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Autore: inzaghina    05/09/2019    9 recensioni
A pochi giorni dal fatidico 2 maggio 1998 Harry, Ron, Hermione e Ginny s'interrogano su quale sia il modo giusto per ricominciare a vivere, lasciandosi alle spalle i brutti ricordi, ma senza dimenticare le persone che si sono sacrificate per un mondo migliore. Al contempo, George dovrà affrontare per la prima volta un mondo senza il suo gemello, ritrovando la capacità di ridere; Percy dimostrerà che ha sbagliato e, con l’aiuto di una ragazza che lo capisce davvero, ricucirà il rapporto con i suoi familiari; Bill e Fleur cementeranno la loro unione e un ritorno inaspettato ridarà speranza al gruppo.
Uno sguardo sul periodo post-bellico e sulle difficoltà affrontate da tutti loro, e dai loro cari, per ritornare veramente a vivere, preoccupandosi solo del proprio futuro, dell'amicizia che li lega e degli amori che potranno finalmente godersi con serenità.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Weasley, George Weasley, Il Secondo Trio (Neville, Ginny, Luna), Il trio protagonista | Coppie: Angelina/George, Audrey/Percy, Bill/Fleur, Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Love is bigger than anything in its way'
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Capitolo 12 – The first step
 
 
 
 
“Take the first step in faith.
You don’t have to see the whole staircase,
just take the first step.”
Martin Luther King Jr.  
 

 
Crescendo aveva sempre sentito sua madre lamentarsi di quanto il tempo passasse veloce e di come lei e suo fratello stessero crescendo troppo in fretta; confinata in quel dannato letto di ospedale, Lexie malediva la lentezza con cui il tempo sembrava passare. Era da ormai più di due settimane che i Medimaghi del San Mungo effettuavano un test dopo l’altro e le somministravano pozioni dal sapore dubbio, rimandando la dimissione da quella stanza troppo bianca, troppo vuota, troppo silenziosa. Certo, ogni giorno riceveva tantissime visite, ma poi arrivava la notte e con essa il momento della solitudine — accompagnato al silenzio troppo doloroso ed ai pensieri troppo difficili da scacciare. Si era risvegliata da un coma durato anni e, mentre lei era rimasta immobile nell’ospedale newyorkese, il resto del mondo era andato avanti e lei si sentiva come bloccata in una situazione troppo assurda da comprendere. Non che non fosse felice di essere viva, perché lo era, ma non riusciva a smettere di sentirsi fuoriposto, soprattutto pensando a quante persone amate non avevano avuto la sua stessa sorte. Suo fratello le aveva offerto la sua camera degli ospiti per quando sarebbe stata dimessa, voleva un infinito bene ai suoi genitori, ma sarebbe impazzita se avesse fatto ritorno nella casa della sua infanzia e non avrebbe mai e poi mai potuto rimettere piede nell’appartamento in cui aveva abitato assieme a Fabian.
 
“Credo che questo sia il divano più orrendo che io abbia mai visto!” esalò Lexie, lasciandosi cadere sul vecchio mobile viola sfondato, che risaltava anche troppo tra le pareti verde salvia del soggiorno.
“Presto ne compreremo uno più bello,” la rassicurò Fabian, sedendosi al suo fianco e baciandola tra i capelli.
“Non ce n’è bisogno, Fab,” ribattè in fretta, accomodandosi nel suo abbraccio, inspirando il suo profumo fresco. “È assolutamente perfetto per casa nostra…”
“Credevo fosse orrendo,” borbottò lui dubbioso.
“E lo è, ma è proprio questo che lo rende perfetto…”
Lui scrollò le spalle, accettando quella bizzarra spiegazione e baciandola sulle labbra.
“Mia madre mi ha sempre detto che un’abitazione è fatta con muri e travi, mentre una casa è costruita con amore e sogni,” gli sussurrò quindi, liberando le sue labbra. Fabian pensò che la frase avesse senso, annuì e la baciò di nuovo, perché tutto quello di cui aveva bisogno per essere felice era lei e lei soltanto.
 
