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Autore: LaSignorinaRotterMaier    28/08/2019    1 recensioni
[ Storia partecipante al Contest " Specchi, ombre e presagi: il doppelgänger II edizione" indetto da Shilyss sul forum di EFP. ]
[Storia partecipante al Contest " Tattoo Studio" indetto da wurags sul forum di EFP.]
[Partecipa al contest "Sitting in my room, with a needle in my hand" indetto da Soul_Shine sul forum di EFP.]
Cole e Zoe sono due disperati che, attraverso un viaggio senza meta e né destinazione, tentano di staccare la spina dalle loro vite disastrose.
E come un battito d'ali, questa breve esperienza li cambierà per sempre.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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In un battito di ali.

 
 
 
 
 
Mentre attendo nello studio dentistico, per far passare il tempo, sfoglio una di quelle riviste imbarazzanti che molte ragazzine leggono avide, manco fosse il sacro Graal sui consigli d’amore. La mia attenzione viene immediatamente catturata dal titolo: “L’amore dura due anni” Sì… ma in base a cosa, questo giornaletto da due soldi, appura quanto affermato?
Lancio letteralmente quell’inutile spreco di carta sul tavolino in vetro pensando che, dalla mia consolidata esperienza in fatto di relazioni, si possono di sicuro ricavare contenuti più interessanti.
Mio caro Vogue, lo sai perché l’amore dura relativamente poco? Non solo per colpa nostra, che ci etichetti sempre come i soliti bastardi di turno, ma perché le relazioni s’assomigliano tutte: i primi tempi è tutto meraviglioso e poi, come per magia, quel sogno si trasforma in un vero incubo. Non so di preciso cosa accade nel mezzo, so soltanto che ad un certo punto è meglio tenersene alla larga.
Ti dirò di più, mia cara rivista - e credimi, ti ho fatto un complimentone a definirti tale- che ci piaccia o no, le relazioni fanno perdere il controllo di se stessi, ci instupidisce, ci sottomette. All’inizio si è preda di un innamoramento sfrenato rapiti dall’entusiasmo della novità poi, ad un certo punto, questo entusiasmo s’assesta e la relazione diviene abitudine. In qualche modo si diventa prigionieri rinchiusi in una gabbia fatta di esigenze dell’altro col tacito accordo di doverle sempre soddisfare.
Per quanto mi riguarda, io non ho mai dimenticato i miei bisogni, la mia identità individuale. Forse è per questo che le mie storie non sono mai state così lunghe ma… La verità? Preferisco così, sinceramente.
Non è che uno si sveglia la mattina e decide di voler intraprendere una relazione, così, di punto in bianco, senza pensarci duecento volte e senza neppure dormirci su perché, come si suol dire, la notte porta consiglio. Avere una relazione significa essere pronti ad andare in guerra e non conoscere per nulla il nemico.
Per carità, quando c’è un problema c’è sempre qualcuno con cui poterne parlare ma, vogliamo considerare anche l’altro lato della medaglia? Avanti, consideriamola!
Tutti sappiamo che i comportamenti umani si basano su un calcolo aritmetico molto semplice: il dare deve essere proporzionale al ricevere. Dunque, in base a questa semplice formula, come si può non pensare al fatto che anche quel qualcuno voglia essere ascoltato, considerato, etc? Non riesco a prestare attenzione al mio migliore amico per più di due minuti, figuriamoci stare ore e ore a subire il partner lagnarsi e, per di più, doversi anche ingegnare per risolvere i problemi perché, se non lo si fa, si diventa automaticamente dei pezzi di merda.
 
Ho tutta questa “fiducia” nelle relazioni grazie a Veronica.
Ricordo che quando arrivava quella putrida festa degli innamorati, lei si aspettava dei cioccolatini con annessa frase romantica rubata chissà da quale coglione su internet che ancora non ha capito nulla della vita. Pretendeva cene fuori in ristoranti col menù fisso, le candele profumate e quelle rare volte in cui non avevo la luna storta e l’accontentavo, non capivo il perché ma, seduti agli altri tavoli, non vedevo coppie ma decine, se non migliaia, di corna. Il colmo l’aveva raggiunto quando se ne usciva che voleva una Spa oppure un viaggio in mete impensabili come la Cappadocia o in Birmania… Alla fine l’ho mandata a quel paese e non so dire se le abbia fatto piacere ma, in ogni caso, spero che lei abbia gradito. È pur sempre un viaggio!
 
