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Autore: TaliaAckerman    31/08/2019    0 recensioni
L'ultimo atto della saga dedicata a Fheriea.
Dubhne e Jel si sono finalmente incontrati, ma presto saranno costretti a separarsi di nuovo. Mentre la minaccia dal Nord si fa sempre più insistente, un nemico che sembrava battuto torna sul campo di battaglia per esigere la sua vendetta. Il destino delle Cinque Terre non è mai stato così incerto.
Dal trentaquattresimo capitolo:
"Dubhne si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e ricordò quando, al suo arrivo a Città dei Re, l'avevano quasi rasata a zero.
- Quando ero nell'Arena... - mormorò - dovevo contare solo su me stessa. Un Combattente deve imparare a tenere a bada la paura, a fidarsi solo del proprio talento e del proprio istinto. Non c'è spazio per altro.
Jel alzò gli occhi e li posò su di lei - E che cosa ti dice ora il tuo istinto?
- Sopravvivi. "
Se volete sapere come si conclude il II ciclo di Fheriea, leggete!
Genere: Azione, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'II ciclo di Fheriea'
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[EDIT: Non sono riuscita a risolvere un problema nel layout del capitolo, come noterete leggendo, ma ho preferito postarlo comunque per non ritardare nella pubblicazione. Nei prossimi giorni cercherò di mettere tutto a posto.]








39








Quando giunsero in prossimità di Amaria, Gala impiegò diversi istanti a capire cosa fosse accaduto: i sobborghi della città erano stati quasi completamente ridotti in macerie. Colonne di fumo si alzavano ancora oltre le mura quasi completamente distrutte, ma gli scontri tacevano. Questo poteva significare solamente due cose: che fosse in corso una tregua o che la battaglia fosse conclusa. Non c'erano spie, per il momento, che potessero rivelare qualcosa sull'esito.
Quando però, avanzando ancora, la legione di sopravvissuti alla battaglia del Santuario ebbe modo di scorgere anche le tende dell'accampamento delle Cinque Terre ancora integro, fu chiaro che i Ribelli dovessero aver avuto la peggio o, almeno, che fossero nella condizione di necessitare una tregua.
Il padiglione del Re si stagliava in lontananza, con i vessilli color ocra della Corona che sventolavano sotto le onnipresenti raffiche di vento.
Ma sguardo di Gala spaziava altrove, del tutto indifferente al campo degli alleati; sui resti delle mura, sui cumuli di macerie si scorgevano le figure stilizzate di decine di soldati in piedi o seduti. Uomini delle Cinque Terre, probabilmente. E poi i cadaveri, infinitamente numerosi, inconfondibili.
La strega rabbrividì, sentendo le gambe stanche che rischiavano di cedere sotto il peso della paura che fra loro vi fosse anche Jel.
Non è morto, no, io... l'avrei sentito, l'avrei saputo...
Dubhne camminava pochi metri dietro di lei. Aveva percorso quasi l'interezza della strada che separava il Santuario dalla capitale Nordica praticamente aggrappata a Caley, colui che era stato il secondo di Jack. Era stato lui a strapparla dal corpo senza vita del comandante ariadoriano.
Dubhne non aveva urlato. Non l'aveva colpito o insultato. Non aveva emesso un un suono che non fosse il disperato susseguirsi di singhiozzi incontrollati. Si era semplicemente rifiutata di lasciarlo andare. Con le guance interamente rigate dalle lacrime, si era tenuta stretta al suo corpo, il volto affondato nell'incavo della sua spalla. Quando alla fine l'uomo era riuscito a separarla da lui, la Combattente si era afflosciata all'improvviso, come se la stanchezza e il dolore folle l'avessero ridotta così esausta da privarla anche dell'ultimo briciolo di forza che possedeva. Caley le aveva avvolto la vita con le mani e con una delicatezza inattesa se l'era caricata in braccio, portandola via.
A colpire Gala era stata la sua espressione. Non una lacrima aveva rigato il suo volto - un soldato come lui non se lo sarebbe mai permesso - ma nei suoi occhi la ragazza aveva letto un cordoglio tacito e indescrivibile.
Quel ricordo fu interrotto improvvisamente dall'arrivo di fronte a loro di un giovane a cavallo: si trattava di Cliff, l'attendente personale del Re del Cinque Terre, giunto per portale loro la notizia che tutti avevano già intuito.
- Miei signori, la battaglia è vinta - proferì in tono concitato. - La Strega Rossa è morta. I Ribelli rimasti sono confinati nella Città Vecchia ma non dureranno a lungo. I negoziati per la pace stanno per iniziare.
Un mormorio percorse gli ascoltatori. Gerd Raenys, che nonostante la stanchezza e le ferite aveva mantenuto un portamento dignitoso, si limitò ad asserire: - Facci strada, Cliff - mentre un lampo attraversava i suoi occhi.
Il giovane fece per girare il cavallo e ripartire, ma Gala gli si era avvicinata e lo afferrò per un braccio sollevandosi in punta di piedi. 
– Il Consigliere Jel Cambrest – disse in un soffio. – È vivo? Ha fatto ritorno?
Dava per scontato che avesse preso parte alla battaglia. Fu per questo che, almeno inizialmente, la risposta dell’attendente la stupì.