Sembrava passata una vita — nel momento appena rivissuto avevano tutto ed ingenuamente credevano che sarebbero riusciti a vincere, perché loro rappresentavano il Bene. E il Bene nelle favole usciva sempre vincitore, alla fine. Ma quella era la vita vera e non era scritto da nessuna parte che ci dovesse essere un vincitore ben definito; il Bene alla fine aveva prevalso, ma il prezzo da pagare era stato estremamente elevato ed i loro sogni si erano infranti molto prima del previsto. Una lacrima solitaria sfuggì al suo controllo e Lexie scosse la testa, tentando di calmarsi: erano passati numerosi anni dalla morte di tante persone con cui aveva condiviso la gran parte della sua vita, ma per lei che li aveva passati in uno stato comatoso il dolore era vivido come se fossero passati solo pochi mesi. Sospirò, temendo che non si sarebbe mai ripresa completamente, ma giurando a se stessa che avrebbe fatto del suo meglio — lo doveva a tutti quelli che non ce l’avevano fatta.
Volse gli occhi chiari verso la finestra incantata per sembrare affacciata su un giardino fiorito, concentrandosi sui colori armoniosi ed immaginando le sensazioni che avrebbe provato una volta fuori da lì, ritrovandosi nel giardino di casa dei suoi o in quello della Tana. Un lieve bussare interruppe il suo sogno ad occhi aperti e la donna si voltò verso l’uscio dove si trovava un’esausta Hestia Jones, sul cui petto era posata una testolina di arruffati capelli castani.
“L’hai portato!” sussurrò Lexie, sorridendo alla sua visitatrice.
“Siamo venuti a fare la visita di controllo,” rispose l’Auror, raggiungendo il capezzale della donna. “Come va?”
“Sono stufa di starmene chiusa qui dentro,” sbuffò l’altra, roteando gli occhi per poi puntarli sul bambino intento a succhiare il ciuccio con espressione assonnata. “Tutto bene il controllo?”
“Alla grande,” la rassicurò Hestia. “Il Medimago si è semplicemente raccomandato di non lasciargli più bere infusi preparati da nonna Jones…” dichiarò dopo una breve pausa. “La mia sorellina si è beccata un super cazziatone da mia madre, per non aver tenuto sotto controllo Aidan anche mentre rispondeva alla porta…”
“Povera Megan,” annuì Lexie, sfiorando una delle mani del bambino.
“Mia madre ha sempre avuto un carattere un po’ esplosivo, come noi tre sorelle del resto…” Hestia fece spallucce. “L’importante è che Aidan stia bene; nonna Catriona ha un po’ esagerato con le erbe con cui ha sempre pasticciato, ma sappiamo che non ha affatto cercato di avvelenare il piccolo… e lui nemmeno se ne ricorderà, quindi non c’è problema,” concluse, accarezzando la testa del figlio. Come se avesse capito che stavano parlando di lui, il bambino smise di ciucciare concentrandosi prima sulla madre e poi sulla donna che era intenta a fissarlo già da un po’, rimanendo come incantato.
“Vuoi prenderlo in braccio?” domandò quindi la Jones.
“Mi piacerebbe,” mormorò Lexie, mettendosi più eretta.
Hestia liberò il bambino dalla stola che usava per portarlo in braccio, sfiorandogli la nuca con un bacio e porgendolo all’amica. Aidan profumava di buono: un mix di sapone e di talco fresco, che a Lexie ricordava le volte in cui aveva abbracciato i suoi nipoti, quando erano solo bambini innocenti — prima che la guerra cambiasse per sempre le loro vite.
“Ti somiglia tantissimo,” sussurrò poi, ammaliata dagli occhi chiari del bambino, identici a quelli della madre.
“Grazie a Rowena,” sbuffò la Jones, sfiorando le dita del figlio.
“E suo…” Lexie s’interruppe, mordendosi il labbro inferiore alla vista degli occhi assottigliati dell’ex Corvonero.
“Non ne ha voluto sapere niente, ha detto che visto che lo avevo lasciato non aveva alcun interesse a prendersi cura di mio figlio… ti rendi conto? Come se il bambino fosse una semplice incombenza e nulla più,” il tono di Hestia era oltraggiato e Lexie si chiese cos’avrebbe fatto lei al suo posto.
“Uno così è meglio perderlo che trovarlo…” si decise a commentare poi, incrociando lo sguardo dell’altra.
“Quello è poco ma sicuro,” annuì con convinzione la mora.
“Chi è meglio perdere che trovare?” domandò una voce divertita dalla soglia della stanza d’ospedale. Le due donne si voltarono contemporaneamente, trovandosi faccia a faccia con un Alistair che stringeva tra le mani due tazze di caffè fumanti. Il Cacciatore lanciò un’occhiata alla donna mora accanto al letto d’ospedale, per poi spostare lo sguardo sulla sorella e sul bambino che stringeva tra le braccia.
“Che ci fai qui così presto, fratellino?”
“Ho pensato di portarti del caffè migliore di quello che ti propinano con la colazione… non credevo che avessi già visite,” ribatté, avvicinandosi.
“Hestia mi ha fatto una gradita sorpresa, spezzando la mia routine quotidiana.”
“Già, proprio una bella sorpresa,” commentò Al, scrutando la vecchia compagna di scuola.
“Passavamo di qui…” spiegò ella, sfiorando il bambino decisamente a suo agio tra le braccia di Lexie.
“Avevo capito che non fossi sposata,” dichiarò l’uomo, dopo una breve pausa.
“È universalmente risaputo che gli studenti più brillanti vengono abitualmente smistati a Corvonero, ma ritenevo che anche un atleta come te fosse in grado di comprendere che non fosse necessario essere sposati per avere un figlio, Ashworth,” borbottò quindi la Jones, roteando gli occhi.
Lexie trattenne a stento un risolino, accettando una delle due tazze di caffè e assistendo ad uno sguardo di Hestia che avrebbe potuto decisamente uccidere —  Alistair scelse saggiamente di imbonirla offrendole l’altra tazza di caffè abbinata al suo sorriso più affascinante. La mora afferrò la tazza senza tante cerimonie, prendendone un lungo sorso e sperando che la caffeina avesse effetto quanto prima, vista la notte insonne che aveva passato.
“Sono stato un cazzone, Jones,” borbottò lui, passandosi una mano tra i capelli. “Non avevo proprio preso in considerazione la possibilità che qualcuno avesse potuto fare un figlio con te e disinteressarsene…”
“Meglio per Aidan che quel qualcuno sia sparito prima che lui ci si potesse affezionare,” rispose l’Auror.
“Questo è sicuramente vero…” sussurrò Al, ricambiando lo sguardo del bambino, comodamente appoggiato al petto della sorella. “Quanto tempo ha?”
“È nato il 28 dicembre” spiegò la Jones, aprendosi in un sorriso al ricordo dell’arrivo del bambino, in anticipo di più di un mese, e delle acque che le si erano rotte mentre ancora si occupava degli zii e del cugino di Harry.
“È un bambino bellissimo,” commentò il Cacciatore, avvicinandosi a lui e osservandolo incantato mentre stringeva le sue piccole dita attorno al suo indice destro.
“Grazie,” chiosò Hestia. “È evidente che gli piacciate entrambi…”
“Avevi dei dubbi? Si sa che io sono solito piacere a tutti…” celiò quindi Al, spingendo la mora ad alzare gli occhi al cielo e la sorella a rotearli spazientita.
 
