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Autore: foschi    24/08/2019    7 recensioni
[GaaLee]
«Ci vediamo presto, Gaara. Te lo prometto.» e gli regalò un bacio sulla fronte, lì dove c’era il tatuaggio che lui stesso si era disegnato anni addietro, racchiudendo quello che provava per lui: amore. Un amore dolce e paziente, che si era insinuato lentamente fra loro, crescendo finché tutte le difese erano cadute e loro si erano trovati nudi l’uno di fronte all’altro a scoprirsi reciprocamente.
Cap.1 - Sei tu la soluzione
Cap.2 - Fino a quando il sole non c’è
Cap.3 - Ti regalo la mia illusione ("Questo capitolo partecipa alla “Fast Challenge di Fandom Deserti: Occhi” del gruppo Facebook “Il Giardino di Efp”)
Cap.4 - E vorrei fuggire via, vorrei nascondermi
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Rock Lee, Sabaku no Gaara
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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~ The secret boyfriend of the Kazekage ~

 

 

 

Titolo: ~ The secret boyfriend of th Kazekage ~

Raiting: Arancione

Genere: Angst, Introspettivo, Romantico

Personaggi: Sabaku no Gaara, Rock Lee

Avvertimenti: OOC

Note dell’autore: È davvero da tantissimo tempo che non scrivo una fan fiction e dopo aver deciso di lasciar passare da sé il mio blocco, eccomi di nuovo in questo fandom con questa coppia che mi ha mandata in tilt.

E quindi mettevi comodi e buona lettura! Che la forza della giovinezza sia con voi! ~ <3

 

 

 

 

 

~ Cap.1 – Sei tu la soluzione

 

 

      

 

 

 

 

   La brezza fresca, ambasciatrice della sera che lentamente incombeva sul Villaggio della Sabbia, portava con sé gli ultimi rimasugli dei raggi del sole che tramontavano silenziosamente, allungando le ombre delle dune di sabbia, colline silenziose, baluardo ed allo stesso tempo nemico del paese che andava man mano spegnendosi.

A volte, per richiamare i bambini più ribelli che si attardavano a giocare in strada, i genitori raccontavano leggende di spaventosi ninja che si appostavano dietro quelle dune per rapirli e far loro del male. Allora essi rientravano a casa, provando un timore quasi reverenziale per quelle colline sabbiose e guardandosi bene dal tornare ad allontanarsi da casa. La quiete tornava quindi su Suna che man mano andava addormentandosi.

 

  Lo sguardo acquamarina del Kazekage vagava sul profilo delle case, come un padre che si assicura che i figli stessero bene. Il volto diafano era accarezzato da quell’arancio che conferiva un’aria malinconica a quegli occhi contornati da nere occhiaie – e forse malinconici lo erano davvero, soprattutto quando, finite le sue mansioni giornaliere, smetteva i panni del capo villaggio e saliva sul terrazzo dell’edificio, facendo vagare i pensieri oltre le dune immediatamente visibili, fino a dove il confine tra orizzonte e sabbia diventava così labile da mescolarsi e scomparire. Era lì che a lui piaceva far arrivare i pensieri; era lì che essi si rincorrevano senza un filo, alternandosi, mescolandosi fino a diventare pesanti e far sfuggire un sospiro malinconico al proprietario.

 Altre volte, invece, il giovane dai capelli rossi saliva sul terrazzo con una piccola e fragile speranza che spazzava via la malinconia: vederlo correre verso di lui, alzando polveroni di sabbia e sbraitando qualcosa riguardo all’eterna giovinezza; il vento gli portava quelle urla ed allora le labbra screpolate si rilassavano in una dolce curva ed il cuore batteva forte prima di ritrovarselo con il respiro affannato davanti a sé e venire stretto da quelle braccia muscolose e forti, sua casa e rifugio.

Quel terrazzo era l’unico posto che conosceva le sue gioie, la sua tristezza, le sue speranze e se vi era salito ora, era solo per condividere con esso la tristezza che gli opprimeva il cuore…

 

  Il rumore dei passi lo riscosse da quelle riflessioni, conosceva quel suono calmo e pesante che sembrava trascinarsi: era il prolungamento di un’agonia straziante, messaggero di un saluto non voluto. Quando si sarebbero rivisti? Quando sarebbe tornato? Queste domande ronzavano nella mente del Kazekage mentre gli occhi insolitamente grandi e profondi, neri come onice brillante, del sopraggiunto si fermavano sul suo volto, il fiato appena trattenuto in attesa di quello che sarebbe avvenuto. Gaara sentiva il fantasma di quel saluto gravare sul suo petto, facendogli trattenere il fiato, costringendolo ad un’apnea che sembrava non terminare più. E forse era così, visto che il tempo sembrava scorrere lentamente…

Solo quando Lee si avvicinò a lui poggiando i polpastrelli callosi e ruvidi non coperti dalle bende sulla sua guancia in una delicata carezza – sembrava impossibile che quelle mani sempre in movimento fossero capaci di quella delicatezza e dolcezza – si ricordava di respirare, godendo dell’aria fresca.

