aver messo il telefono tra la spalla e l’orecchio accesi la mia amata sigaretta mattutina.
– Buongiorno Dario, dormito bene? O hai passato la notte a farti le seghette sui tuoi minerali? –  esordì Sammy.
– Che ridere…quindi? Qualcosa di interessante? –
– Interessante è un parolone…– fece una pausa per poi sospirare, evidentemente si stava godendo anche lui la sua sigaretta mattutina.
– Un ragazzino è caduto in una buca…–
– E cosa c’è di interessante? – chiesi prima di perdermi in una nuvola di fumo.
– La buca…pare ci sia qualcosa di strano con la buca, vuoi venire a fare qualche analisi? –
– Va bene, non ho niente di meglio da fare. Mandami l’indirizzo –
Sammy era il capo della polizia locale e io un laureato in geologia tornato nel paesino d’origine, spesso mi chiamava giusto per farmi passare il tempo o darmi qualcosa da analizzare per divertimento. Prima del mio ritorno ci conoscevamo solo di vista ma con il tempo avevamo stretto parecchio. Eravamo completamente diversi, io ero introverso e preferivo starmene a casa a guardare i miei minerali o un bel film, sempre munito delle mie adorate sigarette. Sammy invece era un uomo del popolo, chiacchierone e sempre pronto a prendere in giro o far ridere, ma mai con cattive intenzioni. Adorava passare le notti nei bar a parlare con gente di ogni tipo. Anche lui sempre munito delle sue adorate sigarette. Scherzavamo spesso su come la nostra passione per quei momenti di silenzio, accompagnati da un buon tabbaccone, fosse l’unica cosa che avevamo in comune.
 
Quando arrivai, davanti alla casa, c’era un uomo seduto sul marciapiede del vialetto. Occhi spalancati e denti serrati, si dondolava avanti e indietro fissando il vuoto. Diciamo che a primo impatto poteva sembrare eccessivo per una brutta caduta. Con lui c’era Sammy che mi fece un cenno serio venendomi incontro.
Si avvicinò e mi sussurrò – Senti qui la cosa è molto più grave di quanto pensassi, forse stavolta le tue analisi potrebbero essere davvero utili –
Mi accompagnò sul retro della casa dove si estendeva una lunga prateria, completa di sporadiche balle di fieno. Lì, nel bel mezzo del nulla, risaltava per contrasto un fosso di media grandezza. Mi avvicinai e mi sporsi per cercare di guardare al suo interno, l’oscurità più totale riempiva quella semplice buca all’apparenza normalissima. Prelevai in fretta i miei campioni di terra.
– Insomma? Si può sapere di che si tratta? – chiesi a Sammy mentre accendevo una sigaretta
– Il ragazzino… non si trova, l’ultima volta è stato visto cadere nella buca ma non risponde… ci servono i tuoi test sulla profondità per capire se e come possiamo scendere lì sotto –
Per un momento lo fissai perplesso, presi dal mio zaino un bastoncino fluorescente e lo gettai nella buca, si perse quasi subito nell’oscurità. Rimanemmo qualche secondo ad aspettare che atterrasse sul fondo… silenzio. Ci guardammo a vicenda stupiti e avviliti, per il ragazzino non sembravano esserci molte speranze.
– Se è veramente così profondo servirà tutta la mia attrezzatura per poter scendere – dissi.
– Io lì dentro non ci vado… la mia claustrofobia mi ucciderebbe dopo neanche un metro di discesa, la soluzione migliore è che vada tu –
– Io?! – quasi mi cadde la sigaretta di bocca.
– Hai esperienza e sai come usare la tua attrezzatura, chi altro ci dovrei mandare? –
Erano anni che non facevo un’escursione geologica e, a dire la verità, non sono mai stato neanche un granché. Bisognava essere lucidi e concentrati mentre io ero spesso ansioso e non ragionavo bene sotto pressione. Arrivato a casa analizzai i campioni di terra tra una sigaretta e l’altra, con un sottofondo jazz che colorava l’atmosfera. Niente di strano, sembrava una semplice buca come quelle scavate dagli animali in inverno.