Dopo aver salutato i fratelli Ashworth, accordandosi per tornare a trovare Lexie quanto prima, Hestia si recò ai camini del San Mungo per raggiungere casa dei suoi, dove l’aspettava sua sorella Megan.
“Avevo capito che saresti stata di ritorno poco dopo l’alba,” bofonchiò la sorella, trattenendo a stento uno sbadiglio.
“L’idea era quella, ma considerando che sono di turno alle 10 ho pensato di andare a trovare Lexie,” spiegò Hestia, adagiando Aidan nel lettino, visto che si era inspiegabilmente addormentato durante il viaggio tramite Metropolvere.
“Come sta?” chiese Morag MacDougal.
“Meglio, credo che la dimetteranno a breve,” rispose, sorridendo alla migliore amica di Megan. “Più che altro si sta annoiando…”
“E l’hai lasciata da sola?” domandò la sorella minore.
Hestia scosse la testa. “Certo che no, quando ero da lei sono incappata in suo fratello, quindi l’ho lasciata con lui…”
“Suo fratello?” Megan sgranò gli occhi. “Intendi Alistair Ashworth? Il miglior marcatore all-time della nazionale inglese?”
Hestia annuì silenziosamente.
“Ricordami qual è, Meg?”
“Il biondo fisicato che fa impazzire tutte le nostre amiche,” illustrò la Tassorosso.
“Oh… quello che piace anche a me, quindi,” mormorò la scozzese con occhi sognanti.
Hestia sbuffò infastidita. “E chi aveva dubbi che piacesse anche a voi…”
“Perché a chi altro piace, scusa?” s’informò Megan.
“Faceva strage di cuori a scuola,” bofonchiò l’Auror.
“Non dirmi che ti ha illuso in qualche modo?”
La maggiore scosse la testa. “Certo che no, eravamo solo amici e avversari sul campo…”
“Eravate?” ridacchiò Morag.
“Beh, non ci vedevamo da un bel po’, quando si è presentato nel mio ufficio a ringraziarmi per aver portato al risveglio di sua sorella.”
“È stato carino,” dichiarò Megan, soppesando la reazione della sorella alle sue parole.
“In realtà mi aveva anche invitato a cena…” mormorò l’altra in risposta.
“E tu hai rifiutato,” dichiarò Megan, conoscendo bene la sorella.
“Adesso è decisamente troppo complicato,” obiettò la donna, scuotendo leggermente la testa.
“Se è scritto nel destino non potrai fare nulla per evitarlo,” dichiarò con sicurezza Morag, strizzando l’occhio alla sorella della sua migliore amica, che proprio non sapeva cosa sperare in quella situazione. L’abbandono del padre di suo figlio l’aveva ferita nel profondo, nonostante facesse di tutto per evitare di mostrarlo; di una cosa era certa: non avrebbe permesso a nessuno di fare del male ad Aidan.
“Comunque il fatto che tu sia amica di un campione del suo calibro impone che ce lo debba presentare,” aggiunse Megan dopo una piccola pausa, incrociando le braccia con cipiglio divertito.
“Hai forse dimenticato che nostra sorella è il capitano delle Holyhead Harpies?” ribattè la maggiore.
“Certo che no, ma forse tu hai scordato la rivalità tra le Harpies ed il Puddlemere United…” ridacchiò Megan. “La McGranitt celebrerà estasiata la vittoria della Coppa di Quidditch di Serpeverde il giorno in cui nostra sorella ci presenterà volontariamente un membro del Puddlemere…” borbottò l’ex Battitrice, scuotendo la testa.
“Vedrò cosa posso fare,” propose quindi Hestia, incamminandosi verso la cucina per un’altra tazza di caffè.
 
