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Autore: Restart    21/08/2019    0 recensioni
Mia è in procinto di sposarsi con Gabriele, quando una bufera di neve improvvisa la costringe a passare il pomeriggio col suo vicino di casa Massimo. La convivenza porterà a galla questioni irrisolte.
Primo capitolo della serie "Per le vie di Firenze".
Genere: Commedia, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Sempre Venerdì.

Dico a Massimo di tenermi alta la pila mentre io cerco di fare mente locale e di ricordarmi di tutti i passaggi. In realtà non l’ho mai fatto, ma Viola tantissime volte. E io altrettante volte l’ho studiata attentamente. Faccio passare lentamente la carta nella fessura, ma quando arrivo alla serratura mi blocco. Ok, fa niente, si riprova. Anche la seconda volta succede lo stesso.
Sento l’agitazione e il nervosismo salirmi lungo la schiena. Anche le cinque volte successive non succede niente. Inizio a sudare freddo.
«Sei sicura di farcela?» domanda lui cercando di soffocare una risata. Merdaccia. Ci riprovo. Questa volta mi sembra diverso; quando arrivo alla serratura ho l’impressione che qualcosa stia succedendo. Sono già pronta con il mio sorriso vittorioso sul viso. Sento un tac ma non è quello sperato.
Massimo scoppia in una risata che gli lascia poca aria nei polmoni. Il sorriso mi si è gelato sulle labbra. Guardo tristemente la carta spezzata nella mia mano. Intanto lui è in deficit respiratorio per le risate.
«Il mago… haha… del crimine! Oh cielo, Mì, sei veramente forte!» mi appoggia una mano sulla spalla, ma io la scrollo infastidita. Con una scossa di stizza, avanzo a lunghe falcate verso casa mia e chiudo la porta, lasciandolo fuori sul pianerottolo.
«Dai Mia, stavo scherzando…» sento la sua voce piano, da oltre la porta.
«Ora rimani lì per punizione» annuncio e lo sento ridere.
«Starai scherzando spero. C’è il gelo polare qui fuori»
«No sono serissima»
«Cazzo Mia, qui ci gelo. Apri, dai per favore» sta battendo al portone, ma faccio finta di non sentirlo. Facciamo sbollire la stizza prima. Mi guardo un po’ attorno e decido che per qualche minuto mi metto a sistemare i cartolari per il matrimonio.
«Miaa, aiutami per favore. Io sono il tuo Jack, non mi lasciar morire di ipotermia qui fuori. Aiuto..» mi fermo un secondo come se avesse detto la parola magica. Mi avvicino al portone e poggio la mano sulla maniglia. Aspetto qualche secondo prima di tirarla giù. Massimo è seduto di fronte alla porta, la testa appoggiata alla colonnina di legno del corrimano.
«Mi odi ancora così tanto?» mi chiede piano, ma io non rispondo.
«Entra vai» rispondo gelida. Lo vedo annuire lentamente ed alzarsi.
Per le seguenti due ore non dice molto; si limita a stare seduto sul divano, la coperta sulle spalle e un libro che ha pescato dalla mia libreria tra le mani. E a me tutto sommato va bene così: non cercavo compagnia oggi. Avevo bisogno di una giornata per me, non per fare la badante al mio vicino di casa fastidioso. Ogni tanto gli lancio un’occhiata e lo trovo sempre nella stessa posizione. Intanto io mi sistemo al tavolo in cucina, col computer davanti. Ogni tanto alzo lo sguardo dal mio lavoro e gli lancio degli sguardi. Mi ritrovo ad osservarlo più volte di quanto credessi. Ad osservare quegli zigomi alti, spigolosi, gli occhi affilati, felini, le labbra carnose, i capelli riccioluti rigorosamente tenuti dietro le orecchie.
Mi fermo a pensare alla prima volta che l’ho visto ed era esattamente come adesso. Solo che i ricci erano più corti, le lentiggini sulle guance ancora più marcate. E poi quelle deboli rughette che ora iniziano a spuntare attorno agli occhi non c’erano ancora. Come non c’era ancora quel caratteraccio che si ritrova. Non era così prima. Era simpatico. Era uno con cui si poteva ridere di tutto, era dedito solamente alla sua amatissima letteratura. Ora invece, ho l’impressione che non ci sia neanche più niente che gli interessi.
Improvvisamente, come se sentisse i miei occhi su di lui, si volta e mi guarda. Delle profonde pieghe si formano sulla sua guancia sinistra. Io cerco di distogliere lo sguardo ma lo sento sempre fissarmi. Chiude il libro e viene verso di me.
«Che ci mangiamo?» mi sussurra all’orecchio e io per la sorpresa faccio un salto sulla sedia. Sicuramente non mi aspettavo che mi dicesse qualcosa.
«Imbecille» sbuffo, leggermente stizzita. Faccio finta di sistemare qualche cartella sul tavolo. «Comunque io al massimo ti posso fare una pasta al burro o all’olio». Massimo fa una faccia schifata e ridacchia.
