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Autore: viola_capuleti    27/08/2019    0 recensioni
Raven ha sempre avuto la certezza di essere una ragazza normale, nonostante la famiglia ristretta alla madre Elen e l'amico di famiglia Andrea che non la lasciano mai sola, i numerosi traslochi e la vistosa cicatrice che ha sul petto.
Ma tutto cambierà quando un misterioso uomo comparirà davanti a casa sua, insieme ad un particolare trio di ragazzi, proprio quando sua mamma dovrà andarsene di casa per lavoro e un misterioso coniglio albino le farà compagnia nei suoi sogni per avvertirla di un pericolo.
Scoprirà ben presto di far parte di una relatà ben più grande di quanto avrebbe mai potuto immaginare...
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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CAPITOLO 8
Sul ghiaccio sottile non si corre


-Non dovremmo andare. -.
Naturalmente aveva detto una cazzata. Un’idiozia.
Buck si voltò a guardarlo. Li separavano una decina di passi.
Fuori il sole batteva implacabile e riscaldava come al solito le pietre della fortezza. A volte, in giornate particolarmente calde, il calore delle spesse pareti di roccia dall’esterno passava all’interno, creando un tepore piacevole nelle stanze e nei corridoi. Per questo si potevano trovare rettili ovunque dentro e fuori, che si godevano il sole o il calore, anche nei posti più impensabili.
Ma Chuck in quel momento aveva freddo. Anzi, addirittura la pelle d’oca.
Si strinse nelle braccia, cercando di togliersi i brividi con le mani, scoprendo di averle fredde e viscide di sudore.
-Non dovremm-che cosa? – ripeté sbigottito Buck sgranando gli occhi –Ma che dici? Sei strano Chuck. È l’occhio? Hai la febbre, un’infezione? -.
-L’occhio sta bene. -.
Una balla enorme, l’occhio gli faceva un male cane. Gli sembrava di avere un carbone ardente nell’orbita e anche qualcuno che cercava di accoltellargli l’interno della testa con simpatiche pungolate. Non aveva dormito molto e l’unico calmante che poteva prendere era un bicchiere di liquore che aveva trovato in un vicolo in una bottiglia mezza piena. Non faceva pensare al dolore per un po’ ma era disgustoso.
-Allora andiamo. Taylor ci vuole. – disse con decisione Buck, riprendendo a camminare.
Fece solo un paio di passi, per poi voltarsi a guardare di nuovo il cugino, per assicurarsi che lo stesse seguendo.
Cosa che non stava facendo.
-Chuck, muoviti. – insistette Buck, scocciato –Io da solo non vado di sicuro. -.
Avevano avuto la Portatrice tra le mani per un attimo prima che arrivassero i soccorsi a tenerla al sicuro. In più era accecato da un occhio.
Quella notte aveva sognato Calfie. Era nato d’inverno ed era piccolo e rachitico. Adorabile, come tutti i cuccioli, ma suo padre aveva capito che qualcosa era andato storto quando la vacca non aveva avuto lo stimolo di scodellarlo.
Lo avevano tenuto, certo, perché niente si butta via: poteva ancora irrobustirsi e diventare almeno un manzetto. Così se ne erano occupati, lo pulivano, lo nutrivano con un succhiotto, lo facevano camminare e lo tenevano d’occhio quando stava con gli adulti e gli altri vitellini. Ma Calfie era nato sfortunato.
Chissà come era rotolato giù per un pendio e si era rotto la zampa. Mugghiava, chiamava la mamma, cercava di alzarsi in piedi con l’osso che usciva dalla pelle, sanguinava come se lo avessero scannato.
 Lo aveva portato nel fienile, convinto che potessero fare qualcosa. Era piccolino, curare una vacca era più complicato perché erano più grosse. Ma suo padre, sentito che era successo e guardato la ferita, invece che prendere le bende e le stecche aveva preso la scure.
“Lascia perdere Chucky, Calfie era anche malato. Le erbe non hanno funzionato. Se resti m’aiuti, quindi vai di là, vai da zia o dai vicini. ”
Gli si era aggrappato al braccio ma non c’era stato verso, Calfie era diventato carne salata per i tempi più duri.
Calfie nel sogno correva e sgambava, stava bene. Lui gli correva dietro, non sapeva neanche se era perché era felice che fosse vivo o se per evitagli un’altra caduta pericolosa. Gli diceva di non correre, altrimenti inciampava. Ed era inciampato, non c’era da stupirsi, dato che saltabeccava come un matto. Lo aveva tirato su, guardando che non si fosse rotto nessuna gamba.
