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Autore: Alicat_Barbix    03/09/2019    0 recensioni
John Watson è un qualunque studente di Hogwarts. Ama il quidditich, teme la McGonagall, odia i Serpeverde. O almeno, così pensava. Ma John Watson è molto di più di questo. Strani sogni costellano le sue notti. Sogni a cui non riesce a dare spiegazione. La vita di John Watson sta per essere travolta dall'ondata ineluttabile del suo passato, un passato che a malapena ricorda ma che ha cambiato per sempre la sua vita. E poi... Sherlock Holmes. Sherlock Holmes che è insolente, arrogante, pieno di sé e più fragile di quanto John Watson pensi.
Genere: Angst, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO
 
 
C’era un unicorno di fronte a lui. Il suo manto era argenteo, paragonabile alla cristallinità di una fonte d’acqua pura, una di quelle che in spalla a suo padre aveva spesso osservato con occhi grandi di meraviglia, prima che quello morisse. Ora, di fronte a lui c’era un meraviglioso unicorno bianco, avvolto da una calda aura dorata. E aveva gli occhi di suo padre. A quegli occhi, improvvisamente si sovrapposero quelli che aveva scorto il fatidico giorno, quello in cui la sua intera esistenza era stata stravolta. Come intrappolato nei suoi stessi ricordi, rivide il buio, il caos, e poi udì le urla, i singhiozzi di sua sorella piccola, ancora nella culla… E poi pum. Il tonfo di un corpo che crolla a terra. E gli occhi. Gli occhi di suo padre. Vitrei. Cristalli di porcellana. Una bambola. Urlò.
 
 
Scattò a sedere, le labbra spalancate in un grido muto. Pericolosi brividi gli percorrevano la schiena, goccioline di sudore gli imperlavano la fronte. C’era luce. Troppa luce. Davvero, davvero troppa. Strinse gli occhi, infastidito.
“John? Ehi! John!”
Quella voce sembrò risollevarlo dal baratro in cui gli pareva d’essere appena sprofondato. A fatica, riaprì gli occhi, uno alla volta, e nel suo campo visivo comparve il volto delicato del suo migliore amico, contorto in un’espressione turbata dalla preoccupazione leggibile nei suoi occhi profondi.
“Ehi…” ripeté di nuovo il ragazzo, accarezzandogli amorevolmente la testa.
“Ehi.” lo salutò allora, in un sospiro.
“Mi hai fatto crepare dallo spavento. Hai iniziato ad agitarti come un ossesso così, di punto in bianco, mentre cercavo di svegliarti.”
“Che ore sono?” chiese scostando a fatica le coperte, cercando di sviare il discorso da quell’incubo tremendo.
“Le otto e mezza.”
Si alzò di scatto, sfilandosi boccheggiando, quasi, il maglioncino vecchio di suo padre con cui dormiva, e affrettandosi verso il suo armadio. “Come sarebbe a dire le otto e mezza!?”
L’amico non si scompose e si sdraiò con un sospiro rilassato sul proprio letto, le mani dietro la testa e un sorriso serafico in volto. “Io te l’ho detto che cercavo di svegliarti.”
Indossò i primi abiti che gli si presentarono davanti, ignorando i commenti sarcastici dell’altro sulla sua impossibilità di trovarsi una ragazza agghindato in quel modo orribile, e, insieme, si precipitarono giù dalle scale del dormitorio deserto di Grifondoro.
La Sala Grande cominciava già a svuotarsi con studenti che sciamavano via in un coacervo frettoloso e indaffarato. John si accomodò al suo solito posto, sospirando di sollievo nel trovare ancora i vassoi imbastiti delle squisitezze che ci volevano decisamente per incominciare bene la giornata. Soprattutto dopo quegli incubi. Il ricordo gli procurò una morsa al cuore, ma ostentò freddezza sotto lo sguardo ancora non totalmente sollevato dell’amico, servendosi di bacon e uova, come la sua tradizione babbana lo aveva influenzato.
“Ehi, ragazzi!” esclamò improvvisamente la voce di Greg, affiancato da Molly.
“Che fine avete fatto? Stavamo per venire a controllare che fosse tutto okay.” intervenne la ragazza scrutando i volti colpevoli degli amici.
“O che non steste facendo sesso sul mio letto.”
John alzò di scatto la testa dal suo piatto, rivolgendogli un’occhiata di brace: l’ultima cosa di cui aveva bisogno erano le battute di Greg.
“Grazie dell’idea, caro il mio portiere. Quando si renderà necessario non vedremo l’ora di cospargere le tue lenzuola col nostro sperma.” replicò con un sorrisetto malizioso l’amico accanto a lui, rischiando di farlo strozzare con la mollica del pane tostato che aveva in bocca e provocando l’immediato rossore fuoco sulle guance di Molly, mentre Greg indossava la sua espressione più schifata.
“E dopo questa, direi che possiamo anche andarcene, Molly.” esclamò platealmente Lestrade, prendendo la ragazza per le spalle. “Meglio non avere a che fare con certi soggetti.”