 
Sammy suonò il campanello e aspettò qualche secondo per poi rintronarmi con una lunga citofonata assordante, faceva sempre così era quasi un rituale. Bevvi di fretta il caffè ancora bollente e lo raggiunsi di corsa con l’attrezzatura per scendere nella buca. Il tempo era peggiorato e grosse nuvole erano venute ad oscurare il cielo del nostro piccolo paese. Saliti in macchina ci dirigemmo verso la buca.
Mi tastai le tasche – Cazzo, i tabbacconi…–   
– Tieni – disse Sammy porgendomi una sigaretta
La presi ringraziandolo tra un’imprecazione e l’altra e la accesi
– Sono un po’ nervoso…–
– Qualsiasi cosa, pure che ti viene un po’ d’ansia me lo dici e ti tiriamo su ok? – disse guardandomi con fare rassicurante.
Sorrisi, ma solo per gentilezza poi abbassai lo sguardo – E se invece arrivassi in fondo? ...se trovassi il corpo del ragazzino? –  
ero ancora un povero illuso.
 
Mentre Sammy mi stringeva l’imbracatura gettai un’occhiata preoccupata alla buca, aveva un non so che di attraente, il buio pesto che la riempiva attirava il mio sguardo come un buco nero attira la materia.
– Se qualcosa non va me lo dici in radio e ti tiro su, se non ti sento per troppo tempo ti tiro su, se ho un brutto presentimento ti tiro su ok? – disse Sammy con estrema serietà
Annuii e cominciai a calarmi. La luce della torcia si perdeva subito nell’oscurità e non sembravano esserci pareti, stavo letteralmente penzolando nel vuoto. Cercai di rimanere calmo e comunicai a Sammy che per il momento non c’erano problemi. Alla distanza di un braccio dall’entrata cominciai a provare un’insolita sensazione di crescente benessere, alzai lo sguardo e notai che il cerchio di luce da cui ero entrato era scomparso, non mi interessava. Quella sensazione di benessere si stava trasformando in un piacere fisico e quasi spirituale senza paragoni, sentii ogni singola particella dell’universo pulsare all’unisono come un unico essere onnipresente.
Uno strattone mi strappò a quella beatitudine, al che cominciai a gridare e dimenarmi – Lasciatemi! Lasciatemi andare! È qui che devo stare, è qui che dovrebbero stare tutti! –  
 La grossa mano di Sammy piombò dal cielo sulla mia guancia destra – Oh Dario stai calmo! Calmati Cristo! –
– V-voi n-non capite…– stavo riprendendo contatto con la realtà, dentro la buca avevo dimenticato cosa stavo facendo, perché ero lì. Scossi la testa e mi toccai la guancia gonfia.
– Che diavolo è successo là dentro? – tuonò Sammy
– Niente…portami a casa – sussurrai con lo sguardo perso nel vuoto
– Dimmi che è successo –
– No – in quel momento decisi che non avrei più parlato per tutto il tragitto fino a casa.
Così fu, non fiatai per tutto il tempo, accesi una sigaretta che buttai dopo due tiri, fumare in quel momento mi sembrava futile e privo di qualsivoglia senso. La malinconia mi pervase al pensiero che mi fosse stato tolto anche quell’ultimo piacere quotidiano.
 
La mattina dopo mi svegliai debole e annichilito, la mia notte era stata tempestata da terribili incubi di cui riuscivo a ricordare solo il senso di terrore. Mentre preparavo il caffè mi sforzai di spiegare razionalmente gli avvenimenti del giorno prima. Borbottavo teorie accompagnato da un melanconico assolo di Stevie Ray Vaughan quando qualcuno suonò il campanello. Aspettai la seconda citofonata tipica di Sammy che però non arrivò, non era lui. Aperta la porta mi ritrovai davanti un uomo sulla cinquantina magro, scavato, con profonde occhiaie che gli solcavano il viso. Ci misi un attimo a capire che era l’uomo che avevo trovato davanti alla casa la mattina precedente.