Era tutto a posto, ma teneva un occhio chiuso. Il sinistro.
“Siamo tutti carne da macello.” aveva detto, aprendo le palpebre, facendo grondare un fiume di sangue dall’orbita nera “Vieni a tenere compagnia al piccolo Calfie?”.
Sua zia aveva scommesso sulla vita del vitello, pensando che non avrebbe raggiunto i due mesi di vita.
Di sorveglianza alle cucine, aveva sentito le guardie sussurrare che loro sarebbero stati eliminati il giorno stesso. Lo aveva sentito dire da Regina in persona a cena, i due cani non avrebbero più avuto un canile a cui andare, che non fosse accessibile se non dai vermi.
E adesso Taylor li voleva nel suo studio.
-Muoviti-i. – ribadì Buck, cantilenando l’ultima lettera, non seppe dire se era ancora scocciato dalla sua immobilità o se stava capendo che qualcosa non andava.
Ma come faceva a non rendersi conto del fatto che stavano per fare una brutta fine?
Lui non sembrava neanche capire… non per stupidità, sembrava voler chiudere apposta gli occhi davanti alla realtà.
Fin da piccolo si cacciavano nei guai per colpa sua, dato che ignorava i segnali ovvi che avrebbero portato al casino. Inutile cercare di fermarlo, sembrava avere il prosciutto sugli occhi.
Cosa per la quale sua zia gli aveva fatto promettere di prendersi cura di lui.
-Andiamo… - bofonchiò iniziando a camminare, pensando: -Se ce ne andiamo sarà insieme. Insieme siamo entrati al Mattatoio, insieme ne siamo usciti e insieme ci torniamo… se è questo che ci toccherà. -.
Quando gli passò accanto sembrò non accorgersi che aveva ancora la pelle d’oca sulle braccia.
Raggiunsero lo studio di Taylor in poco tempo. In tutti gli anni in cui erano stati al servizio degli Hydra non si ricordava di aver mai messo piede in quella stanza.
Rimase stupito dalla meravigliosa vetrata sulla sinistra, un mosaico che andava formare tralci rampicanti di fiori rossi, che solo dopo essersi avvicinato abbastanza riuscì a riconoscere come Code di Volpe. L’aveva sempre vista dal cortile della fortezza e aveva immaginato che appartenesse alle stanze di Regina o al massimo alla biblioteca, non alla stanza del principe.
Il sole rifletteva nella stanza luci colorate, che investivano Taylor, intento a leggere un libro in una poltrona all’esatto opposto della vetrata.
Il vetro rosso faceva sembrare che il demone fosse ricoperto di macchie di sangue luminose, cosa che fece rabbrividire ancora di più Chuck, almeno quanto l’enorme testa di Hydra sul tappeto che ricopriva buona parte del pavimento, dalle fauci spalancate.
Appoggiandoci i piedi sopra sperò che la fine a cui stavano per andare incontro potesse essere veloce e indolore come essere ingoiati da un mostro.
Si inginocchiarono davanti a Taylor e attesero che parlasse.
Il demone si tolse gli occhiali che stava usando e si passò una nocca sull’occhio destro, facendo una smorfia. Mise da parte il libro e disse: -Immagino sappiate perché siete qui. -.
Chuck sentì i capelli rizzarglisi sul collo. L’istinto gli diceva di darsela a gambe, subito, anche buttandosi contro il finestrone. Cadendo di sotto magari avrebbe avuto una morte meno dolorosa di tornare al Mattatoio o essere ammazzato dalle guardie o addirittura da Taylor.
Accanto a lui, Buck parlò alzando la testa dalla posizione prostrata: -Credo sia per il lavoro che abbiamo svolto. Siamo onorati di lavorare per Regina, non c’è il bisogno di essere ricompensati in altro modo. -.
In un altro momento gli avrebbe allungato una gomitata o un calcio alla caviglia, oppure avrebbe anche solo pensato che avrebbe dovuto stare zitto. Invece incassò la testa tra le spalle trattenendo il fiato.
Stavano comunque per essere congedati in una maniera o l’altra, poteva ancora fare lo spavaldo un’ultima volta. Non lo avrebbe sgridato neanche con un’occhiataccia.
L’espressione di Taylor si accigliò lievemente: -Mi aggrada sentire dei servitori addirittura onorati di lavorare per mia sorella. Sono addolorato però di comunicarvi che non siete qui per delle congratulazioni o una ricompensa. -.
