Videogiochi > ARK: Survival Evolved
Segui la storia  |       
Autore: Roberto Turati    31/08/2019    1 recensioni
Laura, Sam, Chloe e Jack sono quattro neo-laureati di Sidney che, dopo aver trovato un libro segreto firmato Charles Darwin che parla di ARK, un'isola preistorica abitata da creature ritenute estinte da milioni di anni, da un intrigante popolo, protetta da una barriera che altera lo spazio-tempo e che nasconde un "Tesoro" eccezionalmente importante, decidono di scoprire di più... andando su ARK. Ma le minacce sono tante, siccome l'arcipelago arkiano non è certo il più accogliente dei posti... però, per loro fortuna, non saranno soli nell'impresa. Fra creature preistoriche, mostri surreali, nemici che tenteranno di fermarli o di ucciderli per diversi motivi, rovine antiche, incontri da ogni luogo, da ogni epoca e da altri universi e gli indizi sul misterioso passato dimenticato di ARK, riusciranno a venire a capo di un luogo tanto surreale?
 
ATTENZIONE: oggi, il 30/06/2021, è iniziato un rifacimento radicale della storia usando l'esperienza che ho fatto con gli anni e la nuova mappa di ARK usata per l'isola del mio AU. Il contenuto della storia sta per cambiare in modo notevole.
Genere: Avventura, Mistero, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Un'Isola Unica al Mondo'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

«Edmund, ci sei?» chiese Helena, mentre il gruppo continuava a seguire la linea costiera.

«Sì, sono qui. Hai qualcosa di importante da raccontare?»

«Parecchio importante! Potremmo aver fatto la scoperta più rivoluzionaria e sconvolgente di sempre!»

«Riguardo i misteri dell’isola, giusto?»

«Sì! Abbiamo incontrato un uomo che dice di venire da tutto un altro mondo, di aver raggiunto ARK attraverso un passaggio segreto che in qualche modo l’ha trasportato in questa dimensione. Rockwell, ti rendi conto?!»

«Aspetta un momento, mi stai forse dicendo che esistono altre realtà oltre alla nostra?»

«Esattamente! Edmund, questo è straordinario! I Pre-Arkiani erano avanzati oltre ogni limite che avremmo mai potuto immaginare! E se lo erano grazie al Tesoro…»

«Perdonami se mi trovi scettico, Helena, ma quello che dici mi sembra troppo assurdo per essere vero»

«No, Edmund, quel tizio non mentiva affatto! Glielo leggevo in faccia! E le prove sono troppe…»

«Bene, allora elencamele e dimostrami che ho torto»

«Innanzitutto, era il padrone di una creatura, come gli Arkiani… ma questa creatura per noi è un personaggio immaginario. Da lui, invece, quel mostro e tutte le specie della sua serie di film sono reali e convivono con gli umani su tutto il pianeta! E poi era un Britanno dall’età classica, ma ha fatto riferimenti a luoghi e civiltà che nel nostro mondo sono state scoperte dagli Europei solo nel tardo Medioevo e nel Rinascimento, perché queste creature hanno accelerato i progressi. Rockwell, è tutto vero! ARK è collegata a questo e a chissà quanti altri mondi paralleli da passaggi che possiamo benissimo trovare esplorando meglio!»

«Io… questo è… va al di là dello straordinario!»

«Lo so! Neanch’io sono mai stata così emozionata…»

«Ehi, io sono Jack. Posso sentire i ragazzi?»

«Oh, certo! Ragazzi, il vostro amico vuole salutarvi»

Quindi passò la radio a Laura e i tre salutarono l’amico avvicinandosi al microfono. Gli chiesero come andava, e lui si limitò ad un “non mi lamento”, anche se in realtà c’era parecchio da lamentarsi. Quindi chiese qual era la creatura immaginaria di cui Helena parlava e, quando glielo rivelarono, credette che gli stessero facendo uno scherzo.

«Col cavolo che è uno scherzo! L’abbiamo visto per ben due volte, ha pure salvato noi e Acceber da uno squalo gigante!» rispose Chloe.

«Diglielo anche tu, Acceber!» esortò Laura.

«Non ho neanche idea di cosa sia quel mostro, ma se dite che si chiama Godzilla… a proposito, qualcuno mi potrebbe dire come funzionano questi oggetti per parlare da lontano? Sono fantastici!» rispose l’Arkiana.

«Magari dopo. Comunque, era davvero lui! Solo molto più basso che nei film… quando ci rivediamo, ti mostro la foto!» disse Chloe.

«Quando l’avresti fotografato?» chiese Sam.

