Film > The Avengers
Segui la storia  |       
Autore: _Lightning_    28/08/2019    5 recensioni
Nataša si ritrova a indugiare a lungo davanti alla porta di Tony. [...]
Potrebbe bussare, ma si guadagnerebbe solo una risposta aspra, o più probabilmente un silenzio sterile. Così si limita a trafficare per pochi secondi con la serratura, aprendola con uno scatto metallico e scivolando dentro in un sol gesto, chiudendo poi la porta dietro di sé.

[Post-Infinity War // Hurt/Comfort // Tony&Nat // PoV Nataša]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'Schegge'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


3. Dell'anima


 
“Travelin' endlessly
The ones we trusted the most
Pushed us far away”
 
 
 
Nataša gli lascia i suoi spazi, chiedendosi se abbia senso farlo quando il suo lutto – il loro lutto – è condiviso dall’universo intero, in una sorta di tragica comunione.
 
«Nat?» la chiama infine, con una nota d’incertezza rara, per Tony Stark.
 
Lei inclina la testa verso di lui, gli fa cenno di continuare e lui continua a non guardarla.
 
«So che non è colpa di Barnes,» mormora infine, ed è come se avesse speso quegli ultimi minuti ad elaborare quel singolo fatto. «Lo sapevo anche quando ho tentato di ucciderlo,» confessa ancora.
 
Nataša si scopre a non provare rabbia, per quello. Né delusione. Né nulla, in effetti. Si chiede se il suo addestramento non abbia funzionato fin troppo bene, per poi percepire di nuovo il dolore che le svuota il petto nel punto in cui prima c’era la metà di famiglia che ha perso. E non è stato Tony a portargliela via.
 
«E perché me lo stai dicendo?» si decide a replicare, senza durezza.
 
Lui scrolla le spalle, e sembra confuso per un istante.
 
«Non so, magari speravo che mi piantassi un pugnale nel cuore, o qualcosa del genere.»
 
«Sei piuttosto idiota, per essere un genio.»
 
«Me lo dicono spesso,» sbuffa lui, senza sorridere.
 
Sembra leggermente più rilassato, adesso, e Nataša è quasi sul punto di riprendere il discorso, sempre più vicina all’obbiettivo, quando il trillo del cellulare di Tony la anticipa. Lui allunga a fatica una mano verso il comodino, sforzando il meno possibile il fianco ferito, e afferra il congegno con dita malferme. Le sue sopracciglia si uniscono in un’espressione corrucciata.
 
«Cos’è successo?» non si trattiene dal chiedere lei, e un pensiero fugace corre a Clint, desiderandolo vivo.
 
«Nulla,» dice Tony, ed è chiaro che non sia così. «È arrivata l’armatura da trasporto con la padella di Rogers,» dice poi, con voce falsamente calma e una mano che si sfrega il petto all’altezza dello sterno. «C’è anche un… cercapersone che ha lasciato Fury,» aggiunge, e non sembra capacitarsi di quell’ultima informazione.
 
«Un cercapersone?» s’interessa lei, senza capire perché dovrebbe sentirsi più entusiasta per quello, che per la notizia implicita di una possibile riappacificazione tra Tony e Steve.
 
«Così pare. Gli darò un’occhiata dopo… adesso vorrei sfruttare il paio d’ore di sonno che mi rimane,» conclude, mostrandole il telefono che segna le quattro del mattino in un chiaro invito a lasciarlo solo.
 
Nataša comprime le labbra, e lo trattiene per un polso quando vede che sta per coricarsi senza aspettare risposta. Tony la asseconda, ma sembra tentato dal divincolarsi dalla sua stretta, con una contrazione istintiva dei muscoli che le suggerisce quanto sia sul chi vive.
 
«Steve vuole parlarti,» gli dice a bassa voce.
 
«Lo so,» mormora Tony, anche lui appena udibile, e nella sua voce c’è solo stanchezza.
 
«Non puoi continuare a ignorarlo e non potete rifiutarvi ancora di collaborare,» insiste, sfruttando i cedimenti che ha innescato e sentendosi più vicina all’obbiettivo.
 