*
 
Lunedì 6 luglio 1998 Harry e Ron si svegliarono poco dopo l’alba, nonostante la nottata agitata passata a teorizzare a riguardo delle prove a cui li avrebbero sottoposti fino a tarda ora, i due non sarebbero riusciti a dormire un solo minuto di più. Dopo essersi fatti una doccia e aver indossato abiti comodi, come era stato richiesto nella lettera di convocazione, gli amici raggiunsero la cucina della Tana dove Molly e Ginny si tenevano occupate preparando la colazione.
“Che ci fai già sveglia?” si stupì Harry.
“Pensavi forse che non ti avrei augurato buona fortuna in questo giorno così importante?” si stupì lei. “Non che ce ne sia bisogno, ovviamente…” aggiunse, strizzandogli l’occhio.
Harry le sorrise, sentendo il nodo allo stomaco allentarsi almeno parzialmente.
“Non credo di avere fame,” bofonchiò Ron, prendendo una tazza per sé e una per Harry, mentre l’amico afferrava la caraffa di caffè.
La sorella inarcò pericolosamente le sopracciglia ramate ed incrociò le braccia, fissando i due. “Non riesco a credere che siate preoccupati per questa selezione! Avete passato un anno vagabondando per il paese, distrutto Horcrux, partecipato alla battaglia finale…” elencò, osservando le loro reazioni. “Tu ti sei sacrificato per tutti noi,” aggiunse, puntando l’indice contro il fidanzato.
“Era diverso,” borbottò l’ex Bambino Sopravvissuto.
“In che modo, scusa?”
“Non c’era altra scelta,” mormorò, stringendosi nelle spalle, “almeno per me…”
“E noi non ti avremmo mai fatto andare da solo,” aggiunse svelto Ron.
“Una ragione in più per cui non dovreste aver timore di quello che accadrà oggi, perché sarete lì per una vostra scelta, per iniziare il cammino che vi porterà a realizzare il vostro sogno di diventare Auror… il Ministro in persona vi ha invitato alle selezioni, vorrà pur dire qualcosa, no?” rammentò loro Ginny, mentre Molly li ascoltava in silenzio.
“Beh, il fatto di essere stati invitati non so nemmeno se sia un bene in realtà,” bofonchiò, chiaramente a disagio, Ron.
Harry annuì. “Vorrei solo essere trattato normalmente e non in alcun modo speciale…”
“Ma voi siete speciali, ragazzi! E prima ve ne accorgerete e meglio sarà,” consigliò Ginny.
“Avete avuto un ruolo importante nella sconfitta del mago più oscuro del ventesimo secolo, siatene orgogliosi, senza mai dimenticarvi che potete sempre imparare qualcosa da chi si trova al vostro fianco,” aggiunse Molly, guardandoli con tenerezza. I ragazzi erano diventati grandi troppo in fretta, ma in momenti come quello le sembravano i due adolescenti che erano scesi sorridendo dall’Espresso dopo il primo anno a scuola.
“Grazie,” sussurrò Harry, sorridendo alla padrona di casa e trovando conforto nella stretta di Ginny alla sua mano.
“Già, grazie…” aggiunse Ron annuendo.
“Dovete mangiare qualcosa, ragazzi…” consigliò poi Molly, facendo levitare un piatto di toast, uno di uova ed uno di bacon verso il tavolo.
I due presero posto al lungo tavolo e lo stomaco di Ron prese a brontolare rumorosamente, scatenando le risate divertite di Harry e Ginny.
“Ecco il Ron che conosco,” borbottò la piccola di casa Weasley.
 