John sospirò, mentre l’amico si sbracciava in un falsissimo saluto caloroso. “Vediamoci al campo da quidditch fra mezz’ora, Lestrade! E vedi come ti sparecchio via dalla porta!”
“Contaci, stronzetto arrogante!”
Sollevò, finalmente, gli occhi dal suo piatto, lo stomaco improvvisamente bloccato. “C’era bisogno?”
“Di che cosa?”
“Di quell’uscita su… noi?”
L’amico sbuffò, roteando gli occhi. “Sei sempre così noioso, Johnny. Sei sicuro che la tua scopa sia nel tuo baule? Non è che durante l’ultima partita ti è rimasta attaccata al sedere? O peggio?”
“E’ una cosa seria!” ribatté però lui, facendo correre lo sguardo intorno. “E’ già abbastanza umiliante il fatto che tutti ci prendano per una coppia.”
“Scusa? Ho sentito bene, umiliante?”
Si mordicchiò nervosamente il labbro inferiore, colpito improvvisamente dal tono adirato dell’altro. La verità era che due anni prima qualche genio, durante il prestigiosissimo ballo di Halloween, li aveva proclamati la coppia più bella della scuola intera, e da allora era stato praticamente impossibile sedare le voci sul loro conto. John aveva davvero avuto difficoltà anche solo a convincere la sua attuale ragazza, Sarah, una brunetta della sua Casa perennemente gelosa del suo rapporto con l’amico, che non era affatto gay.
“Sai cosa intendo.”
“No, John, non lo so. Spiegami.”
Ma lui sfuggì allo sguardo dell’altro, sperando di venire risucchiato dalla sua porzione di bacon. Il resto della colazione lo trascorsero in religioso silenzio, attorniati dai chiacchiericci concitati di alcuni ragazzini del primo anno che stavano sfogliando febbrilmente un giornalino sul quidditch. Una volta concluso il pasto, entrambi si alzarono e si affrettarono verso lo stadio, dove avevano appuntamento con Greg.
Ebbero un’oretta scarsa per la loro partitella amichevole. John se ne rimase in disparte, accanto ad una Molly con gli occhi sognanti fissi sul fidanzato, mentre i due amici si sfidavano in un scontro tra titani. Rimuginava sul sogno. Non era il primo e di certo non sarebbe stato neanche l’ultimo. Aveva vaghi ricordi di quella lontana notte, eppure, alcune volte, sembrava che nel sonno particolari che neanche credeva di conservare nella sua memoria tornassero a galla e lo investissero con efferatezza. E poi… c’era l’unicorno. C’era sempre l’unicorno. Che cosa significava?
“TERRA CHIAMA WATSON!”
Si ridestò dai suoi pensieri con un sussulto, trovandosi a poca distanza dal volto lievemente sudato del suo migliore amico. Si guardò intorno confuso, cercando Greg e Molly, ma i due sembravano essersi volatilizzati.
“Cosa… Dove…”
“L’hai fatto di nuovo.”
“Che?”
L’amico gli sventolò davanti alla faccia una mano. “La cosa dell’incantarti… E’ inquietante anche se è il quinto anno che passo con te.”
Gli succedeva spesso, effettivamente. Si chiudeva nei ricordi e ripercorreva gli anni più teneri della sua infanzia, quando ancora c’era suo padre, e poi vedeva le montagne e le foreste e le spiagge che esplorava mano nella mano con lui.
“Muoviti che siamo già in ritardo per Incantesimi.”
“In ritardo…”
“Sì, Johnny, alza il culo e muoviti.”
Corsero a perdifiato dentro il castello, percorrendo l’immenso atrio deserto. Le scale, ovviamente, non giocarono in loro aiuto e si rivelarono piuttosto difficili da persuadere nel fermarsi nel punto giusto. Una volta arrivati al terzo piano, sgattaiolarono lungo l’infinito corridoio che conduceva all’aula di Incantesimi. Poi, improvvisamente, delle voci.
“Ripetilo se hai il coraggio!”
Si fermarono in mezzo allo svicolo per un corridoio secondario e, incuriositi nonostante la fretta, si sporsero appena per intercettare la fonte di quegli strepiti. John sgranò gli occhi quando scorse tre ragazzi dell’ultimo anno Grifondoro accerchiare un poveretto con la divisa di Corvonero. Li riconobbe immediatamente come Carl Powers e i suoi due sgherri. Deglutì a vuoto un paio di volte: era risaputo che Powers non si facesse troppo pregare per tirare fuori dalle tasche i pugni e menare duro, lui stesso aveva rischiato di attirare su di sé la sua ira pestandogli accidentalmente un piede quando si era ubriacato alla festa per la vittoria del Torneo di quidditch l’anno precedente.
Afferrò la manica della divisa dell’amico e prese a tirarla, incoraggiandolo a muoversi, ma l’altro non diede segno di volersene andare, il corpo proteso in avanti per studiare la scena.
“Avanti, sporco mezzosangue!” abbaiò ancora Powers. “Ripetilo!”