-Signore? -.
-I vostri servizi non sono più richiesti. -.
Chuck incassò il colpo come un cane abituato alle bastonate del padrone. Buck invece si rivoltò.
-Che diavolo significa? – chiese con rabbia, alzandosi in piedi –Perché non possiamo lavorare ancora qui? -.
-Questo fervore è ammirevole. – osservò Taylor con tono atono, cosa per cui Chuck non capì se fosse pronto a punire suo cugino per la sua insolenza o se ormai non importasse più. Se avesse avuto il coraggio di alzare la testa forse avrebbe potuto leggere qualche sentimento nei suoi occhi.
-Tuttavia… - continuò il principe -Mi vedo costretto a congedarvi. -.
-Perché? – ripeté il mezzo demone con arroganza.
-Credo tu abbia notato la ferita di Chuck. – disse Taylor –La perdita della vista è fatale, un lato scoperto è di una completa inutilità. -.
-Chuck può farcela. -.
Taylor sospirò e ordinò: -Chuck, voltati a destra. -.
Il mezzo demone obbedì prontamente, rimanendo in ginocchio e voltando solo la testa di lato. Udì un fruscio e qualcosa lo colpì alla testa. Non se lo aspettava e indietreggiò goffamente, guardando a terra: una monetina.
-Non l’ha vista arrivare. – constatò il demone –Come pensi possa riuscire ad evitare un pugno o un fendente? No, Chuck non può lavorare in queste condizioni. Se avesse potuto guarire avrebbe già un occhio nuovo. -.
Buck ringhiò: -Sarò io il suo occhio. Io posso ancora essere utile, farò anche la sua parte. -.
-Non sareste comunque in grado di combattere un demone. – continuò Taylor, come se lui non avesse parlato –Mi spiace, il lavoro è stato affidato ai fratelli McMastiff. Mi vedo costretto a congedarvi, non ho altro da darvi. Devo sottostare a degli ordini anche io. -.
-Ma… -.
-La prego, un’ultima possibilità. -.
Per un attimo non capì chi avesse parlato: non era la voce di Buck, né tantomeno quella di Taylor e non c’era nessuno nella stanza oltre a loro. Si rese conto che era stato lui a parlare solo quando Taylor gli chiese di ripetere.
Francamente non sapeva neanche perché aveva parlato o come, dato che non si ricordava di aver effettivamente mosso la bocca per parlare. Credeva di essere pronto per andare. Forse era la ferita che lo stava facendo straparlare, la sentiva pulsare sotto la benda.
Perciò ammutolì, sperando che Taylor lasciasse perdere e si sbrigasse. Soprattutto che Buck non facesse scenate.
Invece, dopo qualche attimo di silenzio Buck sbottò: -E va bene, non siamo riusciti a catturare la Portatrice, che importa? Ma questo non vuol dire che… -.
-Silenzio. -.
Buck si azzittì immediatamente.
-Esci, il tuo abbaiare mi tedia. Chuck, rimani. -.
Il mezzo demone sembrò tentennare, poi si voltò e si affrettò ad uscire, lasciando il cugino solo.
-Se stai pregando smettila. – disse Taylor –Non serve. -.
-Non stavo pregando signore. – rispose Chuck, incerto.
Perché voleva solo lui? Voleva fare le cose separatamente?
-Allora alzati se non stai pregando, non mi va di parlare a qualcuno che sembra non considerare la mia presenza. -.
Chuck si alzò in piedi e si sforzò di nuovo di non dare di matto e cercare di scappare. La calma di Taylor era terrificante. Calma o apatia, non avrebbe mai saputo dire cos’era delle due.
Azzardò ad alzare gli occhi su di lui ma li distolse subito quando vide una porzione di pelle bruciata sul viso. La nascondeva apposta con i capelli in pubblico, non gli piaceva si vedesse.
Aveva sentito voci di corridoio su quella particolarità, una cosa che si portava dietro sin da quando era bambino, ma non aveva mai visto effettivamente la bruciatura. Qualcuno diceva che prendeva solo il lato destro della faccia, altri dicevano che si estendeva al corpo.
Sperò che non avesse notato la sua occhiata furtiva.
