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Autore: zappolo70    23/08/2019    14 recensioni
ATTENZIONE: storia già pubblicata fino al capitolo VII ora completata (12 capitoli). Si avvisa che TUTTI i capitoli sono stati rimaneggiati e sono stati aggiunti riferimenti temporali per aiutare a seguire più agevolmente il dispiegarsi della storia.
La storia propone un what if inusuale e grande come una casa. Una rilettura personale della storia di Oscar e Andrè che mantiene grossomodo l’ossatura della storia e l’evoluzione temporale, anche se non fedelmente per esigenze narrative, stravolgendone però l’interpretazione alla luce di un presupposto nuovo.
Buona lettura a chi vorrà cimentarsi.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: I personaggi di Lady Oscar non mi appartengono e sono proprietà esclusiva di Ryoko Ikeda.

 

XII – 14 Luglio 1988

E’ una corsa a perdifiato, il vento che le scompiglia i capelli e le accarezza il viso in un effluvio di lavanda che si alza dalle spighe disturbate dagli zoccoli di Caesar. Lascia il cavallo libero, a riprendere fiato un po' distante dalla sua meta e ora procede a piedi, scostando le fronde degli alberi che nascondono la radura adiacente il fiume.

Se lo trova davanti, in piedi, la schiena appoggiata al tronco della grande quercia, le gambe incrociate e le braccia conserte. Accanto a lui due spade conficcate nel terreno morbido le comunicano che la stava aspettando. Dopotutto non stava scappando da lei.

Quando alza il viso nella sua direzione sa che dovrà lasciargli combattere la sua personale battaglia tra odio e amore, tra rosso e nero, a modo suo.

Vola la spada che va a conficcarsi con calcolata precisione a un passo dalla punta dei suoi stivali. Prima di impugnarne l’elsa, se li sfila con calma misurata, senza abbandonare lo sguardo dal suo, apparentemente impassibile: è a piedi nudi, i calzoni arrotolati al polpaccio e se deve misurarsi con lui vuole farlo alla pari.

Senza anteporre alcuna parola, è lui ad attaccare per primo con un fendente che incontra la resistenza del filo della spada di lei, che dura fatica a respingerlo tanta è la forza impressa nel colpo. Si ritrovano di nuovo lontani, per poco, perché adesso è lei a portare un affondo che lui prontamente para con una battuta sul ferro. Lei si copre correggendo la posizione del braccio in modo da non offrirgli un bersaglio facile, ma è costretta ad indietreggiare non essendo in grado di opporre uguale forza nella contesa fino a che la sua schiena non incontra la corteccia ruvida di una grande quercia. Le spade incrociate all’altezza dei loro volti che ora si fronteggiano in un dialogo orfano di parole, le braccia e le spalle di entrambi tese allo spasmo nel tentativo di avere la meglio sull’altro. Lui non sembra offrirle via di fuga e il tempo sembra dilatarsi mentre la tiene inchiodata lì e ne approfitta per avvicinarsi di un passo, lasciando che i loro corpi quasi si sfiorino.

«Non avevi il diritto di scegliere per me!»

Il tono a metà tra la rabbia e la tristezza.

«Tredici anni Oscar! Per tredici anni mi hai costretto in un mondo parallelo, un mondo fittizio che mi ha riservato solo sofferenza. E’ stato questo il tuo modo di proteggermi? Dimmi Oscar, hai mai visto felicità nei miei occhi mentre ti guardavo inerme credendoti innamorata di un altro?».

Lei accusa il colpo che ferisce più della spada, ma non si sottrae al suo sguardo ferito né intende arginare la sua rabbia che, come l’onda del mare in tempesta, ha bisogno di gonfiarsi e travolgere ogni cosa sul suo cammino prima acquietarsi e scemare.

Lui la percepisce arrendevole e se ne rammarica. Arretra di due passi lasciandola finalmente libera e si mette in posizione di attesa, incitando l’iniziativa d’attacco del suo avversario che non tarda ad arrivare quando questo capisce che lui non si accontenterà di una vittoria facile. Vuole che lei gli opponga le sue ragioni, le vuole sentire, vuole confutarne la logica, dimostrarle l’enormità del suo errore, l’irreparabilità delle conseguenze. Come avrebbe potuto restituirgli tredici anni di una vita vissuta a metà?