John udì nitidamente il rumore del corpo del ragazzo di Corvonero che piombava a terra e solo in quel momento riuscì a scorgere il sangue che, copioso, gli fiottava dal naso. Osservò quel volto freddo, calmo – apparentemente – nonostante le urla di Carl, le botte e il dolore.
Si accorse troppo tardi del movimento. Intravide a malapena lo svolazzare del mantello. Quando capì che cosa stava succedendo, il suo amico si era già frapposto fra Powers e il Corvonero. Soffocò un Dio, no, e si limitò a farsi avanti a sua volta, con passo tentennante.
“Direi che avete dato abbastanza scena.” intervenne la voce ferma dell’amico. “E oserei anche dire, se mi è concesso, che mi toccherà togliervi diversi punti. Ciascuno. Perciò, ecco la questione, ragazzi: voi ora prendete e vi levate cortesemente di torno… altrimenti mi vedrò costretto a fare rapporto alla McGonagall. E voi sapete quanto sia intransigente verso gli studenti più grandi della sua Casa.”
Powers ringhiò come una vera e propria bestia selvatica, chiudendo i pugni e serrandoli così forte che John ebbe quasi l’impressione di sentirli stridere. Infine, tutti e tre gli studenti del settimo anno si dileguarono masticando un paio di insulti verso loro e spintonando John senza complimenti.
Troppo impegnato nell’osservarli sparire dietro la prima svolta, il biondo non si accorse che l’amico si era inginocchiato sul Corvonero, porgendogli il proprio fazzoletto di seta, quello che portava sempre dietro per l’allergia.
“Ti hanno ridotto proprio male, eh?”
“Avevo tutto sotto controllo.”
La risata dell’amico invase l’intero ambiente. “Oh, sì, sì… Infatti sono intervenuto per scopi puramente personali. Sai, mi devo ancora abituare al mio compito di prefetto e esercitare il potere sugli studenti più grandi è davvero soddisfacente, non trovi?”
Il ragazzo mugugnò qualcosa, prima di alzarsi, tamponandosi il naso sanguinante col fazzoletto offertogli. John lo squadrò con curiosità, ricevendo, in cambio, a malapena un’occhiata infastidita. Quel tipo, effettivamente, sembrava troppo concentrato nello studiare il suo amico, indugiando parecchio coi suoi occhi cristallini e dal colore indefinibile in quelli nocciola dell’altro.
John, improvvisamente, si sentì di troppo e un sinistro fastidio s’impossessò del suo stomaco. “John Watson.” esordì con voce seccata.
“Sherlock Holmes.” si presentò a sua volta il Corvonero la cui mano si protese verso il secondo Grifondoro che si affrettò a stringergliela con un sorriso entusiasta.
“Victor Trevor.”
 
 
Fortunatamente, scamparono per poco la punizione. Victor accompagnò Sherlock in infermeria, lasciando John solo a gestire quella testa calda di Flitwick che – tanto per cambiare – già ce l’aveva a morte con lui per aver dato fuoco all’aula con l’incantesimo del Fuoco, durante il suo primo anno. Come se fosse capitato solamente a lui nell’arco della lunga carriera d’insegnante di quel nanetto.
La mattinata, senza Victor, si srotolò con un’infinitamente piatta e noiosa lentezza. Durante le lezioni non faceva che guardare fuori dalla finestra e lasciar correre la sua mente a briglie sciolte, permettendole di spiccare il volo e tuffarsi nel candore delle nuvole mentre la voce della McGonagall o quella di Hagrid lo cullavano dolcemente.
La testa riccioluta dell’amico ricomparve solo all’ora di pranzo, quando si lasciò cadere sul posto libero accanto a lui con un sospiro e si avventò senza complimenti sul piatto che John gli aveva gentilmente riempito.
“Che fame!” borbottò Victor tra un boccone e l’altro, senza degnarlo del minimo ringraziamento per averlo aspettato e avergli tenute calde le cibarie.
Sospirò, iniziando, a sua volta, a portarsi la forchetta alle labbra e masticando silenziosamente, al contrario dell’altro. “Ti ho preso i libri di Erbologia per questo pomeriggio.” esordì a un certo punto, desideroso di liberarsi di quel silenzio così insolito per loro. “Ho immaginato che non avresti avuto tempo per tornare ai dormitori e recuperarli.”
“Oh, grazie, Johnny, ma temo che salterò anche questo pomeriggio.”
Il biondo inarcò un sopracciglio, abbandonando la sua porzione di carne a metà. “Non verrai a lezione?”
“No, amico. Ho già promesso a Sherlock che gli avrei tenuto compagnia. Ha minacciato Madama Chips di lanciare incantesimi contro il muro per combattere la noia.”
“E tu saresti il suo passatempo?” chiese senza celare la punta di disprezzo che provava, inspiegabilmente, in quel momento, ma Trevor non sembrò coglierla.
“A quanto pare… Scusa, Johnny, devo scappare. Il dovere mi chiama.”
John osservò sbigottito l’amico balzare in piedi con un sorriso che mai gli aveva visto in volto. “Te ne vai già?”
“Sì, devo passare per i dormitori per prendere qualche scemenza per fargli passare il tempo.”