Seriamente, se la penso così sull’amore è semplicemente perché durante il proseguo della mia vita non ho fatto altro che incontrare casi umani e ad un certo punto, mi sono talmente scoraggiato che ho acquisito una visione pessimistica delle relazioni. Ma non tutto il male viene per nuocere, no? Le mie relazioni adesso si limitano al caro e sempre ben gradito sesso. È solo così che le cose filano per il verso giusto e la mia sanità mentale rimane intatta. Nessun sbattimento, di alcun tipo. Manco il cazzo. 
 
C’è da precisare una cosa: non è che io sia nato con queste impostazioni, di non voler qualcuno d’amare. Un tempo io l’amore l’aspettavo, lo pretendevo persino, come se quello fosse un mio diritto. Ma, dopo anni, sono arrivato alla conclusione che non ho la predisposizione fisica né mentale per innamorarmi. Nell’amore o si è portati, oppure si fa una fatica bestiale a gettare i primi semi, creare solide fondamenta. Forse sono poco incline ai sentimentalismi…Chissà?
Non sono nemmeno quel tipo di persona insicura o timida ma, nonostante ciò, non posso nemmeno ritenermi in pace con me stesso, non a causa dell’amore. Non solo per quello, almeno.
Da come ne parla Steve – il mio migliore amico -  l’amore pare un miracolo, una suggestione, il jackpot di una lotteria. Si presenta come un privilegio esclusivo a cui io non ho accesso e non ne capisco il motivo… Insomma, si è accoppiato perfino lui, perché non io? 
 
<< Mi segua, signor Jackson >> dice improvvisamente la bella segretaria, facendo capolino dall’ingresso della sala d’aspetto. 
 
Mi alzo, lanciando un sospiro di sollievo. Finalmente il Dottor Caleb ha deciso di ricevermi. Seguo la donna dal bellissimo culo, rotondo come due pagnotte e prima di lasciarmi solo davanti alla porta del suo capo, mi sorride con fare flirtante.
Scuoto la testa, ridendo della sua sfacciataggine tuttavia ben gradita.
 
<< Caleb? Posso entrare? >> mi sbrigo a chiedere, solo per mera cortesia in quanto apro ugualmente la porta, fregandomene della sua risposta. Ho aspettato i suoi comodi già abbastanza.
 
<< Ma che cazzo! >> esclama il dottore, saltando dallo spavento.


Nonostante gli fossi davanti, Caleb non si smuove dalla sua posizione. È chinato con la schiena sul carrello sul quale sono posizionati quei terrificanti arnesi da medico e solo dopo aver capito chi sono, si tranquillizza. Prende un bel respiro, abbassa il capo e con una sniffata decisa tira su la cocaina, quella che regolarmente gli vendo.
 
<< Oh merda, ora sì che mi sento meglio! >>
 
<< Poveri e ignari pazienti >> proferisco, posandogli sulla scrivania la sua amata bustina in plastica trasparente.
 
<< Ho saputo che questa sarà l’ultima volta che ti vedrò >> dice, evitando di rispondermi male come al suo solito. Il suo tono è stranamente calmo.
 
<< Ti mancherò, mio caro dottore? >> sdrammatizzo, facendogli un occhiolino. Quel suo atteggiamento riguardevole nei miei confronti mi dà il voltastomaco.
 
Mi guarda aggrottando la fronte con espressione nauseata, pentito per quell’attimo di puro altruismo nei miei confronti e torna a contare i soldi che mi spettano.
 
Tuttavia si, non tornerò più qui in questa stanza che pare di cristallo sterilizzato. Non è stata una bella trovata quella di fregare il boss per il quale lavoro. Pensavo che vendere la loro merce ad un prezzo maggiorato e racimolare a fine mese qualche verdone in più, mi avrebbe consentito di pagare un appartamento migliore rispetto alla topaia nella quale vivo ora. Ma, tutto è andato a puttane per colpa di Tom che per ingraziarsi il capo, ha fatto la spia…Sappi che mi vendicherò, Tom! Eccome se lo farò!
 
<< Prima che tu te ne vada per sempre dai coglioni, dì ad Alice di raggiungermi qui, nello studio >>
 
<< La tua segretaria? >>
 
<< Si, porca troia. Ora smamma >> mi liquida, muovendo la mano a mezz’aria come per invitarmi ancora una volta a filarmela via di lì.
 
