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Autore: Elis9800    26/08/2019    7 recensioni
Kageyama Tobio è un geniale avvocato dal cuore di pietra.
Totalmente disinteressato a chi lo circonda, s’imbatte per puro caso in un medico dall’odioso sorriso perennemente stampato sul volto.
Quando una sistematica esistenza perfezionista e solitaria ne incontra una libera da schemi e sprizzante vitalità…
Un ferreo autocontrollo saprà resistere alle sconcertanti conseguenze dello scontro?
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[Future!AU]
[KageHina]
[side!BokuAka] [side!KuroKen] [side!IwaOi]
[14/15, epilogo in arrivo!]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Karasuno Volleyball Club, Nuovo personaggio, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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IX
 
 Fino all’osso
 
 
 
 
 
 
Con un sospiro arrancato, il medico sollevò stancamente gli occhi sul grande quadrante trasparente appeso alla parete.
 
04:49.
 
Erano state parecchio movimentate, quelle ore.
Le acque parevano però essersi fortunatamente calmate alle prime avvisaglie del crepuscolo mattutino.
 
 
“La crisi sembra essersi attenuata, adesso riesce a respirare con un ritmo più sereno”
“E’ il caso di avvisare i genitori, Shoyo?”
“No, non buttiamoli giù dal letto a quest’ora. So che vogliono essere avvisati per ogni minima anormalità, ma si prenderebbero uno spavento per nulla. Akio-chan si sente già meglio”
“Va bene. Tu vai a riposare un po’, ci penso io a controllare che i valori restino nella norma durante la prossima ora”
“Ma…”
“Niente ma, Shoyo. Non rientra fra i tuoi doveri e hai già fatto abbastanza per una sola notte”
“Fai paura con quello sguardo, Suga-san…”
 
 
Riposarsi, eh.
Come se avesse potuto, con quell’immenso macigno che gli gravava sul petto.
 
Si lasciò sprofondare a peso morto sulla soffice poltrona imbottita, consentendo alle palpebre spossate di serrarsi almeno per qualche minuto sulle orbite.
Gli occhi gli bruciavano terribilmente e sottili venature rossastre ne solcavano spiacevolmente le sclere.
Come se non bastasse, due pronunciati segni violacei cerchiavano dispettosamente i contorni dei globi oculari.
 
Contrariamente al comune buon senso, Shoyo portò per l’ennesima volta le mani al viso, strofinando burberamente le palpebre e acuendo di conseguenza la sensazione di prurigine.
 
Era… semplicemente sfinito.
 
Suga doveva certamente averlo intuito e, alla giusta occasione, l’aveva spedito via dal reparto senza troppi complimenti.
Non era stato l’unico però, a ben pensarvi.
Tanaka, eccezionalmente di turno per il trasporto di un grosso pacco di antibiotici, gli aveva riempito la scrivania di bicchieroni di caffè addolciti da latte e quintali di zucchero, la sua miscela preferita.
Probabilmente aveva percepito che il piccolo medico non fosse esattamente in forma.
 
Pur apprezzando sinceramente la premura degli amici, l’esser letto come un libro aperto generava in Shoyo uno sgradevole senso di fastidio.
Non voleva si sapesse che qualcosa in lui non andasse.
Non intendeva far preoccupare nessuno…
 
Sebbene non potesse negare che si trattasse, malauguratamente, della scomoda verità.
 
Si sentiva fiacco, sfibrato.
Come se qualche interruttore al suo interno fosse spento, fulminato.
Un’immagine parecchio differente da quella che tutti, sanitari e pazienti, erano avvezzi a riconoscere quotidianamente.
 
Una fonte inesauribile di scoppiettante energia, sempre in prima linea per risolvere qualsivoglia problema…
Con un sorriso costantemente cucito sul volto.
 
Ecco ciò che era.
Ciò che più aveva aspirato diventare.
Ciò che avrebbe bramato perdurare…
Sfidando, giorno dopo giorno, un oscuro vortice che sembrava desiderare d’inghiottirlo vivo.
 
Le difficoltà non erano mai mancate nella scalata verso quel muro altissimo su cui aveva risieduto originariamente il suo sogno.
Tuttavia, il nuovo ostacolo che di anno in anno persisteva a pararglisi dinanzi, non era una semplice barriera sui cui inerpicarsi.
Non qualcosa da scalare…
Ma una forza ineluttabile da cui sfuggire.
 
Un gigantesco maelstrom.
Nero e tetro come la più oscura sfumatura di disperazione.
Un gorgo all’interno del quale, lui…
 
Era stato risucchiato prima ancora d’essersene consapevolmente accorto.
 
 
Uno sfavillante frammento di memoria balzò improvvisamente nel suo cervello come un piccolo grillo evanescente.
A renderlo radioso non era la luce, bensì un candido sorriso speranzoso indirizzato a lui.
 
 
“Sensei! Hinata sensei! Stai un altro po’ con me, oggi?”
 
 
Una tremenda fitta gli attanagliò il petto con uno scatto metallico.
 
Era uno di quegli inevitabili giorni all’interno del maelstrom, eh…
 
 
“Sensei! Oggi mi sento meglio, posso tornare a casa?”
 
 
“Le condizioni di Rei stanno peggiorando drasticamente”
“Non sarà in grado di sopportare il trapianto”
“Contatta la famiglia, Hinata” 
“E’ ora che tu ti abitui anche a questo lato della medaglia”
 
 
La stilettata al torace si tramutò in un vero e proprio squarcio sanguinante.
La respirazione di Shoyo divenne più frenetica, quasi convulsa.
 
Perché?
Perché la sua mente doveva ripresentargli quelle strazianti, laceranti…
 
Una pungente voce familiare s’introdusse di prepotenza tra lo scorrere implacabile di quelle immagini.
 
 
“Non puoi mai essere libero dai quei malati?”
 
 
Il medico sbuffò con profonda amarezza.
 
Ricordare quelle parole era ricevere ogni dannata volta una pugnalata direttamente al cuore.
Poteva ancora percepire nitidamente gli occhi gelidi che l’avevano trapassato da parte a parte, il volto che lo scrutava imperturbabile, il tono pregno di sprezzo.
Faceva un male cane, tuttavia…
 
Inchiodò le iridi nocciola sul calendarietto variopinto che ingolfava la sua già fin troppo caotica scrivania.
 
Quella frase sferzante, tagliente come la più affilata delle lame…
Corrispondeva a verità.
 
Da quanto tempo non prendeva il treno per rivedere la sua famiglia a Miyagi?
Quante volte aveva dovuto rifiutare le imploranti richieste di Natsu di tornare a casa per trascorrere almeno un Natale tutti assieme?
Quando era stata l’ultima interazione sentimentale seria che non coinvolgesse l’unica relazione della sua intera vita?
 
Poteva ancora sentir risuonare i ridondanti rimproveri che Tanaka e Noya non avevano mai mancato di rivolgergli nel corso degli anni.
 
 
“Shoyoooo, non puoi mica continuare a vivere come un monaco! Con quel faccino adorabile potresti avere tutti gli uomini che desideri ai tuoi piedi!”
“E non provare nemmeno a giustificarti dicendo che per te è difficile perché non sai dove incontrare altri ragazzi e bla bla bla. Non mi pare che i tuoi amici abbiano mai avuto di questi problemi!”
“Veramente Kenma è fidanzato con Kuroo da…”
“Devi uscire, Shoyo!! Uscire e andare a farti una vita oltre queste mura!”
“Sappiamo che noi siamo praticamente insostituibili, ma…”
“Noya, Tanaka! Che ci fate ancora lì a perdere tempo!?”
“Oh merda, Daichi ci ha scoperti”
“Filiamocela!”
 
 
Un accenno di sorriso disegnò le guance insolitamente pallide di Shoyo.
 
Persino Suga gli ripeteva da ormai mesi che avrebbe dovuto mettere il naso fuori da quell’ospedale, concentrarsi sulla sua vita privata e cercare la felicità anche altrove.
 
Inspirò una gran quantità d’ossigeno a pieni polmoni e la rigettò fuori con estrema indolenza.
 
Ma lui, poteva davvero dire di possedere una vita personale?
Lavoro e privato non avevano iniziato a congiungersi ormai indissolubilmente da fin troppo tempo?  
Come sarebbe stato possibile non pensare almeno per un giorno a coloro che lasciava in quell’ospedale, a tutti quelli che…
 
 
“Continuerai a rimandare, Shoyo?”
 
 
Un fremito imprevisto lo fece rabbrividire da capo a piedi.  
 
Lo sapeva.
Ne era cosciente, maledizione.
Eppure…
Come poteva staccarsene?
Come poteva scollarsi da tutto quello?
 
Con mano esitante raggiunse l’ultimo cassetto della scrivania, girando la chiave che ne consentiva l’apertura.
 
Era uno di quei giorni intrappolato nei meandri del maelstrom, però…
 
Non avrebbe dovuto, glielo avevano ribadito più e più volte.
Docenti universitari, colleghi, amici.
Non doveva.
Tuttavia…
 
Con minuziosa cura, estrasse una voluminosa carpetta cartonata rosso fuoco, rigonfia a causa dell’oneroso contenuto.  
La appoggiò cautamente davanti a sé, sopra a cartelle cliniche e documenti dalla disparata provenienza.
Indugiò a fissarla per interminabili minuti.
 
 
“Dovresti farli sparire, Hinata”
“Non è consigliabile tenerli”
“Non puoi mica restare attaccato a queste cose in eterno”
 
 
Alla fine, slegò l’elastico che racchiudeva a fatica i lembi logori.  
 
Con occhi irrequieti sparse il contenuto sul ripiano finché le sue dita instabili si ancorarono a qualcosa.
 
Estrasse dal mucchio un disegno un po’ sgualcito, ma dai colori particolarmente vividi.
Sembrava che fosse stata utilizzata un’intera scatola di pastelli.
Non un singolo centimetro era stato lasciato bianco.
Come se l’assenza di colore…
 
Fosse qualcosa da combattere, da ostacolare ad ogni costo.
 
Figure non nitide s’intrecciavano reciprocamente per l’intera lunghezza della pagina A4, ma fra tutte spiccava un omino stilizzato in maniera assai approssimativa.
Non possedeva definiti lineamenti del volto, tuttavia una sgargiante macchia arancione gli torreggiava sulla testa.
Al margine del coloratissimo foglio, una piccola scritta dalla calligrafia incerta ne decorava l’angolo.
“Rei”
 
Fu come se qualcuno avesse bruscamente gettato il cuore di Shoyo nel congelatore.  
 
Il fugace ricordo di una frase spezzata, pronunciata fra la brezza di una festosa notte autunnale, riverberò come un’eco nel suo cervello.
 
 
“Anche se ciò appartiene al passato…”
 
 
Proprio sotto i segni disegnati con l’inchiostro, svettava una data dai contorni lievemente sbavati.
“Settembre 2017”
 
 
“Ma io spesso non ho la forza di mettere un punto”
 
 
Affondò talmente tanto i denti sul labbro inferiore da inciderne la pelle rosata.
 
Non avrebbe dovuto, eppure…
 
Non poteva.
Non poteva… dimenticarli.
Non poteva semplicemente rimuovere i loro visi, i loro sorrisi…
 
 
“Non vorrà mica farmi credere che lei stringa amicizia con i pazienti! Magari che sappia addirittura i nomi di qualcuno!”
 
 
Kageyama, eh.
 
Nonostante Hinata l’avesse sempre contraddetto, quel legale oscuro, quella contorta persona dagli occhi cangianti, capace di trasformarsi da cucciolo docile a belva selvatica nel giro di pochi secondi…
Gli aveva intimato fin dall’inizio, seppur indirettamente, di staccarsi da tutto ciò che lui non sarebbe mai riuscito ad abbandonare.
Kageyama…
 
La smorfia di un amaro sorriso piegò sgradevolmente le labbra del medico.
 
La natura del legale aveva sempre indugiato sotto i suoi occhi, sebbene Shoyo si fosse spesso ostinato a rinnegarla.
Conosceva più che bene la sua impietosa opinione.
Gliel’aveva spiattellata già al loro primissimo incontro, no?
 
 
“Il punto è che non m’importa, okay? Non m’interessa stabilire un legame con quelle persone. È solo lavoro, fine della storia”
 
 
Non avrebbe potuto essere più inequivocabile.
 
Un uomo pragmatico, incapace di soffermarsi su futilità e aspetti voluttuari della vita.
Un uomo che non considerava, o meglio disprezzava, le persone da lui giudicate…
Non all’altezza.
 
Un familiare senso di oppressione irruppe nei polmoni di Hinata.
 
Non voleva.
Non voleva che Kageyama lo considerasse un…
Un...
 
Serrò la presa sul foglio che ancora reggeva fra le dita.
 
Debole.
Ecco cos’era.
Una persona fragile.
 
Non voleva che il corvino scoperchiasse quel vaso nascosto.
Che lo vedesse… per ciò che realmente fosse.
 
Sebbene lo avesse ritenuto una persona senza cuore, malgrado cozzasse con tutti i suoi ideali e non avrebbe dovuto importargliene nulla del parere di un uomo che aveva ammesso con spudorata nonchalance che la propria opinione fosse l’unica che realmente contasse…
 
Le mani strette attorno alla carta colorata tremarono fiocamente.
 
Kageyama lo intimoriva.
Gli faceva paura poiché rifiutava quell’umanità di cui lui si nutriva e…
 
E…
 
Abusava.
 
Una tremenda realizzazione colse il cervello di Shoyo impreparato, causandogli un inatteso senso di nausea.
 
I sentimenti che Kageyama negava irremovibilmente…
Erano ciò di cui lui, invece, viveva.
Senza di essi…
 
Hinata non sarebbe stato assolutamente nulla.
 
Le sue viscere erano ormai attorcigliate in una morsa di ferro.
 
Ecco spiegato il motivo di quell’angoscia.
Ecco perché l’espressione gelida e totalmente vuota del legale gli provocava quell’orrenda sensazione.
                                                                                                                                                  
Infilò con irruenza la mano fra i capelli della nuca e affondò le unghie sulla base del collo.
 
Gli aveva confessato di essere rimasto ferito.
Aveva apertamente ammesso a Kageyama che l’atteggiamento di due settimane prima l’avesse lasciato sgomento.
Ed era assolutamente certo che il modo di pensare del corvino avrebbe solo provocato ulteriori discussioni fra loro.
Ciononostante, così com’era consapevole di poter ricevere una cocente delusione da quell’uomo…
 
Non poteva smentire che Kageyama continuasse a piacergli.
 
Contro ogni logica apparente, le ragioni iniziavano pian piano a scorgersi con chiarezza non appena ci s’immergeva fra i labirintici aspetti della personalità di Shoyo.
 