La sfortuna di avere un cognome che iniziava con W portò Ron ad essere tra gli ultimi rimasti in sala d’attesa, prima che fosse il suo turno di entrare nella stanza in cui avrebbe dovuto dimostrare che il neoministro non si era sbagliato, proponendo anche il suo nome. Harry doveva aver finito già da almeno un’ora ormai — erano d’accordo di vedersi alla Gelateria di Florian con Hermione e Ginny per poi andare da Lexie tutti insieme — Ron era rimasto con solo altri tre candidati dopo che anche Dean era stato convocato. Gli aveva fatto molto piacere vedere l’amico alle selezioni: l’ultimo anno non era stato affatto semplice per lui e pensava che esorcizzarlo diventando Auror sarebbe stata un’ottima scelta. Avevano rivisto altri volti noti tra cui Susan Bones, Lisa Turpin e Roger Davies e si erano ritrovati addirittura vicini a Zacharias Smith, che Ron continuava a detestare cordialmente. Stava giusto pensando che non avrebbe potuto sopportare di frequentare l’Accademia assieme a quel rompi-pluffe, quando una voce femminile nasale pronunciò il suo nome e l’ex Grifondoro si alzò, deglutendo e asciugandosi le mani sudate sui pantaloni della tuta.
 
Circa mezz’ora dopo, Ron uscì dall’altro lato della stanza in cui una commissione composta dal Capo Auror Proudfoot e da quattro membri della squadra, tra cui due che sarebbero stati gli istruttori, aveva assistito alla sua abilità di duellante con un manichino progettato per tendergli numerosi tipi diversi di agguati. Dopo la parte pratica, della durata di un quarto d’ora, Ron era stato convocato di fronte al tavolo della commissione dove avevano discusso i suoi risultati ai G.U.F.O. e quelli dei corsi frequentati al sesto anno, oltre che la scelta di affiancare Harry nella ricerca degli Horcrux, assolutamente fondamentali nella sconfitta di Voldemort.
“Ci dica come mai vorrebbe diventare Auror, signor Weasley?”
Ron non aveva immaginato che gli avrebbero posto quella domanda e si ritrovò a sbiancare di fronte alla commissione, prima di sentir riecheggiare nella sua testa le parole pronunciate dalla sorella quella mattina.
“Vorrei diventare Auror perché credo che sia importante continuare a fare la mia parte per far sì che il mondo magico possa proseguire a vivere in pace. So di non aver fatto molto, ma mi piacerebbe evitare che nuove minacce possano mettere a repentaglio questa pace raggiunta alla fine di una guerra lunga e sanguinosa, oltre che a discapito di troppe vite perse,” dichiarò quindi, scegliendo di parlare con il cuore.
Proudfoot annuì, sembrando veramente colpito dalla risposta sincera del ragazzo, accanto a lui una donna austera dai capelli scuri aggiunse una nota sulla pergamena, prima di metterla sopra alla pila dei candidati già esaminati.
“Molto bene, signor Weasley… avrà nostre notizie nella prima settimana di agosto” lo congedò il Capo Auror.
Ron annuì. “Grazie, arrivederci.”
 
Dieci minuti più tardi s’era smaterializzato nel vicolo antistante la gelateria di Florian, riaperta da poco più di una settimana, individuando subito il tavolino scelto dagli amici.
“Eccoti, finalmente” gli sorrise Hermione, mentre lui si lasciava cadere nella sedia accanto alla sua.
“Com’è andata?” gli domandò Harry.
“Credo bene… e a te?”
L’amico scrollò le spalle. “Direi bene anch’io.”
“Quando vi faranno sapere qualcosa?” chiese Ginny.
“La prima settimana di agosto,” sbuffò Ron, rendendosi conto che mancava un mese.
“Sono sicura che siate andati alla grande,” li rassicurò Hermione.
“Lo spero,” ribattè Harry.
“Sicuramente è stato strano fare un esame senza di te,” aggiunse Ron, riuscendo a sorridere alla ragazza.
“Mi avete sempre criticato per la troppa attenzione ai dettagli, dicendo che ero una rompiscatole e solo adesso confessate di aver sentito la mia mancanza?” li redarguì la ragazza, assottigliando gli occhi.
I due si scambiarono un’occhiata costernata, interrotta dalla risata di Hermione. “Avevi ragione, Ginny… è piuttosto semplice fregarli!”
La rossa le strizzò l’occhio, prima di chiamare il cameriere per ordinare.
 