«Menomale vivi con Masterchef sennò moriresti affamata.»
«Ah-ah»
«Vabbé dai, oggi ti metto al corrente delle mie eccellenti doti culinarie. Altro che Masterchef.» prende il grembiule e lo indossa, facendomi poi segno di andarmene.
«Mi concentro e lavoro meglio quando sono solo in cucina» sorride. «Grazie». Sbatto le palpebre scioccata e poi meccanicamente raccolgo le mie cose e le porto in camera. Mi siedo sul letto ancora disfatto e cerco un modo per spiarlo. Lo sento canticchiare Jovanotti e spentolare e mi scappa un mezzo sorriso. Anche Gabriele è sempre così felice quando cucina, ma non l’ho mai sentito cantare. Il che dopotutto è un bene visto che è più stonato di una campana.
«Posso almeno apparecchiare?» gli chiedo dalla mia stanza.
«No».
Ma che cavolo. Come ho potuto permettergli di impossessarsi di casa mia? Mi affaccio alla porta e un debole profumo di curry arriva dalla cucina. Chissà dove l’ha trovato, non mi ricordavo di averlo comprato…
«Dai posso apparecchiare?» mi guarda con la coda dell’occhio e mi accenna un mezzo sorriso.
«Mh, va bene. Ma non fare danni» acconsente divertito. Non fare danni. Tz, come se non fosse tutta roba mia.
«Dove e quando hai imparato a cucinare?» gli chiedo con falsa nonchalance.
«Grazie a Fede. Dovevo pur sfamarlo» commenta serio. In effetti non riesco a concepire come quel povero bambino sia sopravvissuto otto anni con un individuo del genere. Ma soprattutto perché vive con lui e non con Anita, sua madre e rispettabilissima collega di mio fratello. Cercherò di indagare meglio sull’argomento. Magari Viola sa qualcosa.
«Pronto!» esclama orgoglioso, mostrandomi quello che ha preparato. L’odore buonissimo mi fa rivoltare lo stomaco, ricordandomi che ho fame.
«Non l’avrei mai detto Max, ma è invitante» lui non risponde e si limita a sorridermi. Ci sediamo e iniziamo a mangiare in un silenzio angosciante. La mia mente sta andando a duemila per cercare di trovare uno straccio di argomento che si possa sostenere con lui senza che finisca in litigio e prese per il culo.
«E insomma, quanti anni ha Fede?» wow Mia, che inventiva. Ti daranno il Nobel per questo.
«Nove» mi risponde frettolosamente tra un boccone e l’altro.
«Caspita com’è grande» commento piano, decidendo tra me e me che se la conversazione deve proseguire su questo binario, tanto vale rimanere in silenzio.
«Già. È impressionante quanto cresca in fretta» caspita, sta continuando, non l’avrei mai detto. So che non gli piacciono tanto le chiacchiere a perditempo. Si vede che sta invecchiando e sta diventando più pettegolo. «Vorrei fermare il tempo. Sai quando hai un figlio, percepisci sempre di più il tempo che passa. È angosciante». Si ferma un attimo a guardare nel vuoto, come se stesse finalmente soppesando tutti gli anni passati insieme a suo figlio.
«Non l’avrei mai detto che sarei cambiato così per un bambino» continua piano, inforchettando qualche pezzetto di pollo, infilandoselo in bocca, forse per evitare di parlare. Invece no.
«Tu e Cracco state pensando già ai figli?» chiede poi e io per poco non mi strozzo.
«Facci sposà prima, e poi se ne riparla. Forse.» concludo frettolosa, gelida. Mi osserva accigliato, cercando di decifrare le mie parole. Ma mi pare di essere abbastanza chiara.
«Io credevo che tu…»
«No. No.» confermo, fissandolo negli occhi. Sento il mio labbro vibrare debolmente, così anche la mia mano. Vedi un po’ di non metterti a piangere ora. Soprattutto davanti a lui. Max annuisce e abbassa lo sguardo.
«Posso sapere come mai no?» domanda piano, senza alzare gli occhi dal piatto. Una scossa mi percorre tutta la spina dorsale. Mi sento combattuta. È il mio segreto, il mio piccolo grande segreto e non voglio dirlo a nessuno. Ma sento il bisogno di liberarmi, perché da piccolo che era, sta diventando un fardello sempre più grande. E non credo di essere in grado di sopportarlo. Incontro le sue iridi scure che hanno perso quel velo di ironia amara e ora sembrano più familiari, più cordiali.
«No». Max annuisce. «Ricordati che noi ci detestiamo». Non dice altro e alla fine a me sta bene così. Non ho più voglia di parlare e in silenzio posso concentrarmi meglio su come organizzare i prossimi giorni. Ma ormai le sue iridi scure e curiose sono scolpite nella mia mente. Non riesco più a concentrarmi.
Per fortuna finisce prima di me di pranzare. Si alza a sparecchia il suo piatto.