L’attrazione provata nei confronti del legale per la saldezza dei nervi, per la risolutezza delle azioni, per l’atteggiamento intraprendente…
Rappresentava l’esatto specchio delle sue mancanze.
Kageyama era la sua immagine speculare.
Compensava le sue lacune.
 
Non era stato il caratteraccio a scoraggiarlo.
Al contrario, se proprio doveva essere sincero, credeva di riuscire a gestirlo piuttosto bene.
Nonostante la scostante superbia, Shoyo era riuscito a farsi ascoltare, a imporsi sui ferrei ragionamenti del corvino.
Aveva ottenuto la prova che, in fondo…
Kageyama non rimaneva indifferente alla sua presenza.
 
Avrebbe dovuto trattarsi di una conquista.
Avrebbe dovuto sentirsi forte di quel risultato, di quanto il corvino avesse mutato il proprio atteggiamento nei suoi confronti rispetto al loro disastroso primo incontro.
Eppure…
 
Quell’espressione gelida, specchio di un animo che rifiutava il senso d’umanità…
Costituiva il riflesso di tutto ciò di cui lui era intimamente terrorizzato.
Il suo polo antitetico.
 
Non era semplicemente Kageyama a intimorirlo.
La visione dell’arido distacco nei riguardi di coloro che lo circondavano…
 
Creava un persistente monito.
Un pungente avvertimento all’interno del quale era avviluppato il più ardente terrore del medico.
 
La perdita dei sentimenti.
 
Necessariamente indispensabili per la sua sopravvivenza…
 
Ma che, lentamente e inesorabilmente…
 
Gli stavano corrodendo l’animo come un veleno letale.
 
 
 
***
 
 
 
“Sono rimasto sorpreso dalla tua proposta di incontrarci qui. E’ passato tanto tempo dall’ultima volta in cui siamo venuti insieme”
 
La voce di Akaashi era accompagnata da un gradevole sottofondo musicale, diffuso dalle casse impiantate sul soffitto in modo tale da creare una piacevole atmosfera all’interno della lounge.
 
“Non mi dispiace cambiare, ogni tanto” borbottò Kageyama, i cui occhi blu erano impegnati in una celere panoramica dell’elegante saletta, nei cui raffinati tavolini neri erano accomodate svariate coppie del medesimo sesso.
“Mi fa piacere” rispose cortese Keiji, iridi fisse sullo sguardo bizzarramente inquieto del legale.
“Come vanno le cose? Ho saputo da alcuni colleghi che hai vinto la causa contro la Yamada Corporation. E’ davvero un osso duro, la notizia si è sparsa in tempo record. Complimenti”
Le lodi di Akaashi ripristinarono nuovamente l’attenzione di Tobio sul suo interlocutore.
“Sì, ecco… non è stato poi tanto complicato” mugugnò, abbozzando un’espressione goffa.
“Mi sembra quasi di sentire la voce di Oikawa piagnucolare certo, per un genietto come lui nulla è complicato!” ridacchiò con leggerezza Keiji, sorseggiando il suo cocktail trasparente decorato da un grazioso ombrellino verde smeraldo.
Nonostante il cipiglio irritato, Kageyama si lasciò sfuggire un ingenuo “Oikawa-san ha parlato di me?”
Akaashi sollevò un sopracciglio.
“No, stavo solo ipotizzando che avrebbe certamente ribattuto così. Non vedo Oikawa-san da qualche mese, ormai”
“C-certo, ovvio” tossì imbarazzato il corvino, distogliendo nuovamente le iridi dal viso etereo di Keiji e inchiodandole sul calice di vino rosso sotto il suo naso.
“E… oltre il lavoro? Novità? Con… Hinata, ad esempio” buttò lì con nonchalance Akaashi, giocherellando con l’ombrellino sul bicchiere e non staccando gli occhi dal legale, le cui spalle furono scosse da un visibile sussulto.
“H-Hinata? Perché ci dovrebbero essere novità?”
 
Keiji aggrottò la fronte, un’impercepibile linea di fastidio ne rigava la pelle pallida.
Perché continuare a negare dinanzi all’evidenza?
 
“Perché l’ultima volta in cui ne abbiamo apertamente discusso, elemosinavi consigli su come poterti approcciare a lui” ribatté seccamente, bevendo un sorso del suo Martini.
“E-ecco sì, ma…”
“Niente ma. Avanti Kageyama, da quanto ci conosciamo? Puoi evitare di fingere di cadere dalle nuvole, almeno davanti a me” tagliò corto Akaashi, afferrando lo stuzzicadenti che infilzava l’oliva dell’alcolico e portandoselo alla bocca.
Tobio si schiarì la gola, tentando senza successo di sciogliere la tensione incastonata fra i muscoli delle spalle.
 
Maledizione, quello era un argomento di cui non riusciva a discutere con serenità nemmeno con se stesso.
Figuriamoci con un altro essere umano.
 
“Cosa… vorresti sapere?” indagò quasi distrattamente, trangugiando una generosa sorsata di vino.
Keiji assottigliò gli occhi.
“Beh, come procede la situazione? A te Hinata piace e mi era sembrato di capire che fossi ricambiato… almeno fino alla cena della scorsa settimana” sondò cautamente il terreno.
Com’era prevedibile, il corpo del legale si tese come una corda di violino.
“Ti ha detto qualcosa?” proruppe affannosamente, la mano stretta pericolosamente sullo stelo del calice.
“No, assolutamente. Lo sto chiedendo a te perché ne sei il diretto interessato” fu la pacata spiegazione di Keiji.
Passò qualche altro attimo di silenzio prima che il corvino si decidesse ad aprir bocca.
“Non lo capisco”
Akaashi sbatté le palpebre.
Era stato un sussurro talmente sommesso da perdersi nella delicata musica di sottofondo.
“Prego?”
Tobio digrignò i denti.
“Non lo capisco quell’idiota”
Arcuando leggermente le sopracciglia, Akaashi sorvolò sull’epiteto poco lusinghiero rivolto al medico.
“Cosa non capisci, per l’esattezza?”
Tutto! Non capisco tutto di quel tipo! Insomma…”
 
Si fermò per inalare un profondo respiro e tracannare un vigoroso sorso di vino.
 
“Mi confonde! Mi confonde con quella faccia perennemente sorridente, come se la vita fosse sempre grandiosa. Mi confonde con quel suo atteggiamento spensierato, mi confonde con quei suoi assurdi ragionamenti su come la gente sia importante e cazzate varie. Tutto di lui… non ha il minimo senso!”
Nemmeno si accorse d’aver sputato quelle parole con più desolazione che rabbia racchiusa nell’animo.  
Akaashi ascoltò pazientemente lo sfogo di Kageyama con la solita espressione distaccata, sebbene nelle iridi cobalto scoppiettasse una piccola scintilla.
“Tuttavia, nonostante questo… lui ti piace”
“Non dovrebbe”
Quella volta, ciò che fuoriuscì dalla bocca di Tobio fu un ringhio aggressivo.
Keiji inclinò la testa verso destra, perplesso.
“Perché mai non dovrebbe…”
“Perché è un essere debole. Un idiota dalla testa vuota convinto di cose ridicole e fuori luogo”
 
Non è vero, non pensi solo questo di lui e lo sai bene.
 
Come trapassati da un’improvvisa scarica di corrente, gli occhi di Akaashi si sgranarono.
Hinata Shoyo… debole?
 
“Mi fa solo innervosire, vorrei scuoterlo e fargli capire come ciò in cui tanto crede non sia altro che un mucchio di fesserie. Solo perché è un medico, allora bisogna fingere di tenere ai propri pazienti tanto da dipenderne in tutto e per tutto? Manco fosse il loro strizza cervelli! Per quello che fa poi, occupandosi di malattie del sangue o che so io…”
 
Akaashi in quel momento era vivamente frastornato.
Malattie del sangue?
Hinata?
Ma di che cosa stava…
 
“Senza contare la cazzata colossale del prendersi a cuore i pazienti come persone e non come malati. Cosa sarebbe lui, la loro mammina? Come può pensare di fare un buon lavoro senza un distacco professionale! Non dovrebbe importargliene nulla a prescindere…” rise sprezzante.
“Me ne ha anche parlato la prima volta in cui ci siamo conosciuti. Un medico che cura una persona e non soltanto la sua malattia… che idiozia”
 
Ah.
La mente di Keiji operò qualche associazione d’idee.
Hinata non aveva detto nulla.
Era comprensibile, in effetti.
Anche se…
 
“Forse, in fin dei conti, mi manca solo andare a letto con qualcuno”
 
Akashi fu strappato violentemente dalle proprie congetture.
Kageyama che ammetteva così impudicamente, e audacemente, di dover sfogare i propri bisogni fisici?
La lista delle assurdità quella sera non aveva davvero termine.
 
“Non credo sia la soluzione ai tuoi problemi” gli fece notare con oggettività.
“E’ l’unica plausibile. Te l’ho detto, no? Quello lì ha una sfilza di lati negatavi che non so nemmeno perché siamo ancora qui a parlarne. La risposta al perché sono attratto da lui… dev’essere solo una questione fisica” concluse impietoso con la punta delle orecchie leggermente purpurea, scolandosi il secondo bicchiere di vino alla goccia.
Akaashi gli rivolse un’occhiata alquanto scettica.
“Io credo che tu stia compiendo diversi passi indietro, Kageyama. Andare a letto con qualcuno proprio adesso non…”
“Ma è quello che intendo fare”
 
“Ehi, ehi, ehi, ragazzi! Eccovi finalmente! Vi ho cercato per un bel po’! Là fuori è un delirio, c’è un sacco di calca!”
 
L’identificabilissima voce squillante di Bokuto fece balzar su la testa di entrambi gli specialisti in Legge.
 
“Kou, ce l’hai fatta in anticipo”
“Ho chiuso la palestra un po’ prima, stasera non si è fatto vivo quasi nessuno” rispose il Personal Trainer con un sorriso smagliante per poi chinarsi e baciare dolcemente le labbra del ragazzo.  
Distogliendo lo sguardo dalla scenetta smielata che gli si parava dinanzi, Tobio pescò qualche banconota dalla tasca e, alzandosi in piedi, interruppe la coppia con un impacciato “Buonasera, Bokuto-san”
Accorgendosi dei soldi abbandonati al centro del tavolino, Koutaro si girò subito verso il corvino, guadandolo con gli occhioni ambrati colmi di sorpresa.
“Ma come, vai già via, Kageyama?”
“Sto solo… andando dall’altra parte” bofonchiò il legale in modo vago, afferrando la giacca dalla spalliera della sedia.
“Ci vediamo” si congedò con un inchino frettoloso, dando quasi l’idea di star scappando dal suo senpai.
 
Grattandosi distrattamente la nuca, Bokuto rivolse il proprio sguardo dubbioso verso il fidanzato.
“Ehi, Akaashi, è successo qualcosa?”
 
Keiji non rispose subito.
Seguì con occhi ridotti a fessure il corvino camminare a passo spedito lungo la sala soffusamente illuminata.
“Penso che Kageyama non abbia ancora capito esattamente con chi abbia a che fare. E quando lo scoprirà…”
S’interruppe, squadrando il giovane legale uscire dalla porta con aria insolitamente irrequieta.
Assunse un sorrisetto sibillino.
 
“Credo che sarà uno shock, per lui”
 
 
 
 
 
La musica proveniente dalla postazione del Dj era parecchio incalzante, nulla però cui lui non fosse già abituato.
Si recava al Rainbow con cadenza pressappoco mensile da oramai due anni.
Era diventato il suo locale preferito, dopo aver svogliatamente sperimentato fin troppi gay bar nei quartieri più disparati di Tokyo, grazie all’intelligente divisione tra la sala da ballo e la più tranquilla lounge.
 
Due anni, eh.
 
Due anni in cui abbordava ragazzi per notti occasionali di passione destinati sistematicamente a spegnersi entro poche ore.
Nonostante fosse capitato di ritrovarsi faccia a faccia con qualche vecchia conoscenza, soprattutto da quando aveva posto residenza fissa al Rainbow, aveva sempre cercato di eludere nuovi possibili coinvolgimenti.
Non a causa di stronzate sentimentali come il rischio d’affezionarsi o altre puttanate varie.
Andare a letto con qualcuno con cui aveva già consumato…
 
Beh, semplicemente, lo annoiava.
 
Non ci sarebbe stato niente di eccitante in una scialba seconda volta con un tipo che aveva già perduto tutta la sua frizzante novità.
Le persone tendevano malauguratamente a divenire monotone con molta facilità.
Non avrebbe potuto esservi nulla di più spiacevole di un tedioso rapporto sessuale.
 
Doveva comunque ammettere d’essersi imbattuto in alcune, seppur rare, eccezioni.
Il ragazzo di appena ventun anni conosciuto l’estate precedente aveva dimostrato di possedere un innato talento con la lingua, così il legale gli aveva concesso altre tre notti insieme.
Il sesso orale migliore della sua intera esistenza, senza ombra di dubbio.  
 
Tralasciando tali sporadici eventi, Tobio tentava d’evitare le vecchie fiamme, se così potevano davvero esser definite, anche a causa di una grottesca situazione di cui odiava il coinvolgimento.
Che avevano nel cervello quei folli che accennavano alla possibilità di rivedersi al di fuori del locale, parlottando di quanto sarebbe stato carino un appuntamento o robe del genere?
Lui, invischiato in una relazione alla luce del sole?
A impegnare il proprio tempo con qualcuno talmente irrilevante?
La sua risposta sarebbe sempre stata la medesima.
Pa-te-ti-co.
 
Aprendosi un varco fra la folla danzante, raggiunse il bancone piastrellato del bar in cui si accalcavano uomini e donne alla ricerca del cocktail più appropriato per sballarsi.
 
Storse il naso all’odore penetrante degli alcolici dalle tonalità disgustosamente fosforescenti che il barman miscelava con agilità nei bicchieri sul ripiano.
A lui tutte quelle improbabili combinazioni provocavano la nausea.
Non sopportava i sapori stucchevoli, ma lo ripugnavano ugualmente quelli amarognoli.
Il vino era sempre stato il suo migliore alleato, in tal senso.
 
Ordinò il terzo calice rosso della serata, costringendosi a urlare per sovrastare la musica affinché il tizio dietro il bancone lo sentisse.
Tentò un’occhiata approssimativa in giro.
 
L’alcol non gli era ancora giunto alla testa, ma poteva iniziare a percepire un piacevole pizzicore alle tempie.
La tensione radicata nei muscoli delle spalle sembrava pian piano sciogliersi come soffice burro.
Era una bella sensazione, per una volta.
Non essere costantemente rigido, ecco.
E poi aveva bisogno di smettere di pensare, per almeno una notte, a quel qualcuno che gli aveva scombinato la vita e le certezze in soli due mesi. 
Quel qualcuno che…
 
 
“Mi hai ferito, Kageyama”
 
 
“Fanculo” sibilò tra i denti, ghermendo il calice che il barman gli aveva celermente posto dinanzi al viso e trangugiandone il contenuto in un’unica sorsata.
 