«Gli ho fatto una foto col cellulare mentre andava via, l’ho beccato in una posa epica prima che si tuffasse in mare… tranquilla, non la faccio vedere a nessuno! Scusa, c’era Helena che mi guardava storto»

«Ragazzo, penso che dobbiamo andare, ora: non c’è tempo da perdere!» Rockwell lo riportò alla realtà.

Allora Jack, anche se un po’ triste per dover salutare di nuovo i suoi amici, chiuse la comunicazione e riprese il cammino con Rockwell, tornando anche a meditare sul suo dissidio interiore a causa di Ottosir e il suo ricatto.

------------------------------------------------------------------------------------------

Per il resto del tragitto, non accadde nulla di particolare. Helena si limitò ad informare i ragazzi che si stavano dirigendo ad un’isola di proprietà degli Squali Dipinti per prendere il nuovo manufatto. Ci arrivarono in completa serenità, senza incidenti né imprevisti: quel tratto di costa, oltre che bellissimo, era anche pacifico. I ragazzi lo guardarono attentamente, sospirando, quando vedevano macchie variopinte di barriera corallina sotto le acque trasparenti: era davvero troppo simile alla costa di casa loro per non suscitare nostalgia. Come promesso nella camminata dal deserto all’isolotto di prima, Laura lasciò che Chloe e Sam provassero a cavalcare Cupcake e ci si divertirono parecchio. E poi lui era parecchio socievole, non gli diede fastidio avere fantini diversi. Dopo un po’, a Laura tornarono in mente le allusioni di Helena ad Atena. Sperando che non la rattristasse troppo, le chiese:

«Helena, secondo te Atena è ancora viva?»

La biologa rimase interdetta per un secondo, poi rispose:

«Non saprei, sono passati due anni… è volata via spaventata quando Kong ha attaccato il contingente di Mei al “Partenone”, è stata l’ultima volta che l’ho vista. Da allora, potrebbe esserle successo davvero di tutto. Nella migliore delle ipotesi, ha voltato pagina ed è tornata a vivere come da selvatica»

«Capisco… spero che la ritroverai!»

«Be’, grazie»

Mei, sentendole, sospirò con tristezza. Nerva immaginava per cosa lo stesse facendo, ed ebbe una breve fitta di senso di colpa: due anni prima, l’inimicizia fra Mei e la Nuova Legione era diventata qualcosa di personale dopo che i suoi uomini avevano ucciso Wuzhui, il suo primo velociraptor, il suo defunto migliore amico su ARK. Molto tempo dopo, a Sidney, una volta che avevano avuto modo di conoscersi meglio e diventare quasi amici, Mei aveva deciso di perdonarlo. Comunque, a lui dispiaceva in ogni caso. Alla fine, giunsero in vista dell’avamposto degli Squali Dipinti: era più vicina alla costa dell’isoletta con le rovine indiane, e decisamente più grande. Era piuttosto alberata e collinare, oltre la linea della battigia. Il villaggio si poteva intravedere da lì.

«Non sembra male!» commentò Sam, con le mani sui fianchi.

«Già, è fantastica! Gli Squali Dipinti sono una tribù dal carattere allegro, ve ne accorgerete. E poi è estate, per cui forse stanno organizzando la corsa delle mantinache di quest’anno!» spiegò Helena.

«Cosa sono le… queste cose che fanno la corsa?» chiese Chloe.

«Mantinache, l’antenato comune di mante e pastinache. Infatti il nome è un misto fra le due» le rispose Laura.

«Uao, quindi questi fanno come le corse dei cavalli, ma con le mante?»

«Sì, esattamente! Io sono andata a guardarla, una volta. È davvero emozionante... almeno quanto il modo in cui andremo su quell’isola» ammiccò Helena, indicando un porto di fronte a loro.

I ragazzi guardarono e rimasero a bocca aperta: in fondo al pontile, proprio come se fosse un traghetto, c’era un mosasauro con una sella-piattaforma molto simile alla cabina del quezalcoatlo che avevano preso coi tre pescatori, accostato al molo mentre una fila di persone provenienti dalla strada pubblica che veniva dal deserto entravano dopo aver pagato il traghettatore. Era fantastico il fatto che, per quanto la creatura era immersa, si vedesse solo la struttura e si capisse che era un mosasauro quando tirava fuori la testa per cercare di capire quando il padrone sarebbe venuto a farlo partire. Inoltre, il tetto era piatto e largo e se i passeggeri avevano cavalcature piccole potevano stare lì, visto che il mosasauro non si sarebbe mai immerso. Così Rexar, Cuppy (che sembrava spaventato dall’acqua) e i velociraptor salirono lassù con una rampa apposita, mentre il gruppo pagò e salì. Purtroppo per Nerva, anche questa volta dovette rimanere abbandonato e lontano dalla folla di Arkiani per non farsi riconoscere: li avrebbe aspettati lì. La traversata fu tranquilla e piacevole, anche se Sam ricordò comunque che a Jack sarebbe venuto il mal di mare in ogni caso. In più o meno dieci minuti, furono sull’altra sponda.