<< Buona scopata, Caleb. Alla mia salute! >> gli auguro, sgattaiolando fuori dal suo studio prima di beccarmi qualche protesi dentaria dietro la testa.
 
 
 
Esco definitivamente dalla struttura ospedaliera con l’immagine del sorriso malizioso di Alice, felice di condividere attimi di godimento sessuale col suo capo. E poi uno si chiede perché io sia così titubante nei confronti dell’amore. Non c’è alcuna speranza per me e per fortuna col tempo ci si abitua a questo stile di vita e nemmeno ci pensa più.
Accendo una sigaretta e guardo il cielo che man mano si tinge di blu.
Le coppie durano due anni, eh?
Che amarezza pensare che in alcuni casi particolari – e mi riferisco al mio – l’amore non ha ancora avuto neanche modo di esprimersi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


Mia madre mi avrebbe voluta diversa.
Non così turbolenta, pessimista, spigolosa e feroce. Chi vorrebbe mai una figlia del genere?
Lei avrebbe voluto che fossi sposata, con almeno un bambino, una bella famiglia alle spalle… ma ha riposto le sue speranze in Patricia, la sua seconda chance di vedere i mei fallimenti diventare successi.
All’apparenza appaiono normali e tranquille, come una di quelle che la sera s’addormentano presto perché la mattina dopo devono arrivare a lavoro più riposate e lucide.
Provo una gran pietà nei confronti dei loro colleghi/amici/parenti/fidanzato/marito. Il motivo? Bè, solo io conosco il loro vero essere ed è difficile averci a che fare, soprattutto se sono del segno zodiacale opposto al loro: io sono dello scorpione e loro dei gemelli.
Sono maledettamente arroganti, poco collaborative e se ne fregano delle esigenze altrui, soprattutto delle mie. Sono fin troppo ambiziose, esibizioniste e narcisiste. 
Mia madre ha subissato mia sorella di stimoli, spunti, idee, non lasciando spazio a Patricia di definire una sua personalità, una sua identità. È stata modellata a suo piacimento ed ora mi ritrovo in una situazione in cui quelle due mi stanno inevitabilmente sulle palle.
 
Dulcis in fondo, ieri Patty mi dà la notizia che il ragazzo le ha chiesto di sposarla. Non che sia un fulmine a ciel sereno, insomma…me l’aspettavo. Quei due stanno insieme da tanto tempo ormai. Non è che sia invidiosa di lei, ci mancherebbe altro, siamo sorelle e ho sinceramente gioito per lei e per il fatto che la sua vita vada a gonfie vele. È stato tutto fantastico, finché non mi ha costretta a partecipare all’addio al nubilato che Trisha e Betty– le sue migliori amiche – hanno organizzato. Da ragazze che si vestono come bagasce (minigonna raso-fica e cosce perennemente scoperte, senza alcuna traccia di ritenzione idrica) cosa potevo mai aspettarmi? Esattamente questo: un viaggio con destinazione Cuba.
Come ogni persona che abbia un minimo di amor proprio, mi sono rifiutata di partecipare a questo evento ridicolo ma, sotto pressione di mia madre e di Patty, ho dovuto accettare.
 
Sono in camera da letto che preparo le valigie.
Mi lego i lunghi capelli rossi in una coda e non posso far a meno di pensare al perché mia sorella non potesse ritrovarsi affianco due persone normali come amiche. Quelle che le organizzano un normale addio al nubilato tra pochi intimi. E Invece no. La mia vita è maledetta dal sacro rito del “mai una gioia” e non è facile liberarsene, cazzo. Sarà che sono io il problema? Probabilmente sì, considerando che la generazione di oggi è stronza e io, facendo parte di quella precedente, sono semplicemente la vittima. I ragazzi di oggi sono precoci, fin troppo. Ho visto mia cugina di quattordici anni stare davanti allo specchio con il culo in fuori e la bocca a papera. A miei tempi, a quell’età, si pensava a tutt’altro che mettersi in posa per ricevere approvazioni dal pubblico del web.
C’è da dire che io sono sempre stata un po' restia agli eventi che tendono a mutare, anche ora che ho messo su un paio di chili, non posso fare a meno di continuare a fissarmi allo specchio. Afferro tra due dita l’adipe in eccesso, che schifosamente straborda dall’elastico delle mutande e la scuoto. Guardo le onde che vanno a formarsi sull’addome con espressione disgustata, come se stessi guardando la scena di un film splatter.
 
