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Autore: Shireen    05/09/2019    2 recensioni
Volevo morire per sentire finalmente qualcosa, oppure per smettere di sentire alcunché, il che non fa molta differenza
Genere: Angst, Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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VITA



La prima volta che decisi di suicidarmi avevo sedici anni. Abitavo con i miei genitori in un appartamento al primo piano e la finestra della mia camera dava su un elegante orticello. Nella mia testa, e soltanto lì, se da quella finestra mi fossi buttata sarei morta all’istante. Mi vedevo già con la faccia nel terriccio e i vermi che mi si insinuavano nelle orecchie; non pensavo che l’unica cosa che avrei ottenuto sarebbe stata una gamba rotta e un paio di ore d’attesa al pronto soccorso. In particolare, volevo smettere di vivere quando mia madre parlava. Non credo di avere alcun ricordo silenzioso di lei, urlano tutti, ognuno di loro si esprime in un tono di voce vergognosamente alto. Non è mai stata capace di fare alcunché con calma, lei. Forse è per questo che a volte voglio ancora buttarmi.

Ma torniamo alla me sedicenne. Probabilmente non volevo davvero morire, non so cosa volessi. Volevo morire per sentire finalmente qualcosa, oppure per smettere di sentire alcunché, il che non fa molta differenza. Mi piacciono gli estremi, i limiti, toccarne uno e poi un altro senza fermarmi mai nel mezzo. E’ per le persone mediocri la moderazione, è noiosa.  Di certo qualche problema nella valutazione della realtà che mi circonda l’ho sempre avuto. Non sono mai riuscita a comprendere quelli che si fermano, che attendono, che pendono dalle decisioni degli altri, anche se io stessa sono in grado di rimanere immobile per giorni senza alzarmi dal letto. Il punto è che il mio cervello immobile non ci resta mai. Costante è il mio fermento, la mia attività neuronale non ha mai pace e mi fa dondolare avanti e indietro senza raggiungere mai nulla.

Da quando ho iniziato a prendere queste dannate medicine non sento più nulla, rincorro ma non riesco a ghermire alcun pensiero, come se mi fossero interdetti. Sono lì, lo so, ma appena allungo la mano per comprendere cosa mi vogliano dire ecco che svaniscono. In compenso non passo più le mie giornate a letto ma provo un irrefrenabile prurito, una sorta di bisogno fisico di agire e fare qualsiasi cosa che sia da considerarsi accettabile. Non l’avrei mai detto, non l’avrei mai voluto, ma sono diventata come loro. E no, non sono guarita, non mi è passata la voglia di buttarmi da quella maledetta finestra. A volte evolve, a volte diventa il flash di un coltello lucido che mi conficco nel ventre; altre volte, nonostante lo sforzo per evocare la morte, i miei occhi vedono solo vita. Quella voglia e quel bisogno sono lì, non sono guarita, sono solo annebbiata, non li vedo oppure mi scanso quando cercano di colpirmi. Non sono guarita, non guarirò, ma forse la vita è questo, è tenersi impegnati per non ricordarsi di essere già morti.
   
 
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