«Benvenuti dagli Squali Dipinti! Ah, è sempre adorabile vedere questo posto…» sorrise Acceber, scendendo dal pontile di corsa e stirandosi.

Rexar balzò subito giù e la raggiunse per farsi accarezzare: aveva l’aria tutta scombussolata. Lei gli diede un pezzo di carne essiccata e gli arruffò la testa. Chloe respirava aria di villaggio turistico, per quanto era briosa l’atmosfera di quella comunità. Gruppetti di gente conversavano tra loro mentre lavoravano o passeggiavano molto più vivacemente che negli altri villaggi e, quando passarono al mercato, non trovarono modo migliore di descriverlo se non “un’esplosione di vita”. Era pieno di profumi, sapori e persone non solo arkiane, ma anche straniere. I ragazzi si promisero di dare un’occhiata più approfondita, visto che Helena disse che si sarebbero fermati lì per la notte. Però non in taverna, sulla spiaggia all’entroterra per non lasciare Gaius da solo tutto il tempo (anche se ad Acceber l’idea piaceva, con una nota di cinismo). Mei, con sua grande sorpresa, trovò al bancone di un armaiolo anche uno scudo e una picca da soldato romano e decise di fare qualche domanda più tardi. Alla fine andarono alla casa del capovillaggio. Com’era tipico degli avamposti, si trattava di un parente del capo del villaggio principale, in questo caso il fratello. Laura chiese del manufatto, ma lui la lasciò di stucco dicendo che non era più a casa sua. Terrorizzata, Laura pensò subito che l’uomo con la bombetta avesse colpito ancora e fosse già pronto a vendicarsi di lei, ma per fortuna il capo l’aveva voluto affidare all’abitante di cui si fidava di più, dopo la sconfitta della Nuova Legione. Laura chiese di chi si trattava e, una volta che le fu indicato il posto, ringraziò e andò con Sam e Chloe, mentre Helena e Mei furono lasciate ad aspettare.

«Torno al mercato a vedere una cosa» disse la Regina delle Bestie, incamminandosi.

------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Acceber e i ragazzi andarono ad una casetta in pietra bianca un po’ distante dal centro del villaggio, a ridosso del bagnasciuga. A pochi metri da lì, in mare, un atollo circondava un bacino d’acqua bassa in cui parecchie mantinache sellate e i loro padroni sfrecciavano in cerchio a velocità incredibili.

«Si stanno allenando per la gara» spiegò Acceber, guardandole a braccia incrociate.

«Sono uno spettacolo già adesso! Chissà quando faranno la corsa…» immaginò Laura.

Alla figlia di Drof venne un’idea:

«Quanto pensate di stare qui ancora dopo che avrete trovato il Tesoro? Andrete via subito aprendo la barriera coi manufatti o vi prenderete una pausa?» chiese.

I ragazzi si guardarono un po’ straniti, non avendoci ancora pensato, e Laura si strinse nelle spalle:

«Non so, tecnicamente abbiamo tutto il tempo del mondo perché torneremo a un secondo dopo il nostro arrivo, stando a come dice l’enciclopedia, quindi forse… una piccola vacanza ce la possiamo concedere! Voi che dite, ragazzi?»

«Io aspetto il parere di Jack e di tutti gli altri, poi mi va bene di tutto» rispose Chloe, sistemandosi i capelli.

«Per me non è un’idea malvagia: almeno vediamo bene il bello di questo posto senza più rischiare di crepare mentre viaggiamo… giusto?» disse invece Sam.