“Sei consapevole che non hai più obblighi verso di lui? L’hai tirato fuori dai guai, non capisco tutto questo desiderio di fargli compagnia, adesso.”
Victor fece spallucce, visibilmente disinteressato alle sue parole. “Mi piace la sua compagnia, tutto qui.”
“O magari hai sviluppato il complesso della crocerossina.”
Ma l’amico, di nuovo, non colse la punta d’acidità di cui la sua voce era intrisa e si limitò a scoppiare a ridere, scompigliandogli i capelli. “Ci vediamo stasera alla fine delle lezioni, okay? Sento proprio il bisogno di stracciarti ad una partita di scacchi.”
“Sì, contaci.” rispose lui al vuoto, perché Victor, già, se n’era andato.
John rimase lì, con lo sguardo perso nella sua porzione ancora mezza intonsa. Non capiva da dove provenisse, adesso, tutto quell’interesse e quella gioia per vedere un semplicissimo Corvonero vittima di bullismo. Se ne vedevano talmente tanti di bulli e bullizzati per le mura di Hogwarts e non era la prima volta che il suo amico interveniva in difesa di qualcuno – in fondo era un Grifondoro modello e non a caso era un prefetto – ma sentiva, percepiva che quel ragazzo dai ricci scuri fosse di più. E il solo contemplare quell’idea, provocò a John un fastidio repellente alla bocca dello stomaco che gli impedì di mandar giù qualunque altro boccone.
 
 
Se ne stava seduto a gambe incrociate sul letto dell’amico. Accanto a se, la tavola degli scacchi magici abbandonata tristemente, allestita di tutte le pedine ma priva del secondo sfidante. John guardava un punto non definito nel buio della stanza e attendeva. Erano passate le otto di sera e di Victor nessun segno. Non era neanche riuscito a sollevarsi per andare a cena, tanta era l’amarezza e la conseguente spossatezza che gli intorpidivano le membra.
Non seppe dopo quanto la porta della stanza si aprì, rivelando la figura pimpante dell’amico che, con gesti rapidi, si liberava del mantello, lanciandolo totalmente a caso.
“Accidenti che buio, qua dentro.” esclamò la voce allegra del rossino. “Lumos.”
La bacchetta di Victor rischiarò l’ambiente, conferendo a quello la possibilità di avventurarsi nel groviglio di tenebre per accendere la luce. Quando ogni cosa fu avvolta dal chiarore, Trevor si prese alcuni istanti per contemplare la sua espressione a metà tra il ferito e l’indignato e solo quando quegli occhi scuri si puntarono sugli scacchi accanto a lui sembrò comprendere.
“Oh.” sussurrò, infatti, quello, un’improvvisa colpevolezza dipinta in volto. “John… Oddio, scusami: mi sono completamente dimenticato. Che grandissimo coglione…”
“Non fa niente.” borbottò lui distogliendo lo sguardo. “Quel tipo come sta?”
Sherlock.” lo corresse immediatamente Victor, rivolgendogli un’occhiata accusatoria. “Domani potrà tornare al dormitorio.”
“E immagino che a questo punto la vita di Sherlock non sarà più un tuo problema.”
L’amico si sedette di fronte a lui, sul suo letto, e lo guardò con qualcosa di simile alla delusione. “Sherlock Holmes.” ripeté quel nome come se fosse stato fatto d’oro. “Hai mai sentito parlare di lui?”
“No.” mentì lui.
“E’ un genio. Il migliore del suo anno, anzi no, di tutta Hogwarts intera, probabilmente. E’ dannatamente intelligente e… è riuscito a dedurre la mia infanzia dal nodo della mia cravatta.”
“Impossibile. Avrà usato un trucco per impressionarti.”
“No, invece. Non è solo un grande mago, è anche un grande intellettuale. Mi è bastato trascorrerci una giornata per capire che ha il cervello di uno scienziato o di un filosofo… E’ incredibile!”
John si lasciò andare ad una risata sprezzante, mentre si alzava in piedi, volgendosi verso la finestra che dava sull’immenso cortile del castello. “Parli come una quattordicenne innamorata.”
“John, mi spieghi qual è il tuo problema, esattamente?” ribatté Victor, finalmente consapevole dell’ostilità che l’altro gli stava rivolgendo.
“Non ho nessun problema, Victor. Perché dovrei avere qualche problema nel sentire che il mio miglior amico ha intenzione di frequentarsi col peggiore psicopatico della scuola?”
“Allora non è vero che non sapevi niente su di lui.”
Sbuffò, portandosi le mani ai fianchi. “Mi è giunta qualche notizia. E guarda caso, nessuna di queste è minimamente positiva! Mi domando che cosa possa mai voler dire.”
“Che è solo! E che ha bisogno di qualcuno che gli stia vicino!”
“Se è solo un motivo ci sarà, no?! La verità è che è soltanto uno fuori di testa a cui è bastato pavoneggiarsi un po’ per le sue straordinarie abilità per farti crollare ai suoi piedi come uno stupido! E sai che ti dico? Almeno adesso smetteranno di prenderci per una coppia, visto che i tuoi interessi verso quello sono più che chiari.”