Non lo comprendeva quel pel di carota, era la pura verità.
Era vero che lo reputava alla stregua di un bambino ingenuo, incapace di relazionarsi con il mondo degli adulti.
Era anche vero che sarebbe dovuta essere l’ultima fra le persone al mondo da cui sentirsi... attratto.
E non poteva nemmeno negare che, a quel piccolo medico, lui aveva fatto del male.
 
Poggiò il bicchiere sul bancone piastrellato e segnalò al barista di riempirlo nuovamente.
 
Mentre confessava il suo stato d’animo la settimana precedente, gli occhi di Hinata erano stati…
Tristi.
Sofferenti.
Quelle brillanti e splendenti perle nocciola, costantemente colme di un calore a lui estraneo…
Gli avevano provocato una dolorosa fitta in prossimità del cuore.
 
Sorbì il liquido scuro dal sapore fruttato.
 
Aveva sbagliato, dunque?
Lui, Kageyama Tobio, aveva compiuto un errore?
Uno sbaglio volontario?
Da ciò che aveva dedotto dalle dimissioni di Nakamura e dalla loro somiglianza al comportamento del medico…
Sembrava proprio di sì.
 
Grugnì infastidito, terminando rapidamente il contenuto del bicchiere.
 
Come si agiva in quelle circostanze?
Cos’è che aveva tentato d’inculcargli sua madre per tutti gli anni della scuola elementare?
 
 
“Tobio, tesoro, se fai qualcosa di sbagliato devi ricordarti sempre di chiedere scusa, hai capito?”
“Ma io non sbaglio, mamma”
“Beh, a tutti può capitare di commettere errori qualche volta, no? Anche se non ce ne rendiamo conto, con il nostro atteggiamento possiamo far male a qualcuno”
“E io come faccio a saperlo?”
“Magari la persona che hai ferito sarà arrabbiata con te, oppure solo molto, molto triste”
“Allora è difficile”
“Difficile?”
“Mmmh-mmh. Quando ci sono io, sono sempre tutti tristi o arrabbiati”
 
 
Scusarsi, ecco.
 
Rimirò per qualche secondo la sala gremita di gente felice e scanzonata.
 
Non che non fosse avvezzo a chiedere perdono, ovviamente.
Aveva sempre cercato di apparire al meglio dinanzi ai giudici e ai suoi docenti universitari, profondendosi in compunte scuse per mancanza di esperienza o robe simili.
Tuttavia, giustificarsi poiché aveva equivocato nel comportarsi con qualcuno…
Era tutto un altro paio di maniche.
 
 
“Mi hai davvero ferito e… ho paura che mi ferirai molte, molte altre volte”
 
 
Fanculo, non voleva pensarci.
O almeno, non per il momento.
 
Si fece stillare ulteriormente dell’alcol, senza però degustarlo.  
 
Era davvero convinto di quanto comunicato ad Akaashi poco prima.
Non poteva smentire la sua attrazione nei confronti di quel piccolo ciclone…
Ciononostante, le reali motivazioni del perché quello scricciolo gli piacesse sul serio erano ancora enigmatiche.
Non poteva dunque escludere che si trattasse di una comune, primitiva attrazione fisica.
Soprattutto perché…
 
Poggiò le labbra sul bordo di vetro e assaporò qualche goccia di vino.
 
Tobio era consapevole di possedere gusti… peculiari.
Akaashi lo aveva bonariamente preso in giro qualche volta, mentre Kuroo adorava metterlo a disagio con le sue odiose frecciatine.
Insomma, non era mica colpa sua se gli piacevano i ragazzi giovani.
 
Anche fin troppo giovani, mugugnò a se stesso con lieve imbarazzo.
 
Lo avevano sempre ammaliato i lineamenti delicati, fanciulleschi.
I volti glabri, senza un accenno di peluria.
Non gli importava un granché del colore degli occhi o dei capelli, ritenuti quisquilie insignificanti.
Una corporatura esile, su cui poter facilmente incombere con la propria forza, lo spediva in visibilio.
Gli doleva ammetterlo, ma si era sentito invidioso di Kuroo quando il moro gli aveva presentato Kenma per la prima volta.
Quel ragazzo dai capelli simili a un crème caramel aveva un corpo che appariva ancor più minuto se accostato a quel colosso di Tetsuro. 
Se non avesse posseduto dei terrificanti occhi felini inquietantemente simili a quelli del fidanzato, Tobio avrebbe anche potuto definirsi leggermente affascinato dal biondino.
 
Riflettendovi, forse l’impossibilità di sostenere a lungo lo sguardo di Oikawa-san non era mai dipesa unicamente dai sentimenti contrastanti covati nei suoi confronti.
Tralasciando il fisico ben impostato, aveva avuto un debole per quel viso fanciullesco e quei grandi occhi cioccolata fin dai primi tempi dell’univer…
 
Si morse la guancia con irruenza, furente.
 
Perché Oikawa-san doveva costantemente infettare i suoi pensieri?
Credeva che l’ossessione, cioè l’ammirazione, cioè l’odio verso il Grande Re si stesse almeno un poco affievolendo.
 
Scosse forsennatamente la testa.
In quel momento, Oikawa-san era davvero l’ultimo dei suoi turbolenti ragionamenti.
 
Sfruttando la propria altezza per torreggiare sulla folla, riuscì a districarsi dalla confusione sulla pista da ballo.
 
Se avesse preso in considerazione la mera estetica, la motivazione per cui quel medico non abbandonava la sua testa non sarebbe più stata un irrisolvibile mistero.
Era sorprendente che condividessero la stessa età.
Quel viso delicato era solitamente comune fra i ragazzi sulla prima ventina.
Aveva indugiato a lungo su quelle labbra a cuoricino, su quelle mani piccole e morbide, su quel corpo tanto flessibile…
 
“Ho bisogno di scopare”
 
Poteva manifestarsi come una conclusione semplicistica, eppure poteva proprio rivelarsi la soluzione ai suoi problemi.
Non intratteneva un’interazione sessuale da più di tre mesi.
Quel dannato scricciolo aveva sicuramente innescato una tempesta ormonale non richiesta.
 
Gli sarebbe bastato scrollarselo dalla testa con un ragazzo altrettanto carino.
Elementare, no?
 
Adocchiò una zona vuota della spaziosa sala e, tenendosi ai margini della pista, s’incamminò verso l’angolino appartato che godeva di un’ottima panoramica dell’ambiente circostante.
 
E poi, durante quella fatidica cena, il maledetto rosso aveva sfacciatamente comunicato che fosse sua intenzione rivedersi con il disgustoso biondo dalla lingua bucata.
Chi era Tobio per impedirlo?
Che si divertissero pure.
Che “ricordassero i bei tempi passati assieme”.
A lui andava bene, ovviamente.
Doveva semplicemente tenere a freno un lievissimo istinto omicida nei confronti di quell’essere, nulla di più.
Se lo scricciolo dalle belle labbra desiderava spassarsela con il suo ex, allora Tobio si sarebbe intrattenuto con qualcuno ancor più grazioso del medico.
Facile, no?
 
Percepì il sangue pulsargli violentemente nei timpani e il petto irradiarsi di calore.  
L’alcol aveva finalmente iniziato a manifestare la propria presenza.
Perfetto.
 
Appoggiando la schiena sul muro, sorseggiò placidamente il vino con gli occhi intenti a scrutare tra la gente.
Adocchiò un gruppetto di ragazzi ballare allegramente a diversi metri da lui, un’aria spensierata dipinta sui volti.
O perlomeno era ciò che Tobio poteva intuire dalle ingerenti luci stroboscopiche provenienti dal soffitto.
La sua curiosità fu inizialmente agguantata da un tizio del gruppo, riccio e dal bel sorriso, ma un’occhiata più accorta rivelò due bicipiti troppo pompati per i suoi gusti.
Ben diversa sarebbe stata l’opinione di Akaashi, la cui palese venerazione per i muscoli aveva condotto Bokuto a indossare quotidianamente magliette attillate pur di ammirare un’espressione adorante negli occhi del fidanzato.
 
Sopprimendo uno sbuffo dentro il calice, Tobio rialzò distrattamente il capo…
 
E incrociò uno sguardo turchese indirizzato a lui.
 
Spostando il bicchiere dal volto, si soffermò con maggior oculatezza su chi lo stava osservando da poco distante.
Un ragazzo appollaiato su un divanetto, apparentemente solo.
Non poteva analizzarlo in viso con chiarezza, le luci psichedeliche non consentivano un’occhiata talmente scrupolosa, eppure riuscì subito a notare una folta chioma di capelli ondulati.
 
Quell’imprevisto gioco di sguardi si protrasse per qualche altro minuto, finché lo sconosciuto saltò in piedi per primo.
Gli si avvicinò con passo rilassato, sfruttando il ritmo della musica per ondeggiare sensualmente i fianchi, e si arrestò non appena fu a pochi centimetri dal suo naso.
 
“Ciao, signor faccia cupa”
 
Come prevedibile, il viso di Kageyama si corrucciò in un lampo.
Con una smorfia stizzita e una loquacità che non avrebbe posseduto senza cinque bicchieri di vino, sbottò “Come puoi dire che ho la faccia cupa se siamo circondati dal buio?”
 
Il ragazzo ridacchiò e i denti bianchi scintillarono come perle nella penombra che li avvolgeva.
 
“Ne ho avuto la conferma giusto adesso” chiocciò con quello che a Kageyama sembrò un occhiolino.
 
Il corvino roteò ostentatamente gli occhi, ma non era seriamente infastidito.
 
“Che ci fai tutto solo soletto con l’aria del bello e dannato?”
 
Tobio ringraziò l’ambiente oscuro che gli permetteva di non sfoggiare le guance color porpora.
Nonostante l’alta considerazione che riponeva in se stesso, un complimento sul suo aspetto esteriore gli induceva sempre un bel po’ d’imbarazzo.
 
“Potrei dire la stessa cosa. Anche tu non eri vicino a nessuno, seduto laggiù” rispose con un cenno in direzione del divanetto.
 
Il giovane allargò gli occhi, ma sorrise nuovamente con aria ammiccante.
 
“Allora non ero l’unico ad averti notato” ribatté, appoggiando la schiena sulla stessa parete su cui si reggeva il legale, assumendo una posizione rilassata.
“Non sono da solo, comunque. Sono venuto con due amici ma… sembra siano abbastanza impegnati al momento” sghignazzò in maniera eloquente e puntò gli occhi su due ragazzi alla sua destra.
Il primo ballava appassionatamente con un uomo dalle spalle larghe, l’altro scoccava languidi baci sul collo a un tizio alto con i capelli rasta.
Impegnati, eh.
 
“Sei carino a preoccuparti”
 
Tobio corrugò la fronte e ripristinò l’attenzione sul suo interlocutore.
 
“Cosa ti fa credere che sia preoccupato?”
 
Il ragazzo rise e, a guardarlo di profilo, la sua avvenenza aumentava.
 
“Mi piace pensarlo” rispose, girando un po’ la testa in direzione del corvino.
“Sembri uno… forte”
 
Tobio sollevò le sopracciglia, interdetto.
Sembrava cosa?
 
“Sei carino anche quando sei confuso” ridacchiò di nuovo, alzando la mano per piazzare un dito in mezzo alle sopracciglia del legale.
“Posso?” chiese poi con tono simile alle fusa di un gatto, facendo scendere le dita dalla fronte del corvino fino alla mano che reggeva il calice.
Senza spiccicare parola, Tobio avvicinò il bicchiere di vetro alle labbra carnose del giovane che, prontamente, appoggiò la bocca sul bordo e sorseggiò il liquido scuro senza sganciare le iridi turchesi dagli occhi blu di Kageyama.
 
Quanto era facile non comunicare tramite le parole.
 
“Perché non mi offri qualcos’altro da bere?” cinguettò il ragazzo, intrecciando le dita con la mano del legale e dirigendosi fuori dalla sala troppo rumorosa per imboccare il più tranquillo lounge bar.
 
Tobio si trattenne dall’emettere un grugnito.
 
Non era proprio fra le modalità da lui predilette.
 
Aveva sempre detestato i convenevoli e avrebbe indubbiamente preferito saltare la tediosa trafila per arrivare al sodo.
Era ciò che volevano entrambi, no?
Perché indugiare in futili conversazioni pre amplesso?
Non comprendeva perché in molti avessero bisogno di superare quello step per concedersi.
Si piacevano, fine della storia, perché temporeggiare?
 
Nonostante l’avversione, seguì comunque il giovinetto addentrarsi nello spazioso salone alla ricerca di un tavolino libero.
Non appena si sedettero e il ragazzo ordinò per sé un Caipiroska alla fragola, Tobio avvertì uno sgradevole formicolio sulla nuca.
 
Voltò il capo alla sua sinistra, e…
 
Trovò ad accoglierlo il penetrante sguardo di Akaashi.
Poteva apparire freddo e distaccato come consuetudine…
Tuttavia, gli occhi cobalto lasciavano trasparire un’ulteriore sfumatura.
Biasimo, forse?
 
“Che guardi?” domandò il moro con tono frizzante, seguendo l’occhiata di Tobio.
“Un imprevisto ex?” lo punzecchiò divertito mentre squadrava il volto di Keiji.
“Hai gusti più raffinati di quel che pensassi… anche se lo stesso non può dirsi per quello lì” commentò con un sorrisetto mentre spostava gli occhi chiari sulle spalle possenti di Bokuto.
“Preferisco i tipi più longilinei. Come te, ad esempio” soffiò arricciando le labbra e sorseggiando in maniera sensuale il cocktail appena portatogli da un cameriere elegantemente vestito.
 “Cos-? Lui non… sono miei amici! Sono venuto con loro due” precisò Tobio rocambolescamente, terminando con un sorso il vino rimastogli nel calice.
“Non dovrebbe riguardarti, comunque” aggiunse con tono tagliente.
Il giovane sollevò le sopracciglia fini, ma la sfumatura divertita non abbandonò i suoi occhi.
“Siamo suscettibili, eh” scherzò con leggerezza.
Scorrendo lo sguardo sul corpo del corvino, notò solo allora che l’avambraccio destro dell’uomo fosse avvolto da una fasciatura bianca.
Allargò le iridi chiare.
“Non mi ero accorto del tuo braccio, scusami se ti ho strattonato troppo” si affrettò a giustificarsi, sinceramente dispiaciuto.
L’espressione dolce causò a Tobio un piccolo dolore al petto.
“Non fa nulla, non è così grave. Non manca molto a… alla rimozione del gesso” bofonchiò sommessamente, adoperando un enorme sforzo mentale per evitare che il suo cervello potesse compiere qualunque associazione con la parola “gesso” e i suoi conseguenti significati sconvenienti.
 