– Non era previsto che il generale Cambrest fosse coinvolto nei combattimenti…
Il sollievo stava già per avvolgerla in un abbraccio rassicurante, quando comprese che Cliff non aveva ancora finito di parlare.
– … ma ha disubbidito agli ordini del generale Fánersan. Si è precipitato in città dopo la discesa in campo della Strega Rossa. Non è tornato, almeno per il momento. Fu come se il terreno si fosse spalancato sotto i suoi piedi, facendola sprofondare nell'oscurità. Se quanto sosteneva Cliff era veritiero, c'era un solo motivo per cui Jel poteva non essersi riunito agli altri generali...
Una volta che si furono avvicinati ulteriormente, il manipolo di Consiglieri sopravvissuti - Raenys e la sua compatriota Lenka Birthenson, più il Consigliere del Bianco Reame Adem Læris - puntò dritto sul padiglione reale guidato dall'attendente a cavallo, ma Gala decise arbitrariamente che le proprie priorità fossero altre, in quel momento.
Ignorando gli sguardi interrogativi che gli altri sopravvissuti le rivolsero, si mosse con passi decisi alla volta della città. Quando le sagome dei cadaveri presero a farsi più nitide davanti a lei, la ragazza prese a correre. Si fermò solamente quando ebbe raggiunto le prime macerie del muro difensivo.
– Jel! – chiamò cercando di modulare il respiro. – Jel Cambrest!
Molti uomini alzarono gli occhi su di lei con fare stupito: cosa ci faceva una ragazzina di quell’età fra le macerie di una città distrutta?
Gala li ignorò. Non sapeva nemmeno da dove cominciare. Il suo amico poteva essere ovunque.
Non mi interessa, ringhiò fra sé e sé. Controllerò ogni fottuto angolo della città pur di trovarlo.
Le era già capitato una volta di aggirarsi in mezzo a un folla di sconosciuti chiamando a gran voce il nome delle persone che cercava: era stato a Città dei Re, circa un anno prima, quando lei e Jel erano sulle tracce di Peterson Cambrel e Malcom Shist. Ma quella volta erano stati fortunati: i due padroni di Combattenti erano delle celebrità, tutti nella capitale li conoscevano; era bastato incappare in qualcuno abbastanza gentile da fermarsi a fornirgli un’indicazione.
Anche se Jel era stato investito del ruolo di generale della terza armata coinvolta nell’assedio di Amaria, Gala dubitava che la maggior parte dei soldati fosse in grado di associare quel nome al suo volto.
– Jel! – ripeté ancora più forte. – Jel, dove sei?
Stava solamente perdendo tempo. Se davvero voleva essere sicura di aver fatto tutto il possibile per trovarlo, avrebbe dovuto controllare ogni singolo cadavere riverso a terra. O almeno, tutti quelli che avrebbero potuto assomigliare a lui.
Non avrebbe saputo dire per quanto tempo fosse rimasta a vagare fra le macerie e i manipoli di soldati che si leccavano le ferite… mezz’ora, ore, anni; ma i suoi occhi erano ormai pieni di lacrime e il cuore velato dal sentore dell’inevitabile quando udì, poco distante da lei, un soldato raccontare con voce concitata: - Ve lo posso giurare, io li ho visti! Stavano combattendo proprio qui, e poi sono scomparsi! Mi sono arrampicato su quello che restava delle mura e li ho visti che si affrontavano nella pianura.
- La Strega Rossa non affronta proprio nessuno – lo contestò un altro guerriero, scettico. – Travolge chiunque si trovi davanti prima ancora che abbia il tempo di pronunciare il suo nome.
– Pensi che sia un bugiardo?
- No, ma nel mezzo di una battaglia è facile prendere fischi per fiaschi…
- Se non ti fidi di me, peggio per te – commentò il primo uomo indignato. – Io so che cosa ho visto.
– Se Duvan mente, dov’è lei adesso? – si intromise un terzo.
– Per me se l’è battuta quando ha capito che non potevano vincere contro le Cinque Terre…
Ma Gala aveva sentito abbastanza. Il soldato aveva indicato un punto oltre le mura alla sua sinistra. Nessuno sarebbe stato così folle da affrontare Sephirt in un faccia a faccia e, per giunta, rimanere vivo quel tanto bastasse a definire lo scontro come tale. Si trattava di Jel non c’erano dubbi. La cosa peggiore era che non avrebbe saputo dire se la notizia la facesse sentire meglio o peggio.
Si arrampicò fra i vari blocchi di pietra divelti fino a issarsi su quella che era stata la sommità del muro occidentale. A quel punto aguzzò lo sguardo verso la pianura ma non riuscì a identificare niente di certo. Si scorgevano sagome scure sparse qua e là, nell’erba secca, ma poteva trattarsi di rocce, tronchi o arbusti. Jel e Sephirt dovevano essersi allontanati parecchio durante il loro scontro. Un minuscolo fiocco di neve si posò placidamente sulla punta del suo naso.
Gala saltò e attutì la caduta sul terreno rigido con un incantesimo. Fece mente locale per cercare di ricordare se conoscesse un incantesimo che avrebbe potuto aiutarla a ottimizzare i tempi della ricerca; non gliene venne in aiuto nessuno.
