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Autore: Soul Mancini    28/08/2019    12 recensioni
È una normale giornata di metà settembre e Millie, una bizzarra diciassettenne innamorata della natura, decide di andare a fare una passeggiata nel bosco insieme alla sua cagnolina Lea, come spesso le capita.
Ma, una volta calata la notte, la ragazza non riesce più a trovare il suo amato animaletto domestico e si ritrova a vagare tra gli alberi, con la luna piena come sua unica compagnia.
O forse non è del tutto sola...
- QUINTA CLASSIFICATA al contest "My favourite things" indetto da fiore di girasole sul forum di EFP.
Genere: Avventura, Fluff, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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He cares
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Era una torrida giornata di metà settembre, un sabato. Qualunque normale diciassettenne avrebbe approfittato degli ultimi strascichi d’estate per scorrazzare in giro con gli amici, andare a qualche festa e non pensare all’ennesimo anno scolastico in cui si era appena imbarcato.
Chiunque, tranne me.
Prima di chiudere il libro che tenevo in mano e leggevo ormai da ore – un voluminoso fantasy dalla copertina blu scuro –, vi riposi in mezzo il mio adorato segnalibro a forma di tostapane, poi lo posai sulla scrivania; aprii l’armadio e mi misi alla ricerca di qualcosa da poter indossare per una passeggiata in mezzo al bosco insieme a Lea. Ora che il sole cominciava a calare e l’aria si era fatta più fresca, ora il momento adatto per portare fuori la mia cagnolina, come del resto facevo ogni giorno.
Qualunque normale diciassettenne si sarebbe lamentato di abitare in periferia, al limitare di un enorme bosco e distante dalla civiltà, ma per me era una grande fortuna: amavo la natura, amavo perdere lo sguardo tra le fronde degli alberi alla ricerca di qualche nido d’uccello, oppure chinarmi a osservare gli animaletti che abitavano il sottobosco. Tutti mi consideravano pazza perché parlavo con gli animali, ma non mi importava tanto.
Mi osservai allo specchio poco prima di uscire dalla mia stanza: avevo indossato una canotta bianca sportiva e un paio di shorts in jeans, mentre i capelli corvini e leggermente scompigliati mi ricadevano sulle spalle e sulla schiena. Andavo benissimo così.
Mi diressi in cucina e venni subito raggiunta da Lea, che fino a quel momento aveva ronfato sul tappetino all’ingresso; mi chinai subito per accarezzarla, mentre lei faceva le feste e mi correva tra le gambe.
“Piccolina, dormito bene? Adesso la tua Millie ti porta a fare una passeggiata, ti va?”
Lea appiattì le orecchie appuntite sulla testa e mi guardò con i suoi occhietti neri e dolci, carica di aspettative. Le lasciai un’ultima carezza prima di rimettermi in piedi e avviarmi verso il frigo; al suo interno trovai un tramezzino già pronto che mi sarei portata appresso per cena, così lo infilai nel mio marsupio insieme a qualche altra cianfrusaglia e mi diressi verso l’uscita. Mentre abbassavo la maniglia, gridai: “Mamma, porto Lea a fare una passeggiata!”.
Lei, che probabilmente stava annaffiando le piante nel giardino sul retro, non si degnò di affacciarsi dentro casa e mi rispose a gran voce: “Va bene, ma non fare tardi per la cena!”.
“Non torno per cena, ho preso qualcosa da mangiare per strada!”
“D’accordo, ma non fare tardi comunque, non mi piace che tu rimanga in giro da sola quando fa buio!”
Sorrisi: mia madre era sempre così carina a preoccuparsi. Eppure sapeva che conoscevo i dintorni meglio delle mie tasche, li avevo perlustrati in lungo e in largo per diciassette anni. E poi c’era Lea con me, non ero sola.
Dopo aver convinto la cagnolina a indossare il guinzaglio e averle promesso di lasciarla libera una volta dentro il bosco, mi incamminai insieme a lei in direzione della folta distesa di alberi che si estendeva alla destra di casa mia. Mi sentivo euforica e contenta alla sola idea di immergermi nella natura ancora e ancora, non c’era una cosa al mondo che mi facesse stare meglio. Solo leggere mi dava una sensazione simile a quella.


“Lea, smettila di spaventare i leprotti, non vedi come scappano se abbai contro di loro?” rimproverai scherzosamente la mia piccola compagna d’avventura mentre si dimenava e guaiva come un’ossessa. Ormai passeggiavamo da un bel po’ di tempo, ci eravamo addentrate per bene tra la fitta vegetazione e supponevo ne avesse abbastanza di stare legata al guinzaglio.
Sospirai e rischiai di perdere l’equilibrio quando Lea fece uno scatto in avanti, strattonandomi; per essere così piccoletta aveva una forza non indifferente, un sacco di volte mi aveva costretto a correre per starle dietro. Anche per questo la adoravo.
“Okay, sai che facciamo adesso? Io mi siedo e ceno, così nel frattempo ti lascio libera” affermai mentre la liberavo.
Lei ne fu entusiasta e prese subito a correre tra arbusti e bassi cespugli, facendomi sorridere. Anche quando la perdevo di vista, sapevo che sarebbe tornata indietro da me.
Mi guardai attorno e individuai un posticino in cui potermi accomodare, con la schiena a ridosso del robusto tronco di un albero; mi sedetti tra le sterpaglie e l’erba secca che formavano un comodo e morbido cuscinetto, senza alcun timore di sporcarmi, e tirai fuori il mio tramezzino. Ormai il sole era quasi del tutto tramontato, gli ultimi raggi di luce filtravano tra i fitti rami conferendo al sottobosco un’atmosfera particolare, mentre le foglie venivano mosse da un vento leggero e fresco. Si stava davvero bene e, nonostante la penombra, io non avevo paura: gli animali non mi spaventavano, gli insetti non mi spaventavano e nemmeno i rumori circostanti, faceva tutto parte della natura, proprio come me. Nessuno era mai riuscito a capire questa mia stretta connessione con il mondo circostante, per questo venivo sempre additata come strana.
Estrassi dal marsupio la mia cena e cominciai a mangiucchiarla con calma. Un istante dopo vidi comparire Lea che, attirata dall’odore del cibo, saltò fuori dal cespuglio in cui si era nascosta; mi corse incontro e mi si schiantò addosso, cercando di raggiungere il mio tramezzino. Ma io ebbi i riflessi pronti e sollevai il braccio per impedirglielo, mentre lei mi si arrampicava addosso e io ridacchiavo.
“Lea! Come, non volevi correre libera e scappare da me? Ah, e va bene, ci divideremo il tramezzino!” affermai tra le risate, per poi lanciare a terra un pezzetto del mio spuntino. Lea allora ci si fiondò e mi lasciò finalmente mangiare in pace. Lanciai anche qualche briciola agli ultimi uccellini che si attardavano a tornare al nido dopo il tramonto, e loro ne furono felici.
Avevo mangiato meno di quello che avrei dovuto, ma avevo sfamato molti piccoli amichetti e questo mi rendeva completa e soddisfatta.
Mentre osservavo un piccolo ragnetto che passeggiava tranquillo sul palmo della mia mano, per poi penzolare dal mio dito tramite un filo che aveva creato sul momento, Lea finì la sua razione di cibo e decise di tornare all’attacco, in cerca di coccole: mi balzò addosso scodinzolando e mi costrinse a sdraiarmi a terra. Io ridevo e lei abbaiava, ci rotolavamo a terra e giocavamo, contente come non mai, finché lei non si stancò e corse via, di nuovo tra gli alberi.
Ancora tra le risate, mi rimisi seduta e constatai che ero ricoperta di polvere dalla testa ai piedi. Non importava, stavo benissimo.
Mi alzai e ripresi a passeggiare, cercando di seguire le tracce di Lea e ascoltando i fruscii che produceva mentre gironzolava nel bosco. Però sapevo che presto avrei dovuto riagganciarla al guinzaglio e riprendere la strada di casa, ormai era calata la notte e mia madre si sarebbe preoccupata se non mi avesse visto rientrare.
Per quanto mi riguardava, sarei potuta restare lì per tutta la notte.