Laura ci rifletté un attimo, poi disse che in effetti si poteva benissimo fare. A questo punto, si avvicinarono alla casetta. Su una lastra di pietra conficcata nella sabbia davanti all’ingresso c’era incisa un’insegna che Acceber tradusse per i ragazzi: il padrone di casa era un venditore di mappe nautiche, ma era anche quello che teneva d’occhio l’atollo per le mantinache e si accertava che nessuna creatura marina pericolosa la invadesse, visto che non aveva palizzate. Accanto alla casetta, c’era la statua di un sarcosuco dormiente. Entrarono sollevando la tenda che faceva da porta e furono travolti da un’ondata di aromi, provenienti da bastoncini di incenso che fumavano in un braciere. Dal soffitto, legate a degli spaghi, pendevano innumerevoli cartine che segnavano in rosso le varie rotte e approdi dell’arcipelago arkiano: alcune ritraevano tutto, altre solo un tratto di costa, altre ancora le isole minori… poi, su una mensola sul muro a sinistra, erano collezionate diverse sculture in pietra a forma di mantinaca e Acceber disse che erano i premi della corsa: chi viveva lì aveva fatto parecchie volte la gara. Poi una voce roca attirarono la loro attenzione:

«Vlut, vluditamjv! Volete comprare una cartina o siete qui solo per guardare la mia bottega?»

Guardarono in fondo alla stanza e videro un vecchio con una fascia da pirata in testa e una barba scompigliata, stravaccato su una poltrona foderata in cuoio di rettile e con le gambe orribilmente tumefatte, piene di infezioni cicatrizzate e gonfie. I piedi erano immersi in una bacinella in legno piena d’acqua mischiata a muco di acatina, sangue di ementeria e altri disinfettanti. Laura, dopo un attimo di ribrezzo nascosto alla vista di quelle gambe, si schiarì la gola e disse:

«Non ci serve una cartina, cerchiamo il manufatto in ossidiana. Il capo di questo posto ha detto che ce l’hai tu»

Il venditore sembrò sorpreso:

«Però, non avrei mai pensato di sentirlo mai più nominare! Perché lo volete?»

«Cercano il Tesoro di ARK» rispose Acceber, quasi d’istinto.

Il vecchio, quasi subito, iniziò a ridere fragorosamente e continuò finché gli venne il singhiozzo. Ogni volta che rideva, agitava i piedi nella bacinella e schizzava qualche goccia d’acqua sul pavimento. Alla fine, come riuscì a fermarsi, scosse la testa sempre con aria divertita e spiegò semplicemente che trovava buffissimo che degli stranieri sulla ventina gli avessero detto con aria tanto seria quello che, di solito, su ARK quello era solo il fantasioso sogno dei bambini quando sentivano la storia del Tesoro la prima volta. Laura trovò abbastanza imbarazzante farsi paragonare ad un moccioso per voler fare la scoperta del millennio, mentre Sam e Chloe ne furono così offesi che ebbero la tentazione di dargli un pugno.

«Va bene, se il capo è d’accordo non vedo perché io dovrei essere contrario… venite»

Con uno sforzo tremendo, si alzò dalla poltrona poggiandosi ai braccioli. Prese un bastone appoggiato al muro, mise i piedi in un paio di sandali in giunco e si avviò a passo pesante verso la tenda d’ingresso. Guardandolo, Chloe non resisté alla tentazione di chiedergli come si fosse ridotto le gambe così.

«Quando non sfrecciavo in acqua con la mia mantinaca, facevo immersioni per raccogliere perle nere – spiegò, mentre si passava la mano libera dal bastone sui suoi polpacci rigonfi – Sapete com’è?»

«Sì, ho provato io» rispose Sam, ripensando alla frazione di secondo in cui aveva visto i tentacoli nel buio.

«Allora tu conosci gli euripteridi. Quei piccoli bastardi sono infidi… mi capitava spesso che, mentre risalivo, uno o due che non avevo sventrato attaccassero di sorpresa e mi pizzicassero le gambe. Troppo spesso. Così, dopo cinquant’anni di immersioni, a forza di pungiglioni e veleno il risultato è questo. Ed ecco perché ora faccio qualcosa di molto più sicuro»

«Mi spiace…» disse Chloe.

Il vecchio uscì dal negozio e loro lo seguirono. Si fermò accanto alla statua del sarcosuco e le picchiettò il muso con la punta del bastone. Allora, quello che avevano creduto una statua aprì gli occhi e sollevò la testa. La loro reazione improvvisa lasciò di stucco Acceber, poiché lei avendo più occhio aveva capito dall’inizio che era un sarcosuco vero.

«Forza, Tumma, va’ a poltrire più in là!» ordinò il negoziante.

Il sarcosuco emise un brontolio infastidito, poi riabbassò la testa e fece finta di niente. Il padrone, allora, insisté a punzecchiargli il muso. Allora aprì la bocca, facendo brillare i tantissimi denti al Sole.

«Oh, certo, certo… prendi, scroccone! Mi costi più tu della carta…» borbottò il venditore.