Fu stringendo una coppetta di gelato al cioccolato, pistacchio e caramello, con una spruzzata di panna e granella di nocciola e una alla fragola, banana e mirtillo, con una salsa ai frutti di bosco e delle pepite di cioccolato bianco che i ragazzi raggiunsero la stanza di Lexie al San Mungo. Hermione aveva applicato ad entrambe le coppette un incantesimo refrigerante, in modo che Lexie potesse godersene una dopo cena se avesse desiderato.
“Si può?” chiese Ginny, socchiudendo la porta.
“Che bella sorpresa,” sorrise la donna, facendogli cenno di entrare. “Mio padre ha appena trascinato mia madre a prendere un po’ d’aria, è quasi sempre qui con me…”
“Ci avevi detto di dirti come sarebbe andata,” le ricordò Harry.
“Certo che sì, ma immaginavo che aveste di meglio da fare che starvene chiusi qui…” rispose noncurante — non voleva che si sentissero obbligati a farle visita.
“Scherzi, vero?” dichiarò Ginny, avvicinandosi per un abbraccio.
“Senza contare che tu sei la sola a poterci fornire qualche dritta per l’Accademia…” aggiunse Ron, porgendole una delle coppette.
“Gelato?”
“Non sapevamo quali fossero i tuoi gusti preferiti…” iniziò a spiegarle Hermione.
“Mi piacciono tutti, anche se ho una predilezione per le creme e il cioccolato,” disse la donna, mentre Harry le passava la seconda coppetta.
“Allora dovresti iniziare da questa,” le consigliò Ginny, indicando la coppetta che le aveva dato Ron.
“Comunque l’incantesimo refrigerante dovrebbe conservarle fino alla fine della giornata, in caso tu non abbia voglia di mangiarle adesso,” spiegò Hermione.
“Di lei ti puoi fidare: era la migliore del nostro anno in ogni singola materia,” si vantò Ron, facendo andare a fuoco le guance della ragazza.
“Non esagerare, dai…” si schermì Hermione.
“In effetti in Divinazione eri pessima esattamente quanto noi,” ridacchiò quindi il ragazzo, beccandosi uno scappellotto dalla sorella.
“Hermione è decisamente una delle studentesse più brillanti che Hogwarts abbia mai visto,” asserì Ginny.
“E una tra le poche ad essersi meritata l’invito al Lumaclub non per qualche parentela più o meno importante, ma per le sue capacità…” chiosò Harry, rivolgendo un sorriso brillante all’amica.
“Un po’ come Lily ai nostri tempi,” aggiunse Lexie, sperando di non intristire Harry e ricevendo un sorriso a sua volta. “Era una delle preferite di Lumacorno…”
“Me l’ha detto più volte,” le confessò quindi il ragazzo.
“Lei odiava essere al centro dell’attenzione,” rivelò Lexie. “Adorava miscelare pozioni, continuava a ripetermi che era calmante per lei sapere che seguendo delle semplici istruzioni e miscelando ingredienti specifici avrebbe potuto ottenere antidoti per le malattie, rimedi per le ferite, fino ad arrivare alla fortuna liquida o alla pozione d’amore più potente del mondo… si era specializzata come pozionista, sai?”
Harry scosse la testa. “Non ne avevo idea…”
“Dopo un anno di corso di specializzazione aveva iniziato un tirocinio per preparare pozioni curative proprio qui al San Mungo,” spiegò Alexandra in tono nostalgico. “Ovviamente lei era quella riflessiva tra noi due e io quella che faticava a non perdere un passaggio ritrovandosi con il calderone esploso…”
“Un po’ come te e me, Herm… se pronta ad assicurarti che io non faccia esplodere i sotterranei?” celiò Ginny.
“Non devi essere così male se sei stata ammessa al livello M.A.G.O.,” disse in tono pratico la riccia.
“E comunque se non abbiamo mai fatto esplodere i sotterranei noi, non vedo perché Hermione dovrebbe avere problemi a controllare te…” aggiunse Harry, facendo ridere i presenti.
“Il miglior successo di Hermione rimarrà quello di aver fatto prendere a due zucconi come voi ben 7 G.U.F.O. a testa,” dichiarò Ginny, una volta smesso di ridere.
“Hey, ci siamo dati parecchio da fare per ottenere quei risultati…” borbottò Harry.
“Non ce l’avremmo mai fatta senza Hermione,” aggiunse, vagamente contrariato, Ron.
Lexie sorrise vedendo la complicità tra i quattro ragazzi, ritornando brevemente alle scaramucce post esame messe in atto da James e dal resto dei Malandrini, promettendo a se stessa che avrebbe condiviso tutto il possibile con Harry per cercare di farlo sentire più vicino ai suoi genitori.