“Lea, non fare scherzi, vieni fuori! Lea! Dobbiamo tornare a casa!”
Avevo dovuto accendere la torcia perché, nonostante la luna piena e brillante, non filtrava tanta luce tra le chiome degli alberi. Una punta d’ansia mi chiudeva lo stomaco: già da diversi minuti Lea era scomparsa dalla mia vista e non riuscivo a capire dove si fosse cacciata, non era tornata indietro nemmeno quando avevo provato a chiamarla. Non capivo, non era da lei comportarsi così, ma una cosa era certa: non sarei tornata a casa senza la mia Lea, a costo di doverla cercare per tutta la notte.
“Lea, andiamo! Dove sei? Sta cominciando a fare freddo, dobbiamo rientrare!”
D’un tratto mi immobilizzai e mi misi all’ascolto: un fruscio frenetico, che prima mi era parso quasi innocuo, ora si stava facendo sempre più vicino, accompagnato da acuti e secchi schiocchi di rami che si rompevano. Era un animale piuttosto veloce, di grossa taglia, anche se non avevo idea di cosa potesse essere.
Rimasi immobile, sempre all’ascolto, mentre il cuore accelerava i suoi battiti; in genere situazioni del genere non mi intimorivano, ma non mi era mai capitato di incontrare una bestia così grande al buio.
Le mie orecchie percepirono un respiro profondo, quasi un rantolo, tipico dei cani. Sarei riuscito a gestirlo?
D’un tratto un latrato acuto e disperato squarciò l’aria, facendomi rabbrividire. Era fin troppo familiare.
“Lea!” strillai, precipitandomi nella direzione da cui proveniva. Non riuscivo a scorgere cosa stesse succedendo né sapevo dove si stesse svolgendo il tutto, ma ero certa che quella bestia avesse attaccato la mia cagnolina – intanto lei continuava a lamentarsi e soffrire – e io dovevo fare qualcosa per salvarla, non mi importava quali sarebbero state le conseguenze. Lei era così piccola, lo scontro con un cane più grosso di lei l’avrebbe ammazzata e io non l’avrei potuto sopportare. Il basso ruggito dell’animale mi riempiva le orecchie come un campanello d’allarme, ma avrei rischiato.
Corsi tra diversi alberi e schivai abilmente gli ostacoli – ero abituata al campo sterrato – e, quando finalmente giunsi sul luogo, la scena che mi si parò davanti mi fece inorridire: Lea, in preda a rantoli strozzati, era completamente schiacciata dal peso di un enorme lupo grigio, che le mordicchiava la testa. Sorpresa di trovarmi di fronte a un animale del genere, per un momento pensai che fosse strano che il lupo non l’avesse ancora finita azzannandola all’altezza della gola, ma non ebbi troppo tempo per rifletterci su. Mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime, implorai, nella speranza che il lupo mi capisse: “Ti prego, lasciala stare, è così piccola! Che ti ha fatto di male? Mollala!”.
Ma l’animale mi dedicò giusto una breve occhiata, per poi tornare a concentrarsi su Lea.
Presa dalla rabbia e da un forte istinto protettivo, serrai i pugni e mi scagliai contro di loro, sperando di sbalzare via il lupo e liberare la mia cagnolina. Per quanto fossi minuta, gli assestai un potente colpo sul fianco e la cosa dovette infastidirlo, perché indietreggiò appena e prese a fissarmi come fossi la sua preda, coi suoi enormi e lampeggianti occhi gialli.
In quell’istante tutto si fermò, incluso il mio cuore. Che cos’avevo fatto? Avevo attirato su di me le furie di un animale possente e muscoloso, che mi avrebbe attaccato e annientato in un nonnulla. Ero stata un’idiota, una vera irresponsabile, e in quel momento ebbi davvero paura.
Mi balzò addosso e io caddi all’indietro con un grido. Sentivo solo le sue enormi zampe fare pressione sul mio corpo magro e dalle ossa sporgenti, il suo alito caldo sulla pelle e i suoi denti affilati affondare nella carne morbida della mia spalla. Provavo un dolore talmente lancinante che le grida mi si bloccavano in gola e la vista mi si appannava; mi dimenavo e tentavo in tutti i modi di spingerlo via, ma lui continuava a graffiarmi e mordermi, accompagnato da ruggiti gutturali e bassi che mi ferivano le orecchie.
Era finita, sarei morta.
Ma, proprio mentre l’alito del lupo raggiungeva il mio collo, sentii le sue zampe premere con minor potenza su di me e udii un secondo ringhio, leggermente più acuto rispetto al primo, diffondersi nell’aria.
Intanto Lea uggiolava piano da qualche parte, nascosta tra i cespugli. Sperai che almeno lei si potesse salvare.
Un istante dopo ero libera, non avvertivo più nessun peso sopra di me, solo un lancinante dolore alla spalla.
Feci appena in tempo ad aprire gli occhi per mettere a fuoco la figura imponente di un secondo lupo, più piccolo e magro rispetto a quello grigio, dal pelo scuro come la notte.
Mi preparai al peggio: erano arrivati i rinforzi.
Però accadde qualcosa che non mi aspettavo affatto: i due lupi mi ignorarono completamente e presero a lottare tra loro, azzannandosi e rotolandosi tra le erbacce e la polvere, ribaltando la situazione in continuazione. Non riuscivo a distinguere il corpo dell’uno da quello dell’altro, per via del buio attorno a noi e della mia vista offuscata dalle lacrime, ma in quel momento aveva poca importanza: ero viva e reattiva, avevo qualche speranza di salvarmi, nonostante i rivoletti di sangue che sgorgavano dalle ferite e imbrattavano i miei vestiti già sudici. Dovevo soltanto trovare il modo per smettere di tremare dal freddo e dalla paura, lottare contro il dolore e alzarmi, sgusciare via senza fare rumore e portare Lea con me.
Potevo farcela?
Un ululato più forte degli altri mi costrinse a concentrarmi nuovamente sui due animali che combattevano: contro tutte le mie aspettative, il robusto lupo grigio stava scappando via e si lamentava, come se fosse stato ferito. Non avrei mai creduto che lo slanciato lupetto nero l’avrebbe avuta vinta, non sembrava affatto abituato alle lotte di quel tipo.
Non avevo avuto il tempo materiale per scappare, ora avevo ancora più paura perché non ero in forze, un attacco ben assestato mi avrebbe ucciso.
Venni scossa da un brivido quando vidi l’animale scuro avvicinarsi lentamente a me, per poi chinare il capo e fissarmi con i suoi occhi azzurri. Nonostante il terrore, ebbi il tempo di chiedermi se fosse normale che un lupo avesse degli occhi del genere, del colore del cielo d’estate; la cosa mi pareva piuttosto assurda.
“T-ti prego… non mi fare del male, risparmiami… voglio solo tornare a casa…” piagnucolai disperata. Dopotutto ero convinta che gli animali avessero la capacità di capirmi, tanto valeva provarci.
Il lupo si lasciò sfuggire un uggiolio, poi sporse il capo verso di me e fece l’ultima cosa che mi sarei aspettata: cominciò a leccarmi laddove l’altro lupo mi aveva morso, pulendo via il sangue e disinfettando la ferita. Strabuzzai gli occhi, un po’ per la sorpresa e un po’ per il dolore che quel contatto, seppur dolce, mi procurava.
Ancora tremante, fui incapace di muovermi e di pronunciare una sola parola mentre il lupo si adoperava per medicarmi le ferite; mi pareva una follia, ma quella bestiola aveva un che di umano, era come se avesse un cuore e dei sentimenti, ed era per quello che aveva deciso di aiutarmi.
“Grazie” mormorai infine, quando smise di pulirmi con delicatezza. Ancora l’adrenalina mi scorreva nelle vene, ma sentivo che il freddo si faceva sempre più penetrante, complice anche il vento che si era rafforzato.
Gettai uno sguardo al cielo e adocchiai la luna, luminosa e tonda oltre l’intreccio di rami sulla mia testa. Ero grata di essere ancora viva e poterla vedere.
Il mio nuovo amico attirò la mia attenzione, passando la punta del suo naso umido sul dorso della mia mano.
“Ehi” mormorai, decisamente più tranquilla. “Vuoi le coccole?” Mi misi faticosamente seduta e allungai una mano per accarezzare il pelo folto e morbido sulla sua schiena. Era la prima volta che avevo a che fare con un lupo così da vicino, quindi ero piuttosto emozionata.
Lui non si oppose, anzi, nei suoi occhi lessi qualcosa di simile alla gioia. Era surreale scorgere delle emozioni quasi umane nel suo sguardo, cominciavo a pensare di avere le allucinazioni.
Il cuore fece un’impennata nel mio petto quando il lupo si sdraiò al mio fianco e posò il capo sul mio grembo, come a volersi rifugiare o darmi il suo affetto. Non riuscivo a smettere di sorridere e di intrecciare le dita alla sua pelliccia scura, era talmente bello e tenero che mi scaldava il cuore.
“Sai, io penso ci sia una connessione particolare tra gli uomini e gli animali, è qualcosa di inspiegabile. Non tutti però la sanno cogliere e se ne accorgono” cominciai a parlare, sperando che la cosa non lo infastidisse. “Penso che tra me e te sia successo, ecco, è come se fossimo legati e ci capissimo. È unico, è qualcosa di stranissimo e assurdo, che va oltre la magia. Non ti ringrazierò mai abbastanza per avermi salvato.”
Lui, in tutta risposta, mi leccò appena una mano che avevo abbandonato vicino al suo muso.
Stavo bene, non volevo più lasciarlo andare… non fosse stato per il vento che penetrava fino alle mie ossa, facendomi tremare.
Il lupo se ne accorse e, come se mi avesse letto nel pensiero, cercò una soluzione: sollevò il capo e mi diede una leggera spinta per incitarmi a sdraiarmi, poi mi si addossò contro, scaldandomi col suo corpo.
“Oh, tesoro… ma sei dolcissimo” sussurrai, colta alla sprovvista; mi accoccolai contro di lui, ormai senza più paura, e continuai a coccolarlo come potevo, carezzandogli la zampa o la testa. Lo abbracciavo e lui non si opponeva, anzi, si faceva ancora più vicino e si assicurava che stessi bene, ogni tanto tornava a leccare qualche mia ferita. Erano come dolci carezze per me.
Mi ritrovai a pensare che nessun essere umano era mai stato così dolce e affettuoso con me, quanto quella meravigliosa creatura dagli occhi azzurri.
Non seppi spiegarmi come né perché, ma ero talmente rilassata e tranquilla che il sonno ebbe il sopravvento e mi addormentai così, sdraiata in mezzo a un bosco, con la guancia schiacciata contro il pelo nero di un lupo.


Mi risvegliai lentamente e mi accorsi che qualcuno o qualcosa mi stava tirando leggermente per la maglietta: aprii gli occhi e notai che il mio nuovo amico ne aveva preso un lembo tra i denti e mi scuoteva piano, forse proprio con l’intento di svegliarmi.
“Ciao” lo salutai con voce impastata dal sonno, accennando un sorriso. “Che ore sono?”
Lui in tutta risposta lasciò andare la mia canotta e sollevò il muso in direzione del cielo, dove la luna ancora splendeva alta. Era notte fonda, probabilmente mancavano ancora diverse ore all’alba.
Intanto il freddo si era fatto penetrante e, se prima ero stata bene con il corpo del lupo addosso a me, ora ne sentivo la mancanza e il gelo mi entrava nelle ossa, facendomi tremare.
“Io… voglio tornare a casa” mormorai, stropicciandomi gli occhi con le mani. Cominciavo a non capire più niente, ero in pensiero per Lea e sicuramente mia madre era terribilmente in ansia. Ero talmente tanto stanca e confusa che cominciai a piangere senza motivo e senza preavviso, semplicemente sbattei le palpebre e gli occhi mi si appannarono. Presi a singhiozzare e mi rannicchiai su me stessa, sfinita.
Quando incrociai lo sguardo del lupo, lo trovai velato di tristezza. Si accostò a me e tentò di consolarmi e asciugarmi le lacrime, posava il suo muso tra i miei capelli o mi si strusciava contro per riscaldarmi.
“Mi aiuterai?” gli chiesi tra i singhiozzi, posando la testa sulla sua spalla muscolosa. “Io devo… devo cercare Lea.”
Lui restò immobile, in attesa che ritrovassi le forze e mi mettessi in piedi. Sentivo gli arti intorpiditi e mi ci vollero diversi minuti per risvegliarli e trovare l’equilibrio. Non potevo nemmeno contare sul braccio destro, dal momento che la spalla mi faceva male – anche se, a giudicare dalla quantità di sangue che avevo perso, la ferita non doveva essere tanto profonda.
Il lupo mi fu accanto per tutto il tempo e mi aiutò a mantenere l’equilibrio quando rischiavo di perderlo. Per ringraziarlo, continuai a lasciargli carezze su tutto il corpo, godendomi ancora il suo piacevole calore e la sua compagnia.
Una volta ripresami, l’animale mi condusse presso un cespuglio e mi aiutò a districare i fitti rametti che andavano a comporlo; solo dopo qualche secondo mi resi conto che mi aveva indicato il rifugio di Lea, quando le mie dita sfiorarono il pelo morbido della cagnolina. In preda all’ansia, sollevai il suo corpicino bianco e nero, intorpidito dal freddo, e in risposta ebbi un sottile uggiolio. Ero fuori di me dalla gioia: se l’era vista brutta, aveva diverse ferite, ma era viva, ce l’aveva fatta!
Con le lacrime agli occhi, la strinsi a me e la riempii di coccole, facendo attenzione a non farle male; ma dopo alcuni secondi il lupo mi diede un colpetto di naso sul braccio per attirare la mia attenzione, poi leccò piano la testolina di Lea, dove era stata ferita, e lei si lasciò sfuggire un piccolo latrato.
“Oh, vuoi medicare anche lei? Sei un adorabile cucciolo, io… sono commossa” ammisi con la voce rotta dall’emozione, posando Lea a terra e lasciandola alle cure dell’animale. Ormai mi fidavo ciecamente di lui e lo osservai con curiosità mentre ripuliva Lea, come farebbe soltanto un genitore con il proprio figlio.
Quando ebbe finito, il lupo sollevò il capo e mi fissò; in tutta risposta sorrisi e gli regalai una carezza sul muso, poi mi chinai per riprendere la cagnolina in braccio e mi guardai attorno. “Uhm… ho perso il senso dell’orientamento” mormorai, mentre il cuore mi accelerava nel petto. Non ci voleva proprio, dovevo assolutamente tornare a casa!
Ma per l’ennesima volta l’animale nero al mio fianco fece un gesto inaspettato in mio aiuto: mi si parò davanti, mi fissò per un lungo istante negli occhi – adoravo i suoi, di un azzurro talmente limpido da lampeggiare nella notte –, poi mi diede di spalle e prese a camminare lentamente tra gli alberi, voltandosi di tanto in tanto per controllare che lo stessi seguendo.

“Dove mi vuoi portare? Tu… tu sai dove abito? È impossibile, io non ti ho mai visto prima” affermai perplessa, ma decisi comunque di seguirlo, in fondo che alternative avevo? Magari durante il tragitto avrei riconosciuto qualche punto di riferimento e sarei poi riuscita a orientarmi.
Rimasi del tutto spiazzata quando, dopo circa un minuto di camminata, mi resi conto che stavamo effettivamente percorrendo la strada che conduceva a casa mia; il lupo mi stava guidando con passo sicuro, come se l’avesse percorsa milioni di volte.
“Wow, ma come facevi a saperlo?” esclamai, sgranando gli occhi e correndogli accanto. Lui in tutta risposta si voltò nella mia direzione e mi leccò appena il braccio. Ero certa che, se avesse avuto la possibilità di sorridere, in quel momento l’avrebbe fatto.
Camminammo fianco a fianco in silenzio, comunicando tra di noi tramite un linguaggio che nessun altro avrebbe potuto capire. Stavo vene ed ero a mio agio, come non mi era mai capitato in compagnia di nessun altro.
Tuttavia tirai un sospiro di sollievo quando riconobbi il varco tra gli alberi che portava a casa mia, avevo davvero bisogno di riposare e assimilare tutto quello che era accaduto.