Tornò dentro un minuto e uscì con un grosso filetto di salmone-vampiro sotto sale in mano. Lo lanciò verso il mare e Tumma si precipitò subito sulla carne: afferrò il trancio, se lo rigirò qualche secondo in bocca e corse in acqua per mangiarlo in pace. Spostandosi, rivelò che stava coprendo una botola nella sabbia. Il vecchio li invitò ad aprirla. Sam spostò il lucchetto e sollevò il coperchio: nella buca poco profonda c’era il manufatto. Lo prese e lo passò a Laura.

«Grazie tante, signore! Le diremo se troviamo il Tesoro!» salutò Laura, scherzando sullo scetticismo che aveva mostrato lui poco prima.

-----------------------------------------------------------------------------------------------------

Quando tornarono nell’entroterra, Mei aveva una sorpresa per Gaius: aveva comprato, a quaranta ciottoli, lo scudo e la picca romani. Sospettava che venissero dai resti del vascello con cui era naufragato su ARK due anni prima e aveva pensato che l’avrebbero fatto sentire un po’ a casa.

«Dove li hai trovati?» chiese lui.

«Al mercato» rispose Mei.

«Fammi vedere dietro…»

Nerva si fece dare lo scudo e guardò il lato interno: era interamente ricoperto di firme, incise con delle limette. Sembrò commuoversi, incredibilmente. Rivelò che era lo scudo che aveva ricevuto da Augusto in persona per il successo a dirigere la conquista della Dacia. I nomi erano quelli della sua decuria primaria, i cui membri erano passati da suoi semplici sottoposti a migliori amici col passare degli anni. Erano stati gli ultimi rimasti in vita nel corso della loro traversata del Pacifico, prima che lui si ritrovasse da solo e finisse su ARK.  

«Li conoscevi tutti?» gli chiese Acceber, incuriosita e un po’ meno rigida del solito nei suoi confronti.

«Tutti e dieci. Marius, Lucius, Titus, Marcus… se li è presi l’oceano. E fino ad oggi credevo che lo scudo della nostra decuria avesse fatto la stessa fine. Ti ringrazio, Mei»

La Regina delle Bestie non rispose, si limitò ad annuire con un vaghissimo abbozzo di sorriso. Ora che avevano il manufatto, si potevano dirigere al bioma più freddo dell’isola: il Dente Ghiacciato.

==================================================================

Il Dente Ghiacciato era solo a qualche kilometro più a Sud, dovettero seguire la costa solo per un’ora e mezza, prima che apparisse al largo. Era un’isola decisamente grande, quasi un piccolo mondo a sé nel microcosmo dell’arcipelago. Nella sua parte più settentrionale, un fiordo penetrava da uno stretto e formava una grandissima conca profonda, accanto alla quale iniziavano le pendici dell’altissima montagna al centro di quelle terre gelide. Centinaia di piccoli iceberg galleggiavano in tondo attorno alle sue coste. La vetta della montagna era nascosta, circondata da una fitta coltre di nebbia grigia. Acceber disse allegramente che erano a mezz’ora dalla casa di suo zio Odranreb. Se solo avesse saputo di quello che era successo… questa volta, trovarono un traghettatore privato che aveva un grande zatterone trainato da due ittiosauri. Per loro fortuna, grazie ad una domanda di precauzione di Helena camuffata da normale chiacchierata, scoprirono che non aveva mai visto la faccia di Gaius Marcellus Nerva, per cui il centurione poté tornare ad usare per una volta il nome di Cesare, anche non avendo la maschera. Li portò ad una spiaggia sassosa piena di kairuku che passeggiavano avanti e indietro.

«Che carini!» esclamò Chloe, andando ad accarezzarne uno.

Mentre Laura la guardava con sguardo tenero e Acceber dava i ciottoli al barcaiolo, Chloe iniziò a coccolare il kairuku più vicino che, dopo un secondo di esitazione, si rilassò e iniziò ad incollarsi a lei per farsi accarezzare di più. Poi starnazzò per chiamare gli altri e un’intera colonia di pinguini preistorici corse da Chloe tenendo il becco in alto e agitando le ali per le coccole.

«Simpatici, vero?» rise Helena, mentre Mei cercava di nascondere che stava scappando una risatina anche a lei.

«Di certo più di quegli scrocconi da spiaggia che trovavamo sempre alle vacanze in Tasmania» commentò Sam.

«Possiamo tenerli? Ne prendiamo uno per ciascuno, anche per Jack! Li chiamiamo Skipper, Rico, Kowalskij e Soldato! Carini e coccolosi…» scherzò Chloe, accarezzandone il più possibile.