Il giovane dovette comprendere che non si trattasse di un argomento di agevole conversazione, dunque spostò rapidamente l’asse del discorso su qualcosa di maggiormente familiare.
“Di cosa ti occupi?”
Tobio raddrizzò la schiena.
“Leggi e ordinamenti. Non sai nemmeno come mi chiamo e t’interessa il lavoro che svolgo?” ironizzò mordacemente, provocando un inaspettato risolino deliziato nell’altro.
“Il mestiere svela l’identità più del nome” profetizzò enigmatico, succhiando la cannuccia rossa immersa nel liquido rosato.
Gli occhi di Kageyama rimasero fissi sulla bocca piena del ragazzo anche mentre si umettò con estrema lentezza il labbro inferiore.
“Sei un uomo in carriera, immagino” aggiunse, poggiando il mento sulla mano e inclinando la testa verso destra, cosicché i voluminosi capelli neri come l’inchiostro rimbalzassero sofficemente verso il basso.
“Diciamo di sì” rispose con un borbottio, giocherellando con il bicchiere vuoto.
“Tu? Sei uno studente?”
Il moro abbozzò un’espressione un po’ timida.
“Si vede tanto che sono più piccolo?”
“Non è qualcosa di cui dispiacersi” ribatté Kageyama senza tentennamenti.
Il ragazzo sembrò essere preso in contropiede per la prima volta.
Un piccolo sorriso gli decorò graziosamente le guance.
“Sono al primo anno di Chimica”
Tobio sbatté le palpebre, improvvisamente cauto.
Primo anno? Non dovresti…”
“Ho compiuto vent’anni il mese scorso” informò rapidamente con una smorfia spensierata e una sorsata del cocktail.
“Non preoccuparti, signor tutore della legge. Non ti sto mettendo in una situazione scomoda” lo prese in giro con un occhiolino.
 
Il petto di Kageyama si alleggerì notevolmente.
Flirtare con ragazzini che nascondevano la loro minore età non era affatto una piacevole esperienza.
Ricordava ancora nitidamente la notte in cui era stato suo malgrado affascinato da uno studente che, soltanto prima dell’inevitabile, aveva confessato di frequentare ancora le superiori.
Il loro ingresso nel locale non sarebbe dovuto essere vietato, dannazione?!
 
“Sono *Jun comunque, se te lo stessi chiedendo” cinguettò il giovane, mostrando giocosamente la lingua.
“Sembri tutto tranne che un ragazzino *obbediente” osservò il legale con un sopracciglio inarcato, bevendo un sorso dal calice riempitogli nuovamente da un cameriere.
Dopo un’occhiata interdetta, Jun scoppiò a ridere.
“E io che pensavo che non possedessi il senso dell’umorismo” chiocciò, spostandosi una ciocca voluminosa dalla fronte.
Incrociò le braccia sul tavolo e assottigliò leggermente gli occhi celesti.
“Però ti sbagli. Posso essere anche molto disciplinato, se lo voglio” sibilò con tono improvvisamente sensuale.
Il sopracciglio di Tobio si arcuò ancor di più, un’espressione di finto scetticismo a disegnargli i lineamenti.
“Dipende molto da chi mi trovo davanti. In pochi riescono davvero a farmi comportare bene” continuò Jun, con quella sfumatura erotica della voce che stava provocando un evidente effetto sul corvino.
Certamente non aiutavano a porre un freno ai suoi pensieri quei languidi occhi color del cielo e quella bocca carnosa oscenamente umida.
“Essere messo in riga da un affascinante e misterioso esperto di legge mi…”
“Sei uno che parla tanto” lo interruppe burberamente Tobio, sporgendosi con l’intero busto dall’altra parte del tavolino.
“Te l’hanno mai detto?” snocciolò sbrigativo, fissando apertamente la linea della bocca, che non aveva smesso un singolo istante di essere inumidita, dello studente.
“E a te hanno mai detto di essere eccessivamente pragmatico?” rispose per le rime Jun, sebbene l’occhiata famelica del corvino gli avesse incendiato le gote.
“Fin troppo spesso” ribatté Tobio che, ringraziando l’alcol per l’allentamento dei freni inibitori, allungò la mano fino a sfiorare con le dita le labbra fottutamente allettanti del giovinetto.
Dopo qualche attimo di sincero spaesamento, Jun parve recuperare il temperamento provocatorio.
“Però… anche tu mi sembri impaziente” mormorò con lentezza e, inchiodando gli impudichi occhi turchesi al suo volto, avvolse i polpastrelli di Tobio con la lingua in un estenuante movimento languido.
 
Una scarica di calore imperversò con veemenza nel corpo di Kageyama.
 
Il giochino poteva ufficialmente concludersi.
 
“Vieni” decretò seccamente, scattando in piedi senza preavviso e afferrando la mano del ragazzo per trascinarlo fuori dalla sala bar.
Con una risatina maliziosa, Jun si lasciò condurre volentieri da Kageyama e, accostando pericolosamente le labbra al suo orecchio, sibilò “Chi è adesso a essere trepidante?”, intrecciando poi le dita con quelle affusolate del corvino.
 
Tobio non ribatté.
Sia perché si trattava di una domanda retorica, sia perché era futile rimarcare l’ovvio, sia perché…
 
La sensazione di due perforanti occhi cobalto che bruciavano prepotentemente sulla sua nuca, svanì soltanto quando ebbero messo piede fuori dalla lounge improvvisamente divenuta soffocante.
 
 
 
 
 
Il bagno del Rainbow non era male.
O meglio, era discreto per un gay bar in cui il cinquanta per cento dei clienti finiva quotidianamente o per scopare o per vomitare all’interno dei cubicoli.
Erano sempre abbastanza puliti, per lo meno.
Non era tuttavia un requisito che aveva mai canalizzato particolarmente l’interesse di Kageyama.  
Consumava sporadicamente le sue scappatelle nella toilette.
Prediligeva un letto comodo e un ambiente confortevole in cui trovarsi a proprio agio.
Non era nemmeno arduo svignarsela all’alba dalla casa del suo ospitante, approfittando del sonno che, immancabilmente, coglieva tutti i suoi giovani amanti.
Quella sera, però, aveva fretta.
 
“Di qua” lo guidò Jun non appena entrarono nel bagno degli uomini che, per chissà quale miracolo divino, era vuoto.
 
La luce gialla del neon sopra lo specchio a parete palesò nella sua interezza lo splendido viso del ragazzo.
Gli occhi erano due grandi sfere turchesi che lo guardavano con aspettativa, esaminandolo da capo a piedi esattamente come Tobio stava operando nei suoi confronti.
Lesto come un gatto, si acquattò a pochi centimetri dal viso di Kageyama e, sbilanciandosi verso il suo padiglione auricolare, sussurrò “Ti piace ciò che vedi?”
Il legale raddrizzò la schiena, sovrastando Jun di parecchi centimetri.
“Abbastanza” rispose con tono basso.
Il ragazzo arricciò il delizioso naso all’insù e fece una smorfia, mettendo in mostra le belle labbra umide.
“Hai gusti difficili” commentò sommessamente, giocherellando con il colletto azzurro della camicia.
“A me, invece, tu piaci parecchio” confessò alla fine di quel giochetto sospeso, mordicchiandosi il labbro inferiore con studiata malizia.
 
Fu la spinta necessaria a far reagire Kageyama.
 
Con la sola mano sinistra afferrò il giovane dalla vita e lo spinse dentro un cubicolo, sbattendosi rumorosamente la porta alle spalle.
“Ehi, ehi” esalò Jun quando il corvino lo pressò senza troppi complimenti contro la parete e iniziò a baciargli con foga il collo pallido.
 
“Sei più irruento di quel che mi aspettassi” soffiò con un risolino.
 
Il corpo di Tobio gelò in un singolo istante.
 
Perché?
 
Perché quella frase, proprio ora…?
Perché quell’effetto spiazzante?
Perché quella fulminea visione delle foglie autunnali che svolazzavano allegramente attorno al medico, sdraiato sul prato del Rikugi-en?
Perché la voce che aveva appena mormorato quelle parole non apparteneva più al bel giovane tra le sue braccia ma al piccolo uomo con…
 
Strinse con forza la mano fra le morbide ciocche del ragazzino e, senza riflettervi troppo, si avventò con i denti nell’invitante sporgenza della clavicola.
 
Un pigolio meravigliato abbandonò le labbra di Jun.
 
“E anche aggressivo” aggiunse con tono compiaciuto nonostante il fiato corto, suscitatogli dal volitivo strofinamento dei fianchi di Tobio contro il proprio inguine.
Avvolgendo le braccia al collo del corvino, il ragazzo consentì all’uomo di divorargli senza impedimenti l’epidermide, gemendo impudicamente non appena la mano di Kageyama si fece strada fino all’erezione costretta fra i jeans stretti.
 
I sensi di Tobio erano ottenebrati.
Sentiva la testa leggera dall’alcol e le tempie pulsargli a ritmo del proprio battito cardiaco.
Quella pelle levigata lo stava facendo impazzire.
Cionondimeno…
 
C’era qualcosa che stonava.
 
Affondò ancor di più il naso sulla nuca del giovane.
 
L’odore simile alla lavanda era indubbiamente travolgente, eppure…
Era come se non quadrasse.
L’aroma che le sue narici avevano imparato a riconoscere e a memorizzare prontamente… era più dolce.
Più…
 
“Mmmh sì… così”
 
No, nemmeno la voce andava bene.
Troppo poco acuta, poco squillante…
 
Non voleva sentirla.
 
“Aspetta un attimo, pantera”
 
Tobio allontanò le labbra dalla pelle del moro che, ansimando, lo spinse gentilmente verso la parete opposta.
Ammiccando soddisfatto, si fletté lentamente sulle ginocchia.  
 
Kageyama osservò imbambolato la folta chioma disordinata proprio davanti al suo bacino e le mani diafane che gli slacciavano agilmente i bottoni dei pantaloni scuri.
“Vediamo se rimani impassibile anche così” lo provocò con un sorrisetto e contemporaneamente gli abbassò i boxer neri, scoprendone la mezza erezione.
Bilanciandosi con i palmi sulle sue cosce, appoggiò con straordinaria delicatezza quelle erotiche labbra carnose sulla punta del membro, strappando al legale un flebile grugnito.
La bocca di Jun si aprì in un sorriso e, gradualmente, consentì alla lunghezza del corvino di accomodarglisi in gola.
 
Con un prolungato sospiro liberatorio, Tobio dimenticò finalmente dove e con chi si trovasse, inarcando la testa e deponendola sulla parete.
 
Ecco ciò che desiderava.
Puro piacere fisico che lo svuotasse da ogni stronzata emotiva o ingarbugliato processo mentale.
Un ragazzo dalla bocca talentuosa e dal bel faccino che gli permettesse di rimuovere per una singola notte chi fosse, suggendo via ogni stress dal suo corpo così come stava succhiando il suo…
 
Un gemito rauco riverberò tra le strette mura, fomentando la voglia di Jun che assunse un ritmo più incalzante, spingendo la testa fino a sfiorare con la punta del naso i peli pubici di Kageyama.
 
Le pareti bollenti della gola dello studente erano l’unico appiglio con la realtà che Tobio percepiva.
 
Era questo che gli serviva.
Non aveva bisogno di nessuno in particolare per raggiungere quel piacere.
Il godimento che gli donava un ragazzo non dipendeva da alcun fattore specifico se non dal suo personale canone estetico.
 
Infilò le dita tra gli ondulati capelli soffici che si muovevano avanti e indietro.
 
Erano piacevolmente vaporosi.
Gli ricordavano…
 
Aprì le palpebre, stralunato.
 
Il torpore dell’alcol pareva avergli lambito le membra, appesantendogli incredibilmente il cranio.
 
Puntò lo sguardo verso il basso, laddove la sua erezione scompariva dentro la bocca di Jun, i cui occhi appagati non avevano smesso un solo istante di ispezionare il suo viso corrucciato dal piacere.
 
Sforzandosi di mettere a fuoco, indirizzò la propria concentrazione proprio su quelle iridi ferventi.
E…
 
Un asfissiante bruciore al torace lo colse alla sprovvista, mozzandogli letteralmente il fiato.
 
Non erano nocciola.
 
Quei grandi occhi non erano di quella calda e rassicurante sfumatura.
Non erano di quel brillante e vivido marrone chiaro su cui si rifletteva nitidamente il mondo intero.
Non causavano al cuore di Kageyama l’immersione in un caldo oceano rinfrancante.
 
Quelli erano occhi celesti.
Seducenti e ipnotici, tuttavia…
Insignificanti.
 
Merda.
 
Non voleva vederli.
 
Affondò le unghie sullo scalpo del ragazzo e schiacciò brutalmente il bacino contro la sua bocca.
 
Un sussulto sorpreso accompagnato da un suono strozzato fuoriuscì dalla laringe di Jun, che parve però accettare di buon grado quel cambio di redini e consentì al corvino di gestire l’intensità delle spinte.
 
Tobio era furioso.
 
Non riusciva a guardare quel ragazzino…
Ma non auspicava nemmeno di fantasticare su quel maledetto medico!
Non voleva pensare assolutamente a nulla, maledizione!!!
Desiderava solo un fottuto orgasmo, un piacere grezzo fine a se stesso, niente di più!
 
Pressò il proprio inguine con foga crescente dentro la gola del moro, che si lasciò violare la bocca senza opporre la minima resistenza.
 
Il calore iniziò a propagarsi dal basso ventre, rendendo i suoi ansimi più concitati.
 
Strizzò gli occhi, recludendo al suo cervello strapazzato ogni possibilità di scorgere alcunché.
 
Hinata, quello scricciolo incomprensibile, aveva invaso i confini della sua mente e aveva posto pianta stabile tra i propri pensieri in maniera definitiva.
Aveva provato tutto, ma non era riuscito a liberarsene.
Il ricordo di quel viso candido, di quella risata genuina, di quel rossore autentico sulle gote…
Non aveva nessuna intenzione di immaginarlo.
Eppure…
 
Serrò le dita come una morsa in quei capelli che non erano rossi, si concentrò soltanto sulla bocca che lo inglobava perfettamente, quelle labbra che però non possedevano il bel disegno a cuoricino, e…
 
L’immagine di un sorriso cristallino fu l’ultimo sprazzo cosciente di Tobio prima di essere prepotentemente travolto dal climax.
 
Venne abbondantemente direttamente nella gola del ragazzo che, impreparato, si sforzò d’inghiottire il tutto tossicchiando.
 
 
 
Per qualche infinito minuto, i suoi timpani recepirono soltanto pesanti sospiri rantolati.
 