Le guance di Victor si tinsero di un violento rosso per l’imbarazzo. “I-io… Ma che stai dicendo, idiota che non sei altro?”
“Dico che puoi anche andartene quando vuoi. Non vorrei trattenerti ulteriormente dallo scopartelo in infermeria. Mi raccomando, segnati tutti i dettagli, così mi farai sapere quanto è soddisfacente andare a letto per due froci!”
Si rese conto troppo tardi di quello che gli era sfuggito di bocca. L’amico lo osservava col volto mascherato da una completa imperscrutabilità. Che cosa celavano quegli occhi? John provò a cercare le parole per scusarsi o forse è meglio dire che cercò le palle per farlo, ma quando aprì le labbra per spiegarsi o… fare chissà che altra cazzata, Victor aveva già lasciato la stanza.
 
 
Le cose fra loro, in qualche modo, si appianarono col passare dei giorni… O forse, semplicemente, successe perché il tempo che condividevano era stato ridotto ad un semplice risvegliarsi, scendere a colazione, frequentare quelle orette di lezione e infine coricarsi. Le loro lunghe chiacchierate sulle rive del Lago Nero erano state ridotte ad uno scambio di opinioni sugli argomenti delle lezioni, sui G.U.F.O. imminenti, sulla prossima edizione del Torneo di Quidditch. E Dio solo sapeva quanto a John quei momenti d’intimità col suo migliore amico gli mancassero. Ora, accanto al rossino, non faceva che gironzolare l’ombra di Sherlock Holmes e, com’era da aspettarsi, le malelingue non si fecero attendere troppo e si scatenarono su di loro in brevissimo tempo, ma a nessuno dei due sembrava importare. Ad ogni modo, dire che fosse Sherlock Holmes a girare attorno a Victor sarebbe stato sbagliato: effettivamente, era Victor il cagnolino stupidamente fedele della situazione.
Accadde due settimane dopo quell’infelice incontro che aveva sovvertito le sorti della quotidianità di John. Si era appena infilato sotto le coperte, imitato dall’amico, quando quello gli rivelò la tanto attesa notizia:
“Stiamo insieme.”
Quella notte, John non dormì.
 
 
Odiava le lezioni d’Incantesimi. Le odiava davvero con tutto se stesso. E non era solo per Flitwick, no… O meglio, sì, la sua voce petulante e i continui rimproveri che gli rivolgeva erano decisamente irritanti, ma c’era un altro fattore a scatenare la sua, ormai, totale repulsione nei confronti di quella materia: Sherlock Holmes. Per cinque anni non si era mai accorto di quel moretto arrogante che lavorava silenziosamente per conto suo, mentre adesso non faceva che osservarlo di sbieco, stringendo i pugni ogni volta che Victor, accanto a sé, mormorava qualcosa su quanto fosse brillante il suo ragazzo. E John, puntualmente, avvertiva l’impellente bisogno di vomitare la colazione o il pranzo giù dalla torre di astronomia.
Quella mattina, Victor si era trascinato in infermeria, vittima di una brutta influenza, e così John si era dovuto recare alla lezione per conto suo, incontrando la figura trepidante d’attesa di Sherlock Holmes sull’uscio dell’aula. Non si rivolgevano quasi mai la parola, neanche quando uscivano insieme – ovviamente sempre in rigorosa compagnia di Victor – ma quella mattina, di fronte all’assenza del ragazzo, Sherlock gli domandò dove fosse.
“In infermeria. Credevo che essendo il suo ragazzo sapessi sempre tutto.”
Ma l’altro si limitò ad un’occhiata gelida e a voltargli le spalle, entrando in classe. La triste realtà dei fatti era che gli unici posti a disposizione erano due banchi vicini, in prima fila, che furono costretti ad occupare con un sospiro esasperato. La lezione del giorno era incentrata sullo Stunning Charm, incantesimo utilizzato per colpire oggetti o persone facendo perdere loro i sensi.
“Noioso.” borbottò Sherlock al suo fianco, giocherellando con la bacchetta. “Sarebbe roba da quarto anno, ma a quanto pare il caro Flitwick non è riuscito a stare al passo col programma. E dire che io l’ho imparato al primo anno.”
John ricacciò indietro qualsiasi insulto volesse rivolgere all’altro e si limitò a concentrarsi sulle istruzioni del professore, ignorando la sensazione di fastidio nel sapere che Holmes sapeva già padroneggiare quell’incantesimo.
“Non mi sopporti.” osservò dopo una buona mezz’ora di lezione Sherlock, rompendo il continuo iterare di John della formula.
“Però, Holmes! Quindi è vero quello che si dice su di te a proposito delle tue doti deduttive.” Sherlock non rispose e si limitò a storcere appena le labbra, infastidito. “Non ci vuole una grande abilità nel dedurre per capire che nemmeno io ti sto troppo simpatico.”
“Errato, Watson.” ribatté prontamente il moro. “Non è che non mi stai troppo simpatico, il fatto è che a malapena tollero la tua presenza. Credevo che non ci fosse nessun altro, a parte Anderson, capace di abbassare il quoziente intellettivo dell’intera scuola, ma a quanto pare mi sbagliavo.”
