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Autore: Maru_Tsubaki    27/08/2019    1 recensioni
Uno di quei momenti che ti lasciano sulle labbra il gusto amaro della buccia dello yuzu...
Nel moderno Giappone, sulla dimenticata isola di Okinawa, l'incontro bizzarro tra un ragazzo di Tokyo e una forestiera milanese.
L'intreccio di culture e incomprensioni che alimentano la matassa del filo rosso del destino.
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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CAPITOLO 1
Il giorno in cui tutto ebbe inizio


 

Lavorare in quel negozio di souvenirs, dove tutti parlavano una lingua incomprensibile ai più, cominciava da qualche tempo a non pesarmi come prima.

La solitudine stava andando scemando grazie ai ragazzi dell'Izakaya affianco, all’affetto delle nonnine che mi avevano ormai adottata e alla quantità di dolciumi che potevo assaggiare durante i miei turni serali.

Ero la più giovane, ma VERAMENTE anni luce lontana dalla generazione delle mie colleghe, e questo non aveva facilitato la mia integrazione sul luogo di lavoro. Inoltre, il fatto di essere sempre vista come “la Gaijin”, nonostante i miei sforzi, non mi aveva aiutato ad inserirmi nella società giapponese.

Essere una Gaijin, una straniera, per alcune cose ha i suoi vantaggi, ma se vuoi integrarti, avere degli amici veri magari, o qualcuno con cui confidarti non è proprio il massimo della vita.

 

La gente per strada passava davanti a me senza entrare nel negozio, accennando solo un timido sguardo. Alcuni restavano colpiti nel vedermi lì ad accogliere i clienti, altri mi salutavano con un cenno del capo e altri ancora, soprattutto i ragazzi, si davano di gomito tra di loro indicandomi e sussurrando: 

“Ahh kawaii gaijin da ne!” (è una bella straniera!).

“Irasshaimase!”. Urlai per cercare di attirare qualche cliente.

Ultimamente il negozio era quasi sempre vuoto e avevo finito le idee per far passare il tempo.

Uno dei passanti mi sorrise e io risposi inchinandomi leggermente. Nonostante il mio invito ad entrare non si fermò e lo accompagnai con lo sguardo fino a perderlo tra la folla della vivace Kokusai street, la via turistica di Naha.

Due occhi incontrarono i miei. Neri come la pece e con la tipica forma a mandorla. 

Ancora adesso quando ci penso non riesco a trovare qualcosa di oggettivamente particolare in quegli occhi. So solo che fu come se il tempo si fosse fermato ed io stessi annegando lentamente in quell’oceano notturno, sprofondando sempre di più nelle sue tenebre.

Il vociare delle persone per la strada mi riportò alla realtà, rompendo quella piccola bolla spazio-tempo che si era creata intorno a me e al curioso ragazzo. 

Un nuovo cameriere dell’Izakaya?  

La sua pelle color caramello bruciato mi fece pensare che potesse essere di Okinawa, ma il viso era troppo magro e allungato perché fosse di lì.

Lo guardai per un tempo che mi sembrò infinito, analizzandolo: i suoi capelli corvini impeccabilmente ingellati all’indietro, il suo naso leggermente più alto rispetto allo standard nipponico e quelle labbra carnose che dovevano aver sicuramente provocato le invidie di milioni di ragazze e l’apprezzamento di tante altre. Chissà come sarebbe stato baciarle...

Realizzai che anche lui mi stava guardando... in silenzio.

Io guardavo lui e lui guardava me. 

Potevo sentire il filo rosso del destino legarsi intorno al mio mignolo. 

Com’è che dicevano i giapponesi? 

Ichigoi-ichie. Una volta, un incontro: l’incontro della vita.

Un sorriso comparve sul suo volto e potei vedere la genuinità di quel saluto che, diversamente dalle classiche carinerie giapponesi dettate da rigide regole sociali, mi diede un calore non provato da diverso tempo. 

Mi sentii improvvisamente tremendamente brutta. 

Distolsi lo sguardo rapidamente.

Dopo qualche secondo, senza riuscire  controllarmi, sbirciai per vedere se il ragazzo avesse spostato la sua attenzione su altro. Lo trovai a ricercare i miei occhi, un’altra volta.

Lasciai che si ricreasse quel ponte invisibile tra me e lui e,come se ci conoscessimo da una vita, sorrisi: 

“Ciao”, sussurrai.

“Ciao”.

 
   
 
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