“Sei… decisamente molto più impetuoso di quel che pensassi”
 
La voce rauca di Jun scosse improvvisamente il legale dal suo statico intorpidimento.
 
Spalancò le palpebre e, dopo una dolorosa frustata di luce gialla sulle pupille sensibili, chinò il capo indolenzito sulla fluente cascata di capelli scuri.
 
Gli occhi celesti del ragazzo erano lucidi.
Svariate lacrime ne avevano rigato le guance accaldate a causa della sollecitazione fisica.
 
Un’orribile sensazione di nausea attanagliò le viscere di Tobio.
 
“Io… m-mi disp-piace io non… stai bene? Io… io non volevo essere così…”
 
“No, no, non… non scusarti. Mi è piaciuto” gracchiò debolmente Jun, abbozzando un sorriso impacciato e distogliendo lo sguardo dal viso del legale, che solo in quel frangente si accorse dei pantaloni sbottonati del giovane e la sua mano pregna di liquido biancastro.
 
Il viscido senso di colpa non abbandonò però il petto di Kageyama.
 
Non era mai stato tanto aggressivo con qualcuno prima d’ora.
Amava naturalmente concedersi del sesso più animalesco, solo però quando espressamente richiesto dall’amante di turno.
Potevano reputarlo un tiranno sotto molteplici aspetti, ma non si era mai avvalso di libertà che non gli appartenevano.
Non gli piaceva, non lo appagava.
Non era giusto, legalmente e soprattutto…
Moralmente, ecco.
 
Osservò il volto arrossato di Jun, le spalle esili alzarsi e abbassarsi freneticamente per esalare profondi respiri.
 
Non si era trattato di un rapporto sessuale.
Non era stato un rapporto in alcun senso.
Non aveva voluto godere né del corpo di quel ragazzino, né tantomeno dalla visione del suo bel viso.
Aveva meramente sfruttato l’orifizio orale di un ingenuo ventenne come strumento di masturbazione…
Sull’immagine del volto di Hinata stampata in testa.
 
Il battito del cuore di Tobio accelerò come una furia.
 
Non aveva mai provato disgusto nei confronti di se stesso.
Si era sempre considerato superiore, su un gradino più alto rispetto alla mediocrità che lo attorniava.
Eppure, in quel momento…
Si sentiva schifato, ripugnato dalla sua totale e inopportuna perdita di controllo.
 
Aveva sempre affermato di non aver bisogno di menzogne.
Lui era quel che era, non importava ciò che gli inetti presupponevano.
Non gli occorrevano maschere puerili dietro cui nascondere le proprie azioni, per quanto crude esse potessero apparire.
Tuttavia, l’interazione con quello studente…
 
Era stata una fandonia.
Una gigantesca bugia al fine di camuffare ciò che realmente provava, ciò che concretamente nutriva nei confronti di…
 
“No io… mi dispiace. Mi dispiace, mi dispiace sul serio”
 
Si accorse di star ansimando e di avvertire le guance completamente in fiamme.
Con mano instabili si rialzò freneticamente i pantaloni.
 
Riportò gli occhi su Jun, ancora immobile sul pavimento piastrellato.
Il volto frastornato, gli occhi smarriti…
 
Avrebbe voluto provocare quell’espressione in Hinata?
Avrebbe davvero anelato afferrare violentemente la testa del medico e violargli la bocca fino a strappargli guaiti strozzati?
Avrebbe desiderato… che dai suoi bellissimi occhi nocciola fuoriuscissero spiacevoli gocce d’acqua?
 
 
“Continua così e, prima che tu possa renderti anche solo conto di quel che hai combinato, prima che tu possa porre rimedio…”
 
 
Kageyama, perennemente impassibile dinanzi alle più svariate manifestazioni di dolore…
 
Sarebbe rimasto turbato se avesse nuovamente realizzato l’impresa di ferire Hinata Shoyo?
 
Si mosse di scatto dalla sua posizione stazionaria, strappando diversi pezzi di carta assorbente dal contenitore accanto al wc.
 
“Ecco… tieni” borbottò con sguardo sfuggente, chinandosi sulle mattonelle.  
 
Jun sbatté le palpebre.
Accettò con lieve esitazione e, con gli zigomi arrossati, si pulì alla bell’e meglio, riabbottonandosi poi i jeans.
 
“Io… non so davvero come scusarmi. N-non è da me… agire… così” balbettò impacciato il corvino.
Certi discorsi non riusciva proprio ad articolarli.
 
Le iridi celesti di Jun lo osservarono stordite.
Quell’inaspettato atteggiamento remissivo… cozzava definitivamente con la condotta incarnata dall’uomo nel corso dell’intera serata.  
 
“Posso almeno… riaccompagnarti a casa? Se-se non ti da fastidio, ecco”
 
Il volto del moro a quel punto guizzò letteralmente dalla sorpresa.
Era super convinto che il tizio misterioso l’avrebbe mollato dentro la toilette senza nemmeno riflettervi un secondo.
 
“Dici… sul serio?” domandò con titubanza.
 
Non era un segreto che gli uomini gli ronzassero attorno essenzialmente per la bellezza.
Era stata dura accettarlo durante l’adolescenza, ma ormai vi aveva fatto il callo.
Non avrebbe biasimato quel tipo per la mancanza d’interesse nel suo stato fisico o emotivo.
Se durante le sue nottate nei gay bar qualcuno si fosse candidato per scortarlo casa, Jun avrebbe sempre inteso la proposta come un esplicito invito ad andare a letto.
Eppure, il corvino non sembrava minimamente intenzionato a…
 
“Certo. Perché non dovrei?” ribatté Tobio con perplessità.
 
Un piccolo sorriso a quel punto si disegnò sulle guance ancora purpuree di Jun.
 
“Che aspettiamo, allora?” cinguettò con rinnovato buonumore, alzandosi dal pavimento e scrollandosi la polvere dalle gambe.
 
Tobio fissò il giovane, stranito.
Non era… scombussolato?
Arrabbiato?
 
“Come… come fai a essere così spensierato?” chiese senza trattenersi mentre oltrepassavano la soglia del bagno.
“Non dovrei esserlo? Dai, un uomo figo come te mi sta scortando a casa. Non dovrei esserne felice?” constatò candidamente lo studente, schivando la calca sulla pista da ballo e puntando verso l’uscita del Rainbow con straordinaria tranquillità.
Tobio arcuò le sopracciglia.
“Ma non… non sei scosso nemmeno un po’ dopo… dopo quello che…” s’interruppe, non conoscendo il modo in cui continuare a esprimere intellegibilmente il discorso.
Jun guardò il legale con aperta confusione.
“No? Non capisco perché ti stia agitando più di tanto. Insomma… mi è piaciuto il tuo atteggiamento irruento” spiegò con un sorrisetto che però, nonostante la superficie disinvolta, celava qualche pudica sfaccettatura.
 
Attraversando la porta a due battenti sorretta prontamente da un colossale buttafuori, Tobio assunse un’espressione sconcertata.
“Non avrei assolutamente dovuto esserlo”
La fermezza della voce del corvino causò a Jun un sussulto inaspettato.
“Nessuno dovrebbe essere violento con te senza la tua specifica autorizzazione”
Quella volta la spina dorsale del ragazzo fu scossa da un brivido.
Avrebbe potuto attribuirlo all’aria frizzante della sera, oppure…
“E’ l’esperto di legge che è in te a parlare?” tentò di ironizzare, ma gli occhi blu dell’uomo non gli permisero di avvalersi del tono giocoso desiderato.
 
Tobio si soffermò con estrema serietà su quelle parole.
Continuò a camminare dritto dinanzi a sé finché non raggiunse la fermata del taxi a un centinaio di metri dal gay bar.
 
“Forse la legge mi ha influenzato” commentò alla fine.
“Ma faccio solo ciò che ritengo giusto”
Jun ridacchiò nervosamente, scombinandosi i capelli folti.
“Mi hai dato un’impressione molto diversa mentre eravamo seduti al tavolo”
 
Un rapido flash di una conversazione, avvenuta settimane prima alla festa di Bokuto, si affacciò per qualche istante nella mente di Tobio.
 
 
“Diciamo che non è proprio l’aggettivo che userei per descriverla”
 
 
“Come pensavi che fossi, allora?” chiese con tono inaspettatamente attutito.
 
Il giovane si mordicchiò la guancia, pensieroso.
 
“Ecco… mi sei sembrato un uomo intransigente e saccente, che potesse ottenere tutto quel che volesse con facilità. Parecchio egocentrico, non pensavo prestassi attenzione a quel che dicessi io… ma che fossi soltanto concentrato sul mio aspetto. Tranquillo, non c’è bisogno di negarlo” si affrettò a precisare.
 
La fronte di Tobio s’increspò appena.
“Non lo avrei fatto”
 
Jun fissò interdetto il volto impassibile del legale per diversi istanti prima di scoppiare sonoramente a ridere.
“E non hai peli sulla lingua, questo mi pare ovvio”
Continuò a ridacchiare finché le punte delle orecchie di Kageyama non si arrossarono e il corvino non riuscì più a trattenere un’imprecazione, che provocò una nuova ondata di risolini nello studente.
 
“Però…”
Riacquistò la compostezza, accennando un timido sorriso.
“Sei anche gentile, signor faccia cupa. Mi è capitato spesso di essere usato da uomini che non si sono nemmeno curati di chiedermi se andasse tutto bene. Tu, invece… hai fatto qualcosa che, seppur semplice, non mi sarei aspettato”
 
Tobio lo guardò con occhi sgranati.
Lui…
Gentile…?
 
“Sei davvero diverso rispetto a un’ora fa, come se fossi diventato un’altra persona. Cosa ti ha spinto a cambiare così all’improvviso?”
 
Tobio rimase in silenzio.
Sapeva che la risposta fosse racchiusa a grandi linee dentro il suo animo, ma esplicarla a parole, davanti a un ragazzo appena conosciuto…
 
La comparsa di un taxi risparmiò Kageyama, almeno per il momento, dall’onere di fronteggiare la propria coscienza.
 
“Dopo di te” borbottò, facendo segno al moro di precederlo nell’autovettura.
 
Il labbro di Jun guizzò piacevolmente verso l’alto.  
 
“Che galantuomo” lo stuzzicò bonariamente, sedendosi sul sedile posteriore e lasciando poi spazio a Tobio, che entrò roteando gli occhi al cielo con uno sbuffo.
 
 
 
 
 
La corsa in taxi non durò più di venti minuti.
 
Sostarono dinanzi a un palazzo appartenente a un’ampia zona residenziale, destinata principalmente ad alloggio per studenti grazie alla prossimità del polo universitario.
 
“Arrivato!” comunicò spontaneamente Jun, spalancando la portiera verde e balzando fuori dall’automobile.
 
Tobio seguì il ragazzo all’esterno, ma non abbandonò la presa sullo sportello con la mano sinistra.
Tracciò il profilo dell’edificio con un’occhiata veloce.
“Sembra… carino” mugugnò, sebbene avesse preferito non spiccicare parola.
Non aveva idea di cosa dire, odiava i convenevoli.
 
“Sì, il quartiere è abbastanza confortevole. Non sarà perfetto, però mi sento a casa” rispose Jun con un sorriso.
Poi, con espressione improvvisamente timida…
“Vuoi… salire?”
Tobio tentennò visibilmente.
“Però, ecco, non per quello che intendi! Cioè… se capita, okay. Non dev’essere la nostra priorità. M’incuriosisce conoscerti un po’, sembri un tipo intrigante, signor faccia cupa” precisò Jun con un occhiolino, nonostante le gote pennellate di rosa.
 
L’offerta dello studente condusse Kageyema a riflettere.
 
Sarebbe stato fuori discussione salire a casa di un ragazzo se non avesse avuto l’assoluta certezza di andarvi a letto.
Cosa mai poteva interessargli della conoscenza reciproca?
Che gliene sarebbe fregato di condividere esperienze con qualcuno che non avrebbe più avuto motivo di rivedere?
Perché mai rivelare dettagli della propria vita privata a uno sconosciuto?
 
Tuttavia, prima ancora che potesse aprire bocca…
Il ragazzo lo interruppe con strana serietà.
“A una condizione, però”
 
Il legale lo guardò un po’ stralunato.
 
Dopo qualche attimo di silenziosa attesa, le labbra di Jun schizzarono in un sorrisetto.
 
“Il tuo nome”
 
Tobio si accorse solo in quel momento di non essersi debitamente presentato.
Non gli era nemmeno balenato per la mente.
Comunemente non costituiva un requisito fondamentale per giungere al sodo della serata…
 
“Kageyama. Kageyama Tobio” ribatté, grattandosi maldestramente la nuca.
 
“Bene, Kageyama-kun, ti faccio strada” cantilenò il giovinetto, girando le spalle e incamminandosi a passo allegro verso il portone del palazzo.
 
Il legale fissò la schiena del moro senza neanche sbattere le palpebre, spiazzato.
 
Non aveva neanche avuto il tempo di rispondere.
Perché mai quello studentello era convinto che volesse seguirlo?
 
Eppure, nonostante le flebili proteste provenienti dal suo integerrimo emisfero…
Non comprese perché decise effettivamente di andargli dietro.
 
Probabilmente si trattava del senso di colpa per averlo trattato al pari di un sex toy.
Forse era seriamente intrigato da quel ragazzino dagli occhi celesti, timido e ingenuo nonostante l’apparenza sfrontata.
Magari scorgeva in quella situazione una rigenerante novità nella sua monotona esistenza sistematica e solitaria.
Oppure, possibilmente, aveva soltanto bevuto troppo.
 
Pagando rapidamente il tassista e occhieggiando distrattamente la vettura sparire fra le strade cittadine, Tobio s’affrettò ad accodarsi al moro in quell’eccentrica, bizzarra nottata.
 
 
 
 
 
“Eccoci!”
 
La soglia dell’appartamento in cui avevano appena messo piede si apriva con un piccolo, disordinatissimo salottino.
“Emh, scusa la confusione” si schiarì la gola Jun con imbarazzo.
“Vivi da solo?” domandò Tobio con un sopracciglio inarcato, squadrando decine di buste della spazzatura sparse per il pavimento, contenitori vuoti di ramen istantaneo abbandonati sul tavolino al centro della stanza, vestiti spaiati per il divanetto in velluto rosso…
“No, abito con altri due ragazzi” informò lo studente, guidando il legale per un corridoio ai cui si affacciavano tre porte giallastre serrate.
“Inoue è a posto, è un buon amico e rispetta le regole della casa… Mori invece mi fa uscire di testa” sbottò irritato, entrando nella stanza al termine del corridoio che si scoprì essere la cucina.
“Non fa altro che mangiare, sporcare e scopare con la sua ragazza, che porta sistematicamente qui una sera sì e una no. Fosse almeno una poco rumorosa…” commentò stizzito, accendendo l’interruttore della luce.
“Potrebbero almeno limitarsi le notti prima degli esami, ripassare diventa impossibile con quei due che urlano e… oh, scusami, mi sono lasciato trasportare” si arrestò bruscamente, le guance lievemente tinte di rosso.
“Posso… offrirti da bere? Ho vodka, chuhai, birra… scegli quel che ti va”
 “Una birra va bene” concesse Tobio, sufficientemente saturo dai litri di vino già ingeriti che ancora danzavano allegramente nel suo cervello.
Il ragazzo pescò dal frigorifero due lattine color argento.
“Andiamo nella mia stanza? Il letto è decisamente più comodo di queste sedie” propose Jun, guidando il corvino fuori dalla cucina.
“Ti avrei indicato il divano ma… hai visto anche tu in che stato è quel salotto” esalò con un sospiro.
 
