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Autore: Abby_da_Edoras    22/08/2019    4 recensioni
Con questa long fic vado a infastidire anche la prima stagione della serie TV "I Medici", ma per un buon motivo: come sempre, salvare la vita ai personaggi che mi sono piaciuti e, anche in questo caso, uso la tecnica della leggerezza, della parodia, e inserisco un personaggio originale, Giovanni Uberti, il cui prestavolto è l'attore che interpreta Jeremy Gilbert in The Vampire Diaries (non c'entra niente, ma mi piaceva!). Dunque, Giovanni arriva a Firenze per motivi tutti suoi, personali e familiari, e si troverà suo malgrado proprio nel bel mezzo delle lotte intestine tra Medici e Albizzi. Nonostante all'inizio non voglia assolutamente farsi coinvolgere, poi si troverà fin troppo coinvolto! E sarà lieto fine per tutti, perché io scrivo per questo.
Voglio mettere in chiaro che in questa storia mi ispiro esclusivamente alla serie TV e che non voglio minimamente arrecare offesa a qualunque personaggio storico venga nominato. Per le parti relative agli Uberti e alla loro storia, mi ispiro al romanzo "Il Cavaliere del giglio" di Carla Maria Russo.
Non scrivo a scopo di lucro e personaggi e situazioni appartengono a autori, registi e produttori della serie TV "I
Genere: Angst, Commedia, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Medici Abby's Version'
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Capitolo undicesimo
 
I feel guilty
My words are empty
No signs to give you
I don't have the time for you

You say I'm heartless
And you say I don't care
I used to be there for you
And you've said I seem so dead, that I have changed
But so have you

Guilty, guilty, I feel so 
Empty, empty, you know how to make me feel…

(“Guilty” – The Rasmus)
 
“Giovanni, devo confessarti che, anche prima che tu mi parlassi, era mia intenzione andare a fare visita a Rinaldo e poi intercedere presso la Signoria affinché non fosse condannato a morte” rivelò Cosimo a uno stupitissimo Giovanni.
“Dite sul serio, Messere? Ma io credevo…”
“Anch’io credevo di volere la sua morte, ma mi sbagliavo” replicò l’uomo. “Innanzitutto devo tenere conto che, con ogni probabilità, se Rinaldo è diventato l’uomo che è oggi, in parte è a causa mia per ciò che accadde vent’anni fa. E’ vero, non avevo intenzione di tradirlo, ma il risultato fu che lui e il padre persero tutto, furono incarcerati e frustati… Per quanto abbia poi ripagato i suoi debiti, non posso non temere che sia stata una simile esperienza a trasformare un ragazzo scanzonato e sbruffone in un uomo gelido e vendicativo.”
Giovanni lo ascoltava senza rendersi conto delle lacrime che gli erano spuntate tra le ciglia, ma Cosimo le vide e comprese, senza altri indugi, che il ragazzino, per quanto non volesse ammetterlo o, forse, nemmeno lo capisse, si era innamorato di Albizzi… e con tutto l’ardore e l’irragionevolezza di un diciassettenne al primo amore!
“Inoltre, per più di un anno ho ritenuto che Albizzi fosse colpevole della morte di mio padre, che è stato avvelenato prima che tu arrivassi a Firenze” continuò il Medici, “ma proprio oggi Marco Bello mi ha rivelato che gli indizi portano verso altri responsabili, quindi io non ho un vero motivo per desiderare la morte di Rinaldo, anzi. Certamente sarà punito, ma la condanna al patibolo gli sarà evitata, per quanto è in mio potere.”
La storia dell’avvelenamento giungeva nuova a Giovanni, nessuno gliene aveva mai parlato, nemmeno Piero…
“Non sapevo niente dell’assassinio di vostro padre” disse, pensieroso, “ma, se lo aveste chiesto a me, vi avrei potuto dire subito che non era stato Messer Albizzi. Un avvelenamento, figuriamoci, non è da lui! Il veleno è l’arma delle donne e dei codardi. Messer Albizzi, caso mai, avrebbe organizzato un qualche intrigo per far condannare a morte vostro padre pubblicamente, come ha cercato di fare con voi, è questo il suo stile.”