«Pensi che non mi renda conto della situazione?» replica lui, serrando ritmicamente la mascella. «Ci provo, a fare finta di niente, e prima di questo disastro ero… stavo bene, pensavo di aver superato la cosa, gli ho pure riparato quella stupida padella [1]. Ma adesso… ogni volta che me lo ritrovo davanti sono di nuovo in quel bunker con lo scudo di mio padre che sta per spaccarmi il cranio,» dice tra i denti. «È come il portale: è sempre lì, non ci dormo, non riesco a levarmelo dalla testa,» mormora in fretta, con lo sguardo ora distante e perso nel buio.
 
Nataša ritrae la mano e fissa per la prima volta l’orrore dipinto nei suoi occhi, non più celato da battute e sbruffonate. Lo riconosce, e intuisce gli incubi che può generare. Intuisce quelli che l’hanno attanagliato per anni, intravede la paura che l’ha consumato fino ad oggi, tenuta  a bada solo da legami adesso recisi.
 
«Tony,» lo chiama, più piano che può, «Steve non ti farebbe mai del male se…»
 
«Mi ha quasi ucciso, Nat. Mi ha quasi ucciso,» ripete, meccanicamente. «Non so se abbia davvero pensato di farlo, ma…»
 
«E perché non glielo chiedi?» lo interrompe Nataša.
 
«Lo sai il perché.» Deglutisce, rumoroso, e ha la bocca così secca da riuscirci a stento. «Lo sai.»
 
Lo sa, perché ha imparato che Tony Stark, uomo di scienza, non sempre vuole delle risposte scientifiche e nette. Più spesso le evita, le devia con ogni mezzo possibile, le spinge lontano da sé.
 
«So che hai paura di chiederglielo, e so che se non lo farai continuerai ad averla,» replica lei senza battere ciglio, e lui emette uno sbuffo stremato.
 
«Pensi che questi giri di parole serviranno a…»
 
«Non devi perdonarlo, Tony,» lo blocca di nuovo, con fermezza.
 
Lui inghiotte di colpo la propria replica, senza incrociare il suo sguardo. Silenzio. Potrebbero sentire i battiti dei loro cuori.
 
«E non c’è nulla di sbagliato in questo,» conclude, permettendogli di riprendere a respirare.
 
Tony nasconde la faccia nel palmo.
 
«Non so neanche se posso fidarmi,» obietta.
 
«Non sei disposto a correre il rischio? Neanche per Pepper e Peter?»
 
«Lo sto correndo anche adesso,» replica lui, con un guizzo che gli anima gli occhi, fugace. «Non sono stupido: so che mi hai mentito sull’assassinio dei miei, e che l’hai fatto per proteggere Barnes, non me,» la gela, con voce priva d’inflessione. «Ma tu non sei mai stata un modello d’onestà, né ti sei mai vantata di esserlo… e francamente, io non ho più la forza per guardarmi sempre le spalle.»
 
Nataša vede i propri sforzi vanificarsi in un effimero sbuffo di fumo, e non ha un piano d’emergenza abbastanza solido per impedirlo. Si limita a tacere, in una muta conferma.
 
«Almeno hai la decenza di non negarlo,» commenta Tony, sardonico, con una punta di durezza in più. «Sei migliorata, rispetto a Lipsia.»
 
«Anche tu,» commenta lei, in precario equilibrio. «Il tuo ego si è drasticamente ridimensionato.»
 
Tony sbuffa, scuote la testa, sfregandosi i capelli sulla nuca e tirandoseli in un gesto frustrato.
 
«Cosa pensavi di risolvere così?» chiede infine. «Lo sarei comunque venuto a sapere, prima o poi. Ed è sempre peggio scoprirlo dopo, o dalla bocca di qualcun altro,» aggiunge, in un’accusa che si propaga oltre lei, attraversandola.
 
Sente di nuovo quel dolore sordo che le blocca il respiro e non riesce a frenare le parole che le sfuggono, le uniche che non abbiano un sapore acido:
 
«È che a volte anch’io spero che le bugie possano diventare una verità,» confessa infine, con una lamina di gelo sovietico a ricoprire quelle parole. «Questione d’abitudine, immagino… forse è vero che non ho mai perso il vizio. Ma ho imparato a vivere da poco, in rapporto all’età che ho.» Fa una pausa, umettandosi le labbra. «Avevo imparato a farlo, prima, grazie a James. Ma l’ho dimenticato. Poi Clint me l’ha insegnato di nuovo. E adesso...»
 