Abbozzò un sorriso tremolante – S-salve, piacere sono il padre del bambino caduto nella buca –
– Piacere Dario…– dissi perplesso
Ci guardammo per qualche secondo. Vedendolo da vicino riuscivo a intravedere, sotto quella maschera di tristezza e dolore, i lineamenti di un uomo di bell’aspetto che in altre circostanze mi avrebbe quasi intimidito.
– P-posso entrare? Le vorrei parlare – balbettò con voce sommessa.
Per un attimo mi persi tra le rughe che gli attraversavano il viso e il suono della macchinetta che sputava caffè sui fornelli mi riportò improvvisamente alla realtà.
– Certo, certo si accomodi, vuole del caffè? –
Corsi verso la cucina e cominciai a riempire le tazzine.
– Ci è entrato non è vero? - disse l’uomo che nel frattempo si era seduto ad osservare i miei minerali.
Quella domanda fu come un fulmine a ciel sereno, il mio cuore si strinse per un secondo facendomi mancare il respiro. Forse non ero ancora pronto per parlare con qualcuno della mia esperienza nella buca, non risposi.
– Ho visto che cosa fa alle persone… la buca intendo – soffiò sul caffè rischiando di rovesciarlo a causa dei tremori.
– Lei ci è entrato? –  chiesi cercando di sembrare il più calmo possibile.
Il viso dell’uomo si contorse in una smorfia di rabbia e disprezzo – Non arriverà mai il giorno in cui vorrò calarmi là dentro – disse con la voce increspata.
Fissai per un secondo il fondo della tazzina del caffè e mi feci sfuggire un lieve sorriso – Non direbbe così se fosse stato nella buca –
Silenzio. Mi guardò intensamente con fare compassionevole, poi abbassò lo sguardo.
– Mio figlio… m-mio figlio è ancora lì sotto per quanto ne so –
– Non credo che quella cosa abbia un sotto purtroppo…– dissi con tono sommesso.
– Mi permetta di continuare a sperarlo – posò la tazzina del caffè e si chinò verso di me appoggiando i gomiti sulle ginocchia – Senta, sono venuto qui per dirle di stare molto attento – mi puntò il dito tremante contro – Stia attento a cosa desidera e a cosa pensa di essere disposto a rinunciare. Mio figlio… l-lui ha rinunciato a tutto… lui… mi dispiace ma ora devo proprio andare –
Si alzò all’improvviso e si diresse spedito verso l’uscita, non feci in tempo a prendere il fiato per parlare che l’uomo si era già chiuso la porta alle spalle. Lo vidi dalla finestra mettere in moto un’ape di colore verde vomito per poi allontanarsi scoppiettando. Rimasi immobile, a contemplare l’assurdità della situazione in cui mi trovavo.
 
Decisi di chiamare Sammy, gli dissi che gli avrei raccontato tutto. Dopo una decina di minuti il campanello risuonò due volte come una tromba ad annunciare il suo arrivo. Tentai al meglio di descrivere l’esperienza avuta nella buca ma, tra il fumo della sua sigaretta, scorgevo lo sguardo scettico di Sammy.
