Disclaimer:
I
personaggi di Lady Oscar
non mi appartengono e sono proprietà esclusiva di Ryoko
Ikeda.
XII
– 14 Luglio 1988
E’
una corsa a perdifiato, il vento
che le scompiglia i capelli e le accarezza il viso in un effluvio di
lavanda
che si alza dalle spighe disturbate dagli zoccoli di Caesar. Lascia il
cavallo
libero, a riprendere fiato un po' distante dalla sua meta e ora procede
a
piedi, scostando le fronde degli alberi che nascondono la radura
adiacente il
fiume.
Se
lo trova davanti, in piedi, la
schiena appoggiata al tronco della grande quercia, le gambe incrociate
e le
braccia conserte. Accanto a lui due spade conficcate nel terreno
morbido le
comunicano che la stava aspettando. Dopotutto non stava scappando da
lei.
Quando
alza il viso nella sua
direzione sa che dovrà lasciargli combattere la sua
personale battaglia tra
odio e amore, tra rosso e nero, a
modo suo.
Vola
la spada che va a conficcarsi
con calcolata precisione a un passo dalla punta dei suoi stivali. Prima
di
impugnarne l’elsa, se li sfila con calma misurata, senza
abbandonare lo sguardo
dal suo, apparentemente impassibile: è a piedi nudi, i
calzoni arrotolati al
polpaccio e se deve misurarsi con lui vuole farlo alla pari.
Senza
anteporre alcuna parola, è lui
ad attaccare per primo con un fendente che incontra la resistenza del
filo
della spada di lei, che dura fatica a respingerlo tanta è la
forza impressa nel
colpo. Si ritrovano di nuovo lontani, per poco, perché
adesso è lei a portare
un affondo che lui prontamente para con una battuta sul ferro. Lei si
copre
correggendo la posizione del braccio in modo da non offrirgli un
bersaglio
facile, ma è costretta ad indietreggiare non essendo in
grado di opporre uguale
forza nella contesa fino a che la sua schiena non incontra la corteccia
ruvida
di una grande quercia. Le spade incrociate all’altezza dei
loro volti che ora
si fronteggiano in un dialogo orfano di parole, le braccia e le spalle
di
entrambi tese allo spasmo nel tentativo di avere la meglio
sull’altro. Lui non
sembra offrirle via di fuga e il tempo sembra dilatarsi mentre la tiene
inchiodata lì e ne approfitta per avvicinarsi di un passo,
lasciando che i loro
corpi quasi si sfiorino.
«Non
avevi il diritto di scegliere
per me!»
Il
tono a metà tra la rabbia e la
tristezza.
«Tredici
anni Oscar! Per tredici anni
mi hai costretto in un mondo parallelo, un mondo fittizio che mi ha
riservato
solo sofferenza. E’ stato questo il tuo modo di proteggermi?
Dimmi Oscar, hai
mai visto felicità nei miei occhi mentre ti guardavo inerme
credendoti
innamorata di un altro?».
Lei
accusa il colpo che ferisce più
della spada, ma non si sottrae al suo sguardo ferito né
intende arginare la sua
rabbia che, come l’onda del mare in tempesta, ha bisogno di
gonfiarsi e
travolgere ogni cosa sul suo cammino prima acquietarsi e scemare.
Lui
la percepisce arrendevole e se ne
rammarica. Arretra di due passi lasciandola finalmente libera e si
mette in
posizione di attesa, incitando l’iniziativa
d’attacco del suo avversario che
non tarda ad arrivare quando questo capisce che lui non si
accontenterà di una
vittoria facile. Vuole che lei gli opponga le sue ragioni, le vuole
sentire,
vuole confutarne la logica, dimostrarle l’enormità
del suo errore,
l’irreparabilità delle conseguenze. Come avrebbe
potuto restituirgli tredici
anni di una vita vissuta a metà?
Gli
si scaglia contro in un attacco
di battuta che termina nuovamente nello stridore delle lame che si
incontrano
in un equilibrio precario di forze che non si equivalgono e che presto
vede
nuovamente lei soccombere al suo respingimento.