-Tu sapevi già perché vi ho chiamati qui. – affermò con certezza Taylor prendendo una postura rigida contro lo schienale della poltrona –Ho sempre notato il tuo comportamento da animale in gabbia, sapevi che prima o poi sarebbe successo in un modo o nell’altro. Dal primo giorno che vi ho portati qui non hai mai chiesto niente. Ho seguito la vostra vita passo passo, avresti potuto chiedermi qualsiasi cosa, anche solo per migliorarvi la vita di poco: soldi, cibo, aiuto… Eppure, oggi mi hai chiesto di risparmiarvi. Non vuoi morire. -.
Chuck annuì, guardandosi i piedi.
-Vieni dall’ovest, ne hai l’accento. E da come tu e tuo cugino vi comportate a volte è quasi d’obbligo immaginare che siate dei campagnoli, probabilmente avevate una fattoria. Corretto, vero? Non sono pratico di animali e allevamento, ma so per certo che se una vacca smette di dare il latte o una gallina non fa più uova vengono destinate alla cucina. Che il fattore vi sia affezionato o meno, non hanno più utilità. -.
Annuì di nuovo, non sapendo cos’altro voleva da lui.
-Ma… immagino che se la bestia sapesse che ad attenderla c’è la mannaia cercherebbe di scappare. -.
Il tono con cui parlò spinse Chuck ad alzare la testa e guardarlo, dimenticandosi per un attimo che incontrare il suo sguardo avrebbe potuto portarlo ad immense sofferenze, più di quanto l’occhio non lo facesse già soffrire.
Taylor lo guardava senza calore.
Aveva semplicemente constatato che era come Calfie? Se avesse saputo che lo avrebbero ammazzato non si sarebbe mai lasciato riportare a casa.
Se avesse avuto la possibilità di scappare anche lui sarebbe già andato nella Resistenza.
Quindi…
-Potete andare. – concluse Taylor riprendendo gli occhiali e il libro.
Chuck indietreggiò lentamente fino alla porta, mentre Taylor riprendeva a leggere da dove aveva abbandonato la lettura. Prima di uscire diede un’ultima occhiata al demone, che lo stava osservando appena al di sopra delle lenti.
Era incerto se ringraziarlo, chiedere spiegazioni o darsela a gambe levate. Ma il demone distolse lo sguardo e lui perse coraggio.
Scivolò tra i portoni di legno con le mani che tremavano. Se ne accorse solo quando Buck lo prese per in braccio tirandolo da parte e si affrettò a mettersele in tasca.
-Non sono riuscito a sentire niente, che t’ha detto? – gli chiese subito il cugino.
Il mezzo demone si sentiva la lingua incollata al palato ma riuscì a biascicare: -Abbiamo ancora una possibilità. -.
Buck esultò con una risatina strozzata ed eccitata, stringendolo in un abbraccio con un braccio solo sulle spalle: -Ah-a! Lo sapevo che servivamo ancora! Era tutta una balla! -.
-Credo che… -.
-Il lavoro è ancora nostro? -.
-Non lo so, non… -.
-Vabbè, chissene. Andiamo a parlare ai McMastiff. -.
Mentre veniva trascinato via Chuck balbettò: -Perché ai McMastiff? -.
-Beh, ovvio, siamo ancora al servizio di Regina e da quando lavoriamo per lei abbiamo sempre cercato la Portatrice, per cui se siamo ancora qua è perché dobbiamo ancora catturarla. Ci ha dato un’altra possibilità perciò i McScemi si dovranno fare da parte. -.
Chuck non replicò. La lingua era tornata ad incollarsi al palato e la gola a chiudersi.
Era sera, i fratelli McMastiff potevano essere ovunque: nella fortezza, in città o a casa loro.
Non avevano idea di dove abitassero e anche se lo avessero saputo Chuck non avrebbe lasciato che Buck andasse a disturbarli a casa loro, con il rischio di venire pestati a sangue.
Cercarono nella fortezza e da una guardia riuscirono ad avere l’informazione che erano usciti fuori in un pub.
Buck non perse tempo e si mise subito alla ricerca del locale, con Chuck che lo seguiva con i nervi a fior di pelle, sobbalzando al minimo rumore.
Il pub era incastrato tra due edifici, ma per entrare si doveva scendere una scaletta di ferro cigolante. Non c’erano insegne visibili dalla strada, solo un cartello di legno dipinto accanto alla porta, con due boccali che si scontravano e si rompevano. Niente scritte.
Dopo essersi passato la mano tra i capelli per darvi una parvenza di ordine, Buck entrò, seguito a ruota dal cugino.