“Io sono arrivata” affermai, fermandomi proprio al limitare del bosco. Il lupo fece lo stesso e prese a guardarmi in silenzio. Io lo osservai a mia volta e venni colta da un moto d’affetto nei suoi confronti: posai Lea a terra, che intanto aveva smesso di tremare e si era addormentata, mi avvicinai a lui e lo abbracciai come meglio potevo. Sentivo davvero di volergli bene e di essergli grata, non riuscivo a capacitarmi di aver incontrato una creatura così splendida e dolce.
Lui strusciò con affetto la sua grande testa contro di me, poi si sporse e posò per un istante la punta del suo naso sul mio. Sorrisi e gli lasciai un’ultima carezza sul muso. “Ciao” mormorai prima di allontanarmi.
Recuperai Lea e mi diressi lentamente verso casa, notando che la luce della cucina era ancora accesa: probabilmente mia madre era in piedi e mi stava aspettando, preoccupatissima. Mi sentivo un po’ in colpa, però sapevo che avrei dovuto raccontarle cos’era successo e sarebbe stato piuttosto complicato. Non mi avrebbe creduto se le avessi detto che un lupo dagli occhi azzurri mi aveva salvato la vita, era convinta che fossi intrappolata nel mondo dei sogni e della fantasia come quando ero una bambina.
In fondo non aveva tutti i torti.
Prima di aprire la porta d’ingresso, mi voltai un’ultima volta verso il bosco e avvistai la sagoma del lupo ferma lì, che ancora mi teneva d’occhio col suo sguardo dolce, come un angelo custode. Gli sorrisi di nuovo e gli rivolsi un ultimo cenno di saluto, mentre il cuore mi batteva forte nel petto per la gioia e l’emozione.


Era terribilmente bella, nonostante i capelli arruffati e le foglie secche che vi erano rimaste incastrate, nonostante i graffi sulla pelle pallida e i vestiti macchiati di sangue e terriccio. E non potevo credere che fosse stato proprio un lupo del mio branco ad attaccarla, mi ero sentito davvero male all’idea di perderla e di non poter più vedere i suoi lineamenti dolci sul viso piccoletto, i suoi enormi occhi neri come la notte. L’avevo difesa, non avrei potuto fare altrimenti, a costo di rischiare la mia stessa vita e la reputazione all’interno del branco.
E mentre la osservavo rientrare a casa con la sua cagnolina tra le braccia, non potei fare a meno di pensare a quanto fosse stato bello starle accanto quella notte: non solo mi ero potuto prendere cura di lei, ma avevo avuto modo di conoscerla e scoprire quanto fosse grande il suo cuore, quanto fosse sensibile e intelligente. Se prima aveva soltanto attirato la mia attenzione, ora potevo affermare di amarla, proprio per quello che era.
Quando assumevo la mia forma lupesca era tutto più semplice, ma una volta tornato allo stato umano lei non mi avrebbe mai riconosciuto, non si sarebbe mai potuta immaginare che il bel lupetto nero e il ragazzino pallido fossero la stessa persona. Non lo avrebbe mai potuto capire e io non glielo avrei mai spiegato, a scuola mi sarei limitato soltanto a osservarla da lontano senza mai farmi avanti.
Era tutto tremendamente complicato, era una situazione surreale e confusa.
Eppure il mio cuore parlava chiaro.


Il lunedì successivo mia madre non voleva assolutamente lasciarmi tornare a scuola, diceva che mi sarei dovuta riposare, ma io insistetti comunque per andare. Anche se con qualche cerotto sparso per il corpo e un’enorme garza bianca sulla spalla.
Non ero scossa fisicamente e non mi disturbava l’idea di tornare alla mia vita di tutti i giorni, soltanto continuavo a pensare alla mia nottata magica nel bosco e a quel lupo che mi aveva rubato il cuore. Chissà se l’avrei più rivisto.
Come previsto, mia madre non mi aveva creduto, o almeno non del tutto; tuttavia la mia spiegazione era l’unica che potesse giustificare i segni che avevo sul corpo e il fatto che fossi ancora viva, quindi aveva smesso di fare domande e mi aveva concesso il beneficio del dubbio.
In effetti, non fosse stato per le ferite, avrei creduto anch’io di essermi sognata tutto. Però, pensandoci e ripensandoci, me n’ero fatta una ragione: nell’universo potevano esserci infinite combinazioni di eventi, infiniti casi, l’uno diverso dall’altro, e il mio era uno di questi.
Quella mattina arrivai a scuola con la testa tra le nuvole e qualche brivido a incresparmi la pelle: l’aria frizzante di settembre mi accarezzava e io avevo come al solito dimenticato la giacca. Una volta nell’enorme cortile, cercai con lo sguardo Michelle, la mia compagna di banco, che giungeva sempre a scuola qualche minuto prima di me. Io e lei non eravamo proprio amiche, ma andavamo abbastanza d’accordo; era una delle poche persone che, nonostante i miei modi di fare bizzarri, voleva avere a che fare con me. Del resto anche lei era una tipa strana, una di quelle che leggeva classici greci e latini, ascoltava musica soltanto strumentale e preferiva fare ritratti alle persone piuttosto che parlarci.
Quando mi vide arrivare, Michelle assottigliò lo sguardo e si sistemò meglio gli occhialetti argentati sul naso per essere sicura di ciò che vedeva.
Sorrisi.
“Cosa ti è successo?” mi chiese perplessa.
Mi accomodai sul basso muretto in cemento accanto a lei. “Ho avuto un incontro ravvicinato con un lupo” spiegai candidamente.
Lei scosse la testa con fare sconcertato e io non riuscii a capire se mi credesse o meno. “Proprio ieri ho fatto il ritratto di un grande lupo bianco. Sulla parete della mia camera” disse.
Ridacchiai. “Che bello!”
Mi guardai attorno e osservai i gruppetti di studenti che si riunivano, alcuni vicino all’ingresso, altri in disparte, e chiacchieravano tra loro, scambiandosi sigarette e sorrisi. Molti di loro erano abbronzati e le ragazze sfoggiavano i loro nuovi e colorati vestiti.
Ormai la scuola era ricominciata da una settimana e ogni mattina assistevo a quella particolare processione, però non mi stancava mai e trovavo sempre qualche nuovo dettaglio nelle persone che prima non avevo notato.
A un certo punto il mio sguardo venne attirato da una figura minuta ed esile, abbigliata con un paio di jeans e una larga t-shirt blu scuro: si trattava di un ragazzo dai capelli neri e la pelle pallida che chiacchierava con alcuni suoi amici. A giudicare dalle persone con cui si intratteneva – che conoscevo di vista – supposi che frequentasse l’ultimo anno, ma non mi era mai capitato di vederlo prima di allora.
Stavo per distogliere lo sguardo e posarlo su qualcun altro, quando lui si voltò e mi osservò per un istante.
Il mio cuore perse un battito.
Quegli occhi azzurri… io li avevo già visti da qualche parte, ne ero certa. Erano limpidi e luminosi come il cielo d’estate, se avessi sollevato lo sguardo avrei scorto esattamente lo stesso colore sulla mia testa.
E sapevo bene dove li avevo già visti: in un lupo giovane e slanciato.
No, non poteva essere.
“Michelle?”
“Sì?”
“Chi è quel tipo dai capelli neri e gli occhi azzurri che c’è laggiù?”
La mia compagna di banco seguì il mio sguardo, mentre giocherellava con una delle sue treccine castane. “Ah, quello con la maglietta blu? Si chiama Ives, a quanto pare è nuovo, si è trasferito qui quest’estate. L’hai notato solo ora?”
Ridacchiai tra me. “Ah, non lo sapevo. Sì, è che… mi sembra di averlo già visto da qualche parte.”
“Io invece ho l’impressione che ti stia osservando da qualche giorno.”
Mi strinsi nelle spalle, senza sapere cosa aggiungere.
Probabilmente mi stavo lasciando suggestionare troppo dalla faccenda del lupo, altrimenti non riuscivo a spiegarmi come potessi avere l’impressione che quel ragazzo gli assomigliasse.
Scossi la testa per scacciare via quei pensieri assurdi, mentre la campanella prendeva a trillare e annunciava l’inizio di una nuova giornata di scuola.




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Eccomi qui con una storia del tutto insolita per i miei standard XD non so perché, ma ultimamente mi sto fissando in maniera del tutto casuale con i licantropi – o forse è meglio dire ri-fissando, dato che li ho sempre trovati fantastici. Purtroppo ho già letto le principali saghe fantasy che trattano l’argomento e non riesco a trovare altri libri per alimentare la mia fissazione…
Comunque!
Chi ha letto la mia raccolta di drabble “Blue Eyed Damned Soul” avrà sicuramente riconosciuto (il mio adorato ♥) Ives. Ecco, ovviamente questa storia è completamente slegata da quella, ho soltanto voluto prendere il suo personaggio perché lo adoro e amo il suo carattere, ma per l’occasione l’ho completamente “decontestualizzato”; questo significa che Millie non è la voce narrante di quelle drabble, lei l’ho inventata apposta per questa storia ^^
Spiegato questo, non mi resta che ringraziarvi per essere passati e giunti fino a qui, spero che la storia vi sia piaciuta e che piaccia anche alle due giudici dei contest :3
Alla prossima – per tutti i fan di Ives, vi anticipo che presto avrete un’altra storia con lui come protagonista, però nel suo normale contesto anni Ottanta, droga e fluff ♥

He cares
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Era una torrida giornata di metà settembre, un sabato. Qualunque normale diciassettenne avrebbe approfittato degli ultimi strascichi d’estate per scorrazzare in giro con gli amici, andare a qualche festa e non pensare all’ennesimo anno scolastico in cui si era appena imbarcato.
Chiunque, tranne me.
Prima di chiudere il libro che tenevo in mano e leggevo ormai da ore – un voluminoso fantasy dalla copertina blu scuro –, vi riposi in mezzo il mio adorato segnalibro a forma di tostapane, poi lo posai sulla scrivania; aprii l’armadio e mi misi alla ricerca di qualcosa da poter indossare per una passeggiata in mezzo al bosco insieme a Lea. Ora che il sole cominciava a calare e l’aria si era fatta più fresca, era il momento adatto per portare fuori la mia cagnolina, come del resto facevo ogni giorno.
Qualunque normale diciassettenne si sarebbe lamentato di abitare in periferia, al limitare di un enorme bosco e distante dalla civiltà, ma per me era una grande fortuna: amavo la natura, amavo perdere lo sguardo tra le fronde degli alberi alla ricerca di qualche nido d’uccello, oppure chinarmi a osservare gli animaletti che abitavano il sottobosco. Tutti mi consideravano pazza perché parlavo con gli animali, ma non mi importava tanto.
Mi osservai allo specchio poco prima di uscire dalla mia stanza: avevo indossato una canotta bianca sportiva e un paio di shorts in jeans, mentre i capelli corvini e leggermente scompigliati mi ricadevano sulle spalle e sulla schiena. Andavo benissimo così.
Mi diressi in cucina e venni subito raggiunta da Lea, che fino a quel momento aveva ronfato sul tappetino all’ingresso; mi chinai subito per accarezzarla, mentre lei faceva le feste e mi correva tra le gambe.
“Piccolina, dormito bene? Adesso la tua Millie ti porta a fare una passeggiata, ti va?”
Lea appiattì le orecchie appuntite sulla testa e mi guardò con i suoi occhietti neri e dolci, carica di aspettative. Le lasciai un’ultima carezza prima di rimettermi in piedi e avviarmi verso il frigo; al suo interno trovai un tramezzino già pronto che mi sarei portata appresso per cena, così lo infilai nel mio marsupio insieme a qualche altra cianfrusaglia e mi diressi verso l’uscita. Mentre abbassavo la maniglia, gridai: “Mamma, porto Lea a fare una passeggiata!”.
Lei, che probabilmente stava annaffiando le piante nel giardino sul retro, non si degnò di affacciarsi dentro casa e mi rispose a gran voce: “Va bene, ma non fare tardi per la cena!”.
“Non torno per cena, ho preso qualcosa da mangiare per strada!”
“D’accordo, ma non fare tardi comunque, non mi piace che tu rimanga in giro da sola quando fa buio!”
Sorrisi: mia madre era sempre così carina a preoccuparsi. Eppure sapeva che conoscevo i dintorni meglio delle mie tasche, li avevo perlustrati in lungo e in largo per diciassette anni. E poi c’era Lea con me, non ero sola.
Dopo aver convinto la cagnolina a indossare il guinzaglio e averle promesso di lasciarla libera una volta dentro il bosco, mi incamminai insieme a lei in direzione della folta distesa di alberi che si estendeva alla destra di casa mia. Mi sentivo euforica e contenta alla sola idea di immergermi nella natura ancora e ancora, non c’era una cosa al mondo che mi facesse stare meglio. Solo leggere mi dava una sensazione simile a quella.