«Posso mettermi a leggere su nello studio? Così ti puoi occupare delle tue cose senza rompimenti» mi dice piano e io mi limito ad annuire. E lui così fa, prende un paio di libri nella libreria e se ne va su, nelle camere, senza dire altro.
E io cerco di lavorare, di organizzare il possibile. Rispondo a qualche mail, faccio un giretto su internet per cercare una meta per la luna di miele. Eh già, è proprio un casino organizzarla. Ci sono un sacco di posti che vorrei vedere e sono tentata di fare come Becky Bloomwood. Vorrei tanto lasciare tutto e partire per un anno a giro per il mondo, lasciandomi dietro mia madre e tutta la mia vita a Firenze. Prendere una boccata, ma di quelle lunghe. Alla fine ci rinuncio, lasciando in prima posizione il Portogallo, evidenziato in rosa e giallo.
Mi metto a rassettare un po’ il salotto e la cucina, ma lascio perdere dopo qualche minuto, svogliata. Non mi rimane altro che fissare il soffitto desolata, affogata in una noia di cui è complice anche la tempesta fuori. Decido di andare poi su, a dare un’occhiata a Max. Lo trovo seduto sulla poltrona dello studio, concentrato su una lettura che io non sono mai riuscita a portare a termine (Anna Karenina, ndr. Mi dispiace, ma è troppo lungo, mi sono scocciata poco prima di metà).
«Che fai? Sbirci?» mi chiede senza alzare gli occhi dal libro. Mi avvicino e mi butto sulla poltrona davanti alla sua. Tiro su le gambe al petto e mi butto la coperta addosso.
«Mi sto rompendo un poco» borbotto, coprendomi la bocca; in realtà non voglio che senta. Ma lui lo fa e sorride divertito..
«Stai per ammettere che è meglio la mia compagnia? Wow Mia, sei messa maluccio» ridacchia, cambiando pagina.
«Non lo sto ammettendo, sto solo dicendo che mi sto rompendo» puntualizzo facendo schioccare la lingua sul palato.                                                                                 
«Leggi un libro, ne hai centinaia, scommetto che non ne hai mai letto uno»
«Che palle Max. Alcuni li ho letti, anche un paio di volte»
«Sì, I delitti del BarLume» commenta acido.
«Ei, sono divertenti e mi fanno scervellare il giusto» sottolineo, cercando di riprodurre il suo tono da saccente. «Non tutti sono in grado di leggere zeppe per tavolini». Chiude il libro sonoramente e mi fissa negli occhi.
«Tu sei in grado, ma non ne hai voglia» asserisce, puntando un suo dito ossuto verso di me, e con lo sguardo serio.
«Semplicemente io quando leggo voglio distrarmi e non voglio impegnarmi più di tanto» appunto. «Non continuiamo questa conversazione, perché sappiamo entrambi che finiremo a parare nel punto sbagliato e quindi a scannarci.» Lui sembra non ascoltarmi, tant’è che continua senza mai guardarmi.
«Sei sempre alla ricerca di cose impattanti, forti, istantanee. Non sai goderti una lettura lenta, avvolgente» ecco, ha cominciato la manfrina.
«Max, abbiamo già fatto questa discussione. Io sono team arte, tu sei team letteratura. Se continuiamo si finisce per prenderci a botte. Non svegliar can che dorme».
«Io veramente non capisco come tu possa limitarti al visivo, la lettura dà centinaia di sensazioni, mille sfumature…»
«Dio, sei proprio limitato delle volte; fai tanto l’aperto di mente, ma non riesci ad apprezzare un quadro, ti sei addormentato alla National Gallery! Sei uno senza speranza. Un uomo di lettere come te come non può apprezzare la pittura, la scultura? Come non puoi sentire il cuore che ti batte mentre sei dentro la Cappella Sistina? Sei di marmo solo te?»
«Ti posso fare lo stesso discorso. Sei una donna che vive d’arte e sono sicuro hai mai letto l’Oeuvre di Zola?»
«Sì, ce lo propinò la professoressa di francese e io ci ho messo anni per digerire quel mattone. Preferivo vivere senza. E forse vivevo meglio» okay, abbiamo decisamente superato il limite. Me ne accorgo perché siamo entrambi in piedi e ci fissiamo con gli occhi furenti. Lo abbiamo fatto di nuovo. La conversazione ha degenerato nuovamente in discorsi senza capo né coda, solo per il gusto di attaccarsi. Veramente, mi stupisco veramente come non riesca ad avere una conversazione sensata, dove ci parliamo normalmente, senza incazzarsi via.
Massimo si risiede con un tonfo e si guarda le dita pensoso. Io decido che forse era meglio fissare il soffitto in silenzio. Raccolgo la coperta e me ne vado.
«Dai Mia, scusa…» tenta di raggiungermi, ma allungo il passo
«Vaffanculo» e sbatto la porta del corridoio.
   
 
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