- Jel! – riprese a chiamare a pieni polmoni – l’aria fredda parve perforarglieli come lame affilate – muovendosi a tentoni in quel panorama desolato. – Jel, ti prego! Ti prego rispondimi!
Ma a risponderle furono soltanto i corvi, radunatisi in città per il loro macabro banchetto, e l’ululato del vento che aveva ripreso a soffiare. Uno degli uccelli neri, grosso quanto un Athros, le svolazzò accanto in direzione nord-ovest. Un solitario, pensò la ragazza.
Impiegò alcuni per capire ciò che poteva significare.
Temendo quello che la sua tetra guida avrebbe potuto mostrarle, la strega lo seguì. C’erano due masse scure ai limitari opposti del suo capo visivo. In breve si ritrovò a camminare fra fili d’erba riarsa, come bruciata. Un incantesimo, sicuramente.
Sephirt era quella più vicina. Gala le si avvicinò con una sorta di terrore reverenziale: stesa a terra in una posa stranamente aggraziata, gli occhi chiusi e la pelle nivea, sembrava una creatura innocua. Il corvo zampettava vicino al suo viso, forse indeciso su quale occhio cominciare a beccare. Gala lo cacciò via con un gesto deciso della mano.
Sephirt aveva la casacca squarciata all’altezza del petto; qualunque fosse l’incantesimo che l’aveva colpita, aveva perforato anche la cotta di maglia. Non recava segni di lacerazione: una macchia violacea si allargava sopra lo sterno, fra i seni e l’attaccatura del collo. Gala lo riconobbe come l’effetto di una folgorazione.
Impiegando forse più tempo di quanto sarebbe stato necessario – non aveva il coraggio di staccarsi da lei e andare a controllare il secondo corpo, non ce la faceva - appoggiò due dita sulla gola della strega, poi sul polso, e infine appoggiò un orecchio sul suo petto per sentire il cuore. Non udì nulla. Anche la prima volta era andata così, a Tamithia, dopo che Sephirt aveva ucciso Ftia. Tenne il volto accostato al suo corpo ancora per diversi lunghi istanti, ma non percepì nulla. La Strega Rossa era morta, quella volta per davvero. Jel l’aveva uccisa, ce l’aveva fatta. La notizia avrebbe dovuto rallegrarla, o meglio, farla esplodere di gaudio, ma non ottenne il risultato che in qualunque altro momento si sarebbe aspettata. In verità non si era mai sentita peggio. Non poteva più temporeggiare; se non si fosse precipitata da lui sarebbe impazzita.
È vivo, si disse rialzandosi. È vivo e tu lo sai. È soltanto svenuto. Basterà un incantesimo lieve e si sveglierà…
Percorse una decina di metri prima di riuscire a metterlo a fuoco. Non riconobbe il mantello che indossava, non era quello del Consiglio. Trovò che fosse bellissimo, e la cosa le spezzò il cuore, avvolto in quegli abiti così terribilmente eleganti, così terribilmente adulti.
Coprì di corsa gli ultimi metri che la separavano da lui e poi cadde in ginocchio a suo fianco, sollevandolo un poco e abbracciandolo con tutte le sue forze. Un fiume di lacrime che fino a quel momento si erano rifiutate di uscire inondarono le sue guance, bagnando anche il volto del giovane. La strega mormorò il suo nome fra un singhiozzo e l’altro, in una litania infinita che pareva da una parte una preghiera affinché si svegliasse, dall’altra un tentativo di esprimere tutto l’affetto e la gratitudine che non avrebbe mai smesso di nutrire verso di lui.
– Aiutatemi – balbettò in direzione della città, rivolta a qualche interlocutore invisibile. – Aiutatemi…
Non osava fare quanto aveva fatto con Sephirt. Non voleva essere costretta a sentire il vuoto e il silenzio nel suo cuore. Il suo amico. Suo fratello. L’uomo con cui aveva condiviso tutto. Lei e Jel, soli contro il mondo.
E insieme, noi salveremo il mondo, le venne in mente una frase che doveva aver letto in qualche romanzo d’avventura tanti anni prima. Alla fine Jel lo aveva salvato davvero.
Pianse fino a perdere sensibilità nelle mani per il freddo.
      

                                                                                ***


Hareis Von Hilsen firmò la resa quattro giorni dopo.
Davanti alla prospettiva che il fuoco delle Sei Pietre si abbattesse su quello che restava della sua città, l'uomo che aveva preso il posto di Theor alla guida dei Ribelli era stato costretto a capitolare.
Il Gran Consiglio si era fatto garante della tutela della popolazione civile da parte dell'Esercito delle Cinque Terre fin dall'inizio. A quello che rimaneva dei gerarchi della Ribellione era stata concessa una settimana per riflettere se accettare o meno di arrendersi, settimana in cui molti dei civili rimasti in Amaria avevano lasciato la Città Vecchia in un esodo cupo e malinconico. Ma non tutti: escludendo i pochi guerrieri rimasti in vita, anche alcuni comuni cittadini si erano rifiutati di andarsene, decisi a rimanere con i loro uomini, i loro figli o i loro eroi fino alla morte. Era anche per questo che il Re delle Cinque Terre era stato ben felice di accettare il documento di resa recapitato al padiglione reale da un giovane messo nordico.