“Se è il tuo modo di dirmi che non mi puoi vedere, ti consiglio di risparmiare il fiato, la prossima volta: non c’è bisogno di fare il drama queen per dire ad una persona che la detesti.”
“Hai di nuovo sbagliato, Watson: la mia difficoltà nel tollerare, appunto, la tua presenza sta nel fatto che – di solito – non amo condividere ciò che è mio.”
John voltò la testa di scatto, un’espressione minacciosa a deturpargli il volto. “Ho sentito bene? Stai dicendo che Victor è una tua proprietà?”
“Se non l’hai capito prima vuol dire che sei davvero un perfetto idiota. Mi è parso che la cosa fosse sufficientemente chiara.” replicò Sherlock, sinceramente stupito dalla sua risposta.
“Solo perché state insieme non vuol dire che lui ti appartenga!” ringhiò allora lui, stringendo così forte le dita sulla bacchetta che avrebbe anche potuto spezzarla, non fosse stata altro che un pezzo di legno.
“E’ probabile che tu non sia esattamente al corrente di alcuni dettagli nelle… procedure di una relazione.”
“Se ti riferisci al sesso, Holmes, credo di avere molte più esperienze di te.”
“No.” ribatté tranquillamente il moro facendo correre lo sguardo su di lui. “L’anno scorso, al Ballo di Halloween, tu e Victor siete stati proclamati – erroneamente – la coppia più bella della scuola. Questo ti ha causato non poche difficoltà a trovarti una ragazza. Frequenti dall’inizio dell’anno scolastico una della tua Casa ma lei sta con te solo perché ti sbava dietro dal primo anno. Ciononostante avete fatto solo una volta sesso, lasciando entrambi piuttosto insoddisfatti. Da quella volta, lei non fa altro che pensare che le voci su te e Victor possano essere vere. Infatti, fino a qualche settimana fa eri visibilmente insoddisfatto, con imbarazzanti polluzioni a cui dovevi pensare da solo. Invece, da quando si è sparsa la voce di me e Vic la tua fidanzata si è dimostrata più che felice di soddisfare i tuoi bisogni repressi, infatti hai dovuto ricorrere alla masturbazione solo in due occasioni da allora ed entrambe sono state per una scomoda situazione che si è creata fra te e Victor. E nonostante questo ritorno di fiamma nella tua ragazza, continui ad essere irascibile e di pessimo umore… Mi domando se non abbia a che fare con la relazione fra me e Victor, ma soprattutto se non debba cominciare a considerarti un eventuale erba cattiva da strappare. E comunque, credo di averti appena dato la conferma sul fatto che di sesso, ormai, sono piuttosto edotto. Di certo più di te. E a questo punto sì, Victor è decisamente una mia proprietà.”
John lo osservava con sbigottimento. Come diavolo faceva quello psicopatico a sapere tutte quelle cose? Non ne aveva fatto parola con nessuno, nemmeno con Victor. Come poteva…
“Mi limito ad osservare, Watson! Ovvio che non me l’ha detto nessuno! Non è che sia esattamente il mio passatempo preferito andare in giro a chiedere della tua situazione sessuale.”
“I-io…”
“Eccellente, a quanto pare hai appena perso l’uso della parola. Stupeficium!”
Il ritratto della madre di Flitwick, che quest’ultimo teneva sulla scrivania, volò contro la parete, scatenando l’indignazione della donna raffigurata, che si ritrovò con la faccia contro il pavimento.
“Oh cielo!” esclamò il professore accorrendo a salvare l’immagine della poveretta. “Holmes!”
“Ha visto, professore? Sono perfettamente in grado di maneggiare lo Stunning Charm. Ora, se non le dispiace, io andrei in infermeria a trovare il mio ragazzo. Non ho tempo da perdere con degli idioti che non sanno scagliare nemmeno un incantesimo così banale. Buona giornata.”
E senza neanche attendere la risposta dell’insegnante, Sherlock sparì dalla classe. John, dal canto suo, si ritrovò tremante di un’ira cieca. Mai in vita sua aveva odiato tanto qualcuno, mai. Provava un prurito indomabile alle mani, come se queste non aspettassero altro che gonfiare di botte quel damerino saccente.
“Bastardo.” ringhiò rafforzando ancora di più la presa sulla bacchetta, le nocche ormai totalmente esangui. “Stupeficium!” ruggì, infine, dando sfogo a tutta la sua rabbia e la cattedra di Flitwick venne scagliata contro una parete, sbalzando il professore di qualche metro. Un senso d’orgoglio gli invase le membra e si ritrovò ad assaporare la sensazione di potere che gli ristagnava in bocca.
“WATSON!” tuonò Flitwick, rialzandosi. “IN PUNIZIONE!!”