Tace, sapendo di essersi esposta troppo, e non sa se questa sia una tappa suggerita dal suo istinto per arrivare a incrinare la corazza di Tony, o se invece si sia incrinata lei stessa, lasciando uscire troppo di sé.
 
Non sa dirlo, ma sente il sospiro leggero di Tony, vede le nocche escoriate contrarsi sul lembo del lenzuolo e percepisce i suoi occhi nocciola e oscurati dal dolore su di sé. E pensa che, forse, è ormai troppo patetico fingere che entrambi abbiano ancora una corazza addosso.
 
 
 
“So I can find someone to rely on
And run
To them, to them
Full speed ahead”
 
 
«Nat…» comincia Tony, per poi perdere la voce a metà strada. «Ho saputo dei Barton,» mormora infine, dopo un piccolo sospiro.
 
Nataša sostiene quel contatto visivo, ma i suoi occhi sono altrove, vedono altro: percepisce l’assenza di quelle persone che le hanno insegnato cosa significhi avere una casa dove tornare, che le hanno permesso di provare un calore materno per dei figli che non avrà mai, che le hanno offerto l’abbraccio saldo e salvifico di chi sapeva vedere oltre la sua nota rossa o ne ignorava del tutto l’esistenza. Di chi la trattava come un essere umano, e non come una macchina efficiente da sfruttare, o una rotta da riparare.
 
«Mi dispiace,» esala ancora Tony, più piano, e pur nella stringatezza di quelle frasi Nataša percepisce la sua sincerità, dettata dal dolore condiviso.
 
«Anche a me,» replica semplicemente, e spera che capisca che quella frase include anche lui e non solo lui, per mille motivi.
 
Per Pepper e Peter, per Clint e Lila e Cooper e Nathaniel e Laura, per James e Fury e tutti gli altri scomparsi, per la loro sconfitta, per quella squadra disastrata che è l’unica famiglia che è rimasta loro e che continua a ferirsi a vicenda, per tutte le bugie necessarie che si conficcano sottopelle come schegge infette.
 
Lui cerca la sua mano, stringendola appena nella propria, in una vicinanza fisica che concede raramente e che Nataša accetta in silenzio, grata per quel piccolo conforto che tiene a bada parte dei demoni. Sono gli stessi demoni che continuano a tendere i loro artigli verso di lei ricordandole dove e a chi è sempre appartenuta. Guarda brevemente Tony negli occhi e quasi le sembra di scorgerli anche lì, in forme e consistenze diverse, nei portali aperti nel suo inconscio.
 
Non avrebbe mai voluto mentirgli, e ora teme di perdere lui e quelle ultime persone che non l’hanno ancora del tutto abbandonata. Teme di perdere Steve, di doversi schierare. Sente un fremito nelle palpebre e si affretta a poggiare d’istinto la fronte contro la sua spalla; si accosta a lui, attenta a non premergli sulla ferita, e riesce così a nascondere il velo che le ha annacquato a tradimento la vista. Lui non si sottrae, ma percepisce la sua sorpresa nel modo impacciato in cui la accoglie in un mezzo, goffo abbraccio, più di quanto si aspettasse e forse una sorta di perdono per chi non è abituato a concederlo. Lo sente respirare a fondo, per poi deglutire e aumentare la stretta sulle sue dita.
 
«Stai bene?» le chiede a bassa voce.
 
Lei annuisce appena, scostandosi da lui per mostrargli con fierezza gli occhi arrossati, ma di nuovo asciutti.
 
«Tu?»
 
Lui sbuffa piano e tira un sorriso spento, come a Lipsia.
 
«Sempre.»
 
Gli posa di nuovo una mano sul volto, accarezzandogli la guancia escoriata col pollice: vede il suo sorriso affievolirsi in risposta, come se con quel gesto avesse cancellato fisicamente la sua maschera. Sono due bugiardi, e lo sanno entrambi.
 