Come stabilito nel trattato firmato prima dell'inizio dell'assedio, il grosso delle truppe delle Cinque Terre rimase stanziato al di fuori delle Città Vecchia, mentre l'alto comando e i membri del Consiglio fecero il loro ingresso trionfale attraverso il portone che separava il centro storico dai sobborghi per poi prendere alloggio nei vari palazzi che si trovavano presso la reggia di Amaria, evitando di occupare la residenza della famiglia Vanyana in segno di rispetto.
Ridefinire l'assetto politico delle Terre del Nord e, in un certo senso, decretarne il destino, sarebbe stata una strada lunga e complessa.
Venne predisposta anche una nuova infermeria per i feriti di alto rango, un locale ampio dalle finestre alte e sottili collocato in un palazzo poco distante dalla piazza centrale. Jel Cambrest, come molti altri, venne portato lì.
Nei giorni successivi al suo capezzale presenziarono le più svariate figure di spicco delle Cinque Terre: i maestri ancora in vita - Raenys, Ellanor, Eloas - Lady Brinn Kaief e alcuni consiglieri dello Stato dei Re, svariati Lord del Nord , persino il generale Marat.
C'erano testimoni che giuravano di averlo visto combattere contro la Strega Rossa dentro e fuori dalle mura, anche se nessuno poteva affermare con certezza di aver assistito al termine dello scontro.
Gala, sempre presente a fianco del giovane ancora in stato di incoscienza, ascoltando brandelli delle loro conversazioni aveva dedotto che, se mai si fosse svegliato, Jel si sarebbe trovato appuntato alla casacca diverse medaglie.
Per quanto riguardava Dubhne, la ragazza non si era fatta vedere né vicino a Jel né nei dintorni, almeno finché una mattina Gala non scorse la sua figura uscire in fretta dal portone del palazzo in cui si trovava l'infermeria.
Era presto e il sole aveva appena iniziato a gettare i suoi raggi per le vie di Amaria. Per la prima volta da quando il Consiglio si era stanziato nella Città Vecchia, Gala aveva rinunciato a trascorrere la notte su una sedia a fianco del Consigliere: sotto l'insistenza di Portia, strega che aveva preso ad interim il posto di Anérion come maestro dello Stato dei Re, la ragazza aveva occupato una confortevole stanza del palazzo in cui la maggior parte dei Consiglieri alloggiava.
Era sicuramente passata a trovare Jel.
Mentre la guardava venire verso di lei a capo chino, Gala pensò che Dubhne avesse un aspetto brutto almeno quanto doveva essere il proprio. Le tumefazioni che coprivano parte del suo volto erano nulla in confronto all'aspetto esangue e ai segni delle unghie che doveva essersi ripetutamente conficcata nelle guance in quei giorni.
Quando fu abbastanza vicina da accorgersi di essere osservata, la ragazza alzò gli occhi su di lei: erano screziati da venature rossastre e conferivano al suo sguardo una desolazione che raramente aveva visto riflessa in altri.
Notò che portava sulle spalle una sacca di cuoio piuttosto ingombrante.
- Te ne vai? - chiese sconcertata.
La Combattente non tentò nemmeno di negare. - Non c'è niente per me qui.
Fece per riprendere a camminare e oltrepassarla ma Gala, quasi senza rendersene conto, le afferrò di scatto una spalla per bloccarla.
- Senti... io non so cosa sia successo esattamente tra te e Jel, ma non puoi abbandonarlo così. Lui ha bisogno di te.
La giovane donna si divincolò senza troppa convinzione.
- È inutile che sprechi il tuo tempo - disse con voce spezzata. - Non so dove andrò, non so nemmeno se domani sarò ancora viva. Ma non posso restare qui. Tu non puoi neanche immaginare quello che ho perso. Vedere morire anche Jel di certo non mi aiuterà.
- Abbiamo perso tutti qualcuno - mormorò Gala.
- Non così.
La Combattente le passò accanto senza aggiungere altro, e lei non ebbe la forza per cercare di trattenerla oltre. Perdere Jack doveva essere stato più che perdere un semplice comandante, o un amico. Il rapporto fra loro doveva essere stato davvero unico. In fondo, capiva che la ragazza desiderasse solo andarsene. Dopotutto forse era meglio così. Qualunque cosa Jel provasse per quella strana ragazza, Gala era sicura che non sarebbe stato corrisposto come avrebbe voluto.
Si rese conto solo in ritardo che Dubhne, dopo aver mosso qualche passo nella direzione opposta, si era fermata. La strega la guardò stupita: i suoi occhi erano pieni di lacrime.
- Gala, se dovesse svegliarsi... - proferì. - Digli che mi dispiace.


                                                                                ***


Con la gola secca, Gala oltrepassò la soglia dell'ampio locale in cui si trovavano le cucine dell'antica caserma destinata ad accogliere le guardie cittadine di Amaria.