«Gaara…» la voce era un sussurro roco, come se stesse cercando di trattenere il pianto.

L’ex possessore del Demone Tasso chiuse gli occhi facendosi cullare da quel contatto e dalla brezza divenuta improvvisamente più fredda – e Gaara poteva giurare che no, non era per l’escursione termica del deserto.

Un brivido attraversò la schiena di Lee che lottava contro sé stesso per non piangere: non era un piagnone, cercava sempre di essere ottimista e guardare il lato positivo delle cose, visto che di sofferenze ne aveva passate, ma ogni volta il separarsi dal suo amato gli causava una stilettata al cuore. Quando si sarebbero rivisti? Si chiedeva a sua volta, incapace di darsi una risposta.

«Io vado…» oh, eccola la voce incrinata.

Gaara aprì gli occhi e lo guardò con un’espressione impassibile: non era da lui lasciarsi andare al sentimentalismo e Lee lo sapeva e lo accettava, in cuor suo però sapeva cosa provava il compagno. Lo vide annuire e per un momento un’ombra triste oscurò quelle due iridi acqua marina; fu solo un istante, ma la Bestia Verde della Foglia colse quell’ombra ed il cuore divenne più pesante.

«Buon viaggio, Rock Lee.» la voce era impassibile e questo fece sospirare il ninja della Foglia che si lasciò andare ad una dolce e, forse esagerata, reazione.

Il capo del Villaggio della Sabbia lo guardò attentamente trattenendo appena, e di nuovo, il respiro mentre le orecchie captavano il leggero tonfo del ginocchio sul cemento. Un brivido attraversò la sua schiena quando le labbra ruvide e sottili di Rock Lee si poggiarono sul dorso della sua mano morbida, sicuramente non adatta al combattimento.

In quel momento, entrambi non sapevano se il tempo si fosse fermato o dilatato; non riuscivano mai a definire le sensazioni che provavano, ma Rock Lee era certo di una cosa: voleva che quell’attimo durasse per sempre, che qualcuno li immortalasse così, lui inginocchiato davanti al compagno, un bacio casto sulla sua mano.

Ma così com’era arrivato, quell’attimo si dissolse quando lo shinobi di Konoha si alzò e lo guardò un’ultima volta con un sorriso triste sul volto – possibile sorridesse sempre, anche quando era triste? Gaara non avrebbe mai capito come facesse, tralasciando il discorso “giovinezza”.

«Ci vediamo presto, Gaara. Te lo prometto.» e gli regalò un bacio sulla fronte, lì dove c’era il tatuaggio che lui stesso si era disegnato anni addietro, racchiudendo quello che provava per lui: amore. Un amore dolce e paziente, che si era insinuato lentamente fra loro, crescendo finché tutte le difese erano cadute e loro si erano trovati nudi l’uno di fronte all’altro a scoprirsi reciprocamente.

Gaara osservò quelle spalle larghe e possenti voltarsi ed allontanarsi di qualche passo. Il cuore sussultava man mano che lui se ne andava ed un’improvvisa angoscia lo spinse ad abbracciarlo, premendo la testa contro quelle spalle.

«Resta un altro po’ con me, Lee.» lo pregò con un singhiozzo represso: poteva provare a fare l’apatico quanto voleva, ma sapeva che la soluzione alla matassa di sentimenti che sentiva nel petto era solo lui, il suo Rock Lee.

Grazie a lui, che già durante l’esame di selezione di Chunin aveva minato le basi delle sue certezze, aveva lasciato indietro gli spettri del passato e guardato oltre i confini delle sue convinzioni.

Grazie a lui, aveva lasciato alle spalle i suoi timori, le sue paure su sentimenti come l’amicizia e l’amore. Aveva lasciato che il vento li portasse via e si era affidato a lui fino a non distinguere più orizzonti, universi, direzioni. Si era affidato a lui, sapendo, sperando, che lo avrebbe preso in quella caduta libera, senza più lasciarlo andare.

Lee era la soluzione alle sue paure, ai suoi problemi e lui aveva giurato a sé stesso che non lo avrebbe fatto andare via. Ora finalmente anche lui aveva qualcuno di caro da proteggere.

Il maestro delle arti marziali si voltò con un sorriso dolce e lo strinse a sé in un abbraccio quasi soffocante. «Per tutto il tempo che vuoi, Gaara.»

L’altro sorrise chiudendo gli occhi e rintanandosi di più in quell’abbraccio: quella era la sua casa.

 

 

 

 

 

 

   
 
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