– Dovresti parlare con il padre del ragazzino, lui sa qualcosa però sembra parecchio sconvolto e non penso dirà più di tanto – dissi camminando avanti e indietro con l’adrenalina a mille. Mi fermai di colpo – La madre! Avrà anche una madre questo bambino no?! –
Sammy ridacchiò – Cos’è sei un poliziotto ora? Comunque, se proprio vuoi saperlo la madre è morta un mesetto fa, reazione allergica, brutta storia… la moglie morta e il figlio scomparso… ci credo che sta dando di matto il tipo –
Sbuffai sconsolato e mi feci cadere sulla sedia. Dopo poco Sammy se ne andò, senza però abbandonare quel suo scetticismo. Ero demoralizzato, fissavo pensieroso il mio tavolo di legno. Ripensai a cosa aveva detto il padre del ragazzino. Decisi che le cose da fare erano due: tentare di far parlare il padre e rientrare nella buca. Mi accorsi di essere parecchio coinvolto in questa storia e al pensiero mi sfuggì un sorrisetto compiaciuto, era di sicuro stimolante. Mi immaginai come un detective del mistero alla scoperta di buche misteriose e macabre morti, una sorta di hole rider. Pensai che poteva tranquillamente essere il titolo di un film porno e sbottai in una breve ma fragorosa risata. Mi alzai e mi diressi verso la cucina per prepararmi qualche schifezza surgelata. Le fantasie di poco prima erano state rimpiazzate dai problemi pratici che mi si stavano proponendo. Innanzitutto dovevo convincere Sammy, non ce l’avrei fatta a venire a capo di questa faccenda senza di lui. L’unico modo era portarlo con me dal padre del ragazzino. Chiamai Sammy mentre una mezza dozzina di sofficini friggeva in padella, gli chiesi di darmi un’ultima possibilità e di venire con me l’indomani. Accettò scocciato.
 
Il giorno dopo, in tarda mattinata, ci avviammo verso l’ormai famosa casa. Arrivati citofonammo. Prima una volta, poi un’altra e infine un’ultima. Nessuna risposta. Mi accovacciai a una finestra per tentare di sbirciare tra i fori delle serrande. In mezzo al salotto impolverato e ormai in decadenza vi erano due piedi sporchi, sudici ma soprattutto… penzolanti. Mi allontanai con un salto, gli occhi sgranati e una mano sulla bocca.
– S-S-Sé... c-c-ci s-s-sta…– avevo un impellente bisogno di vomitare e le mie parole erano soffocate dai conati, indicai tremante la finestra
Sammy si accovacciò per guardare e fece subito un balzo indietro,
– Merda merda merda merda merda merda – disse correndo verso la porta principale.
Dopo un paio di spallate di Sammy la porta si spalancò mostrando il corpo inerme e penzolante del padre del ragazzino, era di un colore quasi vicino al grigio tranne che per la testa, che invece tendeva più al violaceo. Cominciai a vomitare in un secchio vicino l’ingresso mentre Sammy chiamava la centrale di polizia per comunicare il ritrovamento.                                                                                                                                                                                                  Dopo parecchie vomitate dai colori più stravaganti cominciai a riprendermi, anche Sammy sembrava parecchio provato, mi mise una mano sulla spalla e mi sussurrò: – Devi vedere una cosa… forse non sei matto come pensavo –
Tirò fuori dal taschino una bustina, si mise un paio di guanti in lattice e mi parò davanti alla faccia un biglietto scritto a matita. Feci per prenderlo ma mi intimò di non toccarlo. Lo lessi, e poi lo rilessi ancora : la colpa è della buca, 20/09/2019 tutto vero, chiedete al commissario Sammarco.
– C-che significa? – dissi con in bocca ancora i residui della colazione rigettata poco prima.
– Ancora non ne sono sicuro, vieni andiamo alla centrale –
Entrammo in macchina e ci dirigemmo verso la centrale di polizia. Arrivati fummo accolti da un forte chiacchiericcio accompagnato dal rumore delle dita sulle tastiere dei computer. Gli squilli dei telefoni interrompevano saltuariamente la continuità di quel chiasso.
– Aspettami qui – disse Sammy scomparendo nel via vai di poliziotti.
La frenesia della centrale mi metteva quasi a disagio, comprai una bottiglietta d’acqua per levarmi il sapore di vomito dalla bocca. Sammy tornò quasi subito con in mano una videocassetta, mi fece un cenno e quando lo raggiunsi me la porse – Leggi la data – disse mentre agitava con frenesia un mazzo di chiavi in cerca di quella giusta.