Gli ultimi giorni erano stati un susseguirsi di paura, nausea e insonnia. Le veglie infinite davanti al capezzale di Jel erano state interrotte solo da sporadiche riunioni e ancora più rare passeggiate per dare un po' d'aria fresca ai polmoni. Solo ora la ragazza era riuscita a trovare il coraggio - e il tempo - per pensare alla morte di Jack e all'obbligo che sentiva gravare sulle sue spalle: darne la notizia a suo fratello Nigel. Era stata così presa dalla sorte di Jel da non riuscire a pensare a nient'altro - persino la sorte degli ultimi Ribelli rimasti non aveva suscitato in lei più di un vago interesse - ma alla fine l'affetto che nutriva verso Nigel e la riconoscenza che ancora la legava al comandante Cox si erano fatti sentire.
Certamente se Nigel non era uno sciocco doveva aver già intuito la verità nel non vederlo tornare, ma lasciargli quel minimo di speranza del contrario era quanto di più ignobile si potesse infliggere a chi attende il ritorno di una persona cara. Lei, Gala, era stata presente e sapeva come erano andate le cose. Nessun altro si sarebbe scomodato a dirlo a lui, un umile cuoco, per cui l'avrebbe fatto lei.
Nigel stava in piedi proprio in fondo alla cucina semi deserta, intento a scrostare il fondo di un enorme pentolone, la gamba di legno nascosta da un paio di calzoni. Se non lo si guardava con attenzione non si sarebbe notata l'assenza dell'arto. Gala deglutì.
È solo un'altra ferita. Una delle tante. Devi farlo.
- Nigel.
Il ragazzo non si voltò; in verità non diede proprio segno di essersi accorto della sua presenza. Sarebbe potuto sembrare un bambino viziato in preda a un capriccio, ma Gala sapeva riconoscere quei sintomi e distinguerli da una sceneggiata. Sapeva molto bene come ci si sentiva nei giorni successivi alla perdita di una persona amata. Peggio ancora, sapeva cosa significasse crogiolarsi in quel dolore sospeso, quando la sorte è già segnata e il cuore in lutto, ma un fato beffardo nega anche il vago sollievo della certezza.
- Nigel, devo parlarti.
- Ti sei ricordata di me, alla fine - constatò lui dopo qualche secondo.
Non essere sciocca, Gala. Sai quant'è difficile... Avrebbe avuto un milione di giustificazioni pronte da snocciolargli, e tutte valide. Ma non era lì per intraprendere un'altra tenzone.
- È per Jack - respirò profondamente. - So che avrei dovuto dirtelo prima, e mi dispiace tanto. È morto nella battaglia del Santuario.
Per un attimo temette che Nigel si voltasse di scatto e le scagliasse contro l'arnese con cui fino a un attimo prima aveva raschiato il fondo della pentola, perché un fremito lo aveva attraversato. Invece il giovane continuò a tacere.
Gala fece un passo in avanti.
- Nigel, io...
- È tutto?
Il suo tono secco, quasi gli avesse fatto un torto nel portargli la notizia, la ferì appena. Avrebbe voluto poter fare qualcosa per consolarlo, ma sarebbero stati tentativi talmente deboli e poco convinti da non valere il tempo di nessuno dei due. È solo un'altra ferita.
- Addio, Nigel - disse solamente voltandogli le spalle.
Per un attimo, un attimo breve di caparbia vitalità, sperò che il giovane le corresse dietro e la fermasse, che scoppiasse in lacrime o che la baciasse, che facesse qualunque cosa ma durò poco. Nigel rimase fermo dov'era e lei se ne andò senza più dire una parola.



Jel era ormai privo di sensi da più di una settimana quando il Consiglio decise di convocare il custode Ryeki.
L'anziano mago, magro ed emaciato, venne prelevato dalla cella in cui aveva trascorso gli ultimi giorni e condotto di fronte alla brandina su cui il giovane giaceva. Sarebbe potuto apparire perfettamente innocuo, persino fragile, ma era un'apparenza ingannevole: l'intero Consiglio era al corrente che la Strega Rossa era stata, in un certo senso, una sua creatura.
Nell'infermeria erano presenti, oltre a Gala, anche Ellanor, Raenys, Portia e il Consigliere capo dello Stato dei Re, Flavis.
- Abbiamo chiesto aiuto ai nostri guaritori migliori - stava spiegando quest'ultimo rivolto all'Uomo del Nord. - I maghi più esperti del continente nel campo degli incantesimi curativi. Esper Joans in persona, guaritore personale del Re delle Cinque Terre, ha provveduto a sanare la ferita al cuore. Il Consigliere è vivo, ma non paiono esserci miglioramenti nelle sue condizioni.
Gala rimase in silenzio ad osservare il custode chinarsi su Jel e appoggiare il palmo della mano destra sulla sua fronte. La sua espressione era concentrata mentre chiudeva gli occhi e cominciava a mormorare parole in una lingua incomprensibile. Ad un tratto alla strega parve di vedere un fremito attraversare il volto disteso del giovane, ma immediatamente si disse che doveva esserselo solamente immaginato. Comunque stessero le cose, non ci furono altri segni di vita.
- Dunque? - domandò Flavis con una traccia di impazienza nella voce, mentre Raenys ed Ellanor continuavano a tacere.