 
 
Da quel giorno, le settimane che seguirono, vacanze di Pasqua comprese, furono per John la cristallizzazione delle sue più grandi paure. Non seppe come, ma improvvisamente decise di isolarsi, di estraniarsi dalla sua stessa vita. Si svegliava prestissimo, la mattina, e si recava a colazione quando ancora la Sala Grande era mezza vuota, poi sgattaiolava in aula e attendeva l’inizio delle lezioni o, semplicemente, si chiudeva in camera a leggere la biografia di qualche giocatore di quidditch. La finale del Torneo si stava avvicinando e, come al solito, Grifondoro avrebbe dovuto fronteggiare Serpeverde per l’ottenimento della coppa. In campo, dava il massimo. I suoi occhi allenati a trovare il boccino d’oro si muovevano febbrilmente mentre tutto intorno a lui ruotava al ritmo della sua scopa. Greg e Molly erano estremamente preoccupati. Nonostante frequentassero il sesto anno e quindi avessero anche altri amici, non si erano persi il suo cambiamento radicale. Gli si facevano spesso vicini, anche durante gli allenamenti – lasciando gli anelli scoperti o un bolide libero di girare a proprio piacimento – e gli chiedevano se fosse tutto okay.
Victor, ormai, era solo un fantasma che gli appariva di rado. Era felice. Come mai lo aveva visto prima. Un dolore sordo scavava in lui ogniqualvolta si rendeva conto di quanto distanti si fossero fatti. Ma la colpa non era di Victor e neanche di quello stronzetto di Holmes. La colpa era sua. Sua e del suo orgoglio smisurato. Sua e della sua gelosia irrefrenabile. Sua e del suo egocentrismo. La verità era che Sherlock Holmes era più simile a lui di quanto John non volesse ammettere: fino ad allora, anche lui aveva considerato Victor un suo possesso, un diritto personale suo e solo suo. E il doverlo condividere con qualcun altro, ora, gli appariva quasi umiliante, come se avesse appena dimostrato a se stesso che non ce l’aveva fatta a tenerlo accanto a sé. Se Sherlock fosse stato una ragazza, la situazione sarebbe stata completamente diversa. Ed era così sciocco pensarlo che a volte si vergognava lui stesso per aver formulato un pensiero simile.
Infine, gli incubi. Ora erano cambiati. L’unicorno c’era, ma al posto degli occhi di suo padre, c’erano quelli di Victor. E le urla terribili erano quelle dell’amico. Una sera si era svegliato urlando e Victor era corso da lui, sdraiandosi accanto a lui e stringendolo in un abbraccio fraterno in cui John scoppiò in lacrime come un bambino. Quello, forse, era stato l’ultimo istante di pace condiviso con quello che, un tempo, era stato il suo migliore amico e tutto ciò che rimaneva della sua famiglia.
 
 
Una notte, mentre si rigirava nel letto, udì nitidamente Victor alzarsi dal proprio materasso e svestirsi in fretta per gettarsi addosso abiti puliti. Una volta che quello ebbe raggiunto in punta di piedi la porta, John si sporse verso l’interruttore della luce e la stanza venne rischiarata, rivelando un Victor con un’espressione colpevole in viso.
“Johnny… Non pensavo fossi sveglio.”
“Vai da lui?”
“John-”
“Cristo, Victor… E’ notte fonda! E se Filch ti beccasse…”
“Non mi beccherà.”
John ridacchiò, scuotendo con aria frustrata la testa. “Dev’essere davvero bravo a letto se hai intenzione di sgattaiolare fino alla parte opposta del castello per scopartelo. O farti scopare? Come funzionano le cose tra di voi?”
“John, per piacere-”
“No, Victor, hai ragione: non sono cose che mi riguardano. Anzi, sai cosa? Tutto quello che riguarda te ha smesso di riguardare me già da tempo.”
“Sei uno stronzo.”
“E tu un coglione! Ti sei fatto abbindolare da uno che non sta facendo altro che usare la tua reputazione per elevare la sua! E’ uno psicopatico che ti tradirà. Ti tradirà alla prima occasione e tu striscerai nella melma che tu stesso ti sei creato mettendoti con quello-”
Victor scattò in avanti e lo afferrò per il colletto della camicia del pigiama e lo avvicinò a sé con brutalità. Ma a dispetto delle aspettative di John, sul viso dell’amico non trovò rabbia, rancore, disgusto… Ma una sconfinata amarezza.
“Smettila, John. Sei meglio di così. E Sherlock… Sherlock non è la persona che pensi che sia. Spero che col tempo imparerai a rendertene conto.” La presa sulla stoffa si indebolì appena e gli occhi di Trevor si rivolsero nostalgicamente alla finestra. “E’ più fragile di quanto pensi… Lui ha bisogno di essere amato. E… beh, ricordalo.”
“Ricordarlo? Credo che riceva abbastanza amore da te, visto che ormai sembri aver dimenticato qualsiasi altra cosa che non sia lui.”
Victor assunse un’espressione ferita. “John…”
“Vattene. Vattene dal tuo fidanzatino e restaci. Sappi che, come varcherai quella porta, mi avrai perso per sempre, Victor Trevor.”