“Lea, smettila di spaventare i leprotti, non vedi come scappano se abbai contro di loro?” rimproverai scherzosamente la mia piccola compagna d’avventura mentre si dimenava e guaiva come un’ossessa. Ormai passeggiavamo da un bel po’ di tempo, ci eravamo addentrate per bene tra la fitta vegetazione e supponevo ne avesse abbastanza di stare legata al guinzaglio.
Sospirai e rischiai di perdere l’equilibrio quando Lea fece uno scatto in avanti, strattonandomi; per essere così piccoletta aveva una forza non indifferente, un sacco di volte mi aveva costretto a correre per starle dietro. Anche per questo la adoravo.
“Okay, sai che facciamo adesso? Io mi siedo e ceno, così nel frattempo ti lascio libera” affermai mentre la liberavo.
Lei ne fu entusiasta e prese subito a correre tra arbusti e bassi cespugli, facendomi sorridere. Anche quando la perdevo di vista, sapevo che sarebbe tornata indietro da me.
Mi guardai attorno e individuai un posticino in cui potermi accomodare, con la schiena a ridosso del robusto tronco di un albero; mi sedetti tra le sterpaglie e l’erba secca che formavano un comodo e morbido cuscinetto, senza alcun timore di sporcarmi, e tirai fuori il mio tramezzino. Ormai il sole era quasi del tutto tramontato, gli ultimi raggi di luce filtravano tra i fitti rami conferendo al sottobosco un’atmosfera particolare, mentre le foglie venivano mosse da un vento leggero e fresco. Si stava davvero bene e, nonostante la penombra, io non avevo paura: gli animali non mi spaventavano, gli insetti non mi spaventavano e nemmeno i rumori circostanti, faceva tutto parte della natura, proprio come me. Nessuno era mai riuscito a capire questa mia stretta connessione con il mondo circostante, per questo venivo sempre additata come strana.
Estrassi dal marsupio la mia cena e cominciai a mangiucchiarla con calma. Un istante dopo vidi comparire Lea che, attirata dall’odore del cibo, saltò fuori dal cespuglio in cui si era nascosta; mi corse incontro e mi si schiantò addosso, cercando di raggiungere il mio tramezzino. Ma io ebbi i riflessi pronti e sollevai il braccio per impedirglielo, mentre lei mi si arrampicava addosso e io ridacchiavo.
“Lea! Come, non volevi correre libera e scappare da me? Ah, e va bene, ci divideremo il tramezzino!” affermai tra le risate, per poi lanciare a terra un pezzetto del mio spuntino. Lea allora ci si fiondò e mi lasciò finalmente mangiare in pace. Lanciai anche qualche briciola agli ultimi uccellini che si attardavano a tornare al nido dopo il tramonto, e loro ne furono felici.
Avevo mangiato meno di quello che avrei dovuto, ma avevo sfamato molti piccoli amichetti e questo mi rendeva completa e soddisfatta.
Mentre osservavo un piccolo ragnetto che passeggiava tranquillo sul palmo della mia mano, per poi penzolare dal mio dito tramite un filo che aveva creato sul momento, Lea finì la sua razione di cibo e decise di tornare all’attacco, in cerca di coccole: mi balzò addosso scodinzolando e mi costrinse a sdraiarmi a terra. Io ridevo e lei abbaiava, ci rotolavamo a terra e giocavamo, contente come non mai, finché lei non si stancò e corse via, di nuovo tra gli alberi.
Ancora tra le risate, mi rimisi seduta e constatai che ero ricoperta di polvere dalla testa ai piedi. Non importava, stavo benissimo.
Mi alzai e ripresi a passeggiare, cercando di seguire le tracce di Lea e ascoltando i fruscii che produceva mentre gironzolava nel bosco. Però sapevo che presto avrei dovuto riagganciarla al guinzaglio e riprendere la strada di casa, ormai era calata la notte e mia madre si sarebbe preoccupata se non mi avesse visto rientrare.
Per quanto mi riguardava, sarei potuta restare lì per tutta la notte.


“Lea, non fare scherzi, vieni fuori! Lea! Dobbiamo tornare a casa!”
Avevo dovuto accendere la torcia perché, nonostante la luna piena e brillante, non filtrava tanta luce tra le chiome degli alberi. Una punta d’ansia mi chiudeva lo stomaco: già da diversi minuti Lea era scomparsa dalla mia vista e non riuscivo a capire dove si fosse cacciata, non era tornata indietro nemmeno quando avevo provato a chiamarla. Non capivo, non era da lei comportarsi così, ma una cosa era certa: non sarei tornata a casa senza la mia Lea, a costo di doverla cercare per tutta la notte.
“Lea, andiamo! Dove sei? Sta cominciando a fare freddo, dobbiamo rientrare!”
D’un tratto mi immobilizzai e mi misi all’ascolto: un fruscio frenetico, che prima mi era parso quasi innocuo, ora si stava facendo sempre più vicino, accompagnato da acuti e secchi schiocchi di rami che si rompevano. Era un animale piuttosto veloce, di grossa taglia, anche se non avevo idea di cosa potesse essere.
Rimasi immobile, sempre all’ascolto, mentre il cuore accelerava i suoi battiti; in genere situazioni di questo tipo non mi intimorivano, ma non mi era mai capitato di incontrare una bestia così grande al buio.
Le mie orecchie percepirono un respiro profondo, quasi un rantolo, tipico dei cani. Sarei riuscito a gestirlo?
D’un tratto un latrato acuto e disperato squarciò l’aria, facendomi rabbrividire. Era fin troppo familiare.
“Lea!” strillai, precipitandomi nella direzione da cui proveniva. Non riuscivo a scorgere cosa stesse succedendo né sapevo dove si stesse svolgendo il tutto, ma ero certa che quella bestia avesse attaccato la mia cagnolina – intanto lei continuava a lamentarsi e soffrire – e io dovevo fare qualcosa per salvarla, non mi importava quali sarebbero state le conseguenze. Lei era così piccola, lo scontro con un cane più grosso di lei l’avrebbe ammazzata e io non l’avrei potuto sopportare. Il basso ruggito dell’animale mi riempiva le orecchie come un campanello d’allarme, ma avrei rischiato.
Corsi tra diversi alberi e schivai abilmente gli ostacoli – ero abituata al campo sterrato – e, quando finalmente giunsi sul luogo, la scena che mi si parò davanti mi fece inorridire: Lea, in preda a rantoli strozzati, era completamente schiacciata dal peso di un enorme lupo grigio, che le mordicchiava la testa. Sorpresa di trovarmi di fronte a un animale del genere, per un momento pensai che fosse strano che il lupo non l’avesse ancora finita azzannandola all’altezza della gola, ma non ebbi troppo tempo per rifletterci su. Mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime, implorai, nella speranza che il lupo mi capisse: “Ti prego, lasciala stare, è così piccola! Che ti ha fatto di male? Mollala!”.
Ma l’animale mi dedicò giusto una breve occhiata, per poi tornare a concentrarsi su Lea.
Presa dalla rabbia e da un forte istinto protettivo, serrai i pugni e mi scagliai contro di loro, sperando di sbalzare via il lupo e liberare la mia cagnolina. Per quanto fossi minuta, gli assestai un potente colpo sul fianco e la cosa dovette infastidirlo, perché indietreggiò appena e prese a fissarmi come fossi la sua preda, coi suoi enormi e lampeggianti occhi gialli.
In quell’istante tutto si fermò, incluso il mio cuore. Che cos’avevo fatto? Avevo attirato su di me le furie di un animale possente e muscoloso, che mi avrebbe attaccato e annientato in un nonnulla. Ero stata un’idiota, una vera irresponsabile, e in quel momento ebbi davvero paura.
Mi balzò addosso e io caddi all’indietro con un grido. Sentivo solo le sue enormi zampe fare pressione sul mio corpo magro e dalle ossa sporgenti, il suo alito caldo sulla pelle e i suoi denti affilati affondare nella carne morbida della mia spalla. Provavo un dolore talmente lancinante che le grida mi si bloccavano in gola e la vista mi si appannava; mi dimenavo e tentavo in tutti i modi di spingerlo via, ma lui continuava a graffiarmi e mordermi, accompagnato da ruggiti gutturali e bassi che mi ferivano le orecchie.
Era finita, sarei morta.
Ma, proprio mentre l’alito del lupo raggiungeva il mio collo, sentii le sue zampe premere con minor potenza su di me e udii un secondo ringhio, leggermente più acuto rispetto al primo, diffondersi nell’aria.
Intanto Lea uggiolava piano da qualche parte, nascosta tra i cespugli. Sperai che almeno lei si potesse salvare.
Un istante dopo ero libera, non avvertivo più nessun peso sopra di me, solo un lancinante dolore alla spalla.
Feci appena in tempo ad aprire gli occhi per mettere a fuoco la figura imponente di un secondo lupo, più piccolo e magro rispetto a quello grigio, dal pelo scuro come la notte.
Mi preparai al peggio: erano arrivati i rinforzi.
Però accadde qualcosa che non mi aspettavo affatto: i due lupi mi ignorarono completamente e presero a lottare tra loro, azzannandosi e rotolandosi tra le erbacce e la polvere, ribaltando la situazione in continuazione. Non riuscivo a distinguere il corpo dell’uno da quello dell’altro, per via del buio attorno a noi e della mia vista offuscata dalle lacrime, ma in quel momento aveva poca importanza: ero viva e reattiva, avevo qualche speranza di salvarmi, nonostante i rivoletti di sangue che sgorgavano dalle ferite e imbrattavano i miei vestiti già sudici. Dovevo soltanto trovare il modo per smettere di tremare dal freddo e dalla paura, lottare contro il dolore e alzarmi, sgusciare via senza fare rumore e portare Lea con me.
Potevo farcela?
Un ululato più forte degli altri mi costrinse a concentrarmi nuovamente sui due animali che combattevano: contro tutte le mie aspettative, il robusto lupo grigio stava scappando via e si lamentava, come se fosse stato ferito. Non avrei mai creduto che lo slanciato lupetto nero l’avrebbe avuta vinta, non sembrava affatto abituato alle lotte di quel tipo.
Non avevo avuto il tempo materiale per scappare, ora avevo ancora più paura perché non ero in forze, un attacco ben assestato mi avrebbe ucciso.
Venni scossa da un brivido quando vidi l’animale scuro avvicinarsi lentamente a me, per poi chinare il capo e fissarmi con i suoi occhi azzurri. Nonostante il terrore, ebbi il tempo di chiedermi se fosse normale che un lupo avesse degli occhi del genere, del colore del cielo d’estate; la cosa mi pareva piuttosto assurda.
“T-ti prego… non mi fare del male, risparmiami… voglio solo tornare a casa…” piagnucolai disperata. Dopotutto ero convinta che gli animali avessero la capacità di capirmi, tanto valeva provarci.
Il lupo si lasciò sfuggire un uggiolio, poi sporse il capo verso di me e fece l’ultima cosa che mi sarei aspettata: cominciò a leccarmi laddove l’altro lupo mi aveva morso, pulendo via il sangue e disinfettando la ferita. Strabuzzai gli occhi, un po’ per la sorpresa e un po’ per il dolore che quel contatto, seppur dolce, mi procurava.
Ancora tremante, fui incapace di muovermi e di pronunciare una sola parola mentre il lupo si adoperava per medicarmi le ferite; mi pareva una follia, ma quella bestiola aveva un che di umano, era come se avesse un cuore e dei sentimenti, ed era per quello che aveva deciso di aiutarmi.
“Grazie” mormorai infine, quando smise di pulirmi con delicatezza. Ancora l’adrenalina mi scorreva nelle vene, ma sentivo che il freddo si faceva sempre più penetrante, complice anche il vento che si era rafforzato.
Gettai uno sguardo al cielo e adocchiai la luna, luminosa e tonda oltre l’intreccio di rami sulla mia testa. Ero grata di essere ancora viva e poterla vedere.
Il mio nuovo amico attirò la mia attenzione, passando la punta del suo naso umido sul dorso della mia mano.
“Ehi” mormorai, decisamente più tranquilla. “Vuoi le coccole?” Mi misi faticosamente seduta e allungai una mano per accarezzare il pelo folto e morbido sulla sua schiena. Era la prima volta che avevo a che fare con un lupo così da vicino, quindi ero piuttosto emozionata.
Lui non si oppose, anzi, nei suoi occhi lessi qualcosa di simile alla gioia. Era surreale scorgere delle emozioni quasi umane nel suo sguardo, cominciavo a pensare di avere le allucinazioni.
Il cuore fece un’impennata nel mio petto quando il lupo si sdraiò al mio fianco e posò il capo sul mio grembo, come a volersi rifugiare o darmi il suo affetto. Non riuscivo a smettere di sorridere e di intrecciare le dita alla sua pelliccia scura, era talmente bello e tenero che mi scaldava il cuore.
“Sai, io penso ci sia una connessione particolare tra gli uomini e gli animali, è qualcosa di inspiegabile. Non tutti però la sanno cogliere e se ne accorgono” cominciai a parlare, sperando che la cosa non lo infastidisse. “Penso che tra me e te sia successo, ecco, è come se fossimo legati e ci capissimo. È unico, è qualcosa di stranissimo e assurdo, che va oltre la magia. Non ti ringrazierò mai abbastanza per avermi salvato.”
Lui, in tutta risposta, mi leccò appena una mano che avevo abbandonato vicino al suo muso.
Stavo bene, non volevo più lasciarlo andare… non fosse stato per il vento che penetrava fino alle mie ossa, facendomi tremare.
Il lupo se ne accorse e, come se mi avesse letto nel pensiero, cercò una soluzione: sollevò il capo e mi diede una leggera spinta per incitarmi a sdraiarmi, poi mi si addossò contro, scaldandomi col suo corpo.
“Oh, tesoro… ma sei dolcissimo” sussurrai, colta alla sprovvista; mi accoccolai contro di lui, ormai senza più paura, e continuai a coccolarlo come potevo, carezzandogli la zampa o la testa. Lo abbracciavo e lui non si opponeva, anzi, si faceva ancora più vicino e si assicurava che stessi bene, ogni tanto tornava a leccare qualche mia ferita. Erano come dolci carezze per me.
Mi ritrovai a pensare che nessun essere umano era mai stato così dolce e affettuoso con me, quanto quella meravigliosa creatura dagli occhi azzurri.
Non seppi spiegarmi come né perché, ma ero talmente rilassata e tranquilla che il sonno ebbe il sopravvento e mi addormentai così, sdraiata in mezzo a un bosco, con la guancia schiacciata contro il pelo nero di un lupo.