- Riguardo i traumi fisici, il vostro guaritore ha svolto un lavoro ineccepibile - sentenziò Ryeki a voce bassa. - Il tessuto cardiaco è perfettamente intatto, come non fosse mai stato perforato. Una ferita come quella avrebbe dovuto ucciderlo in pochi minuti; ma se davvero, come sostenete, il giovane era ancora vivo nel momento in cui è stato praticato l'incantesimo di guarigione, non ci sono ragioni fisiche per cui possa essere in pericolo di vita.
- Lo sappiamo - asserì Ellanor prendendo per la prima volta la parola. - È esattamente per questo motivo che ci siamo rivolti a voi. Joans ha ipotizzato che sia stato un eccessivo dispendio di energia magica a ridurlo in questo stato. È possibile?
- È l'unica spiegazione plausibile - confermò il custode annuendo. - Ma in questo caso non c'è molto che chiunque di noi possa fare. Dipende tutto da lui - e con un lieve cenno indico il mago addormentato. - La sua mente è viva, nascosta da qualche parte, rintanata in meandri ai quali non ci è possibile accedere. Finché non arriverà il momento, se arriverà, non si sveglierà.
Quelle parole aleggiarono sulla piccola compagnia lì riunita come una nefasta predizione. Per qualche istante nessuno parve avere nulla da replicare.
Tutto qui? fu tentata di incalzarlo Gala. Il più saggio mago delle Terre del Nord, e tutto ciò che era in grado di fare era una diagnosi inutile?
Evidentemente le cose stavano davvero così.
Rimase a guardare con una punta di disperazione mentre i tre maestri, più Flavis, voltavano le spalle al letto di Jel e si dirigevano verso l'ingresso dell'infermeria, dove due uomini delle Cinque Terre attendevano in silenzio con le spade nel fodero di riaccompagnarlo in cella.
Poco prima di uscire, la ragazza vide Ryeki protendersi leggermente verso Raenys e proferire qualcosa a bassa voce. L'espressione del maestro della nazione di Tharia fu tutto fuorché incoraggiante.
Gala tornò a fissare il viso di Jel mentre una lacrima si staccava dalle sue ciglia rigandole la guancia. Il custode Ryeki aveva ragione: il suo amico era lì da qualche parte, in un luogo che lei non poteva raggiungere.
Non avrebbe saputo dire in seguito quanto fosse rimasta lì seduta con i gomiti appoggiati sul materasso prima che la sua testa ricadesse sulla superficie morbida, addormentata.
Quando si riebbe, le tenebre avevano già cominciato a scivolare lungo l'orizzonte. Attraverso le finestre dell'infermeria filtrava la luce rossastra del secondo tramonto. Speranzosa, la ragazza rivolse immediatamente lo sguardo sul volto di Jel, ma come tutte le altre volte non ci fu verso: il Consigliere rimaneva freddo e immobile.
Lo stomaco della strega gorgogliò; ripensandoci, era da almeno ventiquattr'ore che non metteva qualcosa sotto i denti. Avvertendo la testa ancora estremamente pesante abbandonò la propria fedele seggiola e si diresse verso l'uscita, non prima di aver rivolto un ultimo amorevole sguardo verso Jel, come ad assicurargli che sarebbe tornata presto. Lasciandosi alle spalle l'infermeria oltrepassò il punto in cui aveva incontrato Dubhne qualche giorno prima e si diresse verso il refettorio che era stato allestito poco distante. Era una mensa senza dubbio non raffinata come i manicaretti che la maggior parte dei Consiglieri era solita consumare anche in quei giorni tumultuosi, ma la sola idea di fare altrettanto le metteva la nausea. Non avrebbe speso un solo secondo più del necessario lontana da Jel.
Naturalmente i comuni soldati delle Cinque Terre o dell'esercito feudale ariadoriano non trovavano ristoro in quello stesso ambiente, il quale rappresentava una piacevole via di mezzo. Diverse mense da campo erano state allestite all'esterno della Città Vecchia.
La giovane strega estrasse da una tasca del mantello uno hire d'argento e lo consegnò alla guardia che, con aria svogliata, sorvegliava l'ingresso. Dopo aver atteso in fila il proprio turno ed essersi fatta servire una porzione di stufato di manzo, cercò un posto a sedere un po' appartato e vi si sistemò.
Non aveva mai provato tanta solitudine in tutta la sua vita.


                                                                                ***


A riunione conclusa, Gala si era alzata così in fretta che alcuni Consiglieri le avevano rivolto sguardi di stupore, alcuni al limite del disappunto. Mentre gli altri si attardavano come di consueto prima di uscire dall'ampia sala in cui la seduta si era tenuta, la ragazzina si era affrettata verso la porta e aveva percorso il corridoio adiacente di volata, prima di raggiungere il salone d'ingresso del palazzo reale di Amaria.
Ma non era nella reggia dei Vanyana che si trovava in quel momento: accompagnata da una spessa guardia cui si era presentata come una Consigliera a pieno titolo, stava scendendo l'angusta scalinata che portava al livello inferiore delle antiche prigioni della capitale nordica. Una volta arrivati sul piano, Gala gettò un occhio sulle celle che si aprivano davanti a lei: rispetto a quelle del piano superiore erano quasi vuote. Delle sei che riuscì a contare, solo quattro erano occupate, e mai da più di una persona. Nella più vicina la ragazza riconobbe Hareis Von Hilsen, seduto con la teta appoggiata al muro e gli occhi chiusi. Era lì che venivano tenuti i gerarchi della ribellione.
