Crossover
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Autore: Registe    02/09/2019    4 recensioni
Tredici guardiani. Tredici custodi del sapere.
Da sempre lo scopo dell'Organizzazione è proteggere e difendere il Castello dell'Oblio ed i suoi segreti dalle minacce di chi vorrebbe impadronirsene. Ma il Superiore ignora che il pericolo più grande si annida proprio tra quelle mura immacolate.
Questa storia può essere letta come un racconto autonomo o come prologo della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
[fandom principale Kingdom Hearts; nelle storie successive lo spettro si allargherà notevolmente]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anime/Manga, Videogiochi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 32 - Marluxia (IV)







Xemnas con le sue Lame Eteree





L’oscurità di rado è considerata un vantaggio. In ogni battaglia la luce del giorno è una benedizione per uno schieramento come per l’altro, e alla notte si delegano soltanto gli assalti che richiedono la segretezza più assoluta.
Si ricorre alla notte solo in caso di necessità.
Marluxia sorrise, muovendo il primo passo. La sottile grondaia non emesse nemmeno un cigolio.
In quel mondo in cui erano stati confinati la luce del giorno era un ricordo lontano. Il sole non era che una stella poco più evidente delle altre, e le figure che si muovevano sul tetto del Castello dell’Oblio erano macchie d’ombra nel nero più fitto.
A pochi metri da lui, la figura del Superiore seguì il suo movimento. “Ancora non riuscite a comprendere la gravità del vostro gesto?”
Nella notte, anche il più piccolo dettaglio può cambiare le sorti della battaglia. E i capelli chiari dell’uomo mandarono un sottile riflesso argenteo. “Vi avevo proibito di aprire quelle Stanze”.
“Eppure lo abbiamo fatto lo stesso, Superiore. E, come vede, stiamo benissimo. Anzi …”
Secche, asciutte. Le tegole verdi erano perfette. “Mai stati meglio”.
Il boato diversi piani più sotto sembrò dare forza alle sue parole.
Il piano di Vexen per fermare Saïx con un cerchio alchemico potenziato dallo Spirito gli era sembrata un’ottima idea. Andavano solo rallentati gli ultimi tre membri superstiti, ed aveva scelto il proprio bersaglio con la giusta sicurezza. A Larxen sarebbe andato benissimo qualsiasi bersaglio in grado di camminare, e uno scontro frontale con il licantropo era stato qualcosa che aveva assegnato ad Axel con un discreto piacere.
Il Superiore spettava a lui.
“I poteri del Castello devono rimanere sepolti”.
“Al contrario” rispose. Provò di nuovo il tetto, stavolta appoggiandosi più in alto. Mantenere l’equilibrio non era semplice, ma i suoi piedi si adattarono in pochi attimi. Proprio come delle radici.
“È il Castello a volerci come suoi nuovi guardiani. Come suoi nuovi padroni
Xemnas stavolta non si mosse. Anche al buio lo vide spostare il pedo prima su un piede, poi sull’altro, ma rimase nello spazio dove si era confinato sin dal loro primo scambio di battute. Trovandosi più in basso aveva un netto svantaggio, ma il Radigata sembrò non curarsene. Teneva le braccia incrociate al petto, anche se nel buio Marluxia non riuscì a vedere cosa stessero facendo le sue mani. “Il Castello non ha padroni, figlio mio. Ha solo custodi. Ma credo che questa sia solo una delle tante lezioni che ho fallito nell’impartirvi”.
Tutta l’insofferenza che aveva per quell’uomo patetico gli tornò a galla “Quanti altri membri della sua corte di giullari dovrò uccidere prima di levarle di bocca quel figlio mio, Superiore?”
“Nessuno”
Fu in quel momento che Marluxia realizzò di non aver mai visto combattere il Superiore. Né di sapere se avesse un’arma. In realtà era sempre stato piuttosto convinto che il vecchio Radigata viziato avesse una conoscenza delle armi relegata a qualche colpo di stocco nei cortili del Castello durante l’educazione nobiliare. Ma il modo in cui allargò le mani lo avvisò che l’uomo dai capelli chiari non sarebbe rimasto sulla difensiva.
Un guizzo di energia brillò tra le sue dita. “Innanzitutto perché nulla di ciò che potrai mai fare cambierà ciò che sei, n. XI. E soprattutto …”
L’aria gli si elettrizzò fino ai capelli sulla nuca, e decise di non rimanere a guardare.