L’ambiente non era molto illuminato, ma era decisamente affollato: non c’era un solo tavolo non occupato, anche se qualcuno sedeva da solo.
Con una rapida occhiata Chuck capì che per trovare i McMastiff dovevano per forza mettersi a girare tra i tavoli. A parte la luce insufficiente, l’aria era invasa da fumo di sigaretta, non li avrebbero neanche trovati con il fiuto.
Più di una persona si zittì e si girò a guardare che fosse entrato. Qualcuno, con grande sollievo di Chuck, tornò alle sue chiacchiere o a qualche gioco di carte.
Qualcun altro li seguì con lo sguardo.
Il mezzo demone si sistemò l’unica cosa che impedisse a qualche demone di farlo fuori sul braccio, un pezzo di stoffa rossa con il simbolo degli Hydra cucito con filo nero. L’unica divisa che gli fosse mai stata data. Addirittura i mezzi demoni del Mattatoio potevano indossare le divise dei servitori degli Hydra, con l’aggiunta della fascia al braccio.
Mentre strizzando l’occhio sano cercava di vedere se Buck indossasse la sua, prima di finire appeso ad un muro per la gola, lui fece una brusca svolta tra i tavoli.
Chuck lo seguì e vide seduti a degli sgabelli chi cercavano.
Buck si schiarì la voce e si fermò vicino al loro tavolo, mettendosi le mani sui fianchi.
-Oh, chi si vede. Qual buon vento? -.
Chi aveva parlato era il secondogenito dei gemelli McMastiff, Carlo, capelli biondi dal serio taglio militare e sguardo serio. Per quello che aveva sentito dire Chuck in giro, era affidabile e molto più bravo di quanto sembrasse, nonostante avesse un aspetto fin troppo rigido, diverso da quello Taylor. Forse era dovuto all’addestramento del nonno, ancora capitano delle Guardie Reali dopo tanto tempo.
-Volete aggregarvi ad una partita? Possiamo anche offrirvi da bere se vi va di fermarvi. -.
Il terzogenito era decisamente più affabile degli altri due, Chuck questo lo sapeva già. Di loro conosceva meglio proprio lui, Rosco, capelli neri e sorriso gentile. Non era propriamente un combattente, dato che era un medico, ma seguiva comunque i fratelli nelle ronde e nei compiti più difficili da guardia. Era stato lui a visitarli usciti dal Mattatoio e sapeva anche che si occupava del fidanzato della sovrana.
-Saranno venuti a piagnucolare, dato che hanno dato il loro lavoro a noi. -.
Madison, quartogenito e ultimo gemello della cucciolata: scontroso e aggressivo, i capelli castani adombravano sempre il suo sguardo, cosa di cui Chuck aveva segretamente sollievo. Quello era conosciuto per essere un attaccabrighe e già una volta Buck aveva rischiato delle botte quando lo aveva sentito dargli del “voltagabbana”, cosa che più di tutto gli faceva salire il sangue alla testa.
Alla caduta delle Volpi inizialmente si erano schierati dalla parte della Resistenza insieme ai genitori, opponendosi al nonno dalla parte degli Hydra, ma dopo poco tempo erano tornati dalla parte d chi regnava.
Era meglio se a parlare fosse stato lui invece che il cugino o sarebbero usciti da quel posto con dei denti in meno.
Prima che potesse anche solo formulare il pensiero di una frase con cui iniziare, Buck rispose a tono a Madison: -Mi spiace per te ma ci hanno ridato l’incarico, risparmiati il sarcasmo. -.
-Che stronzata! – ribatté Madison sbattendo una mano aperta sul tavolo –Avrebbero ridato l’incarico a due incapaci come voi? Già è un mistero come sia passato per la mente a qualcuno di darlo a voi la prima volta, ma dopo che ve la siete lasciati sfuggire…! -.
-E invece è così. – insistette Buck digrignando i denti e aggiunse: –Taylor ci ha detto che potevamo continuare a cercare la Portatrice, anzi catturarla. Anche senza di voi, potete tornare al vostro canile. -.
Chuck rabbrividì. Non solo Taylor non aveva affatto detto che avevano di nuovo l’incarico ma non aveva assolutamente detto che i McMastiff erano sollevati dal lavoro.
Aveva dovuto immaginare che se cercava i McMastiff era per fare qualcosa del genere, avrebbe dovuto fermarlo e farlo tornare a casa.