Gli si scaglia contro in un attacco di battuta che termina nuovamente nello stridore delle lame che si incontrano in un equilibrio precario di forze che non si equivalgono e che presto vede nuovamente lei soccombere al suo respingimento.

«Ho impiegato troppo tempo a capire di aver sbagliato. Mi dispiace, vorrei poter tornare indietro e cambiare il corso degli eventi, delle nostre vite, ma non posso. Non posso ridarti ciò di cui ti ho privato, ma credimi se ti dico che è stato ugualmente penoso per me rinunciare a te, a noi. Ingannarti giorno dopo giorno mi ha straziato l’anima, ma dimmi Andrè, sei così sicuro che al mio posto non avresti vacillato? Saresti stato pronto a correre il rischio di vedermi morire per mano di mio padre?».

Sgrana gli occhi colpito dalle sue parole. Non che non ci avesse mai pensato, ma aveva sempre ritenuto che l’unica cosa che contasse davvero fossero i sentimenti di Oscar per lui, nemmeno la nobiltà per nascita l’avrebbe persuaso a chiederne la mano: non l’aveva mai voluta a ogni costo, voleva innanzi tutto essere amato da lei. Aveva sempre pensato che se ciò fosse avvenuto, per tutto il resto avrebbero trovato una soluzione.

Poi gli vennero in mente le parole che gli aveva rivolto poco prima, in camera sua:

“Tua nonna, la servitù intera, persino Hortence. I tuoi sentimenti non sono un segreto per nessuno qui a palazzo. E’ pericoloso. Troppo”.

Come un incubo ad occhi aperti non fatica ad immaginare il generale nell’atto di alzare la spada sulla carne della sua stessa carne. E percepisce tutto il nero della paura. Allora le ragioni di lei non gli paiono più così facili da demolire e la rabbia lascia spazio alla tristezza più grigia.

«Sono solo un servo...». Il tono piatto di una constatazione che suona come una condanna.

«Non per me. Non lo sei mai stato. Ma per tutti gli altri saremmo sempre e solo questo, servo e padrone. Non sarò mai libera di mostrarti al mondo con l’orgoglio che sento. Il nostro sarebbe un amore che si nutre nell’ombra, che non vedrebbe mai la luce del sole. Pensavo tu meritassi di più».

«Avresti dovuto dirmelo. Non mi sarebbe importato rimanere nascosto agli occhi del mondo, mi sarebbe bastato che mi vedessi tu, come ti vedo io».

Ancora ansante dallo sforzo, brandisce la spada nuovamente e la sfida in uno scambio serrato di affondi ed incroci, finché nell’impeto dell’azione la punta della spada incappa inavvertitamente nella resistenza del nodo della fusciacca di lei, là dove si annoda sul fianco, facendo perdere l’equilibrio a lei e a lui la presa sull’arma che cade a terra in un tonfo attutito dall’erba morbida.

Il braccio si muove in un movimento riflesso guidato da una memoria antica e la mano si allunga alla ricerca di un appiglio conosciuto che si manifesta sotto le sue dita come la stoffa leggera del colletto della camicia di lui, che trascina con sé nell’eco di un’altra caduta. Sopra di loro un foglietto bianco, sfilatosi dalla fusciacca allentata di lei, volteggia portato dalla brezza mattutina, fino a posarsi lieve a un palmo dai loro visi. Lui gli rivolge la sua attenzione, curioso, poi ne riconosce il soggetto e il tratto. Le rivolge uno sguardo interrogativo.

«Siamo bellissimi». Mentre lo dice le si dipinge un sorriso dolce sul viso, che lentamente si fa supplica di una risposta che attende ma che non vuole forzare.

E’ consapevole delle proprie mani ancora strette alla sua camicia, così come del suo corpo che le grava addosso, del respiro trattenuto di lui e della luce nei suoi occhi che si sono fatti cupi di desiderio trattenuto. Libera una mano che porta in una carezza leggera alla sua guancia e rimane in attesa, come un condannato in attesa della lettura della sentenza.