“… perché io, Lexaeus e Saïx vi fermeremo”.
Marluxia chiamò la falce e la abbatté sul nemico.
Come previsto qualcosa ne bloccò la discesa.
L’aria intorno a lui mandò un odore forte, strano, come se parte della lama della propria arma si fosse scontrata con qualcosa di vivo più del fuoco. Non vi era la puzza di bruciato che accompagnava puntualmente tutte le esibizioni pirotecniche del n. VIII, piuttosto come se tutto lo spazio intorno a sé si fosse saturato di elettricità. Si spostò indietro, incuriosito, l’arma in avanti per parare.
Nella notte erano comparse due lame rosse lunghe quasi un braccio ciascuna. Non riusciva a vederne il metallo o la forma, ma la luce cremisi accecante sembrava essere la fonte del ronzio che gli attraversava la testa. Nonostante l’intensità della luce la sagoma del loro padrone rimaneva indistinta, così come il punto in cui le mani dell’uomo dovevano impugnare le armi.
Non aveva mai visto nulla di simile, nel loro mondo o altrove.
E non era molto sicuro di sapere cosa avrebbero fatto quelle strane spade contro la sua carne.
Lo caricò una seconda volta, stavolta con la lama all’altezza del ventre. Il Superiore, come previsto, parò il colpo. Marluxia testò il metallo della falce con attenzione, lo sguardo più attento alle flebili scintille dell’impatto che non alla vera posizione del suo nemico.
La sua arma poteva reggere l’impatto di quelle strane spade per diversi colpi, ma non era certo che potesse proteggerlo in eterno, almeno a giudicare dai segni scuri apparsi sulla lama rosa.
“Anche se non pensavo che si sarebbe scomodato per noi vili traditori …”
“Come anche tu sai, n. XI …”
La voce del Radigata sembrava molto meno autoritaria di pochi istanti prima “… i problemi della famiglia vengono prima di tutti”.
Con un terzo, preciso assalto, Marluxia mosse la falce dal basso verso l’alto. L’avversario incrociò le lame in avanti e parò, ma l’obiettivo del principe non era quello di entrare nelle sue difese. Come il campione di suo padre, Sir Kelvin, adorava ricordargli durante gli allenamenti, la prima regola era conoscere la forza del proprio avversario e la sua potenza.
La parata del Radigata era stata energica, e a discapito dell’aspetto sempre idiota e trasecolato era stata compiuta con la velocità di un uomo anche di dieci anni più giovane. Le sue lame sembravano eteree, eppure riuscivano a sostenere il peso della falce ed a spostarlo nella direzione che volevano con uno sforzo decisamente inferiore alle aspettative. Marluxia sferrò due attacchi di lato con maggiore velocità, ed il nemico li deflesse.
Poi il Superiore passò al contrattacco.
Marluxia si mantenne in equilibrio quando l’altro fece tre passi in avanti, entrando nella sua area. La luce delle spade per un attimo fu più intensa, e sentì gli occhi bruciargli, fissi sull’unico punto di riferimento in quell’oscurità; parò immediatamente l’attacco portato con il braccio destro, respingendolo, ma la seconda lama fu molto più veloce del previsto e la sentì nello spazio della propria guardia. Si ritirò dalla propria posizione e con un salto si spostò su una delle torrette adiacenti.
Anche al buio si accorse che parte della tunica all’altezza del petto aveva uno squarcio carbonizzato.
“Non riesco a comprenderti, n. XI”
Il Radigata si portò fin sulla grondaia, con la punta degli stivali che quasi oscillava nel vuoto. Le spade erano ancora accese, come se volesse farsi vedere di proposito. “Anzi, non riesco a comprendere nessuno di voi. Dove vi porterà questo complotto, ditemelo”.
“Lontano, Superiore”
Rivide la gente che camminava per le strade di Autozam, ed i loro veicoli volanti. Gli alchimisti vestiti di blu che fendevano gli Heartless senza paura.
Il potere dello Spirito del Castello dentro di sé, lo stesso potere che persino i demoni del Grande Satana guardavano con timore. “Più lontano di dove un piccolo uomo come lei potrà anche solo immaginare di andare. Persino il Castello è disgustato dalla sua ottusità”.