Cosimo si lasciò sfuggire un sorrisetto.
“Sembra che tu lo conosca alquanto bene” commentò, divertito. “Tuttavia è quello che ha detto anche Marco Bello e io la penso allo stesso modo, per questo l’ho mandato a seguire altre piste.”
“Beh, a quanto pare le grandi menti pensano all’unisono” disse Giovanni, riferendosi chiaramente a lui stesso, Cosimo e Marco Bello!
“Andrò oggi stesso a parlare con Rinaldo” spiegò poi il Medici. “Voglio assicurarmi che stia bene e dirgli che intercederò per lui presso la Signoria, in nome di quello che ci ha legati anni fa e che, seppur involontariamente, io ho tradito. In cambio cercherò di ottenere la verità sull’avvelenamento di mio padre: se non è stato lui, non avrà alcuna difficoltà a rispondermi. E io non credo affatto che sia stato lui, non più.”
“Allora mi permettete di venire con voi, Messer Cosimo?” domandò Giovanni. Aveva bisogno di vedere come stava Albizzi e, a dirla tutta, gli mancava anche parecchio… ma avrebbero dovuto frustare anche lui per farglielo ammettere!
Cosimo esitò. Aveva trascorso giorni e notti orribili in quella cella, mesi prima, e immaginava che Rinaldo non sarebbe stato in buone condizioni. Non voleva turbare la sensibilità del ragazzino che, sebbene facesse il duro, era pur sempre un diciassettenne che aveva perso la testa per quell’uomo… no, non era il caso che lo vedesse, almeno per il momento.
Doveva trovare una scusa, però.
“Giovanni, mi assicurerò io che Rinaldo abbia tutto ciò di cui ha bisogno, ma almeno quest’oggi ho necessità di parlargli da solo, visto che voglio interrogarlo sulla morte di mio padre. Poi dovrò anche passare dal Gonfaloniere Guadagni per chiedergli di mitigare la sua pena” replicò. “Domani sarà tutto più tranquillo e potrai venire con me a fargli visita.”
Giovanni non pareva tanto convinto ma, con sorpresa di Cosimo, non fece polemica e non si ribellò.
Accidenti, doveva essere proprio innamorato e l’arresto di Albizzi l’aveva sconvolto davvero tanto se pareva aver domato, in parte, quel suo caratterino ardito!
Tuttavia il Medici ebbe ben presto modo di ricredersi.
Quella sera, quando tornò dopo aver parlato sia con Albizzi sia con Guadagni, Giovanni gli fu subito addosso per sapere tutto… e lui non poté mentirgli.
“Il Gonfaloniere Guadagni si rimette alla decisione della Signoria. Non è lui a volere la morte di Albizzi, ma sa già che la maggior parte voterà per il patibolo… compresi molti nobili, tra cui Andrea Pazzi” disse.
“Pazzi… dovevo aspettarmelo, quel vigliacco lo ha tradito e spera di prendere il suo posto, ne sono certo! Del resto la sua famiglia fece così anche con i miei antenati: quelli hanno il sangue marcio, non c’è niente da fare” commentò, sprezzante. “Ma voi avete prestigio e influenza, non potete cercare di convincere la Signoria?”
“Infatti è ciò che farò, pur non avendo alcun aiuto da parte di Rinaldo” ammise Cosimo.
“Che volete dire?” insisté Giovanni, e il suo sguardo era talmente addolorato e preoccupato che non se la sentì di mentirgli e gli raccontò tutto.
Albizzi rifiutava il cibo e sembrava essersi completamente arreso, come se non avesse più alcun motivo per lottare. Non avrebbe collaborato in alcun modo, si comportava come se volesse la condanna a morte, come se avesse perduto tutto e preferisse farla finita.
“Ma no, non è possibile” mormorò Giovanni, incredulo e sconvolto. “Messer Albizzi è un guerriero, è fin troppo sicuro di sé, non si arrenderebbe mai così!”