«Spiacente, ma se in giro per Sidney vedono dei pinguini estinti si chiederanno da dove vengono» scosse la testa Helena.

Questo ricordò a Laura che non poteva portare con sé Cupcake, e quello le fece male. Però si sforzò di non pensarci e passare oltre. Il barcaiolo, al prezzo di soli cinque ciottoli per tutti, fornì loro degli abiti pesanti in peliccia di rinoceronte lanoso. A quel punto, salutarono il barcaiolo e iniziarono la scalata della montagna. Le rovine pre-arkiane erano molto in alto, in un crepaccio vicino alla cima: Helena disse che si prospettava una camminata difficile.

-------------------------------------------------------------------------------------------------------

Helena aveva ragione: salire su quella montagna, in mezzo a quei pini sepolti e soffocati dalla neve, non era per niente facile. I velociraptor e Cupcake facevano fatica a muoversi nella neve alta, mentre Rexar sembrava cavarsela un po’ meglio. Acceber diceva continuamente ai ragazzi di tenere duro, che prima o poi alla cima si arrivava, e poi la discesa era ancora più veloce. Promise pure di offrire una zuppa di radici bollente come solo i Lupi Bianchi sapevano cucinarla, quando sarebbero scesi al villaggio sul fiordo.

«Senza equiseto, per piacere» scherzò Sam.

«Senza, senza, tranquilli»

«Ah, non facevo un iter nella neve come questo da quando ho attraversato le Alpi con la mia centuria per un incontro con il generale provinciale dell’Elvezia. L’imperatore mi disse di aver condotto una spedizione modello: nessuna perdita strada facendo, nessun miles sopraffatto dal gelo o caduto in un crepaccio» raccontò Nerva, con tono nostalgico.

«È una sventura che non avessimo generali come te, dalle mie parti. Ogni battaglia in montagna era una strage, peggio dei Turbanti Gialli» commentò Mei, togliendosi la neve dalle gambe.

«Accidenti… sembra che tenessi molto ai tuoi soldati!» esclamò Acceber, basita.

«Certo, è la prima regola per ogni dux» rispose Nerva.

«Accidenti… sei completamente diverso da come tutti raccontano di te. Sai, dopo tutta la storia delle regole forzate che imponevate ai nostri villaggi, tutte quegli dèi che volevate che venerassimo... se non sapessi chi sei, non lo sospetterei mai!»

Gaius le fece segno di non sorprendersi: spiegò che anche quando aveva conquistato la Dacia, i Daci l’avevano visto come un demone per anni. Ma poi, quando le innovazioni portate dai Romani avevano migliorato la loro condizione di vita, avevano cambiato opinione. Lui non voleva propriamente fare del male agli Arkiani, infatti in battaglia ordinava di fare meno vittime possibile; il suo scopo era apportare i miglioramenti che Roma dava spesso alle civiltà meno avanzate. Ma era comunque pentito del disastro che stava commettendo, Mei aveva fatto bene a fermarlo.

----------------------------------------------------------------------------------------------------

Arrivarono al limite della foresta, molto in alto. Guardando indietro, ci si accorgeva di quanta strada avessero fatto: il mare sembrava così lontano, la spiaggia dei kairuku così minuscola… il paesaggio cambiò: non c’era altro che neve e ghiaccio, ora. Inoltre, il pendio era meno inclinato: ora che avevano raggiunto il nevaio, pareva quasi pianeggiante. Helena spiegò che questo era il pezzo finale, più facile ma più pericoloso, prima di arrivare alle rovine: dovevano semplicemente seguire la conformazione della montagna e girare a spirale attorno alle pareti, fino ad arrivarci. Acceber avvertì di tastare bene la neve col piede prima di affondarcelo del tutto: c’erano dei punti in cui si richiava di causare un cedimento e venire trascinati di nuovo a fondo con tutta la slavina, con il conseguente pericolo di finire sepolti o sbattere contro alberi e rocce e morire sul colpo. I ragazzi ebbero dei brividi d’orrore, uniti a quelli di freddo, all’idea e promisero di stare attenti. Ad aprire la fila stava l’Arkiana, che era già stata tre volte al Dente Ghiacciato, e accettò anche di farsi affiancare da Nerva, volenteroso di aiutare basandosi sulle sue traversate alpine. I primi quattro giri della spirale andarono a meraviglia: a parte la scarsa visibilità per le nuvole che attraversavano, la neve non mostrava la friabilità di cui Acceber li aveva avvertiti. Eppure, dentro di sé, Chloe aveva la nettissima sensazione che prima o poi sarebbe successo, anche se odiava portarsi sfortuna da sola. Al quinto tornante, incrociarono la carcassa di un cucciolo di mammut e Laura chiese com’era finito lassù. Helena ipotizzò che ce l’avesse portato un argentavis. Finalmente, poi, videro le rovine: sopra di loro, alcuni pezzi di edifici sporgevano dal bordo di una sporgenza, solo a due tornanti di distanza. Ed ecco che, puntuale come le tasse, arrivò una disfatta: da diversi kilometri sotto di loro, dal profondo della pineta, provenne un rombante ruggito. Era fievole a sufficienza da far capire che veniva da lontano, ma ciononostante l’eco era forte e definitissima. Sam, con un fischio, constatò che qualunque cosa avesse gridato così doveva avere dei polmoni degni di un cantante. Helena stava per spiegare che creatura fosse, riconoscendo il ruggito, ma accadde qualcosa di imprevisto: un grave rombo salì da sottoterra e la neve sotto i loro piedi cominciò a sfrugugliarsi e a scivolare giù per il pendio.