La magia delle Stanze della Memoria iniziò ad entrargli dentro. Poteva sentirla fluire ovunque, sulle mura, sui tetti, come la linfa dentro un albero stanco di un inverno durato migliaia di anni. Passava vicino ai suoi compagni ed intorno ai nemici che si susseguivano nei piani inferiori, ma era diretta verso di lui.
Il Castello bramava la primavera, e lui ne era il fiore preferito.
“Addio, Superiore”.
Non ebbe nemmeno bisogno di chiederlo o di immaginarlo. L’oscurità che li circondava era come una cappa sui suoi poteri, ma stavolta non era la propria magia a chiedere di essere scatenata.
Iniziò dai suoi piedi, poi dagli stivali. Camminò tra le tegole verdi delle torri, una dopo l’altra, sottile come una ragnatela che si dipanava lungo le pareti, le grondaie ed i balconi, un palmo alla volta.
Si muoveva nel buio più totale, e chiedeva solo al suo cuore di alimentarla, di battere e sentirne la forza alla sua più totale disposizione. La magia da una divenne dieci, poi cento, poi una distesa maggiore di quanto egli stesso riuscisse a contare.
Sbocciarono da ogni singola fessura.
I semi assorbirono l’intera magia del Castello, e nel tempo di un battito d’occhi il tetto fu invaso da un immenso roseto.
Il Superiore si voltò e tranciò un ramo carico di spine che saettava nella sua direzione, ma nel farlo fu costretto a dargli le spalle. Marluxia si caricò della forza del Castello e saltò in avanti, e atterrando sul cornicione assestò un colpo con tutta l’energia in corpo. La falce, però, perse l’obiettivo quando gli strali oscuri di un portale avvolsero l’uomo e lo portarono via; l’arma calò soltanto sulle proprie rose, che si riformarono pochi istanti dopo essere state danneggiate.
Sentì di nuovo il sottile vibrare del portale oscuro, stavolta a diversi metri di distanza tra lui. Ci fu il ronzio delle lame eteree, ed altre piante furono spazzate via.
“Ho commesso molti errori di giudizio nei tuoi confronti, figlio”.
Marluxia diresse una nuova ondata di spine nella sua direzione, ma dopo averle respinte con un paio di movimenti l’uomo spense le spade.
Si ritrovò a fissare il punto dove si trovava, entrambi gli occhi ancora troppo abituati alle lunghe sagome rosse per accettare che fossero svanite. Strinse le palpebre, ma la notte lo aveva divorato. “Zexion mi aveva avvisato del tuo odio. Della tua ambizione. Di ciò che stavi facendo sbocciare dentro di te. Ed io l’ho ignorato”.
Si accorse che la voce si era spostata.
Sul tetto del Castello, in mezzo alle torri, la voce del suo avversario gli giunse distorta, come un’eco. Si voltò a destra, sicuro che venisse da oltre l’ala sovrastante la biblioteca, ma i suoi occhi non colsero nessuna luce rossa, né un guizzo dei capelli chiari.
“Ho nascosto la nostra famiglia alla vista dei demoni per questi anni. Eppure, se mi avessi chiesto di andartene, avrei accettato. Con la morte nel cuore, ma avrei accettato” disse.
Un secondo fruscio, stavolta alle sue spalle “Ma hai preferito restare”.
Col un colpo secco Marluxia affondò la falce alle proprie spalle. Trovò soltanto i suoi stessi rampicanti.
“Tutti voi avete preferito restare”.
Ruotò la falce tutt’intorno al corpo, un unico cerchio che per pochi istanti segnò il vuoto intorno a lui. Non trovò assolutamente nulla. Appoggiò una mano ad una delle rose, chiedendo al Castello di aiutarlo, ma fu costretto a ritirarla quando un raggio rosso saettò dal buio e carbonizzò il tronco proprio nel punto in cui aveva posato le dita. L’aria mandò un secondo ronzio, e con un salto evitò un secondo ed un terzo raggio che esplosero proprio dove l’istante prima si trovavano i suoi stivali.
L’aria intorno a lui divenne rossa.