“Sa di aver perso” ribatté Cosimo, anche lui deluso. “E’ come se non avesse altre ragioni per vivere e per combattere.”
“No, no, no” ripeté il ragazzino, scuotendo con decisione il capo. “Domani dovete portarmi da lui, vedrete che gli farò cambiare idea, lo tormenterò finché non mi darà ascolto, so come fare!”
Ancora una volta il Medici era titubante: certo conosceva il carattere di Giovanni e la sua capacità di insistere fino allo sfinimento, forse davvero lui era l’unico che poteva spingere Rinaldo a resistere… tuttavia, come avrebbe reagito vedendolo in quelle condizioni? Era rimasto male anche lui nel trovarlo così spento e arreso, che cosa avrebbe potuto provare il ragazzo?
Eppure se c’era al mondo qualcuno capace di scuotere Rinaldo, questo era Giovanni Uberti.
“Va bene, domani ti porterò con me e vedremo se riuscirai a farlo ragionare. Forse ti ascolterà, mentre si rifiuta anche solo di stare a sentire me” concluse Cosimo.
Tutto pareva sistemato, ma Giovanni non riusciva a togliersi dalla testa le parole del Medici: Rinaldo si era arreso, non lottava più, rifiutava il cibo e, se avesse continuato così, non ci sarebbe stato bisogno nemmeno del patibolo per condannarlo…
Un dolore sordo gli artigliava il cuore e non gli dava pace. Pensava a quell’uomo, solo in quella cella fredda e umida, che si lasciava andare. Doveva fare qualcosa, doveva tirarlo fuori di lì a tutti i costi!
Quella sera, durante la cena, Giovanni finse soltanto di sbocconcellare qualcosa, mentre nascondeva in un panno di lino che teneva sopra le ginocchia pane, formaggio, frutta e qualsiasi cosa potesse spingere Albizzi a interrompere lo sciopero della fame. Prima di andare a dormire mise tutto in una sacca di tela, insieme ad una fiaschetta con del vino che aveva rubato in cucina; infine, dalla sua stanza, prese una grossa e pesante coperta. Avrebbe portato tutto questo il giorno dopo a Rinaldo, in modo da rendere meno duro il tempo che gli restava da passare in quella tetra prigione.
Avrebbe pensato lui a tutto e, con l’aiuto di Messer Cosimo, avrebbe salvato quell’uomo!
Così, il pomeriggio seguente, Cosimo accompagnò Giovanni al Palazzo della Signoria, fino alla torre in cui c’era la cella di Rinaldo. Si era accordato con il Gonfaloniere perché il ragazzo avesse il permesso di entrare nella cella e di parlare con il prigioniero quanto avesse voluto; era preoccupato per Albizzi, nonostante tutto lo considerava ancora un amico ma sapeva che l’uomo non avrebbe mai accettato il suo aiuto, era ancora troppo pieno di rancore e di orgoglio. Forse Giovanni sarebbe riuscito a spingerlo a reagire…
“Giovanni, con tutta quella roba che ti porti appresso penseranno che tu voglia organizzare un’evasione” disse scherzosamente Cosimo mentre saliva la lunga rampa di scale che conduceva alla cella. Cercava di sdrammatizzare perché non aveva mai visto Giovanni così turbato e temeva che, con Rinaldo in quelle condizioni, sarebbe rimasto ancora più male.
“Voglio solo che mangi e che stia al caldo” replicò il ragazzo, con uno sguardo triste. “Farò di tutto per tirarlo fuori da quella cella il prima possibile, ma i mezzi che intendo usare sono tutti legali!”
Quando giunsero al luogo di prigionia, Cosimo parlò con il carceriere e gli fece aprire la cella, lasciando entrare Giovanni. Lui non sarebbe entrato, sapeva bene che Albizzi non voleva nemmeno vederlo, così rimase in disparte, scambiando due chiacchiere con il custode della prigione per far passare il tempo.
Albizzi era ancora di umore tetro, eppure si riscosse almeno un po’ alla vista di Giovanni.
“Cosa ci fai tu qui, ragazzino? Chi ti ha fatto entrare?”