 
 
“Entra entra”
Tobio si addentrò nella camera da letto del ragazzo, grande appena da ospitare un futon, una scrivania stracolma di libri e un armadio sbeccato.
“E’ davvero piccola, lo so” commentò il moro con una nota di biasimo.
 
Tobio scrollò le spalle.
Era uno studente, no? Si era trasferito lì per studiare, non necessitava mica di chissà quanto spazio.
 
“Siediti pure sul materasso”
 
Dopo essersi accomodati uno di fianco all’altro con la schiena appoggiata al muro e aver aperto le loro birre, fu Jun a spezzare l’atmosfera tesa che aleggiava sopra le rispettive teste.
 
“Aspetto ancora la tua risposta, Kageyama-kun”
 
Il corvino corrugò le sopracciglia, non cogliendo subito l’argomento cui si stesse riferendo il ragazzino.
Il molesto quesito rimasto a mezz’aria al fatidico arrivo del taxi non impiegò però molto per ripiombargli in mente.
 
“Non c’è un motivo” sbottò, trangugiando quasi mezza lattina in un unico sorso.
Il suo stomaco non l’avrebbe sicuramente ringraziato il giorno seguente per quella scriteriata trasgressione.
 
“Non si dicono bugie, signor faccia cupa. Eri così intransigente fino a quando siamo finiti in bagno” osservò Jun con una smorfietta.
 
Tobio emise un grugnito irritato.
 
Perché era così ficcanaso quel tizio?
Non si era già opportunamente scusato per il suo atteggiamento?
Non avevano pareggiato i conti?
Perché dovevano tutti stressarlo a quel modo?
Perché diamine era salito da quel mocciosetto se non era più interessato ad andare a letto con lui?!
 
“Però… c’è anche un’altra cosa che ha catturato il mio interesse” aggiunse Jun con tono flebile, sorseggiando la bevanda e tenendo gli occhi chiari ancorati al pavimento.
“Ho notato che ti ostinavi a non guardarmi mentre… ero inginocchiato e…” lasciò cadere la frase in sospeso.
Si schiarì la gola, risoluto a dar voce ai suoi pensieri.
“Non è qualcosa che mi capita spesso. Il viso è una delle parti del corpo che mi rende tanto appetibile”
Abbozzò un sorriso che permetteva d’intravedere qualche traccia di auto compatimento.
“A cosa stavi pensando con così tanta determinazione?”
 
Tobio fu preso in contropiede e dovette allontanare le labbra dalla lattina per evitare di sputacchiare squallidamente su tutto il materasso.
 
A che pensava?
Su cosa diamine poteva mai rimuginare?
Che cosa, o meglio, chi aveva in testa ventiquattr’ore su ventiquattro da ormai mesi a quella parte?
 
“A nulla” proruppe, strofinandosi il dorso della mano sul viso per asciugare la schiuma condensatagli sulle labbra.
 
Jun lo squadrò di traverso per quelli che parvero infiniti secondi.
Alla fine, gli occhi si dilatarono in un’improvvisa consapevolezza.
Modellando la guancia in un sorrisetto sghembo, domandò a bruciapelo…
 
“Chi è il fortunato?”
 
Quella volta Tobio non poté impedire il violento attacco di tosse che gli percosse burberamente il torace.
 
“C-c-c-che cosa??!”
 
Jun roteò gli occhi al cielo, emettendo un verso d’impazienza.
 
“Non fare il finto tonto, signor faccia cupa. Hai qualcuno per la testa, non è così?” chiocciò poi, avvicinandosi pericolosamente al volto di Tobio, la cui espressione orripilata tradiva la consueta imperturbabilità.
“Non c’è nulla di male ad ammetterlo. Non mi offendo mica”
“N-n-non è come… non dire idiozie!” sbraitò trafelato e Jun non poté trattenere una risatina alla vista di quell’uomo tanto rigido perdere il controllo a tal modo.
“Sai, nonostante fossi piuttosto… impegnato ai piani bassi, ho notato che paressi davvero combattuto” lo informò con spensieratezza.
“Non provare a negare. So riconoscere una cotta quando la vedo” cinguettò quando il legale dischiuse la bocca con l’intenzione di uno sfogo iracondo che, tuttavia, fu stroncato sul nascere da quell’impertinente ragazzino di appena vent’anni. 
 
Perché?
Avrebbe potuto ribattere con tutte le argomentazioni che avrebbe desiderato.
Maledire quel moccioso, insultarlo, costruire una difesa perfetta come solo lui era in grado, balzare in piedi e andarsene da quell’appartamento da due soldi senza neanche doversi giustificare.
Avrebbe potuto chiamare un taxi e tornarsene dritto filato a casa.
Alla sua solita vita.
Nessuno lo avrebbe fermato.
Nessuno avrebbe potuto contraddirlo.
 
Eppure…
 
Eppure rimase seduto sul materasso bianco, dentro quel caotico alloggio studentesco, accanto a quel ragazzo di cui a malapena conosceva il nome.
 
Per quale motivo?
 
“Non è che… mi hai adocchiato perché mi assomiglia?”
 
Tobio strabuzzò gli occhi, fissandoli sulle iridi sinceramente incuriosite del ragazzino.
 
Distogliendo nuovamente lo sguardo, Kageyama…
 
Chinò mestamente il capo.
 
Non era una visione di cui molti erano stati privilegiati.
Il legale dall’inavvicinabile e freddo sguardo blu, appariva…
 
Abbattuto.
 
“Ha gli occhi… nocciola”
 
Jun dovette sottoporsi a un notevole sforzo fisico per non emanare un acuto squittio.
Non immaginava che quell’uomo avrebbe seriamente rivelato qualcosa riguardante la propria vita privata.
Sembrava inaccessibile, barricato da un portone di ferro a doppia mandata.
 
Neppure Tobio, d’altro canto, aveva idea di cosa diavolo gli stesse accadendo.
 
Perché l’aveva confessato?
Perché non era rimasto in silenzio?
Perché aveva concesso al ragazzino quel dettaglio fondamentale?
Perché?
 
Perché…
 
“Profuma di pesca”
 
Era… stanco.
 
Sfibrato da quella finzione, inscenata persino nei confronti di stesso.
Logorato da quel segreto, da quell’accumulo di verità che gli perforavano il torace, che…
 
Lo avevano ormai scavato fino all’osso.
 
“Ha le labbra a cuore”
 
Voleva sbarazzarsene.
Voleva liberarsene.
Voleva…
 
“E i capelli rossi…”
 
Appoggiando la lattina sul pavimento, allungò la mano sinistra e sfiorò con esitazione le ciocche scure di Jun.
“Folti e ondulati come i tuoi”
 
Voleva rivederlo, ecco cosa.
Parlargli, guardarlo ridere…
Sorridere con lui.
 
“Ti piace sul serio, eh”
 
Quasi come un automa, Tobio risollevò le iridi sul volto di Jun.
 
Il ragazzo accennò un sorriso.
 
“Hai un’espressione trasognata. E’ davvero strano vederla su dei lineamenti tanto seri come i tuoi” spiegò, bevendo un sorso di birra.
Dopo qualche attimo, però, un dubbio s’insinuò nella mente dello studente.
 
“Non che mi riguardi, ma se ti piace così tanto… perché sei venuto con me?”
 
Il volto di Kageyama si rabbuiò.
“Non è semplice”
 
“Perché non dovrebbe? Ti piace sì o no questo tipo dai capelli rossi?” saltò su il giovane allargando le braccia con vigore.
 
Un broncio infantile disegnò la fisionomia del corvino.
“Sì…” bofonchiò.
 
 
“E allora? In fin dei conti, se non sei neppure riuscito ad ammirare il mio bel faccino, è ovvio che t’interessi parecchio” ironizzò con una smorfia.
 
Corrucciandosi tangibilmente, Tobio rimase in silenzio per diversi secondi.
Alla fine, con estrema fatica, riuscì a cincischiare…
 
“Io non… non mi sono mai… trovato in una… in una situazione…”
 
“Non sei mai stato innamorato?”
La domanda di Jun fu pronunciata con aperta meraviglia.
 
Uno sbuffo pregno d’inaspettata amarezza scaturì dalle labbra arricciate del corvino.
 
Lui?
Innamorato?
 
Non prendiamoci in giro.
 
Tobio non sarebbe stato capace di provare qualcosa di neanche lontanamente simile.
Odiava quelle cose, i…
Sentimenti, ecco.
Li aveva sempre reputati superflui, privi di qualsivoglia utilità.
Aveva visto gli effetti arrecati alle persone che gli stavano attorno.
Rallentavano i processi cognitivi, causavano un dispendio temporale ed energetico del corpo umano assolutamente scandaloso.
Altro non erano che endorfine, stimoli cerebrali, astrazioni che lui…
Lui, però…
 
Non…
 
Conosceva.
 
Un tonfo sordo risuonò nella sua cassa toracica come amplificato da migliaia di altoparlanti.
 
Perché aveva continuato a mentire a se stesso?
Perché aveva persistito in quell’inganno che lo avviluppava similmente a del filo attorcigliato a un fuso?
Perché era così fottutamente difficile ammettere che provasse qualcosa di vero per Hinata Shoyo?
 
“Io non so nemmeno cosa voglia dire… essere… innamorato”
 
Era sempre stato disinteressato alle emozioni.
Non lo avevano mai riguardato.
Non le aveva mai comprese.
Emanavano quasi un’aura spettrale, poiché…
 
“Non ho idea di cosa… siano i… sentimenti”
 
Perché facevano parte dell’ignoto.
 
Jun lo fissò con espressione genuinamente disorientata.
“Che vuoi dire?” chiese con spontaneità, cambiando la sua posizione e sedendosi a gambe incrociate proprio davanti al corvino, le mani giunte attorno alla lattina di birra.
 
Sembrava un bimbetto avido di ascoltare lo sviluppo di una storia.
Forse Kageyama aveva alzato troppo il gomito, ma gli ricordava Hinata, per certi aspetti.
Magari anche per quello sembrava così facile parlare con lui.
 
“Che non so nulla di queste cose, né essere i-innamorato né… provare affetto per qualcuno”
sussurrò.
 
Si morse l’interno della guancia con notevole forza.
 
Detestava che esistessero fatti a lui sconosciuti.
Odiava non conoscere una risposta.
Sentirsi in difetto, non abbastanza in alto…
Aveva sempre mirato alla cima, e in un modo o nell’altro avrebbe dovuto raggiungerla.
Quelli, però…
Erano discorsi che non aveva mai affrontato con anima viva.
 
Non era un’ipocrita, lui odiava gli ipocriti.
Non aveva senso discutere di qualcosa di cui neanche lui aveva consapevolezza, no?
E poi…
Discuterne con chi?
 
Lui…
Non aveva veri e propri amici.
Non li aveva mai desiderati, non li aveva in alcuna occasione giudicati una priorità.
Non ne aveva mai avuto necessità.
Era un lupo solitario.
Non lo interessavano i convenevoli, le chiacchiere sconclusionate, le risate immotivate.
Sebbene…
Non potesse realmente definirsi dispiaciuto dei momenti trascorsi in compagnia degli amici di Akaashi-san.
 
Akaashi-san…
Era la persona più somigliante a un amico che avesse mai avuto.
Perché simile, però?
Non era davvero un suo amico?
 
“Non sai cosa si prova o… ne hai paura?” domandò cautamente il ragazzino.
 
Tobio reclinò il capo.
 
Sarebbe stato semplice averne timore se avesse avuto coscienza di cosa si trattasse.
Ma disgraziatamente…
 
“Non so cosa fare perché non li ho mai provati prima d’ora e non so… gestirli. Non ho mai sentito… attaccamento nei confronti di nessuno”
 
Che significava essere amico di qualcuno?
Uscire insieme?
Parlare senza freni?
Apprezzarne le qualità?
 
Tobio stimava indubbiamente il suo senpai.
Riteneva gradevole la sua compagnia, la sua mente razionale e raffinata, il suo buon senso.
Ciononostante…
Akaashi-san era comunque un senpai.
E, pur non badando a quel non piccolo dettaglio…
Non riusciva a sentirsi libero di poter parlare senza freni.
Ammetteva di aver chiesto, seppur sporadicamente, aiuto ad Akaashi, ma per quanto concernesse il campo dei sentimenti…
 
Non gli avrebbe mai potuto confessare quelle verità.
Nonostante lo rispettasse, non era in grado di spingersi a tanto.
Non poteva mostrarsi a carne viva, senza nemmeno un velo di protezione, a colui che sarebbe diventato un giorno il suo superiore.
Nessuno sarebbe mai dovuto venire a conoscenza delle sue enormi lacune.
Non poteva permettere di sentirsi talmente mancante di fronte ad Akaashi.
Certo, l’aspirante magistrato non era cattivo, non avrebbe mai pronunciato nulla di offensivo…
 
Jun lo fissò con occhi spalancati.
“Mai… mai? Nemmeno… che so, amici d’infanzia? O un legame speciale con qualcuno?”
 
Tobio scosse lentamente la testa.
 
Ed era anche vero che Akaashi lo aveva sempre apprezzato pur conoscendo il suo difficile carattere, il suo peculiare modo di essere.
Era probabilmente uno dei motivi per cui si fosse tanto avvicinato a qualcuno per la prima volta.
Fin dai primi tempi dell’università, Akaashi-san aveva compreso la sua essenza e…
L’aveva accettata.
Sapeva bene quanto fosse scostante, dunque non si aspettava che Kageyama si comportasse diversamente da ciò che fosse.
Un atteggiamento che, invece, nessun altro pareva aver assimilato.
 
Non lo sopportava.
 