Decine di raggi iniziarono a piovergli addosso, a battere i tetti senza sosta. Ne deflesse una decina con la falce, ma uno superò le sue difese e lo colpì alla gamba sinistra. Sentì un bruciore intenso, come se Axel avesse deciso di incendiarsi la mano e afferrargli il polpaccio subito dopo; si alzò l’odore di qualcosa di bruciato, e se la sua falce non avesse avuto una lama così estesa un secondo raggio lo avrebbe colpito al petto. Estese la mano, sapendo di dover ricorrere ad un portale per teleportarsi lontano, ma nel momento esatto in cui l’oscurità magica si spalancò di fronte al suo palmo essa sembrò torcersi su se stessa, poi diventare di un rosso sospetto.
I raggi rossi uscirono dal suo stesso portale. Marluxia richiuse l’incantesimo con tutta la velocità possibile, ma uno dei colpi sfuggì al suo controllo e gli saettò tra il collo e la spalla.
Dall’orecchio un dolore lo attraversò fin dentro la testa. Resistette all’istinto di portarsi una mano al lato ferito e strinse il manico della propria arma con tutte le forze che aveva in corpo.
Le rose gli gridavano dentro la testa, dentro il suo stesso corpo. I colpi luminosi continuavano a cadere, incenerendole; cercò di comprendere la quale punto originassero, ma ogni raggio sembrava provenire da un punto diverso del cielo, o da dietro una torre o un davanzale. Era una forma di magia lontana dai loro elementi, ma la testa sembrava sul punto di esplodergli e cercò di difendersi il più possibile, concentrandosi sul restare in equilibrio.
Provò a riaprire un portale, sperando in un errore dell’avversario, ma lo chiuse nel momento in cui i primi punti rossi comparvero nell’oscurità.
“Un trucco che mi ha insegnato Xigbar. E io che ho sempre pensato che esagerasse quando si trattava di difendermi”.
Comparve nel bel mezzo dell’esplosione luminosa. I raggi delinearono un contorno rosso, infiammato, lungo le forme della tunica, ed entrambe le lame si incrociarono all’altezza del viso del n. XI, che fu costretto a puntellarsi sul manico dell’arma per non cedere alla forza dell’attacco. “Senza l’inganno non avreste mai sconfitto un guerriero del suo livello”.
Entrambe le armi smisero di attaccarlo frontalmente e puntarono alla sua guardia. Marluxia parò più di cinque fendenti in rapida sequenza, ma l’arco disegnato dalla sua falce non intimidiva l’avversario che continuava ad incalzare. Chiese energia al Castello, e dopo aver puntato i piedi percepì più forza nelle braccia. L’altro non si aspettava chiaramente quella risposta, e il n. XI corse al contrattacco.
Sotto di loro, in corrispondenza della sala dei troni, il ruggito Saïx scosse persino le pareti. Il Superiore parò un altro colpo, ma nella luce delle sue stesse armi Marluxia notò lo sguardo del Radigata spostarsi verso il basso.
Qualunque fosse il motivo per cui il licantropo avesse lanciato quel verso disumano doveva approfittarne. “Cadrete uno dopo l’altro, Superiore. È stato il suo adorato Castello a decretare la vostra condanna a morte”.
Disegnò con la falce un cerchio di fronte a sé, spostando il peso verso l’avversario. Quello tentò una parata, ma non resse alla forza derivata dal suo nuovo potere e fu costretto ad indietreggiare di un passo. Roteò su se stesso, scoprendo il fianco per un istante, però Marluxia non riuscì ad affondare la lama nell’obiettivo.
O, almeno, non in quell’obiettivo.
“E tutto per le sue decisioni insensate. Mi chiedo se, alla fine della storia, il vero boia della sua preziosa Organizzazione siamo stati noi … o lei”.
“Smettila di giocare con le parole!”
Il tono cambiò, e così i movimenti. Entrambe le lame smisero di danzargli intorno, e gli vennero all’unisono contro il petto, un fendente singolo dall’alto verso il basso guidato solo dalla forza. “Sono state le vostre ambizioni a condurci qui!”
Il colpo, sebbene carico della potenza di entrambe le braccia, venne deviato dalla falce. Riaprì le braccia, ma la posa di battaglia non aveva nulla di coordinato.
Marluxia prese di nuovo il respiro, e si impegnò solo a parare. Sentì le rose create da pochi minuti rispondere alla sua stessa presenza, persino quelle tranciate o carbonizzate dal loro nemico.
Furiose.