«Ho
impiegato troppo tempo a capire
di aver sbagliato. Mi dispiace, vorrei poter tornare indietro e
cambiare il
corso degli eventi, delle nostre vite, ma non posso. Non posso ridarti
ciò di
cui ti ho privato, ma credimi se ti dico che è stato
ugualmente penoso per me
rinunciare a te, a noi. Ingannarti giorno dopo giorno mi ha straziato
l’anima,
ma dimmi Andrè, sei così sicuro che al mio posto
non avresti vacillato? Saresti
stato pronto a correre il rischio di vedermi morire per mano di mio
padre?».
Sgrana
gli occhi colpito dalle sue
parole. Non che non ci avesse mai pensato, ma aveva sempre ritenuto che
l’unica
cosa che contasse davvero fossero i sentimenti di Oscar per lui,
nemmeno la
nobiltà per nascita l’avrebbe persuaso a chiederne
la mano: non l’aveva mai
voluta a ogni costo, voleva innanzi tutto essere amato da lei. Aveva
sempre
pensato che se ciò fosse avvenuto, per tutto il resto
avrebbero trovato una
soluzione.
Poi
gli vennero in mente le parole
che gli aveva rivolto poco prima, in camera sua:
“Tua
nonna, la servitù intera,
persino Hortence. I tuoi sentimenti non sono un segreto per nessuno qui
a
palazzo. E’ pericoloso. Troppo”.
Come
un incubo ad occhi aperti non
fatica ad immaginare il generale nell’atto di alzare la spada
sulla carne della
sua stessa carne. E percepisce tutto il nero della
paura. Allora le
ragioni di lei non gli paiono più così facili da
demolire e la rabbia lascia
spazio alla tristezza più grigia.
«Sono
solo un servo...». Il tono
piatto di una constatazione che suona come una condanna.
«Non
per me. Non lo sei mai stato. Ma
per tutti gli altri saremmo sempre e solo questo, servo e padrone. Non
sarò mai
libera di mostrarti al mondo con l’orgoglio che sento. Il
nostro sarebbe un
amore che si nutre nell’ombra, che non vedrebbe mai la luce
del sole. Pensavo
tu meritassi di più».
«Avresti
dovuto dirmelo. Non mi
sarebbe importato rimanere nascosto agli occhi del mondo, mi sarebbe
bastato che
mi vedessi tu, come ti vedo io».
Ancora
ansante dallo sforzo,
brandisce la spada nuovamente e la sfida in uno scambio serrato di
affondi ed
incroci, finché nell’impeto dell’azione
la punta della spada incappa
inavvertitamente nella resistenza del nodo della fusciacca di lei,
là dove si
annoda sul fianco, facendo perdere l’equilibrio a lei e a lui
la presa
sull’arma che cade a terra in un tonfo attutito
dall’erba morbida.
Il
braccio si muove in un movimento
riflesso guidato da una memoria antica e la mano si allunga alla
ricerca di un
appiglio conosciuto che si manifesta sotto le sue dita come la stoffa
leggera
del colletto della camicia di lui, che trascina con sé
nell’eco di un’altra
caduta. Sopra di loro un foglietto bianco, sfilatosi dalla fusciacca
allentata
di lei, volteggia portato dalla brezza mattutina, fino a posarsi lieve
a un
palmo dai loro visi. Lui gli rivolge la sua attenzione, curioso, poi ne
riconosce il soggetto e il tratto. Le rivolge uno sguardo interrogativo.
«Siamo
bellissimi». Mentre lo dice le
si dipinge un sorriso dolce sul viso, che lentamente si fa supplica di
una
risposta che attende ma che non vuole forzare.
E’
consapevole delle proprie mani
ancora strette alla sua camicia, così come del suo corpo che
le grava addosso,
del respiro trattenuto di lui e della luce nei suoi occhi che si sono
fatti
cupi di desiderio trattenuto. Libera una mano che porta in una carezza
leggera
alla sua guancia e rimane in attesa, come un condannato in attesa della
lettura
della sentenza.
E
il verdetto infine arriva dolce
sulle labbra, a restituirle un sapore mille volte maledetto, mai
dimenticato,
troppe volte agognato. Interrompono il bacio e restano a guardarsi, il
fiato
corto, in un silenzio emozionato, denso di parole che non hanno bisogno
di
essere pronunciate. C’è gratitudine negli occhi di
lei, per una scelta che non
dava per scontata, che ora sa averla salvata da una vita insipida,
orfana del
suo sapore. C’è un senso di
ineluttabilità negli occhi di lui, che parla di un
sentimento antico da cui non può e non vuole prescindere, di
una battaglia
vinta contro il suo orgoglio ferito cui non permetterà di
frapporsi fra loro e
la felicità che ancora li aspetta.