Perché la gente costruiva illusioni nei suoi confronti?
Se lui si dimostrava fin dal primo istante come una persona fredda, pragmatica, inflessibile…
Perché le persone si sorprendevano se nel lungo termine continuava a comportarsi in tal modo?
Perché non capivano che lui non si atteggiava, ma era davvero così?
Pensavano si trattasse soltanto di una fase momentanea?
Perché a un certo punto parevano improvvisamente non tollerarlo più?
Perché Nakamura, dopo ben due anni in cui sembrava esser consapevole del suo carattere, aveva improvvisamente deciso di non lavorare più per lui?
Non avrebbe potuto dimettersi prima?
Se non lo sopportava, perché non l’aveva sputato fuori subito?
Perché persistere con quel teatrino per due fottuti anni?
Lei così come…
 
Quel medico.
 
Quel fottuto medico dagli strabilianti capelli rossi.
Perché, perché era stato così deluso da lui se aveva compreso con chi stesse avendo a che fare?
Se Tobio era riuscito a ferirlo, nonostante il medico fosse conscio della sua natura…
Allora non aveva senso sperare di rivederlo, no?
 
Anche se…
 
Hinata non aveva accennato a una definitiva rottura del loro rapporto.
Che cosa voleva dire?
Che avrebbe ancora desirato ricontrarlo?
 
“Sai, un po’ ti invidio”
 
Il ragazzino interruppe bruscamente la frenetica riflessione del legale.
 
Si era disteso sul futon, il braccio sinistro sotto il capo e la mano destra a reggere la lattina sopra il viso.
“Io credo di avere… il problema opposto”
“Tendo a farmi travolgere fin troppo dalle situazioni in cui mi trovo e… spesso non riesco a uscirne senza farmi male” sorrise un po’ amaramente, sorseggiando distrattamente la birra.
“Credo di essermi preso fin troppe sbandate per uomini che erano interessati solo a una cosa, da me”
“Ho cercato allora di sfruttare la bellezza a mio vantaggio. Ho tentato di essere io quello che usasse gli uomini. Ho cercato volutamente di catturare il loro interesse. Anche per ricercare solo un po’ di conforto, calore umano. Però…”
 
Sospirò profondamente, chiudendo gli occhi con indolenza.
 
“Mi sono reso conto che, per quanti ragazzi ci provino con me… mi sento sempre solo”
 
Una lunga pausa aleggiò placidamente tra le mura della piccola stanzetta.
 
“Sai, io detesto stare da solo. Penso sia un mio grande difetto. Continuo a ricercare la compagnia di qualcuno che, però, alla fine... si rivela sempre, totalmente, disinteressato a me”
Dischiuse le palpebre, umettandosi le labbra con la punta della lingua.
“Ecco perché mi hai incuriosito, Kageyama Tobio. Nonostante mi fossi sembrato come tutti gli altri, forse anche peggiore per certi versi, hai mostrato alla fine un riguardo che… non mi sarei aspettato. Come se… ci tenessi veramente, a me”
Emise un leggero risolino.
“Hai detto di essere estraneo ai sentimenti, signor faccia cupa. Però…”
Si girò su un fianco in direzione di Tobio, guardandolo dritto negli occhi scuri.
 
“Non ti sei mai sentito… solo?”
 
Il corvino aggrottò le sopracciglia.  
 
Sentirsi solo?
 
La sua quotidianità prevedeva uno stato d’isolamento perenne.
Viveva da solo.
Mangiava da solo.
Dormiva da solo.
Lavorava da solo.
Aveva sempre prediletto la solitudine a qualunque astrusa forma di cameratismo.
Vi si era sempre trovato a proprio agio.
Nessuna conversazione inopportuna, nessuno scocciatore sul piede di guerra, nessun cicaleccio irritante.
Solo il silenzio.
Pacifico, quieto.
 
Un silenzio…
 
Che stava faticando a sopportare, in realtà.
 
“Sono sempre stato solo” mormorò, stringendo le dita attorno alla lattina argentata e provocando un flebile scricchiolio dell’alluminio.
 
Jun parve riflettere per qualche istante.
 
“Non intendo non avere qualcuno accanto come… semplice presenza fisica. ‘Solo’ non inteso come unica persona all’interno di una stanza” cercò di spiegare il ragazzo, corrugando la fronte sommersa dai capelli folti.
“Ma sentirsi solo… nel profondo dell’anima. Come se ti trovassi in un luogo desolato, in un deserto senza nessuno su cui contare. Senza un amico, senza una famiglia. Senza nessuno… che sappia della tua esistenza”
 
Tobio non comprese il motivo per cui quelle parole scavarono un profondo solco nel suo petto.
 
Ne era consapevole, no?
 
Non era indispensabile per nessuno.
Nessuno era essenziale per lui.
Era quella la regola.
Gli era sempre andata a genio.
Non gli era mai importato nulla di talmente…
Talmente…
 
 
“Saprai affrontare una vita di solitudine, Re?
 
 
“Io non potrei sopportarlo. Ho bisogno di qualcuno che mi stia accanto” confessò Jun con un sospiro.
 
Il bisogno di qualcuno al fianco…?
No.
Lui non aveva bisogno di anima viva.
Era forte.
 
 
“Un Re, un Re tirannico… può continuare a esserlo se privo di sudditi?”
 
 
Ma allora, se era così forte…
Per quale ragione quell’orrenda sensazione di oppressione aveva iniziato a tartassarlo con frequenza sempre maggiore da quando…
Da quando…
 
“Tu però sembri aver trovato questa persona. Si può sapere perché non sei da lui?” Jun mise il broncio.
 
Un fremito percorse la schiena di Tobio.
Perché non era da lui…?
 
“Non ci sentiamo da una settimana. Non saprei come… ricontattarlo”
“Siamo nel ventunesimo secolo, matusa. Hai il suo numero? La sua email?”
Tobio sbuffò un “Sì” piuttosto indispettito.
“E allora che aspetti, scrivigli un messaggio ed è tutto risolto”
Alla conseguente immobilità di Tobio, Jun ghignò malizioso.
“Ti atteggi tanto da duro e poi in realtà sei un fifone? Questa non me l’aspettavo proprio”
“Non sono un codardo!” sbraitò il legale mentre le orecchie s’imporporavano rapidamente.
“Allora forza! Che aspetti? Su, su, qui davanti a me” chiocciò sagacemente, abbandonando la lattina vuota sul pavimento e sdraiandosi a pancia in su con le braccia conserte sopra al materasso.
 
Kageyama guardò quel mocciosetto con un diavolo per capello.
 
Come si azzardava a parlargli così sfacciatamente?
Dargli ordini impunemente?!
E poi, perché stava veramente prestando ascolto a uno studentello squattrinato?
Cosa avrebbe contato la sua opinione, in fin dei conti?
 
“Non è così semplice” sbottò, nonostante fosse intimamente inferocito.
“Sei tu a far diventare le cose complicate” cantilenò il moro roteando gli occhi al cielo.
 
Dio, quel ragazzino lo stava facendo uscire fuori dai gangheri.
Perché si comportava come se si trattasse di una questione basilare?
Perché lo stava facendo sentire un idiota?
Perché il suo atteggiamento scanzonato gli rammentava…
 
Una realizzazione lo colpì in pieno petto.
 
“Non è così… è che…” tentò di spiegare con tono inaspettatamente più tenue.
“L’ultima volta in cui ci siamo visti, io… l’ho ferito”
 
Le sopracciglia scure dii Jun schizzarono agilmente verso l’alto.
 “Ah, questo cambia le cose. Mmmh” rifletté, picchiettandosi il polpastrello sul mento.
“Beh, dovresti farti perdonare…”
“Anche se dalla tua faccia penso che tu non sappia come fare, giusto?” dedusse con espressione eloquente.
Tobio borbottò qualcosa d’incomprensibile, voltando la testa di lato per tentare di nascondere l’imbarazzo.
“Alloooora” iniziò Jun, voltandosi sulla schiena e tamburellando le dita della mano destra sul palmo della sinistra.
“Hai capito il motivo per cui il tuo uomo dai capelli rossi è offeso o comunque deluso da te?”
 
Tobio guardò quel viso dai lineamenti delicati per diversi secondi.
 
Stava continuando a confidare delicate parti di sé, di cui nessuno probabilmente contemplava l’esistenza, a un ragazzino conosciuto appena qualche ora prima.
Nemmeno con Akaashi-san era mai giunto a un livello di confidenza talmente intimo.
Aveva sempre pensato di non riuscire a sbottonarsi.
Non voleva che il senpai lo considerasse un debole.
Eppure, benché non potesse sostenere di discuterne fluentemente...
Stava sorprendentemente conseguendo nell’impresa di confessare a quel tipetto dai folti capelli scuri, senza morire dall’imbarazzo, alcun dei suoi segreti più intimi.
 
Lentamene, il legale annuì.
 
“Allora la cosa migliore che potresti fare è parlarne a tu per tu con lui. Spiegargli il motivo delle tue azioni…”
S’interruppe per riflettere attentamente.
“Però, se fossi in lui, mi piacerebbe qualcosa d’inaspettato da parte tua. Uuh, ci sono! Perché non gli fai una sorpresa?” propose entusiasta.
 
Kageyama sbatté le palpebre.
 
Stava davvero prendendo in considerazione l’opinione di quel ragazzetto?
Dalla mente vivace, senza ombra di dubbio, ma…
Avrebbe veramente ascoltato il suo parere in modo costruttivo?
 
 
“Non ti sei mai soffermato sul fatto che la tua opinione non sia l’unica che conta?"
 
 
“Io adoro le sorprese e apprezzerei tanto che il mio… cioè, la persona che mi piace me ne facesse una. Soprattutto se è per chiedermi scusa”
I lineamenti di Jun assunsero un’espressione morbida.
“Può sembrare un po’ superficiale, però… mi farebbe capire che ci tiene sul serio”
 
Forse, quel ragazzino insperatamente sensibile, stava mostrando a Kageyama una nuova prospettiva da cui esaminare la situazione.
Proprio come gli aveva spiegato il piccoletto…
 
“Potresti presentarti sotto casa sua all’improvviso! Magari facendogli un regalino o qualcosa del genere” propose Jun con sincero coinvolgimento.
 
Tobio parve rimuginarvi.
Non era poi un’idea talmente esageratamente balorda.
La complicazione era…
 
“Non so dove abita”
 
Il giovane scrollò le spalle con noncuranza.
“Non è un problema. Non avete conoscenti in comune a cui poter chiedere? Oppure potresti spiegare la situazione a un suo amico cosicché possa darti l’indirizzo. Sono sicuro che capirà. L’importante è mostrarsi sincero del tuo pentimento” illustrò con l’espressione di uno che la sapeva lunga.
 
Tobio si mordicchiò il labbro inferiore.
 
In effetti, quel ragazzino non aveva del tutto torto.
Perché non ci aveva pensato prima?
Non era un ragionamento così difficile.
Dio, era veramente una frana.
Avrebbe avuto bisogno di un corso intensivo sulle relazioni sociali…
 
Sollevò il viso sul giovane, sedutosi nel frattempo a gambe incrociate davanti a lui.
“Ecco… gr-grazie. Per i… consigli… e…”
Riabbassò gli occhi, guardandosi distrattamente l’avambraccio ingessato.
“Per avermi ascoltato” mugugnò con le labbra appena dischiuse.
 
Le pupille di Jun si dilatarono.
“Sai, alla lista di aggettivi con cui ti ho descritto prima, aggiungo l’essere maldestro. Non sembri poi così stronzetto quando fai quella faccia lì” ridacchiò con un occhiolino.
 
La momentanea calma che aveva avvolto Tobio parve dissolversi, sormontata dall’usuale atteggiamento iracondo.
“Ehi, mocciosetto! Ti avevo anche ringraziato! Come ti permetti di-”
 
Le parole del legale furono bruscamente interrotte da morbide labbra al sapore di birra.
 
Un brivido freddo percorse la spina dorsale di Tobio, che si sentì paralizzato sul posto.
 
Con occhi spalancati, guardò il ragazzino pressare la bocca sulla sua e percorrerla appena con la lingua.
Riaprendo le palpebre, Jun si distaccò quel tanto che bastava per poter emettere qualche suono.
“Non ho mai detto che mi dispiaci, però” sussurrò con un piccolo ghigno.
 
Suo malgrado, Kageyama fu costretto a guardare il giovane a distanza super ravvicinata.
 
Le labbra carnose erano decisamente invitanti e quei languidi occhi celesti sembravano attirarlo come una nenia confortante.
Era bello.
Davvero bello, quel ragazzino.
Eppure…
 
“Adesso che hai risolto il problema che ti disturbava, ti va di pensare al tuo caro uomo dai capelli rossi domani?”
 
L’immagine del candido sorriso del medico fu proiettata nella mente volteggiante del corvino.
 
Quei brillanti occhi nocciola, caldi, rassicuranti, traboccanti di…
Emozioni…
 
“Allora, Kageyama-kun?”
 
Era dannatamente avvenente, quello studente.
Sexy, seducente, abile con la lingua…
Però…
 
Un mesto sorriso permise alle labbra di Tobio di sollevarsi all’insù.
“L’ho messo da parte per fin troppo tempo”
 
Non era Hinata.
Semplicemente, non era il suo scricciolo dai capelli color carota.
 
“Mi dispiace” pronunciò guardando il giovane dritto negli occhi.
 
Successivamente a diversi attimi d’immobilità, Jun, inaspettatamente, sorrise.
 
Allontanò il volto dal legale e si risedette a qualche centimetro di distanza.
“Sarei stato parecchio deluso se non mi avessi respinto, signor faccia cupa” rivelò con una smorfietta ammiccante.
Le sopracciglia di Tobio guizzarono dalla sorpresa.
“Anche se, da un lato, sono un po’ geloso” ammise, giocherellando con i bottoni della camicia.
“Nessun uomo si comporterebbe in questo modo… per me” mormorò con un sorrisino triste.
 
Uno strano moto di empatia smosse il torace di Tobio.
Forse, in fondo, lui e quel ragazzino… avevano qualcosa in comune.
Prima che potesse pienamente rendersene conto, si trovò ad aprire bocca.
 
“Quando hai parlato… degli uomini che sono stati con te solo per l’aspetto… non sembrava che ti andasse davvero bene, no?”
 
Jun fu colto alla sprovvista.
Le sue guance si colorarono di scarlatto e gli occhi si abbassarono vergognosamente.
 
“Perché non smetti allora?”
 
Razionalmente sapeva che sarebbe stato preferibile impicciarsi degli affari suoi.
Era il suo precetto di vita.
Tuttavia…
Non poteva negare che quel ragazzino gli fosse stato utile.
O meglio, per essere più garbati…
Lo aveva aiutato.
 
Jun si mordicchiò la guancia, titubante.
 
Però, dopo qualche minuto…
 
Un piccolo sorriso speranzoso si disegnò nuovamente sul suo bel viso.
 
“Ci proverò, signor faccia cupa”
 
 
 
 
 
La prima azione che intraprese Tobio non appena mise piede sul taxi in direzione del proprio appartamento, fu scrivere freneticamente un messaggio.
 