L'ambiente non era sudicio come quello in cui era tenuto il centinaio scarso di Ribelli sopravvissuti all'ultima battaglia, stipati chi al piano superiore di quello stesso edificio, chi in un magazzino adibito a prigione situato poco più a sud. Qui il pavimento non era in terra battuta ma di pietra; ogni cella disponeva di una brandina, coperte e un vaso da notte. Il corridoio era illuminato da numerose fiaccole assicurate alla parete opposta ai vani protetti da spesse inferriate.
Dirigendosi verso destra Gala scoprì che il corridoio continuava, collegandosi ad una scala che scendeva ulteriormente sotto terra. Percorrendola, si chiese come mai si fosse deciso di isolare il custode Ryeki in quel modo. Le celle del livello che si erano appena lasciati alle spalle erano state stregate con un incanto anti-magia, lo aveva riconosciuto all'istante. Come potevano aspettarsi che quel vecchio rappresentasse una minaccia?
Al piano inferiore c'era solamente una stanza.
- Cinque minuti - la avvertì la guardia mentre si accingeva ad infilare le chiavi nella toppa del portoncino che separava l'interno dal pianerottolo.
Gala lo ignorò ed entrò.
L'interno era più grande di quelli che aveva visto al piano di sopra; si sarebbe potuto dire assomigliasse più a una stanza che a una vera e propria cella. Avrebbe dovuto aspettarselo, in effetti: benché la sua partecipazione attiva alla Ribellione avesse fatto decadere il suo incarico di Custode, Ryeki rimaneva comunque una figura degna di rispetto. L'alone di sacralità che avvolgeva gli Alti come lui faticava a svanire.
Ma in quel momento non c'era cosa al mondo che potesse importarle di meno.
- Hai chiesto al Consiglio di poter usare con Jel la stessa procedura che hai usato su Sephirt - si scagliò contro di lui. - Come hai potuto pensare anche solo per un istante di mettere le tue luride mani su di lui?
Ryeki, che aveva alzato lo sguardo nel momento in cui l'aveva vista entrare, la fissò con qualcosa di simile allo stupore nello sguardo.
- Voi chi siete? - chiese dopo qualche secondo e, anche se non trapelava traccia di scherno nella sua voce, la domanda la fece andare su tutte le furie.
- Sono un membro del Gran Consiglio delle Cinque Terre - ringhiò la strega. - E sono venuta a dirti che, no, al Re non importa se vuoi riguadagnarti il suo favore trasformando il nostro Consigliere migliore in un cadavere che cammina. Per quanto mi riguarda niente di salverà dalla forca per aver utilizzato magia nera su un essere umano.
Contrariamente a quanto si sarebbe aspettata, sentendo quelle parole il vecchio non si scompose. Al contrario prese ad annuire con stampato in volto un sorriso bonario.
- Ma certo, la ragazza dell'infermeria - mormorò, come se nemmeno avesse udito il suo sfogo. - Ditemi, siete sua sorella forse? Che cosa vi lega a quel giovane?
Per un istante Gala ebbe la sgradevole sensazione che l'ex custode potesse leggerle nel pensiero, alla faccia della protezione anti-magia o di qualunque altra contromisura.
- Non sono affari tuoi - disse fra i denti.
- E così il Consiglio ha rifiutato la mia offerta... Non è vero? - proseguì Ryeki con la fronte aggrottata, e ora la preoccupazione era ben visibile sul suo volto. - Sì, mia cara, non nego di aver sperato che un mio contributo nel salvare il vostro nuovo... eroe - il tono con cui pronunciò quella parola per poco non indusse la ragazza a saltargli addosso - potesse migliorare in qualche modo il mio status, ma se questa è la decisione del Consiglio la accetterò. Forse la forca è davvero ciò che mi attende.
Gala era sconcertata. Non sapeva esattamente che cosa si fosse aspettata da quella conversazione, ma di certo non che il custode ammettesse così candidamente un tentativo così meschino.
- Sarete processato per aver riportato in vita una strega tramite la magia nera, oltre che per alto tradimento - asserì con voce incerta, anche se qualcosa l'aveva indotta a tornare a usare il voi per rivolgerglisi. - Pensavate davvero di poter scampare a una condanna ripetendo lo stesso abominio su un membro del Consiglio?
- Ormai non ho più nulla da perdere - rispose Ryeki, sempre con quella schiettezza disarmante. - Ho fatto le mie scelte e ho scelto di appoggiare la Ribellione. Non chiedo che voi possiate comprendermi.
L'anziano mago davanti a lei appariva quanto più umano potesse esistere. Non riusciva a credere che fosse stato lui a rendere Sephirt ciò che era diventata. Quando aveva scoperto che a farla tornare pressoché dal mondo dei morti era stato il custode di Amaria aveva immaginato una figura scheletrica e inquietante completamente corrotta dal male. Ora invece si ritrovava a conversare tranquillamente con lui come avrebbe potuto fare con qualunque Consigliere di basso rango. In confronto al custode Kryss, che pure aveva incontrato soltanto una volta, Ryeki appariva debole e rassegnato, qualcosa di molto distante dalla figura altera del custode di Città dei Re.