Una scritta in verde sul lato della cassetta recitava: “20/09/2019 M.Esposito”.
Aggrottai le sopracciglia e feci un sorso d’acqua risciacquandomi la bocca – Chi sarebbe M.Esposito? –
– Il padre del ragazzino – rispose Sammy
– Finalmente posso associare un nome alla sua faccia… anche se ormai non ha più molta importanza – abbassai lo sguardo reprimendo l’ennesimo conato al ricordo del viso violaceo di Esposito.
Trovata la chiave che cercava, Sammy aprì una porta che dava su una piccola sala conferenze illuminata da lampade al neon. Nonostante le luci era piuttosto buia e non c’erano finestre, intravedevo il Sammy alle prese con la sua claustrofobia. Accese un vecchio televisore, infilò la cassetta nel videoregistratore e premette play. Sullo schermo comparve il video di una telecamera di sorveglianza, riprendeva una sala simile a quella in cui ci trovavamo. Al centro c’era un tavolo, due uomini sedevano uno di fronte all’altro, uno Sammy l’altro Esposito. Esposito era conciato malissimo, gli occhi sgranati e le pupille dilatate, la sua mascella inferiore si muoveva in maniera totalmente innaturale. Tremando e agitandosi cominciò a blaterare strascicando ogni parola come se pesasse una tonnellata.
– C-commissario… n-non mi crederà…– rise – Lei non mi crederà ma io glielo dirò lo stesso –     
– Senta signor Esposito, mi scusi ma non può vagare per il paese in queste condizioni, mi dispiace molto per sua moglie… ma stanotte la dovrà passare in cella – Sammy cercava di essere il più cordiale possibile.
– Mia moglie…– iniziò a piangere all’improvviso – la nostra famiglia non ha fatto niente di male… m-mio figlio l’ha scoperta per caso…– scoppiò in un pianto isterico – L’ha uccisa! l-l’ha uccisa… l-lui è cambiato… commissario la prego non è col-colpa sua è stato c-cambiato da quella cosa, l-lui non prova paura… n-non prova rimorso… non più almeno…– si accasciò sul tavolo singhiozzando tremante e il video si fermò.
Sammy si asciugò una goccia di sudore che gli era scivolata lungo la guancia, tirò fuori una sigaretta e la accese.
– È successo un mese fa, l’ho raccattato per strada in quelle condizioni, strillava blaterando di suo figlio che era stato cambiato…che ne pensi? –
– Penso che quel “mio figlio l’ha scoperta per caso” sia riferito alla buca, motivo per il quale penso che dovrei scendere di nuovo là sotto – ero lusingato da come Sammy mi stesse incominciando a considerare quasi un collega. “Hole rider” mi attraversò la mente per un secondo.
– Si…perché l’ultima volta è andata bene…–
– Come puoi essere ancora scettico riguardo alla buca? un ragazzino ci è scomparso dentro, un uomo si è suicidato dandogli la colpa e inoltre si viene a sapere che pensava che la stessa buca avesse ucciso sua moglie! – l’ironia scettica di Sammy mi irritò parecchio, non toccavo una sigaretta dal giorno in cui ero entrato nella buca. Decisi che quello era il momento giusto per fare un altro tentativo. Uscii dalla centrale con la sigaretta in bocca, piovigginava e un vento freddo mi tagliava il viso. L’accesi e feci un lungo tiro. Non era come al solito, ma meglio dell’ultima volta. Dovevo tornare lì sotto, era l’unica cosa di cui ero sicuro. Dopo poco Sammy mi raggiuse, sbuffò, sputò in una pozzanghera e guardandomi disse: – Senti…se tu vuoi andare lì dentro…va bene, ma devi promettermi…devi promettermi che andrà tutto bene Dario, questa storia…non la capisco, non ci capisco niente…mi spaventa –
Sorrisi e gli posai una mano sulla spalla – Te lo prometto, Sammy –
 
Dormii forse due ore quella notte. Ero eccitato, spaventato e una miriade di altre cose che non so come descrivere. Mi svegliai presto per prepararmi. Sammy mi sarebbe venuto a prendere alle nove, alle sei ero sotto la doccia tentando di immaginarmi ogni possibile scenario riguardante la discesa. Uscito dalla doccia mi asciugai e vestii con calma, rimuginando. Cominciai a preparare l’attrezzatura e decisi di aggiungere un nuovo componente, un vecchio coltello con tanto di piccolo fodero in pelle. In questo modo se fossi riuscito a trovare una parete di roccia, o un ipotetico fondo, avrei potuto prelevare qualche campione. Mi sedetti davanti la mia collezione di minerali e feci due profondi respiri, più si avvicinava l’orario prestabilito più il mio battito cardiaco aumentava. Sembrava di avere una bomba a orologeria nel petto. Il suono improvviso del campanello mi strappò a un probabile attacco di panico, che io stavo combattendo tentando di rimanere assolutamente immobile. Dopo qualche secondo il campanello risuonò una seconda volta, era arrivato il momento di andare.