La bugia fece inarcare un sopracciglio a Rosco, che non guardò neanche Buck, ma rivolse lo sguardo su Chuck, che se ne stava stretto nelle spalle appena un passo dietro al cugino, come se cercasse in lui una falla in quello che Buck aveva appena detto.
-Davvero Taylor ha detto questo? – domandò Carlo, con tono dubbioso.
-Certo. – mentì ancora Buck, incrociando le braccia –Potete andare a chiedergli, s’avete voglia. -.
-Sei un arrogante del cazzo, lo sai questo? – ringhiò Madison alzandosi in piedi.
-Siediti Mad. -.
-Ma… -.
-Cuccia Maddy. -.
Il demone si lasciò cadere sullo sgabello, paonazzo. Chuck pensò che poteva comodamente schiantare le gambe di legno in quella maniera. E che se avesse potuto uccidere con lo sguardo suo cugino sarebbe già stato freddo sul pavimento la prima volta che aveva aperto bocca.
-Se non gliel’insegno io come si parla a certe persone, la prossima volta che le vedremo sarà in una fossa. – mugugnò Madison –Gli avrei fatto un favore. -.
-Grazie per averci avvertito del cambio di programma. – disse Rosco -Volete fermarvi con noi? -.
-No, abbiamo da fare. – fece Buck –Andiamo Chuck. -.
Esitò prima di seguirlo.
Fuori, appoggiò una mano sulla spalla di Buck e lo fermò, sibilando: -Perché hai detto quelle balle? -.
Avrebbe voluto essere arrabbiato o almeno di dargli l’impressione di esserlo, ma gli sembrò di miagolargli pateticamente nell’orecchio.
Buck si scostò da lui scrollando le spalle: -Non ho detto balle. -.
-Taylor non mia detto quello che tu hai detto. L-lui… il lavoro era dei McMastiff, perché hai voluto dirgli che invece è nostro? -.
-Perché è nostro, stupido: Regina ha detto a noi di cercare la Portatrice, quello che dice il fratello non conta niente. Se non è Regina a dirmi di farmi da parte, io non mi muovo di un centimetro. -.
-Da quando lord Taylor non conta una cicca? Non sai neanche quello che mi ha detto! -.
-Beh, prima non mi hai fermato quando ho parlato. Se vuoi tornare lì dentro e dire ai McMastiff che ho mentito, accomodati. Io vado a casa a studiare un piano e a riposarmi. Vieni? -.
Chuck guardò l’entrata del pub e il cugino, borbottando: -No… ho una cosa da fare. Vai avanti. -.
Buck non se lo fece ripetere due volte e andò verso casa.
L’altro mezzo demone attese che sparisse dalla sua vista per poi andare ad appostarsi dall’altra parte della strada, nel buio di un vicolo, da dove poteva vedere bene chi uscisse dalla porta del locale.
Avrebbe voluto entrare e prendersi qualcosa da bere per attenuare il dolore alla ferita, ma gli serviva anche la mente lucida. Strinse i denti mordendosi di quando in quando il labbro inferiore quando il male sembrava volerlo convincere ad alzarsi e seguire Buck.
Non doveva desistere e lasciarsi convincere dall’istinto di lasciare perdere.
I McMastiff erano demoni buoni, non aveva mai sentito le guardie o la servitù parlare male di loro. Carlo e Madison non avevano mai fatto parte delle Squadre di Cattura né erano mai entrati nel Mattatoio, il loro compito era solo di pattugliare. Tantomeno erano coinvolti nella ricerca della Resistenza.
Rosco poi era un medico… almeno lui lo avrebbe ascoltato.
Dovette attendere un po’ di tempo prima che finalmente uscisse un gruppetto di tre persone che iniziò a salire le scale.
Era buio e lui era stanco, ma poté udire un: -Dovevi per forza andare a metterti in mezzo a quella mischia vero? E rompere uno scaffale di bicchieri! – seguito dal distinto suono di un ceffone, subito lamentato da un: -Non rompere le palle, li ho separati Rosco! -.
Chuck si alzò, pronto.
Li seguì di soppiatto, aspettando che si allontanassero dal pub prima di avvicinarli. Non avevano ragione di passare per strade poco frequentate, sarebbe stato costretto a parlargli davanti ad altre persone. Magari si sarebbero spostati in privato per non farsi vedere con un mezzo demone, chi lo sa? Sarebbe stato meglio in ogni caso.
Con sua sorpresa, invece si spostarono proprio in una via secondaria, che lui conosceva abbastanza bene da sapere che non ci passava nessuno.