Mi risvegliai lentamente e mi accorsi che qualcuno o qualcosa mi stava tirando leggermente per la maglietta: aprii gli occhi e notai che il mio nuovo amico ne aveva preso un lembo tra i denti e mi scuoteva piano, forse proprio con l’intento di svegliarmi.
“Ciao” lo salutai con voce impastata dal sonno, accennando un sorriso. “Che ore sono?”
Lui in tutta risposta lasciò andare la mia canotta e sollevò il muso in direzione del cielo, dove la luna ancora splendeva alta. Era notte fonda, probabilmente mancavano ancora diverse ore all’alba.
Intanto il freddo si era fatto penetrante e, se prima ero stata bene con il corpo del lupo addosso a me, ora ne sentivo la mancanza e il gelo mi entrava nelle ossa, facendomi tremare.
“Io… voglio tornare a casa” mormorai, stropicciandomi gli occhi con le mani. Cominciavo a non capire più niente, ero in pensiero per Lea e sicuramente mia madre era terribilmente in ansia. Ero talmente tanto stanca e confusa che cominciai a piangere senza motivo e senza preavviso, semplicemente sbattei le palpebre e gli occhi mi si appannarono. Presi a singhiozzare e mi rannicchiai su me stessa, sfinita.
Quando incrociai lo sguardo del lupo, lo trovai velato di tristezza. Si accostò a me e tentò di consolarmi e asciugarmi le lacrime, posava il suo muso tra i miei capelli o mi si strusciava contro per riscaldarmi.
“Mi aiuterai?” gli chiesi tra i singhiozzi, posando la testa sulla sua spalla muscolosa. “Io devo… devo cercare Lea.”
Lui restò immobile, in attesa che ritrovassi le forze e mi mettessi in piedi. Sentivo gli arti intorpiditi e mi ci vollero diversi minuti per risvegliarli e trovare l’equilibrio. Non potevo nemmeno contare sul braccio destro, dal momento che la spalla mi faceva male – anche se, a giudicare dalla quantità di sangue che avevo perso, la ferita non doveva essere tanto profonda.
Il lupo mi fu accanto per tutto il tempo e mi aiutò a mantenere l’equilibrio quando rischiavo di perderlo. Per ringraziarlo, continuai a lasciargli carezze su tutto il corpo, godendomi ancora il suo piacevole calore e la sua compagnia.
Una volta ripresami, l’animale mi condusse presso un cespuglio e mi aiutò a districare i fitti rametti che andavano a comporlo; solo dopo qualche secondo mi resi conto che mi aveva indicato il rifugio di Lea, quando le mie dita sfiorarono il pelo morbido della cagnolina. In preda all’ansia, sollevai il suo corpicino bianco e nero, intorpidito dal freddo, e in risposta ebbi un sottile uggiolio. Ero fuori di me dalla gioia: se l’era vista brutta, aveva diverse ferite, ma era viva, ce l’aveva fatta!
Con le lacrime agli occhi, la strinsi a me e la riempii di coccole, facendo attenzione a non farle male; ma dopo alcuni secondi il lupo mi diede un colpetto di naso sul braccio per attirare la mia attenzione, poi leccò piano la testolina di Lea, dove era stata ferita, e lei si lasciò sfuggire un piccolo latrato.
“Oh, vuoi medicare anche lei? Sei un adorabile cucciolo, io… sono commossa” ammisi con la voce rotta dall’emozione, posando Lea a terra e lasciandola alle cure dell’animale. Ormai mi fidavo ciecamente di lui e lo osservai con curiosità mentre ripuliva Lea, come farebbe soltanto un genitore con il proprio figlio.
Quando ebbe finito, il lupo sollevò il capo e mi fissò; in tutta risposta sorrisi e gli regalai una carezza sul muso, poi mi chinai per riprendere la cagnolina in braccio e mi guardai attorno. “Uhm… ho perso il senso dell’orientamento” mormorai, mentre il cuore mi accelerava nel petto. Non ci voleva proprio, dovevo assolutamente tornare a casa!
Ma per l’ennesima volta l’animale nero al mio fianco fece un gesto inaspettato in mio aiuto: mi si parò davanti, mi fissò per un lungo istante negli occhi – adoravo i suoi, di un azzurro talmente limpido da lampeggiare nella notte –, poi mi diede di spalle e prese a camminare lentamente tra gli alberi, voltandosi di tanto in tanto per controllare che lo stessi seguendo.

“Dove mi vuoi portare? Tu… tu sai dove abito? È impossibile, io non ti ho mai visto prima” affermai perplessa, ma decisi comunque di seguirlo, in fondo che alternative avevo? Magari durante il tragitto avrei riconosciuto qualche punto di riferimento e sarei poi riuscita a orientarmi.
Rimasi del tutto spiazzata quando, dopo circa un minuto di camminata, mi resi conto che stavamo effettivamente percorrendo la strada che conduceva a casa mia; il lupo mi stava guidando con passo sicuro, come se l’avesse percorsa milioni di volte.
“Wow, ma come facevi a saperlo?” esclamai, sgranando gli occhi e correndogli accanto. Lui in tutta risposta si voltò nella mia direzione e mi leccò appena il braccio. Ero certa che, se avesse avuto la possibilità di sorridere, in quel momento l’avrebbe fatto.
Camminammo fianco a fianco in silenzio, comunicando tra di noi tramite un linguaggio che nessun altro avrebbe potuto capire. Stavo bene ed ero a mio agio, come non mi era mai capitato in compagnia di nessun altro.
Tuttavia tirai un sospiro di sollievo quando riconobbi il varco tra gli alberi che portava a casa mia, avevo davvero bisogno di riposare e assimilare tutto quello che era accaduto.

“Io sono arrivata” affermai, fermandomi proprio al limitare del bosco. Il lupo fece lo stesso e prese a guardarmi in silenzio. Io lo osservai a mia volta e venni colta da un moto d’affetto nei suoi confronti: posai Lea a terra, che intanto aveva smesso di tremare e si era addormentata, mi avvicinai a lui e lo abbracciai come meglio potevo. Sentivo davvero di volergli bene e di essergli grata, non riuscivo a capacitarmi di aver incontrato una creatura così splendida e dolce.
Lui strusciò con affetto la sua grande testa contro di me, poi si sporse e posò per un istante la punta del suo naso sul mio. Sorrisi e gli lasciai un’ultima carezza sul muso. “Ciao” mormorai prima di allontanarmi.
Recuperai Lea e mi diressi lentamente verso casa, notando che la luce della cucina era ancora accesa: probabilmente mia madre era in piedi e mi stava aspettando, preoccupatissima. Mi sentivo un po’ in colpa, però sapevo che avrei dovuto raccontarle cos’era successo e sarebbe stato piuttosto complicato. Non mi avrebbe creduto se le avessi detto che un lupo dagli occhi azzurri mi aveva salvato la vita, era convinta che fossi intrappolata nel mondo dei sogni e della fantasia come quando ero una bambina.
In fondo non aveva tutti i torti.
Prima di aprire la porta d’ingresso, mi voltai un’ultima volta verso il bosco e avvistai la sagoma del lupo ferma lì, che ancora mi teneva d’occhio col suo sguardo dolce, come un angelo custode. Gli sorrisi di nuovo e gli rivolsi un ultimo cenno di saluto, mentre il cuore mi batteva forte nel petto per la gioia e l’emozione.


Era terribilmente bella, nonostante i capelli arruffati e le foglie secche che vi erano rimaste incastrate, nonostante i graffi sulla pelle pallida e i vestiti macchiati di sangue e terriccio. E non potevo credere che fosse stato proprio un lupo del mio branco ad attaccarla, mi ero sentito davvero male all’idea di perderla e di non poter più vedere i suoi lineamenti dolci sul viso piccoletto, i suoi enormi occhi neri come la notte. L’avevo difesa, non avrei potuto fare altrimenti, a costo di rischiare la mia stessa vita e la reputazione all’interno del branco.
E mentre la osservavo rientrare a casa con la sua cagnolina tra le braccia, non potei fare a meno di pensare a quanto fosse stato bello starle accanto quella notte: non solo mi ero potuto prendere cura di lei, ma avevo avuto modo di conoscerla e scoprire quanto fosse grande il suo cuore, quanto fosse sensibile e intelligente. Se prima aveva soltanto attirato la mia attenzione, ora potevo affermare di amarla, proprio per quello che era.
Quando assumevo la mia forma lupesca era tutto più semplice, ma una volta tornato allo stato umano lei non mi avrebbe mai riconosciuto, non si sarebbe mai potuta immaginare che il bel lupetto nero e il ragazzino pallido fossero la stessa persona. Non lo avrebbe mai potuto capire e io non glielo avrei mai spiegato, a scuola mi sarei limitato soltanto a osservarla da lontano senza mai farmi avanti.
Era tutto tremendamente complicato, era una situazione surreale e confusa.
Eppure il mio cuore parlava chiaro.