 
*
 
Se George fosse rimasto stupito che la sorella sapesse tutto circa gli allenamenti delle Harpies non lo diede a vedere, accolse anzi con gioia l’entusiasmo di Ginny nella descrizione dettagliata del loro campo — posizionato nella graziosa cittadina gallese di Holyhead. Armatosi di coraggio, mercoledì 15 luglio chiese a Charlie se poteva fermarsi lui ad attendere gli ordini di Puffole Pigmee che sarebbero state consegnate, vista l’imminente riapertura del negozio, e si smaterializzò nelle vicinanze del campo. Una camminata di un quarto d’ora tra le verdi campagne del nord-ovest del Galles lo ritemprò ed inspirando a pieni polmoni l’aria frizzante si disse che avrebbe dovuto fare qualche passeggiata in più, magari in compagnia dei fratelli.
Una volta raggiunta la struttura, l’ex Grifondoro s’avvicinò, ritrovandosi faccia a faccia con un energumeno di oltre un quintale che faceva la guardia all’ingresso del campo d’allenamento.
“Desidera?” domandò quello in tono poco amichevole.
“Sono un amico di Angelina Johnson e volevo farle una sorpresa ed invitarla a cena dopo gli allenamenti,” dichiarò quindi.
“Gli allenamenti sono off limits per i giornalisti,” disse quello in tono annoiato.
“Ma io non sono un giornalista…”
“E chi me lo assicura?”
George sbuffò, spazientito. “Non mi sono presentato, in effetti,” disse, sorridendo all’uomo. “George Weasley, proprietario dei Tiri Vispi Weasley…”
La faccia seria dell’uomo si aprì in un sorriso sincero. “I miei ragazzi adorano i vostri prodotti…” disse quindi, stringendogli la mano. “Possiamo fare un’eccezione,” aggiunse poi, lasciandolo entrare e indicandogli le tribune.
Il giovane prese posto nella prima fila, osservando la squadra provare gli schemi d’attacco, con le urla della capitana come sottofondo. Angelina e il resto delle Cacciatrici stavano davvero dando il meglio di loro, George era impressionato ed aveva ogni intenzione di dirglielo a cena, quando Gwenog Jones s’accorse della sua presenza e gli s’avvicinò minacciosa.
“Chi diavolo sei e cosa ci fai qui?” sbraitò.
“Sono un amico di Angelina e volevo invitarla fuori a cena dopo l’allenamento…” rispose, tentando di suonare convincente — il caratteraccio della Battitrice era decisamente famoso.
“Chi mi dice che non sei una spia di quegli inetti del Puddlemere? Ti ha mandato Wilda per caso? ¹”
George scosse la testa, sostenendo lo sguardo truce dell’ex Tassorosso.
“Quello è un mio amico, Gwenog!” urlò quindi Angelina, convincendo la Capitana a tornare a concentrarsi sull’allenamento. George sospirò di sollievo, facendo un cenno di saluto alla Johnson che gli strizzò l’occhio in risposta.
 
Dopo una doccia ristoratrice, Angelina raggiunse George a bordocampo sorridendogli apertamente. “Che bella sorpresa, George! Qual buon vento ti porta qui?”
“Volevo ringraziarti dell’aiuto che mi hai dato di recente, la tua vicinanza è stata fondamentale e vorrei offrirti una cena…” le disse lui. “Sempre che tu non abbia di meglio da fare, ovviamente,” aggiunse poi, rendendosi conto che forse averle teso un’imboscata non era stata una così grande idea.
“Scherzi?! L’alternativa era una cena veloce al Paiolo Magico… non sono un granché come cuoca.”
“Conosci qualche posto qui in zona?”
“C’è un bel localino con una vista spettacolare sull’oceano; ci si gode un tramonto da favola e possiamo andarci a piedi…” propose lei,
George piegò gli angoli della bocca in un sorriso sincero, subito ricambiato da Angelina.
“Prego, mi faccia strada, Miss…” le disse poi, porgendole il braccio.
“Da quando sei così galante?” si stupì lei.
“Ho i miei momenti a volte…” dichiarò, strizzandole l’occhio.
 