 
“Oh, you are not useless
We are just
Misguided ghosts”
 
 
 
Tony volta la testa, scivolando via dal suo tocco.
 
«Adesso, magari, potresti accettare quel ruolo di mediatrice e dire a Capitan Ipocrita di aspettare ancora un po’, prima di venire a rompermi di nuovo le scatole,» dice poi, senza sforzarsi di articolare le parole.
 
Nataša rimane con la mano a mezz’aria, gli occhi socchiusi nel tentativo di decifrare quella richiesta inattesa, a cui ha mirato finora. Non sa dire se sia scaturita grazie a lei, o se Tony ci stesse già pensando, timoroso solo di esternarla. Non ha importanza.
 
«Stai facendo la cosa giusta,» lo rassicura. «Avreste dovuto parlare tempo fa,» conclude, con un rammarico che non nasconde.
 
«Sto facendo l’unica cosa che posso fare,» ribatte lui, pragmatico. «Vedremo se sarà anche quella giusta. Di solito i miei buoni propositi mi si ritorcono contro.»
 
Nataša esita. Ha portato a termine la propria missione. Dovrebbe alzarsi, controllare la ferita di Tony un’ultima volta, e raggiungere Steve per dirgli che c’è una possibilità di chiarimento, un’offerta di pace. Eppure, rimane lì, trattenuta da quel commento probabilmente frutto di una temperatura corporea troppo alta e della spossatezza. Quando parla non ha nessun obiettivo in mente, se non quello di parlare.
 
«Ti sei mai pentito dei tuoi buoni propositi?»
 
L’ombra di Ultron si staglia nitida tra loro, e sa che riescono a vederla entrambi.
 
«È una domanda a trabocchetto?»
 
«Non intendo le loro conseguenze e non voglio né posso giudicarti,» chiarisce lei. «Ho troppe note rosse nel mio registro.»
 
Tony la guarda a lungo, assorto. Poi scuote la testa, in un movimento quasi impercettibile.
 
«Chiamalo ego, o complesso divino, o come ti pare: avevo progettato Ultron per un motivo, e quel motivo ha appena dimezzato l’universo perché non c’è stata un’armatura a fermarlo. [2] Non c’eravamo noi. Cambierei molte cose in corso d’opera, ma proverei di nuovo a evitare tutto questo. Evidentemente non sono molto bravo a prevenire disastri.»
 
«Perché sei un meccanico,» replica d’istinto lei. «Sei più bravo ad aggiustarle, le cose.»
 
«E a romperle, a detta di Banner [3],» ribatte caustico.
 
«A detta di qualcuno che distrugge città e ha seri problemi di autocontrollo?» lo rimbecca Nat, con una nota ironica nella voce, e Tony trattiene un sorrisetto spaccato, spontaneo.
 
Scuote la testa, e si china con cautela in avanti, poggiando i gomiti sulle ginocchia con una smorfia tirata. Nataša solleva appena un lembo della maglietta per controllare la fasciatura, ma la chiazza rossa sul ventre è contenuta, quella sulla schiena appena accennata. Tony la fissa di sottecchi, sospettoso, ma non si ritrae.
 
«Non so come aggiustare… questo,» dice poi, con improvvisa veemenza, e boccheggia come se volesse continuare, ma non trovasse le parole giuste. «È fuori dalla mia portata. Non sono un mago o uno stregone e non posso alterare… l’essenza stessa della realtà, ma solo modificarla con ciò che costruisco. E quando progetto qualcosa lo metto in pratica… e quando agisco sul campo faccio cose tangibili tipo portare una bomba in un portale o sparare un uniraggio in una città volante, ma adesso come…»
 
«Tony,» lo interrompe lei, arginando quel fiume di parole. «Io sono una spia e un’ex-sicario: so lavorare solo sul campo. Il massimo dell’astrazione che mi è richiesta è elaborare piani sensati e tattiche efficaci, assieme a un po’ di abilità nel leggere e raggirare il prossimo…»
 
«Molta abilità,» puntualizza a mezza voce lui, e non sa se sia una recriminazione o un complimento; probabilmente entrambi.
 