 
3:31
A: Akaashi Keiji
“Akaashi-san, scusami per l’orario inopportuno, ma ho bisogno del contatto di Kozume Kenma. E’ una questione urgente… per favore, rispondimi non appena leggi”
 
 
Sospirò profondamente, accasciandosi mollemente sul sedile dell’autovettura.
 
Auspicava vivamente che Akaashi-san fosse ancora sveglio, nonostante l’ora tarda.
Magari era da poco rientrato dal Rainbow con Bokuto-san.
Era sabato, in fin dei conti.
 
Un grugnito frustrato stridette dalle pareti della sua gola.
 
Se non stavano già dormendo, c’erano però alte probabilità che la coppia stesse divertendosi sotto le lenzuola.  
Erano spesso impegnati con i rispettivi obblighi, quindi non vi sarebbe stato da meravigliarsi se avessero trascorso un sabato notte a recuperare il tempo perduto…
 
E poi, a ben pensarvi, non era neanche sicuro che Akaashi gli scrivesse il numero dell’amico di Hinata.
Avevano raramente scambiato qualche parola.
Sarebbe potuto sembrare invadente.
Insomma, chi diavolo cerca il contatto di qualcuno con cui non si ha quasi mai comunicato alle tre e mezza di un sabato notte?
Era ovvio che Akaashi non avrebbe rivelato così alla leggera il numero del fidanzato del più caro amico di Bokuto-san.
Prima ne avrebbe sicuramente dovuto discutere con Koutaro, che poi forse avrebbe riferito a Kuroo che quasi sicuramente lo avrebbe preso in giro a vita per quella fanfaronata inopportuna.
 
Era tutta colpa di quel ragazzino.
Perché aveva prestato ascolto alle sue parole?
Perché…
 
Un inatteso, fievole ronzio vibrò dalla tasca dei pantaloni del legale.
 
Con un rumoroso ansimo, pescò il cellulare con foga.
Sbloccò il display luminoso e…
 
 
3:43
Da: Akaashi Keiji
“Ricordati di parlargli con calma e di spiegare le tue ragioni con chiarezza. Se lo convincerai, ti aiuterà di sicuro”
 
 
Allegato al messaggio, c’era un contatto email.
 
 
 
***
 
 
 
Un dispettoso raggio di sole filtrò dalle palpebre placidamente serrate di Shoyo.
Un debole grugnito ovattato ne abbandonò le labbra parzialmente dischiuse.
 
Tentò di contrastare la penetrante ondata di luce strizzando gli occhi e girando cocciutamente la testa verso il lato opposto.
 
Avrebbe desiderato dormire per le successive dieci ore consecutive.
 
Abbracciò il morbido cuscino, cercando di ricongiungersi al mondo dei sogni cui era stato burberamente sradicato.
 
Purtroppo per lui, il suo esigente stomaco aveva ben altri piani.
 
Un sonoro brontolio risuonò sfacciatamente per le quattro mura della camera da letto.
 
Sbuffando scocciato, Shoyo si costrinse ad aprire gli occhi e a sedersi mollemente sul materasso.
 
Il bagliore del sole pomeridiano aveva fatto capolino fra le tende accostate della finestra, assurgendo al compito di un’amichevole sveglia.
Dall’angolazione dei raggi, il rosso dedusse che fossero più o meno le due.
La sua pancia non aveva eccessivamente torto a ribellarsi, in effetti.
 
Con un poderoso sbadiglio, stiracchiò vigorosamente i muscoli intorpiditi della schiena sollevando le braccia in direzione del soffitto.
 
Gli ultimi due giorni lo avevano completamente stremato.
Non credeva di essere rimasto immobile per più di qualche minuto, correndo tra emergenze nel reparto e gravi nuovi arrivati al primo soccorso.
La pressante carenza di personale stava incidendo gravemente su tutti i colleghi del Karasuno, causando perfino all’imperturbabile Shimizu-san un inaspettato attacco di nervi.
Scovare il tempo per concentrarsi su un argomento che non riguardasse il lavoro, sarebbe stato assolutamente impossibile.
Avendo terminato il turno appena alle sette di quella mattina, avrebbe sinceramente preferito ributtarsi tra le coperte e consentire al suo corpo di recuperare le energie perdute…
Ma era ben conscio che il suo stomaco non gli avrebbe concesso tregua finché non fosse stato debitamente nutrito.
 
Gattonando fino al margine del letto, poggiò i piedi sul tatami e si alzò con un piccolo balzo.
Stropicciandosi gli occhi camminò a tentoni, sperando vivamente di non inciampare sul disordine sparso per il pavimento, fino alla finestra, spalancandola.
 
La prepotente luce pomeridiana invase la stanza, investendola di rinnovata vitalità.
 
Ispirando profondamente, Shoyo permise alla frizzante arietta ottobrina di avvolgergli garbatamente i polmoni.
Socchiuse le palpebre e guardò verso il basso, dove una sconfinata distesa di arancione, giallo e rossiccio s’intrecciava tra loro in uno strabiliante amalgama di colori.
Un sommesso chiacchiericcio fungeva da sottofondo a quella visione suggestiva che si espandeva a perdita d’occhio.
 
Sul viso del medico si tratteggiò un morbido sorriso.
 
Aveva scelto quella casetta proprio per la prossimità a uno dei più estesi parchi della città, nonostante la struttura piuttosto datata delle fondamenta.
Dal suo secondo piano poteva scorgere ogni giorno un’enorme macchia di vegetazione, dai cui rami provenivano pigolii delle più svariate razze di uccelli.
L’aria che aleggiava nei dintorni era pregna di ossigeno, nulla a che vedere con lo smog imperniato nelle massicce zone urbane della metropoli.
Non avrebbe sopportato di vivere circondato dall’inquinamento e dagli imponenti grattacieli grigi.
 
Dopo un’ultima affezionata occhiata, sfregandosi distrattamente i capelli scombinatissimi, ciondolò fino in bagno.
 
Una rapida doccia e una lavatina ai denti più tardi, s’incamminò a passo spedito nel piccolo open space comprendente cucina e soggiorno.
 
“Buongiorno, Ai-chan” salutò in direzione di una cocorita di un bel verde brillante, schiudendo la porticina della spaziosa gabbia appesa alla parete e ricevendo come risposta uno strascicato “Buongiorno, buongiorno!” che lo fece sorridere di cuore.
“Bacino, bacino” trillò il pappagallino volando fuori dal suo nido notturno e poggiandosi sulla spalla di Shoyo, picchiettandogli amorevolmente le labbra.
“Scusami se sono stato fuori così tanto in questo periodo” si giustificò il medico con espressione colpevole, ricambiando il bacio del piccolo coinquilino.
“Hai fame? Vuoi un po’ di frutta fresca?” chiese massaggiandogli dolcemente la testolina gialla e ridacchiando al “Fame, fame!” che cinguettò la cocorita.
 
Spostando con la gamba un paio di buste nere dal contenuto non identificato abbandonate sul tatami, domandandosi internamente da quanto tempo non ripulisse a dovere l’appartamento, si accinse ad aprire il frigo.
 
“Che tristezza” mugugnò mogio mogio, prendendo nota di quanto non ci fosse tra i ripiani.
 
Aveva davvero procrastinato così tanto per una spesa adeguata?
Non mancavano di certo i conbini dislocati per il quartiere.
Possibile che non consumasse un pasto decente da giorni?
 
“Te la passi meglio di me, Ai-chan” brontolò, pescando una pera dallo scompartimento inferiore e richiudendo tristemente l’elettrodomestico.
“Fame, fame!” squittì il volatile mentre Shoyo lavava minuziosamente il frutto e lo tagliava in piccoli spicchi.
“A chi lo dici” sospirò mentre con una mano porgeva una fetta di pera ad Ai-chan e con l’altra si liberava la fronte dai ciuffi di capelli.
 
Dopo aver spalancato ogni singolo sportello della dispensa, appurò che in casa non rimanesse altro che due sacchi di riso, alghe nori, frutta, carote e uova.
Il suo stomaco protestò animosamente alla penuria di alimenti veri.
 
Si lasciò cadere sul divanetto bianco davanti alla tv, mentre Ai-chan sgranocchiava felicemente il proprio pasto sulla sua clavicola.
 
L’unico piatto contemplabile da poter preparare era il Tamago kake gohan.
L’aveva sempre adorato come colazione, ma in quel momento…
Bramava qualcosa di decisamente più sostanzioso.
Senza considerare che si trattasse piuttosto d’ora di pranzo
Dubitava che un misero tamagoyaki avrebbe potuto saziarlo, ipotizzando che avesse ancora a disposizione un po’ di zucchero.
 
Sbadigliò sonoramente.
 
L’insolita stanchezza pregressa dell’intera settimana si era sommata a quelle ultime quarantottore di pura frenesia, facendolo sentire al pari di uno straccio avvizzito.
Persino l’idea di scendere in strada per comprare un pasto già pronto lo sconfortava.
Non aveva voglia di mettere neanche un piede fuori di casa, quel giorno.
Per quanto lo riguardava, avrebbe potuto dormire fino all’indomani mattina.
 
Alla fine però, vinto dai morsi della fame, si decise ad alzarsi e a mettere a cuocere del riso.
 
Nonostante Ai-chan svolazzasse per la stanza canticchiando allegramente, producendo la sua buona dose di chiasso giornaliero, Shoyo accese la tv sintonizzandosi sui canali sportivi, beccando provvidenzialmente una qualche replica del campionato mondiale di pallavolo.
Il trambusto di sottofondo lo rilassava mentre disponeva le ciotole sul tavolo e improvvisava un pasto che lo avrebbe sicuramente lasciato con lo stomaco gorgheggiante.
 
Detestava essere circondato dal silenzio.
 
Mentre trangugiava avidamente il riso avvolto dal sapore dolciastro dell’uovo, il trillo acuto del campanello scosse la sua mente ancora mezza addormentata.
 
“Campanello, campanello!” gracchiò allegramente Ai-chan, ondeggiando davanti la soglia.
 
Shoyo aggrottò la fronte, vivamente perplesso.
 
Chi mai poteva essere?
 
Non aveva degnato il cellulare di un’occhiata, ma dubitava che Kenma, Yachi o qualcun altro potesse fargli un’improvvisa visita alle due e trenta del pomeriggio.
Un pacco era altrettanto improbabile, non ricordava di aver ordinato nulla.
Posta urgente?
Perché non citofonare allora?
Che avessero trovato il portone d’ingresso già aperto?
Oppure era solo un vicino venuto a chiedergli in prestito qualcosa…
Come se lui possedesse una grande varietà di cibo.
 
“Vieni Ai-chan, aspetta qui un attimo” richiamò la cocorita alzandosi controvoglia dalla sedia, prendendola dalle zampine e appoggiandola delicatamente su uno dei posatoi in legno della voliera, lasciando comunque socchiusa la porticina.
 
Scoccò una veloce occhiata al proprio riflesso sullo specchio a parete della camera da letto.  
 
Non che gli importasse che qualcuno lo vedesse con il pigiama di flanella, ma almeno sperava che i capelli non sparassero impazziti da tutte le direzioni.
 
Tentando di cacciare indietro qualche ciocca ribelle, si diresse verso la porta con un sospiro e con la pancia che emanava fragorose richieste di nutrimento. 
 
“Sì?” aprì senza molto entusiasmo, grattandosi distrattamente la nuca.
 
E…
 
Una paralisi temporanea costrinse il cuore di Shoyo all’immobilità assoluta.
 
L’ultima cosa che avrebbe mai immaginato in quel sonnolento pomeriggio autunnale, sarebbe stata ritrovarsi due intensi occhi blu come il mare sbattuti impetuosamente sul volto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note finali: ebbene sì, non sono morta (non ancora, almeno).
Se da una parte mi sento di essere “giustificata”, dall’ultimo aggiornamento di aprile fino al trenta giugno sono stata in balia di un esame dopo l’altro, dall’altra devo ammettere che quando è arrivato luglio me la sono presa fin troppo comoda.
C’è anche da dire che questo capitolo non ne voleva proprio sapere di uscire dalla fase di gestazione. Non esagero quando confesso di aver impiegato un intero mese tra ideazione, stesura e correzione. Probabilmente mi sono “scollegata” troppo dalla storia, oppure ho proprio perso l’abitudine di scrivere (tragedia).
Starà a voi giudicare il risultato di tanto sforzo psicofisico.
Spero che almeno mi sia fatta un pizzichino perdonare con la lunghezza del capitolo, venuto fuori come il più lungo (finora) della storia.
Per quanto riguarda invece la narrazione nello specifico:
-Il nome del locale… lo so, è davvero banale. Sono una frana nell’inventare ‘ste cose, scusate c.c
-Il significato di *Jun è obbediente. Sì, Tobio è pessimo a fare battute e io sono più pessima di lui perché gli metto in bocca cose pessime.
Devo essere sincera, questo neo ventenne me lo immagino un po’ come una versione giovincella di Oikawa. Sarà perché adoro pensare a un piccolo Tooru che prenda in giro Kags, sarà perché nonostante lo neghi a Tobio il visetto di Tooru piace parecchio, sarà perché tendo a mettere Oikawa ovunque (no, non si vede che lo amo alla follia, nooooo), fatto sta che è stato naturale per me caratterizzarlo in questo modo.
-La parte hard, chiamiamola così, spero non risulti eccessivamente spinta. Scrivere scene esplicite mi è sempre piaciuto, ma considerando che non è la priorità di questa storia mi sono voluta un po’ limitare nei dettagli. A voi il giudizio.
-Ho sperimentato per esperienza diretta che discutere dei propri problemi (sentimentali e non) con persone cui con non si è particolarmente legati, è sorprendentemente produttivo. Aiutano a ottenere più prospettive oggettive da cui guardare una situazione. Jun non è stato posto a caso, se ve lo stavate chiedendo.
-Il nome ‘Ai-chan’ così come l’idea di un animaletto domestico per Shoyo le ho rubate al pappagallo presente nel manga ‘Suki Toka Arienai!’, letto su MyReadingManga in queste settimane.
-In parole molto povere:
Tamago kake gohan= riso cotto cui si aggiunge un uovo crudo misto a salsa di soia;
Tamogoyaki= frittata arrotolata composta da uova, salsa di soia e zucchero.
-Sono maledettamente lenta, lo so, mi dispiace, cercate di sopportare con me.
 
Che dire di più, siete un sacco a seguire questa storia con assiduità, vi ringrazio dal primo all’ultimo (anche se con questo stacco di quattro mesi non so quanti abbiano ancora voglia di leggerla…).
Se avete dubbi, errori o refusi da segnalarmi fate pure, tenterò di migliorare al meglio delle mie capacità.
La vostra opinione mi fa tirare avanti<3
   
 
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