“Messer Cosimo ha ottenuto il permesso dal Gonfaloniere” spiegò il giovane, posando sul tavolo tutto quello che aveva portato. “Ve l’avevo detto che avrei cercato di aiutarvi, no? Per adesso è solo questo, ma vedrete che riuscirò a farvi liberare!”
“Sei proprio un illuso” mormorò Rinaldo, amaramente. “E quella roba che hai portato a cosa dovrebbe servire?”
“Messer Cosimo mi ha detto che rifiutate di mangiare. Beh, magari il cibo della prigione fa davvero schifo, ma io vi ho portato pane, formaggio e altre cose dalla tavola dei Medici!” annunciò Giovanni, fiero di sé.
Albizzi non parve altrettanto emozionato, anzi voltò le spalle al ragazzo e ai suoi doni.
“Non voglio niente e tanto meno la carità di Cosimo!” sibilò.
“Ah, beh, non vi sprecate a ringraziarmi, mi raccomando” replicò indignato il ragazzino, prendendo subito fuoco. “Del resto non credo che siate nemmeno capace di dire grazie a qualcuno, vi piace troppo far pensare che non avete bisogno di nessuno. Comunque, tanto perché lo sappiate, questa non è la carità di Messer Cosimo: ieri sera ho rinunciato alla mia cena per mettere da parte queste cose per voi e anche la coperta viene dalla mia stanza!”
Quelle parole ebbero finalmente effetto su Albizzi, che guardò più intensamente Giovanni, rendendosi conto di quanto avesse veramente cercato di fare per lui. Quando mai, nella sua vita, aveva potuto contare davvero su qualcuno? L’unica volta in cui si era davvero aperto, vent’anni prima con Cosimo, l’aveva pagata cara, ma adesso sembrava proprio che di quel ragazzino sfacciato ci si potesse fidare…
“Va bene, allora vieni qui, mangeremo insieme quello che mi hai portato, visto che anche tu hai fatto il digiuno” gli disse, addolcendosi un po’ e invitandolo a sedersi accanto a lui. Si sentiva strano. Aveva pensato che non avrebbe mai più rivisto Giovanni e credeva che non gli importasse: aveva perso tutto e, per quel che lo riguardava, la Signoria poteva anche condannarlo a morte. Eppure ora Giovanni era lì con lui, aveva dimostrato di tenerci davvero e… e Rinaldo si rendeva conto che quel ragazzino gli era mancato e che era contento di averlo rivisto.
Si divisero amichevolmente quella specie di cena improvvisata e, nel frattempo, Giovanni cercava di incoraggiare l’uomo, di farlo reagire. Non capiva proprio perché fosse tanto abbattuto, lui che di solito si mostrava fin troppo agguerrito e pronto allo scontro. Cosa gli era accaduto?
“Messer Albizzi, dovete davvero cercare di mantenervi in forze. Io farò di tutto per farvi uscire di qui, ve l’ho promesso e lo farò, lo sapete che non vi mento mai” insisteva. “Non permetterò che a Firenze qualcuno debba di nuovo subire quello che ha passato la mia famiglia!”
“Giovanni, forse dimentichi il fatto che io ho veramente assoldato dei mercenari per prendere il potere” fece Albizzi, sarcastico. “Non era mia intenzione tradire o rovesciare la Repubblica, questo no, ma volevo impedire ai Medici di tornare a Firenze e probabilmente ho scelto il modo sbagliato.”
Probabilmente, diceva lui!
“Beh, se vogliamo essere del tutto sinceri, allora i miei antenati Farinata e Neri degli Uberti combatterono con Siena e sconfissero Firenze nella battaglia di Montaperti” ammise il ragazzo, un po’ a disagio. “Fu solo per quello che riuscirono a tornare in città e a governarla per qualche anno…”
Insomma, qualche scheletro nell’armadio ce l’avevano anche gli Uberti!
Quelle parole, tuttavia, provocarono la desiderata reazione in Albizzi: l’uomo si lasciò sfuggire una breve risata e strinse a sé Giovanni.