 
<< Ma che diamine stai facendo, Zoe? >>
 
Patty è entrata in quella che un tempo è stata la nostra camera da letto e mi osserva, aggrottando le sopracciglia alla visione di me che agito in bella vista quel grasso di troppo.
 
<< Sono ingrassata >> le dico, formando una smorfia afflitta sul volto.
 
Dal riflesso dello specchio, vedo mia sorella avvicinarsi per scrutarmi meglio, per dirmi la sua, come è solita fare su qualunque cosa. È sempre stata la tipica persona che dice quello che pensa, senza darsi alcun contegno, senza utilizzare alcun tipo di filtro.
 
<< Ancora? >> mi chiede, poggiando un dito sul mio pancione << La mamma non sarà contenta di questo >>
 
Finché si tratta di me, la mamma non sarà mai contenta di nulla, Patty. Si allontana e cambia subito argomento per finire a parlare di sé, del suo imminente matrimonio e di quanto sia fantastico Ken - il suo promesso sposo. Io, invece, ritorno a guardare la figura riflessa nello specchio e vedo solamente una pancia tonda, enorme, adiposa e tremolante come la consistenza di un budino.  
 
Se penso a quante volte mi son dovuta sentir dire “grassa”, “cicciona”, “obesa”, “culona”, mi vien da ridere. Anche se vengono dette con serietà, cattiveria, goliardia da persone estranee, parenti, amici e chi più ne ha, più ne metta, mi ci sono talmente abituata che oramai quelle parole non mi feriscono più.
 
<< Cavolo, Zoe! È inutile stare lì a fissarti allo specchio. Se pensi di aver messo peso, vai a farti una corsetta al parco e risolvi il problema >> dice Patty, con le braccia conserte, infastidita dal fatto che non era lei al centro della mia attenzione e che non era idolatrata manco fosse la statua di una dea dell’antica Grecia.
Sbuffo scocciata rivestendomi velocemente e faccio finta di interessarmi al racconto del suo meraviglioso Ken, pensando in realtà a quanto lui fosse ridicolo coi suoi muscoli che mette perennemente in mostra perché – almeno solo dal suo punto di vista – fa figo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Non posso crederci. Sul serio? Ernest Hemingway… Ma scherziamo? È la prima volta che vedo una mia coetanea leggere una raccolta di poesie di quell’artista. Di solito, le letture delle ragazze che ho conosciuto e frequentato si limitano a quel dannato Vogue o chissà a quale altra insulsa rivista da pochi spiccioli.
Guardo attentamente la persona seduta di fronte a me e i miei occhi subito cadono sulle sue lentiggini, che sembrano formare delle bellissime costellazioni sul suo volto paffuto.
 
Anche io leggo, amo farlo quando mi sento solo –  e capita quasi sempre - consulto qualche libro certo che è sicuramente meglio che ascoltare i vaneggi di Steve, dopo una dose di cocaina.
 
Mi sistemo meglio sulla sedia imbottita del treno, sprofondando il capo nel poggiatesta non staccando mai i miei occhi su di lei. Continuo a fissarla, come se stessi guardando un stupendo tramonto sul mare.
 
<< Tu non sei i tuoi anni
 Né la taglia che indossi,
non sei il tuo peso
o il colore dei tuoi capelli.
Non sei il tuo nome,
o le fossette sulle guance,
sei tutti i libri che hai letto
e tutte le parole che dici,
sei la tua voce assonnata al mattino
e i sorrisi che provi a nascondere,
sei la dolcezza della tua risata
e ogni lacrima versata,
sei le canzoni urlate così forte,
quando sapevi di essere tutta sola,
sei anche il posto in cui sei stata
e il solo che davvero chiami casa,
sei tutto ciò in cui credi,
e le persone a cui vuoi bene,
sei le fotografie nella tua camera
e il futuro che dipingi.
Sei fatta di così tanta bellezza
ma forse tutto ciò ti sfugge
da quando hai deciso di esser
tutto quello che non sei. >>
Proferisco, con un sorriso beffardo sulle labbra e a quel punto, finalmente scopro il colore dei suoi grandi occhi. Quelle due nocciole mi guardano: confusione, smarrimento e meraviglia si lanciano su di me ed io inizio a divertirmi.
 
<< Volevi fare colpo? >> chiede, alzando un sopracciglio e sciogliendo il ghiaccio tra noi.
 
<< Ci sono riuscito? >> rispondo, contraendo le labbra in un sorriso. 
 