Durante il tragitto non proferimmo parola e il silenzio regnava nell’auto di Sammy. Un silenzio teso, un silenzio che faceva più rumore di mille parole strillate a squarcia gola. Arrivati mi misi in fretta l’imbracatura e fissai alla cintura la fondina con il coltello. Andai sull’orlo della buca e fissai il suo interno, incantato. Sammy mi si accostò, fece per accendersi una sigaretta ma l’accendino gli scivolò dalle mani cadendo dentro la buca.
– Hai un accendino? –
– No – risposi
– Beh ora dovrai tornare per forza, uno perché mi devi riportare l’accendino e due perché a questo punto ti aspetto per questo tabbaccone – era serissimo
– Ma compratene un altro – dissi sorridendo
– Oh ma che cazzo vuoi? Me l’ha portato tua madre dall’africa ci tengo – tentò di trattenersi per un attimo, poi scoppiò in una fragorosa risata.
Risi anche io. Ci abbracciammo e iniziai a calarmi nell’oscurità della buca.
Ero concentrato. La mia attenzione era rivolta a ogni particolare suono, movimento o sensazione. Bastarono pochi metri di discesa e cominciai a provare quel senso di benessere. Per qualche secondo riuscii a mantenermi lucido, poi il piacere prese il sopravvento sul mio corpo e sulla mia mente. Era un piacere quasi doloroso, come quando il ghiaccio è talmente freddo da bruciarti. Sentii di nuovo l’universo pulsare all’unisono con il mio cuore. All’improvviso un’esplosione sorda, come fosse dietro una porta chiusa. Poi il silenzio, l’oscurità. Stavo cadendo, ne ero sicuro, ma non un filo di vento smuoveva i miei capelli o i miei vestiti. Mi accorsi di stare stringendo qualcosa nella mano destra, la avvicinai agli occhi e nel buio scorsi il mio coltello. Dietro di me, ancora saldamente fissata alla mia imbracatura, la corda con la quale mi stavo calando, tagliata di netto.
 
È da qui che vi scrivo miei cari lettori, se ce ne sono. Né vivo né morto, né in quiete né in movimento. Ma calmo, incredibilmente calmo. Non ho paura e non provo né rimorsi né nostalgia né nient’altro. Semplicemente sono, o almeno penso di essere. Il mio cuore batte, il mio sangue scorre ma posso davvero considerarmi vivo? Solo, in una landa oscura e desolata. Di ciò che ero un tempo è rimasto solo il desiderio di sapere. Sapere dove sono, sapere della buca. Nella mia ingenuità ho ancora speranza. Ma se qualcuno là fuori sta leggendo queste parole forse un’uscita c’è, forse voi saprete che fine ho fatto. Ma se queste pagine non verranno mai trovate, allora io non le avrò mai scritte.
   
 
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