Non
sono necessari altri chiarimenti.
Riprende la danza sensuale delle loro bocche che si esplorano audaci,
lasciando
che la dolcezza lasci presto spazio alla frenesia e le mani cerchino la
pelle,
liscia e calda sotto all’impedimento dei vestiti, e i muscoli
tesi
nell’emozione di potersi finalmente toccare.
«Staremo
attenti, nessuno ci scoprirà
mai. Ci daremo delle regole». Le sussurra lui con la voce
arrochita.
«Mai
a palazzo». Gli risponde lei.
«Non
siamo a palazzo ora» - le fa
notare lui - «e io ti voglio Oscar. Ti voglio ora come
allora»
Accosta
il viso al suo orecchio,
respirando il profumo buono e inebriante dei suoi capelli.
«Fai
l’amore con me, adesso». Una
preghiera.
Per
tutta risposta lei fa scivolare
le mani sotto alla sua camicia e percorre la schiena a ritroso, a palmi
aperti
portandosi dietro la stoffa fino a fargli alzare le braccia e a
sfilarla, poi
gli prende le mani e se le porta in vita invitandolo a fare lo stesso
con la
sua.
Il
contatto della pelle sulla pelle
accende in entrambi la passione a lungo coltivata solo nei loro sogni e
mai
sopita, e sono bocche che si divorano e suggono, e mani che impazienti
accarezzano e stringono la carne che anela mischiarsi con la carne.
«Dimmi
che non mi fermerai...». Una
supplica.
«Fai
l’amore con me Andrè, amami
adesso».
E
lui la ama con pazienza e devozione
e mentre osserva il viso di lei trasfigurarsi nel piacere che riesce a
donarle
pensa che gli amplessi consumati alla disperata ricerca di una tregua
per il
suo cuore provato dal peso della sofferenza non sono nemmeno
l’eco sbiadita di
questo momento.
Fra
gemiti e sospiri si donano l’uno
all’altro con una naturalezza che bandisce il pudore, si
annullano i confini
dei rispettivi corpi mentre sperimentano insieme il piacere della carne
e
l’unione di due anime affini destinate a completarsi, ma che
l’ottusità dei più
vorrebbe divise da etichette buone solo a generare
infelicità.
Pochi
saprebbero riconoscere la
verità nella visione conturbante dei loro due corpi
avvinghiati in un unione
completa e indissolubile: un uomo e una donna, né servo
né padrone, solo un
uomo e una donna che rincorrono a grandi passi una felicità
troppo a lungo
negata.
Si
stringe forte al corpo vigoroso
del suo uomo Oscar, con una mano gli scosta una ciocca corvina dalla
fronte e
trova nel verde dei suoi occhi una luce nuova, che non gli aveva mai
visto, che
le riempie il cuore e sa di felicità. Pensa che se
l’avesse potuta vedere prima
non avrebbe mai privato entrambi di tutto questo, per nessuna ragione
al mondo.
«Scambierei
tutto il resto della mia
vita per i pochi momenti rubati vissuti con lei».
Così
aveva detto il conte. Allora non
aveva afferrato il significato profondo di quelle parole che ora le
pare chiaro
e cristallino.
Pensa
che, almeno per oggi, è scacco
matto al nero.
«Andrè».
Richiama la sua attenzione.
«Penso
che chiederò a Nanny e Therese
di aiutarci».
Le
rivolge uno sguardo interrogativo.
«Therese? Chi sarebbe questa
Therese?».
Lei
gli sorride «Te lo spiegherò
quando mi dirai cosa ti disse quel giorno Hortence».
***
Fine ***
Angolo
dell’autrice:
Se
siete arrivati fino a qui significa che avete soprasseduto a quattro
anni di iato e mi avete di nuovo accordato la vostra fiducia. Ringrazio
di
cuore tutti coloro che hanno voluto leggere e recensire questa storia
(che è
stata per me un parto difficile). Davvero un grande grazie a tutti.
Veronica.