- Siete venuta qui ad insultarmi... - decretò l'uomo scrutandola attentamente. - Eppure penso che sia un altro il motivo per cui siete scesa fino in questo sotterraneo.
Legge davvero nel pensiero? si chiese la giovane sentendosi all'improvviso estremamente a disagio. Se davvero le cose stavano così, tanto valeva che dicesse la verità. E in ogni caso, Ryeki non aveva forse ragione? Dopo aver preso un lungo respiro, parlò.
- Avevo bisogno di sapere cosa è successo davvero a Jel.
- Molto bene. Non era così difficile, no? - il vecchio si alzò e prese a camminare in tono per la stanza. Non portava calzature. - Quando mi hanno chiesto di visitare il vostro amico Consigliere, ho subito capito che avrei avuto a che fare con qualcosa di estremamente inusuale. Come ho detto, la ferita al cuore avrebbe dovuto ucciderlo. Al contrario, Jel è riuscito a trovare le energie necessarie non solo per sopravvivere, ma addirittura per praticare l'incanto Waheis con successo, probabilmente uno dei più complessi e dispendiosi che esistano.
- Questo però non lo avete detto al Consiglio... - sussurrò Gala basita.
- Non sarebbe cambiato molto - spiegò il custode, come scacciando con un gesto della mano la sua obiezione. - L'incanto in questione non viene più insegnato ai giovani maghi da generazioni. Troppo pericoloso, la quantità di persone morte nel tentativo di praticarlo era troppo alta. In effetti, è quasi impossibile che possa averlo trovato in un comune libro di incantesimi. Soltanto alcuni volumi più vecchi legati alla Magia Antica ne recano ancora traccia, ma è improbabile che ne abbia consultato uno.
La giovane strega lo ascoltava senza fiatare: non capiva dove il custode potesse andare a parare.
- Quello che intendo dire è che due anomalie di questo genere sono troppo inusuali per essere delle coincidenze. Sopravvivere a una ferita mortale e praticare un incantesimo di cui quasi nessuno conosce l'esistenza...
- Jel è stato apprendista del custode Kryss per qualche mese - intervenne Gala, senza troppa convinzione. - È possibile che gli abbia insegnato qualche trucco particolare.
La notizia parve interessare parecchio Ryeki. - Israën Kryss ha accettato di prendere un allievo? - chiese stupito, prima di soggiungere fra sé e sé, senza guardarla: - Dunque è proprio come pensavo...
Gala era disorientata, ma quasi non osava domandare al custode di farle maggiore chiarezza. Aveva una paura terribile che quello che l'anziano mago le avrebbe rivelato potesse avere conseguenze ancora più nefaste di quanto già non lo fosse la situazione attuale.
Alla fine si fece coraggio e domandò con voce flebile: - Che cosa rende Jel così speciale?
- Cinque minuti! - rimbombò la voce del guardiano appena fuori dalla cella. Gala ignorò il monito.
Il custode sembrava soddisfatto dell'effetto che le sue parole aveva sortito su di lei. Per un folle istante la strega pensò che, in un ultimo atto di vendetta nei confronti di coloro che l'avevano imprigionato, Ryeki non le avrebbe detto più nulla lasciandola nel tormento e nel dubbio.
Ma si sbagliava, perché pochi secondi dopo egli riprese a parlare.
- Vedi - disse guardandola negli occhi - c'è una sola ragione per cui Jel Cambrest è sopravvissuto alla ferita che gli ha inferto Sephirt. Una ragione in grado di soddisfare anche tutti gli altri interrogativi che lo riguardano.
Cosa, cosa? Dimmi la verità!
- Credo che tu sappia, come ogni altro mago o strega, che ci sono persone che entrano maggiormente in contatto con la magia rispetto alle altre, persone in grado di percepirne la vicinanza come nessun altro, a volte senza nemmeno rendersene conto. Come Sephirt. Come me. Persone con cui la Magia che governa il nostro mondo instaura una sorta di dialogo, se capisci cosa intendo.
- Gli Alti - disse immediatamente Gala. - I custodi. Ma... - aggiunse disorientata - ancora non capisco che cosa possa c'entrare...
- Il tuo amico Jel è un Ves'dyn'doev, un toccato dalla magia. Se è rimasto in vita, è perché Essa ha deciso che fosse così. È vivo perché è destinato a diventare custode, un giorno.
La porta della stanza si aprì prima che la ragazza avesse il tempo di controbattere. La guardia sembrava decisamente irritata.
- Mia signora, sono spiacente ma adesso devo riportarvi di sopra. Il vostro tempo è scaduto. Sono gli ordini dei miei superiori.
Ma Gala era troppo frastornata anche solo per rispondere. Lasciò che il soldato, un po' goffamente a dire il vero, la incalzasse a uscire dalla cella. Mentre varcava la soglia, lanciò un ultimo sguardo al custode Ryeki, che era tornato a sedere con una strana espressione sul volto.
- Addio, mia giovane amica - disse ad alta voce. - Chissà se ricorderete la nostra conversazione quando il Consiglio dovrà deliberare della mia sorte...
La porta si richiuse e le sue parole vennero smorzate.
Accompagnata dalla guardia, ancora borbottante, Gala si lasciò alle spalle le segrete per riemergere in superficie.






  
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