Il lunedì successivo mia madre non voleva assolutamente lasciarmi tornare a scuola, diceva che mi sarei dovuta riposare, ma io insistetti comunque per andare. Anche se con qualche cerotto sparso per il corpo e un’enorme garza bianca sulla spalla.
Non ero scossa fisicamente e non mi disturbava l’idea di tornare alla mia vita di tutti i giorni, soltanto continuavo a pensare alla mia nottata magica nel bosco e a quel lupo che mi aveva rubato il cuore. Chissà se l’avrei più rivisto.
Come previsto, mia madre non mi aveva creduto, o almeno non del tutto; tuttavia la mia spiegazione era l’unica che potesse giustificare i segni che avevo sul corpo e il fatto che fossi ancora viva, quindi aveva smesso di fare domande e mi aveva concesso il beneficio del dubbio.
In effetti, non fosse stato per le ferite, avrei creduto anch’io di essermi sognata tutto. Però, pensandoci e ripensandoci, me n’ero fatta una ragione: nell’universo potevano esserci infinite combinazioni di eventi, infiniti casi, l’uno diverso dall’altro, e il mio era uno di questi.
Quella mattina arrivai a scuola con la testa tra le nuvole e qualche brivido a incresparmi la pelle: l’aria frizzante di settembre mi accarezzava e io avevo come al solito dimenticato la giacca. Una volta nell’enorme cortile, cercai con lo sguardo Michelle, la mia compagna di banco, che giungeva sempre a scuola qualche minuto prima di me. Io e lei non eravamo proprio amiche, ma andavamo abbastanza d’accordo; era una delle poche persone che, nonostante i miei modi di fare bizzarri, voleva avere a che fare con me. Del resto anche lei era una tipa strana, una di quelle che leggeva classici greci e latini, ascoltava musica soltanto strumentale e preferiva fare ritratti alle persone piuttosto che parlarci.
Quando mi vide arrivare, Michelle assottigliò lo sguardo e si sistemò meglio gli occhialetti argentati sul naso per essere sicura di ciò che vedeva.
Sorrisi.
“Cosa ti è successo?” mi chiese perplessa.
Mi accomodai sul basso muretto in cemento accanto a lei. “Ho avuto un incontro ravvicinato con un lupo” spiegai candidamente.
Lei scosse la testa con fare sconcertato e io non riuscii a capire se mi credesse o meno. “Proprio ieri ho fatto il ritratto di un grande lupo bianco. Sulla parete della mia camera” disse.
Ridacchiai. “Che bello!”
Mi guardai attorno e osservai i gruppetti di studenti che si riunivano, alcuni vicino all’ingresso, altri in disparte, e chiacchieravano tra loro, scambiandosi sigarette e sorrisi. Molti di loro erano abbronzati e le ragazze sfoggiavano i loro nuovi e colorati vestiti.
Ormai la scuola era ricominciata da una settimana e ogni mattina assistevo a quella particolare processione, però non mi stancava mai e trovavo sempre qualche nuovo dettaglio nelle persone che prima non avevo notato.
A un certo punto il mio sguardo venne attirato da una figura minuta ed esile, abbigliata con un paio di jeans e una larga t-shirt blu scuro: si trattava di un ragazzo dai capelli neri e la pelle pallida che chiacchierava con alcuni suoi amici. A giudicare dalle persone con cui si intratteneva – che conoscevo di vista – supposi che frequentasse l’ultimo anno, ma non mi era mai capitato di vederlo prima di allora.
Stavo per distogliere lo sguardo e posarlo su qualcun altro, quando lui si voltò e mi osservò per un istante.
Il mio cuore perse un battito.
Quegli occhi azzurri… io li avevo già visti da qualche parte, ne ero certa. Erano limpidi e luminosi come il cielo d’estate, se avessi sollevato lo sguardo avrei scorto esattamente lo stesso colore sulla mia testa.
E sapevo bene dove li avevo già visti: in un lupo giovane e slanciato.
No, non poteva essere.
“Michelle?”
“Sì?”
“Chi è quel tipo dai capelli neri e gli occhi azzurri che c’è laggiù?”
La mia compagna di banco seguì il mio sguardo, mentre giocherellava con una delle sue treccine castane. “Ah, quello con la maglietta blu? Si chiama Ives, a quanto pare è nuovo, si è trasferito qui quest’estate. L’hai notato solo ora?”
Ridacchiai tra me. “Ah, non lo sapevo. Sì, è che… mi sembra di averlo già visto da qualche parte.”
“Io invece ho l’impressione che ti stia osservando da qualche giorno.”
Mi strinsi nelle spalle, senza sapere cosa aggiungere.
Probabilmente mi stavo lasciando suggestionare troppo dalla faccenda del lupo, altrimenti non riuscivo a spiegarmi come potessi avere l’impressione che quel ragazzo gli assomigliasse.
Scossi la testa per scacciare via quei pensieri assurdi, mentre la campanella prendeva a trillare e annunciava l’inizio di una nuova giornata di scuola.




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Eccomi qui con una storia del tutto insolita per i miei standard XD non so perché, ma ultimamente mi sto fissando in maniera del tutto casuale con i licantropi – o forse è meglio dire ri-fissando, dato che li ho sempre trovati fantastici. Purtroppo ho già letto le principali saghe fantasy che trattano l’argomento e non riesco a trovare altri libri per alimentare la mia fissazione…
Comunque!
Chi ha letto la mia raccolta di drabble “Blue Eyed Damned Soul” avrà sicuramente riconosciuto (il mio adorato ♥) Ives. Ecco, ovviamente questa storia è completamente slegata da quella, ho soltanto voluto prendere il suo personaggio perché lo adoro e amo il suo carattere, ma per l’occasione l’ho completamente “decontestualizzato”; questo significa che Millie non è la voce narrante di quelle drabble, lei l’ho inventata apposta per questa storia ^^
Spiegato questo, non mi resta che ringraziarvi per essere passati e giunti fino a qui, spero che la storia vi sia piaciuta e che piaccia anche alle due giudici dei contest :3
Alla prossima – per tutti i fan di Ives, vi anticipo che presto avrete un’altra storia con lui come protagonista, però nel suo normale contesto anni Ottanta, droga e fluff ♥

He cares
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Era una torrida giornata di metà settembre, un sabato. Qualunque normale diciassettenne avrebbe approfittato degli ultimi strascichi d’estate per scorrazzare in giro con gli amici, andare a qualche festa e non pensare all’ennesimo anno scolastico in cui si era appena imbarcato.
Chiunque, tranne me.
Prima di chiudere il libro che tenevo in mano e leggevo ormai da ore – un voluminoso fantasy dalla copertina blu scuro –, vi riposi in mezzo il mio adorato segnalibro a forma di tostapane, poi lo posai sulla scrivania; aprii l’armadio e mi misi alla ricerca di qualcosa da poter indossare per una passeggiata in mezzo al bosco insieme a Lea. Ora che il sole cominciava a calare e l’aria si era fatta più fresca, ora il momento adatto per portare fuori la mia cagnolina, come del resto facevo ogni giorno.
Qualunque normale diciassettenne si sarebbe lamentato di abitare in periferia, al limitare di un enorme bosco e distante dalla civiltà, ma per me era una grande fortuna: amavo la natura, amavo perdere lo sguardo tra le fronde degli alberi alla ricerca di qualche nido d’uccello, oppure chinarmi a osservare gli animaletti che abitavano il sottobosco. Tutti mi consideravano pazza perché parlavo con gli animali, ma non mi importava tanto.
Mi osservai allo specchio poco prima di uscire dalla mia stanza: avevo indossato una canotta bianca sportiva e un paio di shorts in jeans, mentre i capelli corvini e leggermente scompigliati mi ricadevano sulle spalle e sulla schiena. Andavo benissimo così.
Mi diressi in cucina e venni subito raggiunta da Lea, che fino a quel momento aveva ronfato sul tappetino all’ingresso; mi chinai subito per accarezzarla, mentre lei faceva le feste e mi correva tra le gambe.
“Piccolina, dormito bene? Adesso la tua Millie ti porta a fare una passeggiata, ti va?”
Lea appiattì le orecchie appuntite sulla testa e mi guardò con i suoi occhietti neri e dolci, carica di aspettative. Le lasciai un’ultima carezza prima di rimettermi in piedi e avviarmi verso il frigo; al suo interno trovai un tramezzino già pronto che mi sarei portata appresso per cena, così lo infilai nel mio marsupio insieme a qualche altra cianfrusaglia e mi diressi verso l’uscita. Mentre abbassavo la maniglia, gridai: “Mamma, porto Lea a fare una passeggiata!”.
Lei, che probabilmente stava annaffiando le piante nel giardino sul retro, non si degnò di affacciarsi dentro casa e mi rispose a gran voce: “Va bene, ma non fare tardi per la cena!”.
“Non torno per cena, ho preso qualcosa da mangiare per strada!”
“D’accordo, ma non fare tardi comunque, non mi piace che tu rimanga in giro da sola quando fa buio!”
Sorrisi: mia madre era sempre così carina a preoccuparsi. Eppure sapeva che conoscevo i dintorni meglio delle mie tasche, li avevo perlustrati in lungo e in largo per diciassette anni. E poi c’era Lea con me, non ero sola.
Dopo aver convinto la cagnolina a indossare il guinzaglio e averle promesso di lasciarla libera una volta dentro il bosco, mi incamminai insieme a lei in direzione della folta distesa di alberi che si estendeva alla destra di casa mia. Mi sentivo euforica e contenta alla sola idea di immergermi nella natura ancora e ancora, non c’era una cosa al mondo che mi facesse stare meglio. Solo leggere mi dava una sensazione simile a quella.


“Lea, smettila di spaventare i leprotti, non vedi come scappano se abbai contro di loro?” rimproverai scherzosamente la mia piccola compagna d’avventura mentre si dimenava e guaiva come un’ossessa. Ormai passeggiavamo da un bel po’ di tempo, ci eravamo addentrate per bene tra la fitta vegetazione e supponevo ne avesse abbastanza di stare legata al guinzaglio.
Sospirai e rischiai di perdere l’equilibrio quando Lea fece uno scatto in avanti, strattonandomi; per essere così piccoletta aveva una forza non indifferente, un sacco di volte mi aveva costretto a correre per starle dietro. Anche per questo la adoravo.
“Okay, sai che facciamo adesso? Io mi siedo e ceno, così nel frattempo ti lascio libera” affermai mentre la liberavo.
Lei ne fu entusiasta e prese subito a correre tra arbusti e bassi cespugli, facendomi sorridere. Anche quando la perdevo di vista, sapevo che sarebbe tornata indietro da me.
Mi guardai attorno e individuai un posticino in cui potermi accomodare, con la schiena a ridosso del robusto tronco di un albero; mi sedetti tra le sterpaglie e l’erba secca che formavano un comodo e morbido cuscinetto, senza alcun timore di sporcarmi, e tirai fuori il mio tramezzino. Ormai il sole era quasi del tutto tramontato, gli ultimi raggi di luce filtravano tra i fitti rami conferendo al sottobosco un’atmosfera particolare, mentre le foglie venivano mosse da un vento leggero e fresco. Si stava davvero bene e, nonostante la penombra, io non avevo paura: gli animali non mi spaventavano, gli insetti non mi spaventavano e nemmeno i rumori circostanti, faceva tutto parte della natura, proprio come me. Nessuno era mai riuscito a capire questa mia stretta connessione con il mondo circostante, per questo venivo sempre additata come strana.
Estrassi dal marsupio la mia cena e cominciai a mangiucchiarla con calma. Un istante dopo vidi comparire Lea che, attirata dall’odore del cibo, saltò fuori dal cespuglio in cui si era nascosta; mi corse incontro e mi si schiantò addosso, cercando di raggiungere il mio tramezzino. Ma io ebbi i riflessi pronti e sollevai il braccio per impedirglielo, mentre lei mi si arrampicava addosso e io ridacchiavo.
“Lea! Come, non volevi correre libera e scappare da me? Ah, e va bene, ci divideremo il tramezzino!” affermai tra le risate, per poi lanciare a terra un pezzetto del mio spuntino. Lea allora ci si fiondò e mi lasciò finalmente mangiare in pace. Lanciai anche qualche briciola agli ultimi uccellini che si attardavano a tornare al nido dopo il tramonto, e loro ne furono felici.
Avevo mangiato meno di quello che avrei dovuto, ma avevo sfamato molti piccoli amichetti e questo mi rendeva completa e soddisfatta.
Mentre osservavo un piccolo ragnetto che passeggiava tranquillo sul palmo della mia mano, per poi penzolare dal mio dito tramite un filo che aveva creato sul momento, Lea finì la sua razione di cibo e decise di tornare all’attacco, in cerca di coccole: mi balzò addosso scodinzolando e mi costrinse a sdraiarmi a terra. Io ridevo e lei abbaiava, ci rotolavamo a terra e giocavamo, contente come non mai, finché lei non si stancò e corse via, di nuovo tra gli alberi.
Ancora tra le risate, mi rimisi seduta e constatai che ero ricoperta di polvere dalla testa ai piedi. Non importava, stavo benissimo.
Mi alzai e ripresi a passeggiare, cercando di seguire le tracce di Lea e ascoltando i fruscii che produceva mentre gironzolava nel bosco. Però sapevo che presto avrei dovuto riagganciarla al guinzaglio e riprendere la strada di casa, ormai era calata la notte e mia madre si sarebbe preoccupata se non mi avesse visto rientrare.
Per quanto mi riguardava, sarei potuta restare lì per tutta la notte.