«Goupì!» imprecò Mei in mandarino, mentre il suo raptor saltellava nervosamente sentendo il terreno cedere.

«L’eco ha scatenato una valanga! Correte!» esclamò Nerva.

Tutti, senza esitare, spronarono le cavalcature o iniziarono a correre mentre un intero blocco di nevaio iniziava a staccarsi dalla montagna e a seppellire gli abeti sotto di loro, facendo più fragore di un tuono. In quel momento Chloe era l’unica a piedi, poiché Laura era su Cupcake e per Sam era il turno di stare su Ippocrate. La ragazza fece di tutto per tenere il passo con gli altri, ma era in seria difficoltà. Laura, la più vicina a lei, riuscì con una forza di volontà incredibile a convincere il pachicefalosauro a rallentare per aiutare Chloe a salire in sella dietro di lei.

«Che fate? Tornate subito qui!» sentirono il grido di Acceber.

«Corri, Cuppy!»

Cupcake andò più veloce che poté verso gli altri, che avevano appena raggiunto la parte di neve stabile che non era crollata. Gli altri, terrorizzati, lo incitavano a gran voce e gli facevano segno di correre più veloce che poteva. Sembrava che ci stesse riuscendo, ma all’improvviso… trovò un blocco di neve sofficissima che non resse il suo peso e ci sprofondò fino ai fianchi. Lui e le due ragazze sulla sua groppa iniziarono a muoversi con tutta la slavina dapprima lentamente, poi accelerando sempre di più man mano che la pendenza aumentava.

«Trattieni il fiato e reggiti!» Laura non seppe dire altro a Chloe, saldamente abbracciata a lei.

“E prega!” rispose mentalmente l’amica.

Scivolarono così per centinaia di metri, poi Cupcake si rovesciò e Chloe non vide più niente: cadde nella neve e il mondo si fece movimentato e confuso. Rotolava in continuazione nella frana di neve, il sopra e il sotto si mescolavano ogni secondo, si sentiva lo stomaco all’altezza delle caviglie, le girava tantissimo la testa per il gran rotolare, le ossa si piegavano e comprimevano a seconda di come si ribaltava, il freddo era insopportabile, la neve le entrava in bocca e nelle narici e non riusciva a respirare: orribile, da incubo. Per un attimo, Chloe si sentì disposta anche a morire, purché quella tortura finisse. Ed ecco che, di colpo, finì. Chloe rimase stordita per un secondo, poi si riscosse e, resa forte dal bisogno di respirare, iniziò a scavare con tutta l’energia che aveva nella neve, sperando di star andando in alto e non verso il fondo. Andò avanti a scavare per un minuto, iniziava a soffocare, i polmoni bruciavano… quand’ecco che, finalmente, tornò in superficie, illuminata dal Sole e circondata da silenzio, neve fresca, alberi e… nient’altro.

«Laura? Laura?!» chiamò, terrorizzata.

Si alzò in piedi e iniziò a cercare dappertutto, correndo avanti e indietro in cerca dell’amica. Finalmente, dopo cinque minuti, vide qualcosa semi-sepolto. Lo tirò fuori: la giacca in pelliccia di Laura. A quel punto, le venne in mente la peggiore delle ipotesi. Sentì le lacrime salirle agli occhi e si inginocchiò, disperata:

«Oh, Laura… perché? Perché, cazzo?!»

In realtà, c’era una parte di lei che le imponeva di aspettare una conferma, prima di dare la sua migliore amica per morta, ma dopo tutto il casino e il terrore di morire per la valanga non riusciva per niente a stare calma: la tensione era troppa, era disperata.