«… ma mi hanno insegnato a focalizzare un bersaglio e a colpirlo con ogni mezzo,» prosegue, posandogli una mano sulla spalla e facendolo trasalire appena. «E adesso miriamo tutti allo stesso bersaglio,» conclude, cercando i suoi occhi senza trovarli. «Dobbiamo riportarli indietro, Tony. A qualunque costo [4],» sottolinea, convincendolo ad alzare finalmente lo sguardo. «Non possiamo farlo, se non siamo uniti. Lo sai,» conclude, e invece di una risposta ottiene un altro silenzio.
 
«Lo so,» gracchia infine, senza aggiungere altro. «Sarebbe tutto molto più semplice, se non ci mentissimo costantemente a vicenda. Mi includo nel conto,» aggiunge, prima che Nataša possa puntualizzarlo.
 
«Tu quando hai capito che ti stavo mentendo?» chiede invece, sinceramente curiosa, con il suo addestramento che prevale sul resto spingendola a trovare la falla e a chiuderla.
 
«Non l’avevo capito… sono solo molto paranoico,» replica lui, prendendola in contropiede. «Ma sono contento che tu non l’abbia negato, perché prima o poi l’avrei scoperto. E avrei perso qualcun altro.»
 
«Mi dispiace,» risponde lei, senza guardarlo. «Non sono mai stata brava a tenermi stretta le persone a cui tengo,» dice poi, quasi precipitosa.
 
«Non ce l’ho con te,» la sorprende lui. «Mi hai mentito, ma capisco il perché. E almeno non mi hai piantato uno scudo nel petto: lo apprezzo molto,» conclude, con amaro sarcasmo, e poi sembra perdersi nei suoi ragionamenti, con lo sguardo fisso a terra e le dita intrecciate. «Cosa si dice a uno che ti ha quasi spaccato la cassa toracica due anni fa? [5]» mormora poi, e sembra affranto.
 
«Cosa vuoi che gli dica?» ribatte lei, vedendolo, vedendo lo spiraglio e la via d’uscita e impedendogli di sigillarsi di nuovo.
 
Lui sembra sorpreso dal fatto che si sia offerta di intercedere, ma si riprende dopo appena un istante di esitazione.
 
«Mezz’ora,» sussurra, e la sua voce trema di nuovo. «Digli di aspettare mezz’ora. Se non esco io, può cercarmi lui,» aggiunge in fretta, e nel dirlo stringe le labbra, come se gli pesasse concedergli quella libertà.
 
Nataša annuisce appena, con una traccia di sollievo a schiarirle i pensieri più intrecciati del solito. Lo vede coricarsi sul fianco sano e stavolta non lo ferma, anzi, lo aiuta a mettersi sotto il lenzuolo per smorzare i brividi della febbre. Va in bagno, perlustra l’armadietto dei medicinali e lo forza a mandar giù un antipiretico e un bicchiere d’acqua, rimanendo seduta sulla sponda del letto per tener d’occhio le sue condizioni prima di vestire i panni della mediatrice. Lui non la incita a uscire, e lei non si sente spronata ad affrettarsi, con quella mezz’ora che si sposta pigramente nel tempo, che ormai ha perso significato.
 
Nataša sorride appena, e gli pettina all’indietro le ciocche scure incollate alla fronte più fresca. Tony rimane in silenzio, più rilassato, col volto reclinato contro il cuscino. Lei lascia passare quasi dieci minuti nel silenzio più assoluto, le mani in grembo, ascoltando solo il suo respiro che si fa man mano più profondo e rallentato nonostante gli occhi semichiusi.
 
«Te l’ho detto che non volevi rimanere solo,» lo rimbrotta infine, con fare saputo.
 
Lui arriccia un angolo delle labbra.
 
«Me la cavo benissimo, da solo, e anche tu,» mente, con quel suo modo di parlare per opposti che Nataša ha imparato a decifrare nel corso degli anni. «Ammettilo: sei qui solo perché ti mancavo, agente Romanov,» continua, ora con un mezzo sogghigno.
 
Lei gli arruffa per ripicca le ciocche che gli ha sistemato, trattenendo un lieve sorriso nel veder riemerge un’ombra sbiadita del suo fare scanzonato.
 
«Neanche un po’, Stark.»
 