Sentirono la vibrazione creata dal portale del Superiore prima ancora che i suoi occhi vedessero gli strali oscuri nel bel mezzo della notte. Altri raggi saettarono ad un gesto dell’uomo, ma li respinse tutti, resosi conto di quanto fossero ben più deboli di prima. Si parò davanti al portale con un unico gesto, respingendolo. Qualsiasi cosa stesse combinando Axel con il licantropo -e qualunque trucco avesse usato per strappargli quel verso- non avrebbe permesso al Superiore di correre da loro.
L’uomo si sarebbe dovuto accontentare di sentire i suoi “figli” morire.
Quasi a confermare quel suo pensiero un’esplosione scosse le torri e una parete del Castello si trasformò in una nube di fuoco e cenere.
Il suo nemico provò di nuovo ad aprire un portale, stavolta con le iridi che guizzavano in ogni direzione, un’espressione così terrorizzata che nemmeno la notte riusciva a nasconderla.
E lui si accorse di sorridere.
“Va di fretta, n. I?”
Le rose saettarono dal terreno nell’istante in cui il Radigata mise una gamba nel varco di teletrasporto. L’uomo si voltò, tagliandone una ventina con un unico fendente, ma bastò per fargli perdere la concentrazione ed il portale gli sfumò tra le dita. Per un istante le gambe sembrarono cedergli, ma Marluxia rimase in attesa, gustando la scena. Un tralcio di spine si eresse proprio alla sua destra, e con una mano gli sfiorò i petali, immergendosi nella connessione col proprio elemento e la magia senza freni del Castello e dello Spirito.
I rovi emersero non appena il nemico creò un terzo, flebile varco. Mosse con calma le dita, e dei rampicanti sbocciarono tra le tegole, avvinghiandosi alle caviglie del Superiore. Quello perse l’equilibrio e si ritrovò in ginocchio, ma tutto il suo corpo ed i suoi poteri erano concentrati sul mantenere aperto il portale. Nello sforzo una delle lame ebbe un guizzo, poi un secondo, e si spense. Con un atto di forza sorprendente si mise di nuovo in piedi, la spada libera saettata contro gli impedimenti, e il n. XI decise che era arrivato il momento preferito del gioco.
Aspettò con pazienza, un istante dopo l’altro.
Chiese ai rampicanti di lasciare la presa, di farlo avvicinare al varco oscuro. Di fargli provare la sensazione di essere in grado di raggiungere la sua famiglia, di poterli salvare.
Osservò ogni gesto di quel folle che li aveva sepolti vivi nel suo palazzo di famiglia per un potere di cui non comprendeva assolutamente nulla. Fissò la sua gamba che entrava nel portale, avvolta da strali nere, poi il braccio e metà del torso.
E, in quel momento, un tralcio carico di spine si mosse tra le tegole con la velocità di un battito di ciglia.
Il volto dell’uomo era quasi scomparso nel varco quando la pianta si gettò contro la sua gola, trascinandolo indietro. Quello annaspò per la stretta e per la sorpresa, perdendo il controllo dell’incantesimo. Il portale si spense in uno scintillio nero, ed anche la seconda lama eterea sfarfallò nella notte fino a svanire.
La preda si divincolava nella tela di rovi.
“Prima ha parlato di ambizioni, Superiore. Di come le nostre ambizioni abbiano rovinato la sua preziosa Organizzazione” disse, appoggiando con calma la lama tra il collo e la gola del nemico. “Ma mi ritrovo a dissentire con lei. I nostri sogni, quelli di noi traditori, non sono tutti uguali”.
Sollevò l’arma.
Gli occhi color ambra, sotto di lui, non avevano più nemmeno le sfumature della paura. Erano carichi di tutto l’odio del mondo.
E questo lo mandava in estasi.
“Quelli degli altri sono obiettivi che cadranno come petali in autunno. C’è un solo sogno che guarda al futuro, qui dentro …”
Sorrise.
“… ed è il mio”.
Riprese fiato solo qualche istante dopo, sorridendo alla complicità della notte. Nel silenzio ci furono soltanto i tre tocchi della testa del suo nemico che rotolò lungo il tetto spiovente; rimase in bilico qualche istante sulla grondaia, poi cadde nel vuoto.
Marluxia non sentì nulla, o non volle sentire.
Si sdraiò lungo le tegole, lasciando che le piante svanissero una dopo l’altra. Respirò il silenzio, ed il profumo della vittoria con esso.
  
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