*
 
Audrey attendeva impaziente l’arrivo di Percy, che le aveva proposto di passare con del sushi da asporto dopo il lavoro; Sally era fuori con il fidanzato ed avrebbero avuto la casa tutta per loro.
Quando il campanello suonò, la ragazza corse ad aprire.
“Meno male, ho una fame!” esclamò, trascinando dentro il rosso.
Lui le sorrise. “Scusa, c’era molta coda visto che è venerdì…”
“Non c’è problema, è solo che oggi ho mangiato di fretta,” sorrise lei, conducendolo al divano, davanti cui aveva apparecchiato il tavolino.
“In effetti sono affamato anche io,” le disse, spingendosi gli occhiali sul naso e porgendole la scatola con gli uramaki.
“Stavo pensando che potremmo organizzare il nostro viaggio nella settimana del 17 agosto… io credo di poter prendere fino a cinque giorni senza problemi, che ne dici?”
Percy deglutì, sforzandosi di annuire e rimanere calmo. “Penso anche io…” mormorò poi.
“Che succede, Percy? Credevo che facesse piacere anche a te, ma se sto correndo troppo non è importante, io…”
“Tu non c’entri nulla, Audrey,” disse quindi Percy, prendendo la sua mano nelle proprie.
“E allora cosa succede?” domandò lei, spalancando gli occhi verdi e puntandoli nei suoi.
“C’è qualcosa che non sai di me…” sussurrò lui, abbassando lo sguardo, sentendo le guance imporporarsi.
“Puoi dirmi tutto, lo sai…” lo rassicurò lei.
“Non credo che questo ti piacerà,” disse affranto lui, cercando il coraggio per iniziare il discorso. Dopo aver preso un respiro profondo Percy raccontò ad Audrey di come aveva abbandonato la famiglia, acciecato dalla voglia di fama e dal desiderio di far carriera al ministero, pensando che i suoi ne sarebbero stati orgogliosi e sentendosi tradito quando così non era stato. La ragazza lo ascoltò, interrompendolo solo per fargli qualche domanda e per tentare di rincuorarlo e, al termine del suo racconto, lo rassicurò che tutti nella vita sbagliavano e che l’importante fosse che lui avesse capito i suoi errori. Percy, con le lacrime agli occhi la strinse a sé, immaginando un futuro insieme in cui avrebbero potuto affrontare qualsiasi situazione, perché se lei aveva compreso e perdonato le sue debolezze più grandi, nulla avrebbe potuto scoraggiarla.

 


 
¹ Wilda Griffiths è stata una Cacciatrice della Harpies prima di passare al Puddlemere United nell’estate del 1998; quando le due squadre si scontrarono nel 1999 le bacchette vennero confiscate, la Griffiths sparì dal campo e Gwenog Jones venne arrestata.
 
 
Nota dell’autrice:
Come promesso, in tempi più o meno brevi, torno a dedicarmi a questa storia; ho davvero un sacco di idee che sto cercando di incorporare in modo credibile, quindi mi rimetto a voi lettori per sapere come me la sto cavando.
Che ne dite del segreto di Hestia? Era nei miei piani fin da subito che lei avesse avuto un figlio e che fosse quello il motivo che l’aveva resa titubante nei confronti di Al… il poveretto tra l’altro sembra non combinarla mai giusta con la focosa Auror. Se riconoscete Megan e Morag vuol dire che anche voi avete letto la meravigliosa storie di cui sono protagoniste, scritta da blackwhite_swan, che mi ha dato il permesso di sfruttare le loro caratterizzazioni.
Lexie nel prossimo capitolo lascerà finalmente il San Mungo, ma intanto in questo capitolo direi che l’ho fatta conoscere un po’ meglio a quelli di voi che non hanno letto la mia long “Promesse da mantenere” ed il suo seguito “Legami indissolubili”. Mi sta piacendo molto sia farla interagire con Harry & Co., che con Hestia, suo fratello e Molly e Arthur, in modo da farla rientrare in contatto con i vecchi amici con cui aveva perso ogni contatto.
Mi auguro che la strada che ho intrapreso con George & Angelina e con Audrey e Percy sia credibile; costruire un rapporto così poco tempo dopo simili sofferenze non è sicuramente stato facile, ma i nostri ce la faranno.
A presto con il prossimo capitolo!
 

 
 
 
 
 
 
   
 
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