 
*
 
 
 
“And there's no one road
We should not be the same”
 
 
Nataša respira l’aria densa e umida del mattino ancora grigio, imbevuto degli strascichi del temporale appena placato. Il grido lugubre di un uccello esotico si leva sopra il frinire sempre più fievole dei grilli e degli insetti notturni, e lei guarda verso la giungla che finalmente ha smesso di fumare, sedata dalla pioggia. Una processione ordinata di gazzelle avanza nella savana, aggirando il campo di battaglia con precisione tanto intenzionale da essere inquietante.
 
Nataša si stringe le braccia, affondando le dita nella pelle d’oca, e punta di nuovo lo sguardo sulle montagne che delineano l’orizzonte. Si sente piuttosto fiera di aver convinto le due persone più cocciute e orgogliose del pianeta a parlare a un tavolo delle trattative e non su un ring.
 
 
Adesso sente una piccola parte del proprio petto che ha smesso di bruciare – non il dolore che potrebbe provocare una fiamma, ma il metallo ghiacciato che si incolla alla pelle, ustionandola a freddo. Adesso è più sopportabile; qualcuno le ha posato un panno tiepido sull’ustione, causandole un formicolio intenso e sgradevole, ma segno che i suoi nervi sono ancora intatti, che sarà ancora in grado di sentire qualcosa. Il calore di un corpo amato, la freschezza di un volto arrossato dal gelo. Ma sa che è inutile, perché non può più toccarli. Sono svaniti, portando con sé un pezzo di ciò che era riuscita a diventare, forse il più importante. E non è sicura di poter riempire quel vuoto.
 
Steve ci ha provato, Tony ci ha provato: non può rinfacciare loro nulla. Le uniche braccia che potrebbero scaldarla sono cenere, e sono anche il motivo per cui due delle persone a cui tiene di più al mondo hanno scavato una trincea a separarli; le uniche che potrebbero sorreggerla sono impegnate a sostenere il proprio dolore, lontano da lì – così vuole sperare.
 
Vuole sperare.
 
Stringe il ciondolo a forma di freccia nascosto sotto la maglietta, ne conficca la punta nel polpastrello del pollice fino a bucare la pelle. Sente il calore vermiglio che le cola lungo la mano.
 
Si concentra su quello, su quella scia rossa che la macchia e continua a segnare i suoi passi, e su quelle salate che finalmente le rigano le guance, viste soltanto da un’alba che sembra finalmente un po’ più vicina.

 
 
 
“But I'm just a ghost
And still they echo me

They echo me in circles”
 
 
► Continua su: Comunicazioni interrotte
► Spin-off: Mentre tutto scorre

 
 
 Note:
 
[1] Riferimento a Siberia, in cui Tony ripara lo scudo di Steve dai danni causati da T‘Challa.
[2] Questo passaggio è stato elaborato prima che uscisse Endgame, per quanto paradossale possa sembrare, e sono contenta di aver predetto una delle scene clou del film :’)
[3] Riferimento a Comunicazioni Interrotte, in cui Bruce rivolge un’accusa a Tony.
[4] Contrariamente al resto della storia, questo passaggio è stato scritto post-Endgame, volendolo citare esplicitamente.
[5] Citazione diretta a Speaking Terms, dove è Steve ad avere un pensiero speculare.

Note Dell'Autrice:

Cari Lettori (se ne è rimasto qualcuno, s'intende),
Ho abbandonato questa storia a se stessa per un periodo lunghissimo, causa calo d'ispirazione, mancanza di voglia e... sì, dimenticanza, perché avevo rimosso la sua esistenza. Però ci tenevo troppo per lasciarla incompleta, così eccomi qui, con la speranza che questo "finale" sia di vostro gradimento. E il riferimento all'anima è assolutamente intenzionale. Vi invito a leggere anche la serie, in quanto copre molti interrogativi qui dati per scontati o esplicitati nelle note :)
Ringrazio tantissimo T612, _Atlas_ e shilyss per aver recensito gli scorsi cpaitoli, e tutti coloro che l'hanno aggiunta alle ricordate/preferite/seguite. Grazie di cuore <3
Alla prossima,

-Light-
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: _Lightning_