L’amico sospirò con fare rassegnato e un sorriso mesto si delineò sulle sue labbra a cuore. Si staccò da lui, passandosi una mano sul volto per poi allungarla verso il suo viso e lasciarvi una lunga e dolce carezza che John non riuscì a respingere. “Ti voglio bene, John. E mi spiace essere arrivati a questo punto.”
Improvvisamente, gli occhi di John si fecero grandi d’incomprensione, ma nonostante mille domande gli frullassero in testa non riuscì a dar voce a nessuna di queste, così si limitò a contemplare la figura stranamente ingobbita dell’amico sparire dietro la porta della loro stanza.
 
 
Il giorno dopo, Hogwarts si risvegliò violentemente, scossa fin dalle interiora di pietra e calce dai rintocchi forsennati delle campane. Tutti gli studenti vennero fatti riunire dai prefetti nella Sala Grande, come pecore guidate dai pastori. John, in mezzo a quella ressa, cercò Victor, ma non riuscì a scorgerne la figura.
Dumbledore si erse in tutta la sua regale statura sul salone e la sua voce, amplificata dall’incantesimo Sonorus, conquistò l’attenzione e il silenzio di qualunque studente.
“Cari studenti… Purtroppo quest’oggi ho una notizia… spiacevole da comunicarvi.”
Una presa salda al braccio fece sussultare John, che si affrettò a voltarsi, sperando di incappare nel viso di Victor, ma i suoi occhi si dipinsero di smarrimento e di delusione quando incontrò lo sguardo velatamente preoccupato di Sherlock Holmes.
“Dov’è Victor?” gli sibilò il moro, stringendo gli occhi.
John si divincolò con un ringhio basso dalla presa ferrea dell’altro. “Non ne ho idea. L’ultima volta che l’ho visto è stato ieri notte, quando ha deciso di rischiare di farsi espellere solo per venire da te.”
Il viso di Sherlock si dipinse di stupore a quelle parole. “Da me? Ma… Noi non… non avevamo appuntamento.”
John scrollò le spalle con indifferenza. “Magari voleva solo farti una sorpresa da buon fidanzatino.”
“Questo è impossibile… Per accedere ai dormitori di Corvonero bisogna rispondere all’indovinello del corvo e… non penso che Victor sia così stupido da attraversare tutta Hogwarts col rischio che il guardiano di Corvonero lo rispedisca indietro.” Fu la volta di John a sgranare gli occhi, mentre il Corvonero si passava nervosamente una mano tra i ricci troppo lunghi. “E’ stato lui a dirti che sarebbe venuto da me?”
“Sì… No. Non me lo ricordo.”
“Che significa che non te lo ricordi?”
“Io… l’ho sorpreso mentre stava per scendere le scale e ho subito pensato che sarebbe venuto da te… Però poi non so se abbia effettivamente confermato oppure…”
“Oppure se sia stato solo l’ennesimo film mentale che ti sei fatto in quella noce che ti ritrovi per cervello.”
Una ragazza di Grifondoro del sesto anno ordinò a entrambi di tacere, mentre il preside proseguiva col suo discorso.
“… Stamane, un gruppo di Selkie del Lago Nero ci ha riportato un drastico ritrovamento. Mi duole dirlo, ma sul fondo del lago si trovava il cadavere di uno studente.”
Gli occhi di Sherlock e di John si incontrarono quasi immediatamente a quelle parole, mentre un brivido percorreva l’aria. Il Grifondoro strabuzzò lo sguardo, cercando risposte in quello del Corvonero, ma sui visi di entrambi era dipinto uno sgomento cieco e incontrastato.
“Victor Trevor.”

ANGOLO AUTRICE
Ehi bella gente! Eccomi di nuovo in prima linea sul battlefield di EFP!!!! Per chi non mi conoscesse sono una delle due autrici di questa pagina e sono tornata quest'anno con una nuova long-fic (non ancora completa, non uccidetemi) sulla JOHNLOCK!!!! Per chi invece conosce me e la mia collega e si sta chiedendo perché stia parlando al singolare, ecco a voi la notizia bomba: sto facendo l'anno in Irlanda. *attende dai lettori uno stupore che però non arriva perché siamo nel 2019 e ormai è una cosa normale andare a studiare all'estero per pochi mesi o più*. Ecco, la verità è che non è che sia tutta vita e rock & roll da queste parti, sono letteralmente circondata da pecore e mucche... Ad ogni modo, questa long fic è stata pensata già dall'anno scorso, e l'abbiamo iniziata assieme i primi mesi di quest'anno, ma poi tra la scuola e tutto alla fine abbiamo rinunciato al progetto. Ora che l'estate è passata, io sono qui senza molto da fare e tanto tempo da riempire, abbiamo deciso di rispolverare questa storia e proporvela, nella speranza che possiate apprezzare questo crossover (non del tutto originale, ma che a noi piace tantissimo) fra Sherlock e HP. 

Bene, direi che è tutto. Fatemi/fateci sapere che ne pensate se avete voglia, tempo bla bla bla e vi rimando alla prossima settimana (non so ancora il giorno, chiedo venia) con il primo capitolo dopo questa... succulenta introduzione.

*kiss kiss*
Alicat_Barbix
   
 
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