«Colpa nostra, tutta colpa nostra… avremmo dovuto convincerti che l’isola non esisteva! Avremmo avuto torto, ma almeno saremmo rimasti a casa al sicuro! Tu hai sempre ascoltato me più di tutti, avrei dovuto aiutare Sam a farti capire che non dovevi fartene una fissa… e ora sei morta per salvarmi! Colpa mia… cosa diremo alla tua famiglia? Anzi, perché me lo sto chiedendo? Non torneremo mai a casa… moriremo qui e nessuno saprà mai cosa ci è successo…»

Ormai piangeva a dirotto, ma più per isteria che per lutto. Ma si interruppe all’improvviso quando quel silenzio di tomba fu squarciato da un rumore di passi. Dapprima, sperò che fosse Laura e fece per voltarsi emozionata e sollevata. Ma quando realizzò la pensantezza di quei passi, capì che non poteva essere una ragazza. Sentì un ringhio e allora non ci furono più dubbi: qualunque cosa fosse, era pericolosa e doveva salvarsi. Per cui, senza voltarsi per vedere cos’era, iniziò a correre a perdifiato e alla cieca nella foresta. Tanto, ormai, aveva perso i compagni e la strada: peggio di così non poteva andare. Mentre fuggiva, passò accanto ad uno stranissimo rottame bruciato e arrugginito, che sembrava un robot a forma di orso con una cisterna per pancia. In condizioni normali, si sarebbe fermata a chiedersi cosa potesse essere, ma dal momento che era inseguita proseguì. Corse come una lepre per dieci minuti, senza sentire un minimo di stanchezza, ma si fermò di colpo quando, superata una collinetta, vide davanti a sé uno smilodonte. Dandole le spalle, stava camminando circospetto fra gli alberi: forse stava cacciando. E, appena Chloe fu in cima al rilievo, sentì i suoi passi nella neve e si voltò, a occhi sbarrati e bocca spalancata. Alla vista di quei lunghissimi canini sporchi di sangue rappreso, Chloe si sentì venire a mancare.

“Oddio…” pensò.

Lo smilodonte ruggì, stringendo le pupille. Chloe tornò a correre, svoltando a destra. Non sarebbe servito, ma l’istinto le comandava di provarci. Poi, però, vide un tronco marcio e cavo e, con la forza della disperazione, lo raggiunse e ci si tuffò di testa dentro. Lo smilodonte ficcò la zampa dentro per artigliarla, ma non fece in tempo. Chloe, allora, strisciò fino al centro del tronco lungo e snello per accertarsi di essere fuori portata. Ma il felino dai denti a sciabola balzò su di esso e iniziò a colpire la corteccia con potenti artigliate. Terrorizzata, Chloe si girò sul dorso e vide la zampa del felino aprire uno squarcio nel legno. I loro sguardi si incrociarono e la ragazza ebbe l’impressione di morire di paura. Facendo le fusa dall’appetito, lo smilodonte fece per allargare il buco, ma poi si bloccò e tornò il silenzio. Il mammifero si guardò intorno con aria sospettosa, annusando l’aria. Tornò a fare le fusa per un secondo, poi scappò, con grande costernazione di Chloe. Non fidandosi, la ragazza attese ancora per diversi minuti stando immobile nel tronco, fissando il cielo azzurro che si vedeva dal buco nella dura corteccia. Ma poi, visto che non succedeva niente, decise che non poteva stare lì per sempre e strisciò fuori. Tuttavia, appena si alzò e si scrollò le schegge di dosso, capì di aver fatto una stupidaggine: sentì lo stesso, lugubre ringhio di prima dietro di sé. Col cuore sul punto di avere un infarto, si voltò e rimase a bocca aperta: di fronte a lei, a guardarla con aria affamata, c’era un enorme teropode dal muso affusolato, piccole corna simili a quelle del carnotauro e la pelle grigia ricoperta quasi del tutto da un soffice piumaggio bianco,che era rosso sulla testa e sulla coda e nero lungo la spina dorsale. Era uno yutiranno, il dinosauro piumato che con il suo assordante ruggito era capace di imitare il richiamo di altre specie e di terrorizzare qualunque creatura. Dopo un secondo, lo yutiranno emise un urlo così forte che la ragazza dovette tapparsi le orecchie: lo stesso dannato ruggito che aveva provocato la valanga facendo eco.

“Merda!” pensò Chloe, prima di rimettersi a correre.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > ARK: Survival Evolved / Vai alla pagina dell'autore: Roberto Turati