“Lea, non fare scherzi, vieni fuori! Lea! Dobbiamo tornare a casa!”
Avevo dovuto accendere la torcia perché, nonostante la luna piena e brillante, non filtrava tanta luce tra le chiome degli alberi. Una punta d’ansia mi chiudeva lo stomaco: già da diversi minuti Lea era scomparsa dalla mia vista e non riuscivo a capire dove si fosse cacciata, non era tornata indietro nemmeno quando avevo provato a chiamarla. Non capivo, non era da lei comportarsi così, ma una cosa era certa: non sarei tornata a casa senza la mia Lea, a costo di doverla cercare per tutta la notte.
“Lea, andiamo! Dove sei? Sta cominciando a fare freddo, dobbiamo rientrare!”
D’un tratto mi immobilizzai e mi misi all’ascolto: un fruscio frenetico, che prima mi era parso quasi innocuo, ora si stava facendo sempre più vicino, accompagnato da acuti e secchi schiocchi di rami che si rompevano. Era un animale piuttosto veloce, di grossa taglia, anche se non avevo idea di cosa potesse essere.
Rimasi immobile, sempre all’ascolto, mentre il cuore accelerava i suoi battiti; in genere situazioni del genere non mi intimorivano, ma non mi era mai capitato di incontrare una bestia così grande al buio.
Le mie orecchie percepirono un respiro profondo, quasi un rantolo, tipico dei cani. Sarei riuscito a gestirlo?
D’un tratto un latrato acuto e disperato squarciò l’aria, facendomi rabbrividire. Era fin troppo familiare.
“Lea!” strillai, precipitandomi nella direzione da cui proveniva. Non riuscivo a scorgere cosa stesse succedendo né sapevo dove si stesse svolgendo il tutto, ma ero certa che quella bestia avesse attaccato la mia cagnolina – intanto lei continuava a lamentarsi e soffrire – e io dovevo fare qualcosa per salvarla, non mi importava quali sarebbero state le conseguenze. Lei era così piccola, lo scontro con un cane più grosso di lei l’avrebbe ammazzata e io non l’avrei potuto sopportare. Il basso ruggito dell’animale mi riempiva le orecchie come un campanello d’allarme, ma avrei rischiato.
Corsi tra diversi alberi e schivai abilmente gli ostacoli – ero abituata al campo sterrato – e, quando finalmente giunsi sul luogo, la scena che mi si parò davanti mi fece inorridire: Lea, in preda a rantoli strozzati, era completamente schiacciata dal peso di un enorme lupo grigio, che le mordicchiava la testa. Sorpresa di trovarmi di fronte a un animale del genere, per un momento pensai che fosse strano che il lupo non l’avesse ancora finita azzannandola all’altezza della gola, ma non ebbi troppo tempo per rifletterci su. Mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime, implorai, nella speranza che il lupo mi capisse: “Ti prego, lasciala stare, è così piccola! Che ti ha fatto di male? Mollala!”.
Ma l’animale mi dedicò giusto una breve occhiata, per poi tornare a concentrarsi su Lea.
Presa dalla rabbia e da un forte istinto protettivo, serrai i pugni e mi scagliai contro di loro, sperando di sbalzare via il lupo e liberare la mia cagnolina. Per quanto fossi minuta, gli assestai un potente colpo sul fianco e la cosa dovette infastidirlo, perché indietreggiò appena e prese a fissarmi come fossi la sua preda, coi suoi enormi e lampeggianti occhi gialli.
In quell’istante tutto si fermò, incluso il mio cuore. Che cos’avevo fatto? Avevo attirato su di me le furie di un animale possente e muscoloso, che mi avrebbe attaccato e annientato in un nonnulla. Ero stata un’idiota, una vera irresponsabile, e in quel momento ebbi davvero paura.
Mi balzò addosso e io caddi all’indietro con un grido. Sentivo solo le sue enormi zampe fare pressione sul mio corpo magro e dalle ossa sporgenti, il suo alito caldo sulla pelle e i suoi denti affilati affondare nella carne morbida della mia spalla. Provavo un dolore talmente lancinante che le grida mi si bloccavano in gola e la vista mi si appannava; mi dimenavo e tentavo in tutti i modi di spingerlo via, ma lui continuava a graffiarmi e mordermi, accompagnato da ruggiti gutturali e bassi che mi ferivano le orecchie.
Era finita, sarei morta.
Ma, proprio mentre l’alito del lupo raggiungeva il mio collo, sentii le sue zampe premere con minor potenza su di me e udii un secondo ringhio, leggermente più acuto rispetto al primo, diffondersi nell’aria.
Intanto Lea uggiolava piano da qualche parte, nascosta tra i cespugli. Sperai che almeno lei si potesse salvare.
Un istante dopo ero libera, non avvertivo più nessun peso sopra di me, solo un lancinante dolore alla spalla.
Feci appena in tempo ad aprire gli occhi per mettere a fuoco la figura imponente di un secondo lupo, più piccolo e magro rispetto a quello grigio, dal pelo scuro come la notte.
Mi preparai al peggio: erano arrivati i rinforzi.
Però accadde qualcosa che non mi aspettavo affatto: i due lupi mi ignorarono completamente e presero a lottare tra loro, azzannandosi e rotolandosi tra le erbacce e la polvere, ribaltando la situazione in continuazione. Non riuscivo a distinguere il corpo dell’uno da quello dell’altro, per via del buio attorno a noi e della mia vista offuscata dalle lacrime, ma in quel momento aveva poca importanza: ero viva e reattiva, avevo qualche speranza di salvarmi, nonostante i rivoletti di sangue che sgorgavano dalle ferite e imbrattavano i miei vestiti già sudici. Dovevo soltanto trovare il modo per smettere di tremare dal freddo e dalla paura, lottare contro il dolore e alzarmi, sgusciare via senza fare rumore e portare Lea con me.
Potevo farcela?
Un ululato più forte degli altri mi costrinse a concentrarmi nuovamente sui due animali che combattevano: contro tutte le mie aspettative, il robusto lupo grigio stava scappando via e si lamentava, come se fosse stato ferito. Non avrei mai creduto che lo slanciato lupetto nero l’avrebbe avuta vinta, non sembrava affatto abituato alle lotte di quel tipo.
Non avevo avuto il tempo materiale per scappare, ora avevo ancora più paura perché non ero in forze, un attacco ben assestato mi avrebbe ucciso.
Venni scossa da un brivido quando vidi l’animale scuro avvicinarsi lentamente a me, per poi chinare il capo e fissarmi con i suoi occhi azzurri. Nonostante il terrore, ebbi il tempo di chiedermi se fosse normale che un lupo avesse degli occhi del genere, del colore del cielo d’estate; la cosa mi pareva piuttosto assurda.
“T-ti prego… non mi fare del male, risparmiami… voglio solo tornare a casa…” piagnucolai disperata. Dopotutto ero convinta che gli animali avessero la capacità di capirmi, tanto valeva provarci.
Il lupo si lasciò sfuggire un uggiolio, poi sporse il capo verso di me e fece l’ultima cosa che mi sarei aspettata: cominciò a leccarmi laddove l’altro lupo mi aveva morso, pulendo via il sangue e disinfettando la ferita. Strabuzzai gli occhi, un po’ per la sorpresa e un po’ per il dolore che quel contatto, seppur dolce, mi procurava.
Ancora tremante, fui incapace di muovermi e di pronunciare una sola parola mentre il lupo si adoperava per medicarmi le ferite; mi pareva una follia, ma quella bestiola aveva un che di umano, era come se avesse un cuore e dei sentimenti, ed era per quello che aveva deciso di aiutarmi.
“Grazie” mormorai infine, quando smise di pulirmi con delicatezza. Ancora l’adrenalina mi scorreva nelle vene, ma sentivo che il freddo si faceva sempre più penetrante, complice anche il vento che si era rafforzato.
Gettai uno sguardo al cielo e adocchiai la luna, luminosa e tonda oltre l’intreccio di rami sulla mia testa. Ero grata di essere ancora viva e poterla vedere.
Il mio nuovo amico attirò la mia attenzione, passando la punta del suo naso umido sul dorso della mia mano.
“Ehi” mormorai, decisamente più tranquilla. “Vuoi le coccole?” Mi misi faticosamente seduta e allungai una mano per accarezzare il pelo folto e morbido sulla sua schiena. Era la prima volta che avevo a che fare con un lupo così da vicino, quindi ero piuttosto emozionata.
Lui non si oppose, anzi, nei suoi occhi lessi qualcosa di simile alla gioia. Era surreale scorgere delle emozioni quasi umane nel suo sguardo, cominciavo a pensare di avere le allucinazioni.
Il cuore fece un’impennata nel mio petto quando il lupo si sdraiò al mio fianco e posò il capo sul mio grembo, come a volersi rifugiare o darmi il suo affetto. Non riuscivo a smettere di sorridere e di intrecciare le dita alla sua pelliccia scura, era talmente bello e tenero che mi scaldava il cuore.
“Sai, io penso ci sia una connessione particolare tra gli uomini e gli animali, è qualcosa di inspiegabile. Non tutti però la sanno cogliere e se ne accorgono” cominciai a parlare, sperando che la cosa non lo infastidisse. “Penso che tra me e te sia successo, ecco, è come se fossimo legati e ci capissimo. È unico, è qualcosa di stranissimo e assurdo, che va oltre la magia. Non ti ringrazierò mai abbastanza per avermi salvato.”
Lui, in tutta risposta, mi leccò appena una mano che avevo abbandonato vicino al suo muso.
Stavo bene, non volevo più lasciarlo andare… non fosse stato per il vento che penetrava fino alle mie ossa, facendomi tremare.
Il lupo se ne accorse e, come se mi avesse letto nel pensiero, cercò una soluzione: sollevò il capo e mi diede una leggera spinta per incitarmi a sdraiarmi, poi mi si addossò contro, scaldandomi col suo corpo.
“Oh, tesoro… ma sei dolcissimo” sussurrai, colta alla sprovvista; mi accoccolai contro di lui, ormai senza più paura, e continuai a coccolarlo come potevo, carezzandogli la zampa o la testa. Lo abbracciavo e lui non si opponeva, anzi, si faceva ancora più vicino e si assicurava che stessi bene, ogni tanto tornava a leccare qualche mia ferita. Erano come dolci carezze per me.
Mi ritrovai a pensare che nessun essere umano era mai stato così dolce e affettuoso con me, quanto quella meravigliosa creatura dagli occhi azzurri.
Non seppi spiegarmi come né perché, ma ero talmente rilassata e tranquilla che il sonno ebbe il sopravvento e mi addormentai così, sdraiata in mezzo a un bosco, con la guancia schiacciata contro il pelo nero di un lupo.


Mi risvegliai lentamente e mi accorsi che qualcuno o qualcosa mi stava tirando leggermente per la maglietta: aprii gli occhi e notai che il mio nuovo amico ne aveva preso un lembo tra i denti e mi scuoteva piano, forse proprio con l’intento di svegliarmi.
“Ciao” lo salutai con voce impastata dal sonno, accennando un sorriso. “Che ore sono?”
Lui in tutta risposta lasciò andare la mia canotta e sollevò il muso in direzione del cielo, dove la luna ancora splendeva alta. Era notte fonda, probabilmente mancavano ancora diverse ore all’alba.
Intanto il freddo si era fatto penetrante e, se prima ero stata bene con il corpo del lupo addosso a me, ora ne sentivo la mancanza e il gelo mi entrava nelle ossa, facendomi tremare.
“Io… voglio tornare a casa” mormorai, stropicciandomi gli occhi con le mani. Cominciavo a non capire più niente, ero in pensiero per Lea e sicuramente mia madre era terribilmente in ansia. Ero talmente tanto stanca e confusa che cominciai a piangere senza motivo e senza preavviso, semplicemente sbattei le palpebre e gli occhi mi si appannarono. Presi a singhiozzare e mi rannicchiai su me stessa, sfinita.
Quando incrociai lo sguardo del lupo, lo trovai velato di tristezza. Si accostò a me e tentò di consolarmi e asciugarmi le lacrime, posava il suo muso tra i miei capelli o mi si strusciava contro per riscaldarmi.
“Mi aiuterai?” gli chiesi tra i singhiozzi, posando la testa sulla sua spalla muscolosa. “Io devo… devo cercare Lea.”
Lui restò immobile, in attesa che ritrovassi le forze e mi mettessi in piedi. Sentivo gli arti intorpiditi e mi ci vollero diversi minuti per risvegliarli e trovare l’equilibrio. Non potevo nemmeno contare sul braccio destro, dal momento che la spalla mi faceva male – anche se, a giudicare dalla quantità di sangue che avevo perso, la ferita non doveva essere tanto profonda.
Il lupo mi fu accanto per tutto il tempo e mi aiutò a mantenere l’equilibrio quando rischiavo di perderlo. Per ringraziarlo, continuai a lasciargli carezze su tutto il corpo, godendomi ancora il suo piacevole calore e la sua compagnia.
Una volta ripresami, l’animale mi condusse presso un cespuglio e mi aiutò a districare i fitti rametti che andavano a comporlo; solo dopo qualche secondo mi resi conto che mi aveva indicato il rifugio di Lea, quando le mie dita sfiorarono il pelo morbido della cagnolina. In preda all’ansia, sollevai il suo corpicino bianco e nero, intorpidito dal freddo, e in risposta ebbi un sottile uggiolio. Ero fuori di me dalla gioia: se l’era vista brutta, aveva diverse ferite, ma era viva, ce l’aveva fatta!
Con le lacrime agli occhi, la strinsi a me e la riempii di coccole, facendo attenzione a non farle male; ma dopo alcuni secondi il lupo mi diede un colpetto di naso sul braccio per attirare la mia attenzione, poi leccò piano la testolina di Lea, dove era stata ferita, e lei si lasciò sfuggire un piccolo latrato.
“Oh, vuoi medicare anche lei? Sei un adorabile cucciolo, io… sono commossa” ammisi con la voce rotta dall’emozione, posando Lea a terra e lasciandola alle cure dell’animale. Ormai mi fidavo ciecamente di lui e lo osservai con curiosità mentre ripuliva Lea, come farebbe soltanto un genitore con il proprio figlio.
Quando ebbe finito, il lupo sollevò il capo e mi fissò; in tutta risposta sorrisi e gli regalai una carezza sul muso, poi mi chinai per riprendere la cagnolina in braccio e mi guardai attorno. “Uhm… ho perso il senso dell’orientamento” mormorai, mentre il cuore mi accelerava nel petto. Non ci voleva proprio, dovevo assolutamente tornare a casa!
Ma per l’ennesima volta l’animale nero al mio fianco fece un gesto inaspettato in mio aiuto: mi si parò davanti, mi fissò per un lungo istante negli occhi – adoravo i suoi, di un azzurro talmente limpido da lampeggiare nella notte –, poi mi diede di spalle e prese a camminare lentamente tra gli alberi, voltandosi di tanto in tanto per controllare che lo stessi seguendo.