“Ah, ecco perché sei tanto solidale con me, anche i tuoi antenati hanno commesso qualche scorrettezza!” commentò, ritrovando una punta di divertimento. La presenza di quel ragazzino, evidentemente, lo stimolava…
“I miei antenati non volevano fare altro che il bene di Firenze!” reagì Giovanni, piccato.
“E io potrei dire lo stesso, no? Io so che il governo dei Medici è sbagliato e che dovremmo tornare alle tradizioni di un tempo” ribatté Albizzi. “Ho cercato di impedire che Firenze finisse in mano a usurai e arricchiti.”
“Va bene, ma assoldare dei mercenari…”
“E invece combattere al fianco della città nemica per eccellenza?” obiettò Albizzi. Questa volta, stranamente, era lui ad aver trovato il modo di avere l’ultima parola con Giovanni! Poi, tanto per non perdere il suo vantaggio e anche perché, sebbene non volesse ammetterlo, il ragazzo gli era mancato, lo strinse più forte e lo baciò, profondamente e lungamente.
E Giovanni perse del tutto la cognizione del tempo e dello spazio!
Quando Cosimo venne a richiamarlo per tornare a Palazzo Medici era ormai sera.
“Giovanni, dobbiamo andare” gli disse, cercando di non guardare troppo quello che stava succedendo in quella cella. Sì, voleva una reazione di Rinaldo, ma non era obbligato a vederla, no?
“No, io non me ne vado da qui” dichiarò inaspettatamente il ragazzino.
“Cosa dici? Non puoi restare in una prigione” ribatté Cosimo. “Sei un ragazzo, non puoi rimanere qui, questa cella di notte è gelida e…”
“Proprio per questo. Io non lascerò qui Messer Albizzi. Se non può venire anche lui, allora resto io qui!” ribadì, con tutta l’irragionevolezza dei suoi diciassette anni.
Questo non se l’erano aspettato, né Cosimo né Rinaldo, che cominciava a chiedersi quanto davvero tenesse a lui quel ragazzino…
“Diglielo, Rinaldo. Non può restare qui” riprese Cosimo, appellandosi al discutibile buon senso del suo rivale. Per fortuna, almeno per una volta, Albizzi parve ritrovare una certa lungimiranza.
“Mi secca immensamente ammetterlo, ma questa volta Cosimo ha ragione” disse, stringendo sempre a sé Giovanni. In effetti, gli seccava anche doverlo mandare via… “Io starò bene, mi hai portato anche una coperta pesante. E tu devi uscire, altrimenti come farai a parlare alla Signoria e a convincerli a liberarmi, come mi hai promesso?”
Lo baciò ancora una volta prima di lasciarlo andare. Sì, non gli sarebbe affatto dispiaciuto tenerselo in cella per una notte almeno…
Giovanni dovette cedere e lasciarlo lì, ma il proposito era sempre più saldo nella sua mente.
Io vi farò uscire da qui, Messer Albizzi, vedrete se non ho ragione!
Rinaldo e Giovanni erano entrambi testardi e orgogliosi e proprio per questo si scontravano tanto spesso, ma adesso il loro legame stava lentamente cambiando. Aver visto l’uomo in carcere aveva turbato moltissimo il giovane Uberti, che non avrebbe lasciato nulla di intentato per liberarlo, per salvarlo dalla condanna a morte e, possibilmente, per restituirgli la vita di prima. C’era anche da dire che, per Giovanni, la cosa era ancora più personale in quanto vedeva in Rinaldo ciò che era accaduto al suo antenato Farinata e di certo non poteva accettare che succedesse tutto una seconda volta.
Adesso c’era lui e non avrebbe lasciato che le cose andassero come allora!
Il problema, però, era che Rinaldo Albizzi era troppo orgoglioso per collaborare e piegarsi, per cui sarebbe stato doppiamente difficile riuscire a fare qualcosa per lui…
Ma niente avrebbe fermato il nostro Giovanni adesso che si era accorto (finalmente!) di quanto tenesse a quell’uomo, e se ne sarebbero viste ancora delle belle!
 
FINE
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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