<< No, considerando che quella poesia non è tra le mie preferite >>
 
<< Posso riprovare? >>
 
La vedo mentre chiude il libro che prima stava leggendo, sintomo che ora la sua completa attenzione è tutta su di me.
 
<< Vederla è un dipinto
sentirla è una musica
conoscerla un'intemperanza
innocente come giugno
non conoscerla una tristezza
averla come amica un calore
vicino come se il sole
ti brillasse nella mano >>
Recito, dandomi addirittura un tono teatrale.
 
<< Non è Hemingway >> dice cinica << ma Emily Dickinson è comunque tra le mie autrici preferite >> riprende alla fine con un sorriso.
 
<< Quindi… Stavolta son riuscito a fare colpo? >>
 
<< Bè, di questi tempi è difficile incontrare un ragazzo che s’interessa alla poesia >>
 
<< Anche se non sembra, sono un tipo acculturato >>
 
<< E anche molto umile, devo dire! >>
 
Ridiamo entrambi e quell’atmosfera creatasi così spontaneamente tra noi è piacevole. Sento già che quella sconosciuta è molto diversa dalle tipe con le quali uscivo e suscita in me un’irrefrenabile voglia di conoscerla meglio.
 
<< Questo bel ragazzone che ti è seduto davanti, si chiama Cole. Piacere >>
 
Ride di gusto e senza farsi alcun problema, anche lei si presenta. Diversamente dalle altre volte in cui, se capitava, il mio approccio veniva interpretato solo come un mero tentativo di ottenere qualcosa. Quanto povero e superficiale può essere il mondo?
 
<< Dove è che sei diretta, Zoe? >> le chiedo, soddisfatto e felice di poter scambiare due parole con qualcuno.
Sbuffa energicamente, sbattendo con la schiena contro il morbido velluto grigio che riveste lo schienale della sedia << Solo al pensiero di dover prendere l’aereo per Cuba, mi vien mal di stomaco >> conclude, sfogando il suo nervosismo su una ciocca di capelli.
 
<< Mal d’aereo? >>
 
<< Peggio! >> esclama, assumendo un’espressione imbronciata << Non posso nemmeno tirarmi indietro, cazzo, altrimenti … >> 
 
<< Altrimenti? >>
 
<< No, nulla >> dice, chiudendo bruscamente il discorso << Tu dove sei diretto, invece? >> chiede, spostando l’attenzione su di me ed io colgo subito l’occasione per non indugiare oltre e superare quell’argomento evidentemente scomodo per lei. Non avevo voglia di sapere cosa ci fosse che non le andava. Sono uno stronzo, lo so ma che posso farci? Non sono mai stato bravo ad ascoltare le persone e dunque, per facilitarmi la vita, la assecondo e facciamo prima.
 
<< Non ho una meta ben precisa, in verità >>
 
Mi guarda con occhi perplessi, come se in quel momento avesse davanti un alieno venuto da chissà quale galassia.
 
<< Non ho mai incontrato un ragazzo strano come te >>
 
<< Grazie per il complimento >>
 
<< Quanto vorrei intraprendere anche io un viaggio senza destinazione e scappare via, lontano da tutto e da tutti >> inizia a dire improvvisamente, guardando in alto con fare trasognante.
 
Le sorrido << Andare via e lasciare tutto è un’esperienza che all’inizio può mettere timore. Ma, se sei abbastanza coraggioso e curioso, si possono vivere esperienze fuori dal comune. Amo viaggiare, credo che non ci sia modo migliore di crescere e… >> mi fermo improvvisamente, stupito dal fatto che stavo inconsapevolmente raccontando me stesso ad un perfetto sconosciuto. Per la prima volta, una strana sensazione adrenalinica prende possesso del mio solito autocontrollo << Facciamolo, cazzo >> le dico, sorridendole sornione << Vieni via con me >>
 
 
 
 
 
 

 Note dell'autore

Salve Salvino, miei cari lettori!
Spero che questo primo capitolo sia di vostro gradimento. Ovviamente ringrazio anticipatamente tutti coloro che leggeranno questa Mini-long e la commenteranno ^^.
Questa storia partecipa a tre contest e ringrazio Shilyss, wurags e Soul_Shine per aver indetto questi contest fantastici!
In ultimo, vorrei avvisarvi che mercoledì prossimo uscirà il secondo capitolo e martedì 10 Settembre, l'ultimo capitolo. 
Detto ciò, auguro a tutti una buona lettura! 
Alla prossima!
LaSignorinaRotterMaier.
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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