E il verdetto infine arriva dolce sulle labbra, a restituirle un sapore mille volte maledetto, mai dimenticato, troppe volte agognato. Interrompono il bacio e restano a guardarsi, il fiato corto, in un silenzio emozionato, denso di parole che non hanno bisogno di essere pronunciate. C’è gratitudine negli occhi di lei, per una scelta che non dava per scontata, che ora sa averla salvata da una vita insipida, orfana del suo sapore. C’è un senso di ineluttabilità negli occhi di lui, che parla di un sentimento antico da cui non può e non vuole prescindere, di una battaglia vinta contro il suo orgoglio ferito cui non permetterà di frapporsi fra loro e la felicità che ancora li aspetta.

Non sono necessari altri chiarimenti. Riprende la danza sensuale delle loro bocche che si esplorano audaci, lasciando che la dolcezza lasci presto spazio alla frenesia e le mani cerchino la pelle, liscia e calda sotto all’impedimento dei vestiti, e i muscoli tesi nell’emozione di potersi finalmente toccare.

«Staremo attenti, nessuno ci scoprirà mai. Ci daremo delle regole». Le sussurra lui con la voce arrochita.

«Mai a palazzo». Gli risponde lei.

«Non siamo a palazzo ora» - le fa notare lui - «e io ti voglio Oscar. Ti voglio ora come allora»

Accosta il viso al suo orecchio, respirando il profumo buono e inebriante dei suoi capelli.

«Fai l’amore con me, adesso». Una preghiera.

Per tutta risposta lei fa scivolare le mani sotto alla sua camicia e percorre la schiena a ritroso, a palmi aperti portandosi dietro la stoffa fino a fargli alzare le braccia e a sfilarla, poi gli prende le mani e se le porta in vita invitandolo a fare lo stesso con la sua.

Il contatto della pelle sulla pelle accende in entrambi la passione a lungo coltivata solo nei loro sogni e mai sopita, e sono bocche che si divorano e suggono, e mani che impazienti accarezzano e stringono la carne che anela mischiarsi con la carne.

«Dimmi che non mi fermerai...». Una supplica.

«Fai l’amore con me Andrè, amami adesso».

E lui la ama con pazienza e devozione e mentre osserva il viso di lei trasfigurarsi nel piacere che riesce a donarle pensa che gli amplessi consumati alla disperata ricerca di una tregua per il suo cuore provato dal peso della sofferenza non sono nemmeno l’eco sbiadita di questo momento.

Fra gemiti e sospiri si donano l’uno all’altro con una naturalezza che bandisce il pudore, si annullano i confini dei rispettivi corpi mentre sperimentano insieme il piacere della carne e l’unione di due anime affini destinate a completarsi, ma che l’ottusità dei più vorrebbe divise da etichette buone solo a generare infelicità.

Pochi saprebbero riconoscere la verità nella visione conturbante dei loro due corpi avvinghiati in un unione completa e indissolubile: un uomo e una donna, né servo né padrone, solo un uomo e una donna che rincorrono a grandi passi una felicità troppo a lungo negata.

Si stringe forte al corpo vigoroso del suo uomo Oscar, con una mano gli scosta una ciocca corvina dalla fronte e trova nel verde dei suoi occhi una luce nuova, che non gli aveva mai visto, che le riempie il cuore e sa di felicità. Pensa che se l’avesse potuta vedere prima non avrebbe mai privato entrambi di tutto questo, per nessuna ragione al mondo.

«Scambierei tutto il resto della mia vita per i pochi momenti rubati vissuti con lei».

Così aveva detto il conte. Allora non aveva afferrato il significato profondo di quelle parole che ora le pare chiaro e cristallino.

Pensa che, almeno per oggi, è scacco matto al nero.

«Andrè». Richiama la sua attenzione.

«Penso che chiederò a Nanny e Therese di aiutarci».

Le rivolge uno sguardo interrogativo. «Therese? Chi sarebbe questa  Therese?».

Lei gli sorride «Te lo spiegherò quando mi dirai cosa ti disse quel giorno Hortence».

 

*** Fine ***

 

Angolo dell’autrice:

 

Se siete arrivati fino a qui significa che avete soprasseduto a quattro anni di iato e mi avete di nuovo accordato la vostra fiducia. Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno voluto leggere e recensire questa storia (che è stata per me un parto difficile). Davvero un grande grazie a tutti.

Veronica.

  
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