Senza pensarci li seguì. Appena mise piede oltre i muri che delimitavano l’inizio della strada, un paio di mani lo afferrarono sul davanti della giacca e lo sbatterono contro una parete, facendogli vedere le stelle.
-Guarda guarda, ecco il sorcio che ci seguiva. – sogghignò Madison sollevandolo da terra almeno di una spanna, facendolo annaspare in aria –Cosa vuoi? -.
Prima che potesse aprire bocca e dare una spiegazione, Carlo diede una manata sulla spalla del fratello minore con il dorso della mano, dicendo: -Mettilo giù, animale. Lo stai spaventando per niente. -.
Madison lo sguardò storto e aprì le mani, lasciando cadere il mezzo demone come un sacco di patate. Dovette aggrapparsi all’intonaco ruvido dietro di lui per non cadere a terra come un idiota.
-È sospetto uno che ti segue con quell’aria circospetta. – fece il demone dai capelli castani spostandosi alla sua destra, appoggiandosi al muro con una spalla.
-Hai paura del vecchio Chuck? – chiese ironico Carlo, spostandosi a sinistra.
-Se magari lo faceste parlare… - sbuffò Rosco, alzando gli occhi al cielo.
Chuck li osservò e capì subito che nonostante almeno due di loro volessero sembrare gentili, erano sospettosi quanto l’altro: gli avevano bloccato ogni via di fuga. Cosa temevano da addirittura metterlo all’angolo?
Mentre cercava silenziosamente una via di fuga, intimorito dal loro atteggiamento velatamente aggressivo, Rosco chiese: -Ti serve una mano? Vuoi che ti controlli l’occhio e non osavi chiederlo prima? -.
-No, grazie. Io… credo… volevo chiedere una cosa in effetti. -.
-Allora chiedi. – lo esortò Carlo e Madison aggiunse: -Senza balbettare o impappinarti. Non abbiamo tutta la notte. -.
-Parla. Parla chiaro e tondo o potresti farli arrabbiare. – pensò Chuck prendendo un bel respiro. Parlò lentamente.
-Innanzitutto volevo scusarmi per prima, per come mio cugino s’è comportato, è stato molto maleducato. E voglio anche scusarmi per le bugie che ha detto. -.
-Bugie? – ripeté Carlo.
-Ecco, ehm… - mugugnò il mezzo demone, rendendosi conto di aver impostato male la frase –Noi… in verità… non saprei dire se il lavoro è nostro. -.
-Che? – fece Madison, con un tono tra il divertito e lo stupito che lo mise in agitazione.
Tacque, pensando a quello che Taylor aveva detto, le parole gli ronzavano in testa.
“Immagino che se la bestia sapesse che ad attenderla c’è la mannaia cercherebbe di scappare.”.
“Potete andare”.
Quelle parole, quello sguardo…
Li stava avvertendo? Avrebbe dovuto ucciderli o rimandarli al Mattatoio e li aveva lasciati andare di proposito per farli scappare? Aveva voluto dare loro un vantaggio, prima che li venissero a cercare per liberarsi di loro, o non li avrebbe perseguitati ma dimenticati? Se fosse venuto a sapere che invece erano rimasti avrebbe cambiato idea e perso compassione?
Ma soprattutto perché lo aveva fatto?
Era il fratello della sovrana, una demone che odiava in modo viscerale i mezze demoni per qualche motivo, che aveva rovesciato addirittura un governo pur di avere voce in capitolo e cancellare la loro esistenza, l’unico della sua famiglia che gli era rimasto.
Dimostrava continuamente il suo affetto per la sovrana aiutandola, sostenendola, rassicurandola, amandola come solo un fratello poteva fare nei confronti della sorella minore.
Gestiva il Mattatoio, aveva a che fare con i mezzi demoni ogni giorno da quando Regina aveva preso il potere e forse anche da prima. Aveva le mani macchiate del loro sangue.
Eppure gli era sembrato di capire che con la più genuina pietà li avesse lasciati andare.
-Abbiamo trovato la Portatrice e abbiamo commesso un errore. – spiegò e realizzò allo stesso tempo, fissando un punto imprecisato del terreno davanti ai piedi di Rosco –Taylor avrebbe dovuto sbarazzarsi di noi in qualche modo ma non l’ha fatto. Ha dato il lavoro a voi e ci ha detto di andare. Non so perché Buck abbia detto quello che ha detto ma noi non possiamo riprendere il lavoro. Né tornare indietro. -. Alzò lo sguardo, senza guardare nessuno dei tre demoni in particolare ma catturando comunque la loro attenzione: -Aiutateci, vi prego. -.