“Dove mi vuoi portare? Tu… tu sai dove abito? È impossibile, io non ti ho mai visto prima” affermai perplessa, ma decisi comunque di seguirlo, in fondo che alternative avevo? Magari durante il tragitto avrei riconosciuto qualche punto di riferimento e sarei poi riuscita a orientarmi.
Rimasi del tutto spiazzata quando, dopo circa un minuto di camminata, mi resi conto che stavamo effettivamente percorrendo la strada che conduceva a casa mia; il lupo mi stava guidando con passo sicuro, come se l’avesse percorsa milioni di volte.
“Wow, ma come facevi a saperlo?” esclamai, sgranando gli occhi e correndogli accanto. Lui in tutta risposta si voltò nella mia direzione e mi leccò appena il braccio. Ero certa che, se avesse avuto la possibilità di sorridere, in quel momento l’avrebbe fatto.
Camminammo fianco a fianco in silenzio, comunicando tra di noi tramite un linguaggio che nessun altro avrebbe potuto capire. Stavo vene ed ero a mio agio, come non mi era mai capitato in compagnia di nessun altro.
Tuttavia tirai un sospiro di sollievo quando riconobbi il varco tra gli alberi che portava a casa mia, avevo davvero bisogno di riposare e assimilare tutto quello che era accaduto.

“Io sono arrivata” affermai, fermandomi proprio al limitare del bosco. Il lupo fece lo stesso e prese a guardarmi in silenzio. Io lo osservai a mia volta e venni colta da un moto d’affetto nei suoi confronti: posai Lea a terra, che intanto aveva smesso di tremare e si era addormentata, mi avvicinai a lui e lo abbracciai come meglio potevo. Sentivo davvero di volergli bene e di essergli grata, non riuscivo a capacitarmi di aver incontrato una creatura così splendida e dolce.
Lui strusciò con affetto la sua grande testa contro di me, poi si sporse e posò per un istante la punta del suo naso sul mio. Sorrisi e gli lasciai un’ultima carezza sul muso. “Ciao” mormorai prima di allontanarmi.
Recuperai Lea e mi diressi lentamente verso casa, notando che la luce della cucina era ancora accesa: probabilmente mia madre era in piedi e mi stava aspettando, preoccupatissima. Mi sentivo un po’ in colpa, però sapevo che avrei dovuto raccontarle cos’era successo e sarebbe stato piuttosto complicato. Non mi avrebbe creduto se le avessi detto che un lupo dagli occhi azzurri mi aveva salvato la vita, era convinta che fossi intrappolata nel mondo dei sogni e della fantasia come quando ero una bambina.
In fondo non aveva tutti i torti.
Prima di aprire la porta d’ingresso, mi voltai un’ultima volta verso il bosco e avvistai la sagoma del lupo ferma lì, che ancora mi teneva d’occhio col suo sguardo dolce, come un angelo custode. Gli sorrisi di nuovo e gli rivolsi un ultimo cenno di saluto, mentre il cuore mi batteva forte nel petto per la gioia e l’emozione.


Era terribilmente bella, nonostante i capelli arruffati e le foglie secche che vi erano rimaste incastrate, nonostante i graffi sulla pelle pallida e i vestiti macchiati di sangue e terriccio. E non potevo credere che fosse stato proprio un lupo del mio branco ad attaccarla, mi ero sentito davvero male all’idea di perderla e di non poter più vedere i suoi lineamenti dolci sul viso piccoletto, i suoi enormi occhi neri come la notte. L’avevo difesa, non avrei potuto fare altrimenti, a costo di rischiare la mia stessa vita e la reputazione all’interno del branco.
E mentre la osservavo rientrare a casa con la sua cagnolina tra le braccia, non potei fare a meno di pensare a quanto fosse stato bello starle accanto quella notte: non solo mi ero potuto prendere cura di lei, ma avevo avuto modo di conoscerla e scoprire quanto fosse grande il suo cuore, quanto fosse sensibile e intelligente. Se prima aveva soltanto attirato la mia attenzione, ora potevo affermare di amarla, proprio per quello che era.
Quando assumevo la mia forma lupesca era tutto più semplice, ma una volta tornato allo stato umano lei non mi avrebbe mai riconosciuto, non si sarebbe mai potuta immaginare che il bel lupetto nero e il ragazzino pallido fossero la stessa persona. Non lo avrebbe mai potuto capire e io non glielo avrei mai spiegato, a scuola mi sarei limitato soltanto a osservarla da lontano senza mai farmi avanti.
Era tutto tremendamente complicato, era una situazione surreale e confusa.
Eppure il mio cuore parlava chiaro.


Il lunedì successivo mia madre non voleva assolutamente lasciarmi tornare a scuola, diceva che mi sarei dovuta riposare, ma io insistetti comunque per andare. Anche se con qualche cerotto sparso per il corpo e un’enorme garza bianca sulla spalla.
Non ero scossa fisicamente e non mi disturbava l’idea di tornare alla mia vita di tutti i giorni, soltanto continuavo a pensare alla mia nottata magica nel bosco e a quel lupo che mi aveva rubato il cuore. Chissà se l’avrei più rivisto.
Come previsto, mia madre non mi aveva creduto, o almeno non del tutto; tuttavia la mia spiegazione era l’unica che potesse giustificare i segni che avevo sul corpo e il fatto che fossi ancora viva, quindi aveva smesso di fare domande e mi aveva concesso il beneficio del dubbio.
In effetti, non fosse stato per le ferite, avrei creduto anch’io di essermi sognata tutto. Però, pensandoci e ripensandoci, me n’ero fatta una ragione: nell’universo potevano esserci infinite combinazioni di eventi, infiniti casi, l’uno diverso dall’altro, e il mio era uno di questi.
Quella mattina arrivai a scuola con la testa tra le nuvole e qualche brivido a incresparmi la pelle: l’aria frizzante di settembre mi accarezzava e io avevo come al solito dimenticato la giacca. Una volta nell’enorme cortile, cercai con lo sguardo Michelle, la mia compagna di banco, che giungeva sempre a scuola qualche minuto prima di me. Io e lei non eravamo proprio amiche, ma andavamo abbastanza d’accordo; era una delle poche persone che, nonostante i miei modi di fare bizzarri, voleva avere a che fare con me. Del resto anche lei era una tipa strana, una di quelle che leggeva classici greci e latini, ascoltava musica soltanto strumentale e preferiva fare ritratti alle persone piuttosto che parlarci.
Quando mi vide arrivare, Michelle assottigliò lo sguardo e si sistemò meglio gli occhialetti argentati sul naso per essere sicura di ciò che vedeva.
Sorrisi.
“Cosa ti è successo?” mi chiese perplessa.
Mi accomodai sul basso muretto in cemento accanto a lei. “Ho avuto un incontro ravvicinato con un lupo” spiegai candidamente.
Lei scosse la testa con fare sconcertato e io non riuscii a capire se mi credesse o meno. “Proprio ieri ho fatto il ritratto di un grande lupo bianco. Sulla parete della mia camera” disse.
Ridacchiai. “Che bello!”
Mi guardai attorno e osservai i gruppetti di studenti che si riunivano, alcuni vicino all’ingresso, altri in disparte, e chiacchieravano tra loro, scambiandosi sigarette e sorrisi. Molti di loro erano abbronzati e le ragazze sfoggiavano i loro nuovi e colorati vestiti.
Ormai la scuola era ricominciata da una settimana e ogni mattina assistevo a quella particolare processione, però non mi stancava mai e trovavo sempre qualche nuovo dettaglio nelle persone che prima non avevo notato.
A un certo punto il mio sguardo venne attirato da una figura minuta ed esile, abbigliata con un paio di jeans e una larga t-shirt blu scuro: si trattava di un ragazzo dai capelli neri e la pelle pallida che chiacchierava con alcuni suoi amici. A giudicare dalle persone con cui si intratteneva – che conoscevo di vista – supposi che frequentasse l’ultimo anno, ma non mi era mai capitato di vederlo prima di allora.
Stavo per distogliere lo sguardo e posarlo su qualcun altro, quando lui si voltò e mi osservò per un istante.
Il mio cuore perse un battito.
Quegli occhi azzurri… io li avevo già visti da qualche parte, ne ero certa. Erano limpidi e luminosi come il cielo d’estate, se avessi sollevato lo sguardo avrei scorto esattamente lo stesso colore sulla mia testa.
E sapevo bene dove li avevo già visti: in un lupo giovane e slanciato.
No, non poteva essere.
“Michelle?”
“Sì?”
“Chi è quel tipo dai capelli neri e gli occhi azzurri che c’è laggiù?”
La mia compagna di banco seguì il mio sguardo, mentre giocherellava con una delle sue treccine castane. “Ah, quello con la maglietta blu? Si chiama Ives, a quanto pare è nuovo, si è trasferito qui quest’estate. L’hai notato solo ora?”
Ridacchiai tra me. “Ah, non lo sapevo. Sì, è che… mi sembra di averlo già visto da qualche parte.”
“Io invece ho l’impressione che ti stia osservando da qualche giorno.”
Mi strinsi nelle spalle, senza sapere cosa aggiungere.
Probabilmente mi stavo lasciando suggestionare troppo dalla faccenda del lupo, altrimenti non riuscivo a spiegarmi come potessi avere l’impressione che quel ragazzo gli assomigliasse.
Scossi la testa per scacciare via quei pensieri assurdi, mentre la campanella prendeva a trillare e annunciava l’inizio di una nuova giornata di scuola.




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Eccomi qui con una storia del tutto insolita per i miei standard XD non so perché, ma ultimamente mi sto fissando in maniera del tutto casuale con i licantropi – o forse è meglio dire ri-fissando, dato che li ho sempre trovati fantastici. Purtroppo ho già letto le principali saghe fantasy che trattano l’argomento e non riesco a trovare altri libri per alimentare la mia fissazione…
Comunque!
Chi ha letto la mia raccolta di drabble “Blue Eyed Damned Soul” avrà sicuramente riconosciuto (il mio adorato ♥) Ives. Ecco, ovviamente questa storia è completamente slegata da quella, ho soltanto voluto prendere il suo personaggio perché lo adoro e amo il suo carattere, ma per l’occasione l’ho completamente “decontestualizzato”; questo significa che Millie non è la voce narrante di quelle drabble, lei l’ho inventata apposta per questa storia ^^
Spiegato questo, non mi resta che ringraziarvi per essere passati e giunti fino a qui, spero che la storia vi sia piaciuta e che piaccia anche alle due giudici dei contest :3
Alla prossima – per tutti i fan di Ives, vi anticipo che presto avrete un’altra storia con lui come protagonista, però nel suo normale contesto anni Ottanta, droga e fluff ♥

   
 
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