Seguì un attimo di silenzio in cui si sforzò di non piangere.
Aveva appena confessato a delle Guardie Reali che lui e Buck erano dei condannati a morte in fuga. Nessuno poteva essere più stupido di lui, eppure non aveva visto altra soluzione, con il
Madison scoppiò a ridere buttando la testa all’indietro e tra un ululato e l’altro esclamò: -Tu vuoi che pariamo il culo a te e il tuo cuginastro? Buahah, magari vuoi ridistribuire la colpa nel caso la ragazzina ci sfugga dalle mani? A te è partita la testa, non solo un occhio Chuck. -.
Mentre Chuck incassava la testa tra le spalle, impallidendo, Carlo aggiunse in tono più condiscendente: -Mi dispiace Chuck, ci chiedi qualcosa di impossibile. Non possiamo rischiare di prendervi con noi se quello che hai detto è vero: da quello che ho capito tu e Buck siete nei guai. Non possiamo. -. Scosse anche la testa, sembrando davvero dispiaciuto.
-No… - pensò il mezzo demone, guardandoli disperato –No no no, non può finire così, non voglio che finisca così. -. Deglutì e ripeté: -V-vi prego, lo so che è chiedere troppo, non d-dovrei neanche pensare una cosa del genere ma-ma-ma forse se riuscissimo… -.
-Regina non è misericordiosa. – ribatté Madison –Siete due morti che camminano. -.
Il dolore all’occhio fu all’improvviso insopportabile.
Coprendosi la benda con una mano, digrignando i denti con un verso frustrato per quella situazione, Taylor, i ragionamenti contorti di suo cugino, le risate e la consapevolezza di essere fottuto sbottò: -Non ho scelto io di essere un mezzo umano sapete? Se almeno uno di voi ce l’ha, ci avrete sulla coscienza! Come tutti gli altri che sono morti prima di me e che voi non avete difeso… -.
Sentì un ringhio animalesco e fu di nuovo contro il muro, sbattendo la testa talmente forte che il dolore all’occhio fu dimenticato.
A pochi centimetri dalla faccia, Madison gli alitava addosso come un toro imbestialito, sputando un: -Non sai di cosa stai parlando stronzo. Ti sei scavato la fossa, adesso ti svito la testa dal collo o te la rompo contro questo muro merdoso, decidi tu. -.
-Lascialo Madison. -.
Questa volta il demone si voltò a guardare il fratello maggiore, senza smettere di ringhiare. Ad un suo cenno della testa, però, lo lasciò andare di nuovo.
A differenza di prima Chuck finì in terra, le gambe troppo molli per tenerlo in piedi.
Carlo si avvicinò e il mezzo demone si rannicchiò, alzando appena un braccio per difendersi.
Ma non arrivò nessun colpo.
Il demone gli strinse la mano che alzava e lo tirò in piedi con uno strattone deciso, facendolo barcollare.
Lo fissò nell’occhio buono e disse: -Va bene. Domani ci rivediamo qui per parlare. Se succede qualcosa prima di allora non ci siamo visti. Chiaro? -.
Chuck annuì rigidamente, troppo spaventato per parlare, e il demone lo lasciò andare, dandogli una pacca in mezzo alla schiena dicendogli di andare a casa.
Non se lo fece ripetere due volte e scappò senza voltarsi.
Carlo tirò un sospiro di sollievo.
Il fratello minore gli diede una spinta rabbiosa, dicendo a denti stretti: -Che cazzo ti dice la testa? Quei due ci manderanno i piani in fumo! -.
-Mi dispiace ammetterlo ma Madison per una volta ha ragione. – concordò Rosco, rimasto in silenzio per tutto quel tempo –Mi dispiace per la loro situazione, ma è una situazione molto delicata e non abbiamo mai preso in considerazione qualcun altro. -.
-Fidatevi di me.  –sentenziò il maggiore, sorridendo –Forse non Buck, ma Chuck di sicuro ci sarà utile. Se i miei sospetti sono fondati è ben diverso da cugino e ci aiuterà ancora più di Raven per i nostri piani. Almeno, per arrivare a concludere la fase uno. -.
Rosco sorrise a sua volta: -Pensavo di essere io il volpone del gruppo. -.
-Per me siete due idioti allo stesso modo. – borbottò Madison.
   
 
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